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Racconti di Dominazione

IO, GIGOLO’ A SETTANT’ANNI.

By 16 Marzo 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

La periferia di Milano, dove è già campagna ma ad un tiro di schioppo dalle grandi vie di comunicazione, su una stradetta un tempo asfaltata che si stacca quasi invisibie da una strada anch’essa stretta e di poca importanza. Poco distante un vecchio muro di cinta sbrecciato e coperto di rampicanti, circondato da vicino da una delle tante rogge fangose. Oltre il muro non si vede altro che un’altra muraglia, d’alberi questa e che potrebbe celare il nulla oppure una vecchia cascina in disuso od uno dei tanti capannoni abbandonati anni prima dagli sfasciacarrozze o dai raccoglitori di cassette da frutta e sfasciumi vari, anch’essi da tempo allontanati per ragioni igieniche. Nella sala d’angolo al primo piano un uomo legge il giornale. Ancora un bell’uomo che dimostra molto meno dei suoi settant’anni e passa ma non sembra certo un giovanotto. Indossa un completo grigio, sobriamente elegante, visibilmente lavoro di un buon sarto. Robusto senza essere grasso tiene ordinata la folta capigliatura bianca e cortissimo il pizzetto ed i baffi sottili. La signora che aspettavate sta arrivando, dottore. E’ Lisetta, da anni sua cameriera, affiancata da qualche tempo dalla nipote. L’uomo respira a fondo, è sempre nervoso nell’affrontare una nuova cliente. Si deve trattenere dal ripetere alla anziana cameriera le solite istruzioni che quella già conosce a menadito. Al momento opportuno osserva attento l’immagine di un volto su uno schermo in bianco e nero. Lo spegne soddisfatto e siede in attesa.

Mi guardo attorno, è tutto in perfetto ordine per colpire la fantasia senza intimorire, od intimorire soltanto un poco, cioè quel che serve. Quello che doveva essere un passatempo di una serata tediosa con alcuni amici di un tempo che ormai non si riconoscevano quasi più, mi pemette di guadagnare abbastanza di che mantenere quasi il vecchio tenore di vita… oltre al resto.

‘So che hai sognato almeno una volta di un uomo, il tuo padrone e te, in ginocchio ai suoi piedi, trepidante, ansiosa…impossibile ovviamente. La tua educazione, il tuo ‘status’, la famiglia…invece è possibile…qualche ora soltanto…un gioco forse o poco più…’

Le risposte erano giunte più numerose di quanto, anche oggi, dopo quattro anni, mi sembri possibile. Non avevo nascosto la mia età: quasi settanta anni avevo detto, non ci mancava molto allora, quatto anni fa appunto. Le prime risposte…ma eccola, cesso le divagazioni estemporanee, la osservo attento.

Elegante, ben vestita, un personale ancora notevole, certo ricca od almeno benestante, molto benestante, altrimenti non potrebbe essere qui. Tendo la mano, celo dietro la finta noncuranza la contentezza di chiudere la settimana con una nuova ‘buona cliente’, una cioè che pagherà il massimo della tariffa e magari anche spesso. I soldi mi fanno comodo. Maschero anche una certa noia, è solo lavoro, eccitante qualche volta, noioso fin troppo spesso. Si accomodi signora e le indico una poltrona davanti a me, scelta perchè molto comoda, di proposito collocata non troppo accosta ma neppure lontana più di tanto. Evito di scrutare il viso coperto da una maschera veneziana, una bautta, impenetrabile. Siede sulla poltrona con la naturale compostezza consueta ad una vera signora, la borsetta sul lato e le ginocchi pure un poco di lato, piegate ma ben unite. Ha le caratteristiche che da sempre prediligo: abbastanza giovane ma certo non è più una ragazza, non troppo alta, formosetta, niente mani o piedi troppo grandi. Un po’ troppo formosetta? Un poco in ritardo, ma questo, ad un primo colloquio, non lo evidenzio di certo. Stavo per bere il caffè di mezza mattina, signora, ne gradisce una tazzina, preferisce qualcosa d’altro? Va bene il caffè che le cameriere hanno già preparato nell’altra stanza per poi portarcelo su un vassoio ancora nella caffettiera. Vai pure Lisetta, ci pensiamo da soli. I soliti trucchetti: resto immobile quel tanto che basta a spingere la mia ospite a mescere il caffè, a chiedermi quanto zucchero voglia per poi porgermi la tazza. Bene, signora, per ora la chiamerò signora appunto e lei si rivolgerà a me chiamandomi dottore. Un cenno di assenso, ma vorrei sentire la sua voce. E’ mia ospite, proseguo, non sa dove siamo mentre io non so chi sia lei, non so nulla di lei. Probabilmente non lo sapremo mai. Anche se questi sotterfugi, come il modo con cui è stata portata qui, ci complicano non poco la vita, le danno, danno anzi ad entrambi alcune sicurezze, un quid di tranquillità in più. Non nomino l’amica che la ha ‘raccomandata’. Non deve esistere niente e nessuno oltre noi due, la lei di turno ed io, in questi primi attimi delicati; non è vitale ma migliora un poco le probabilitù di successo. Un sistema che ho adottato da tempo. Perché è qui? Esita un attimo, poi ascolto una delle storie consuete, tipo figli ormai grandi, il mariti che per lavoro si assenta spesso ed a lungo, la noia… Anche la voce mi piace. Si signora, capisco, ma chiedevo altro. Di nuovo esita, per un attimo intravedo il lampeggiare degli occhi. Mi ha colpita quello… quello che ha scritto su internet. Entro certi limiti mi ci sono riconosciuta. Cioè, chiedo implacabile come sempre in questi casi, nei preliminari. Non esita più. Un sogno, di nuovo si interrompe. Un vecchio sogno di ragazza ed ovviamente rimasto tale. Sto per dirle di andare avanti, decido invece di uscire dalla routine. Un sogno che ora può realizzare. Un mio nuovo silenzio ora la dovrebbe spingere ed infatti la porta ad ulteriori spiegazioni o a fare qualche domanda. Fino a che punto può spingersi questo…gioco? Non è un gioco, signora, sarà veramente una schiava e trattata come tale. Dei limiti ovviamente ci sono, ma solo di massima e sarò io a definirli ed interpretarli di volta in volta, secondo quanto però decideremo ora, insieme. La regola è farle parlare ma siamo già al punto in cui devo porre io i paletti. Poche regole, dico quasi con indifferenza, certamente invallicabili, una per cominciare, dalla quale ne discendono altre. Mai metterla neppure lontanamente nella condizione di subire danno od anche solo imbarazzo da questi incontri. Non saprà mai di altre mie ospiti, non le vedrà anzi. Nessuna la vedrà o saprà di lei. Non la metterò in condizione di imbarazzo con marito, figli, amici. Incontrandola per caso mi guarderei bene dal far capire che la conosco e lei farà altrettanto. Se la punirò, non lascerò segni su di lei che possano incuriosire un marito od un amante, od anche soltanto le impediscano di frequentare una spiaggia. So che sgrana gli occhi, ne sono certo. Userebbe una frusta? Con me? No, non certo una frusta. Ci sono modi per dare dolore, almeno un poco, con strumenti…antichi, studiati appunto per punire una donna, una schiava, senza deturparla; davano dolore senza privarsi del piacere futuro, pochi giorni od anche solo poche ore dopo. Sorido un poco, poi proseguo: e se ben conosco gli uomini, senza togliere valore a quella loro proprietà. La tecnica moderna ha persino migliorati tali strumenti. Ma cosa vuol farmi? E’ allarmata ora. Tutto quello che servirà o mi piacerà fare. Penso stia per alzarsi e me ne dispiace, per il denaro ed il resto, ma esita. Anche dal punto di vista…sesso? Forse, vedremo col tempo, perchè porre limiti alla provvidenza? Risposta sbagliata, penso. Correggo il tiro in qualche modo, e lei di nuovo siede, si appoggia anzi più comodamente. Non ho mai avuto amanti. Non ho mai tradito mio marito. Potrei dirle signora che potrebbe essere, nel caso succeda, una vera violenza carnale di cui non sarebbe responsabile. La piegherò signora, è inevitabile, ma non è detto si arrivi a questo, Sono impegnato in quella parte di discorso che mi ha fatto scappar via parecchie clienti. Si cammina sul ghiaccio sottile quando si arriva a questo punto, e ci si arriva sempre. Non posso daltronde dire cose diverse perchè lei non sarebero qui se non ci fosse anche questa componente nella sua decisione di chiedere un appuntamento. Sotto sotto quella del sesso è la molla principale per quasi tutte, anche quelle che poi preferiscono od esigono altro. Va bene accetto. Per un attimo ne resto sorpreso, la fisso. Conosco le altre condizioni, quelle relative…ai pagamenti …mi sta bene, dottore, ma ho nei prossimi tempi una serie di impegni. Sta per dire che per ora non se ne fa niente, vedremo, ma in genere è un modo gentile, loro lo pensano, per dire mai. Non so quando potrei venire, non prima di settimane, forse quattro o cinque. Ho con me il denaro contante, lei dottore è libero oggi? Sono io a sorprendermi per aver continuamente e completamente frainteso le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti. Quattro ore. Una bella somma, tale da rimettere nella norma i miei incassi settimanali. Non ho tante clienti da dover consultare l’agenda per rispondere di si. Ora, amica mia, la cameriera che d’ora in avanti chiamerà signora Lisetta, la porterà nello spogliatoio. Le ubbidirà senza discutere. La cameriera è autorizzata ad usare a questo punto una certa coercizione. Verrà preparata e riportata qui per essere presentata. Va bene, risponde senza esitare. Ora, se ha ancora qualche domanda dica pure, poi, quando torna, le impartirò altre istruzioni, ordini anzi.
Sono tanto eccitato che fatico ad orinare. Lei impiegherà una mezzo’ra almeno, io sono invece pronto prima. Devo solo sciacquarmi sotto le ascelle ed il petto, ho sudato come un pazzo esagitato, molto più oggi delle altre volte. Forse perchè questa donna mi piace, mi eccita. Mentre mi cambio mi chiedo se potrò mai scoparmela. Spero di si ma certo non oggi, la prima volta che viene qui. Penso poi al conto in banca. Anche questo mese, pagate le spese metto qualcosa da parte. Non ricordo in che banca devo versarli, guarderò in agenda. Glicine, ecco, questo sarà il suo nome. Sto ancora fumando quando Lisetta si dichiara pronta a portarmela per la presentazione. Facendo un giro ero arrivo al suo armadietto. Riposte le sue cose nella borsetta, so come si chiama. So anche altro. La sciocchina ha in borsa, oltre ai documenti, la lettera di una amica ed un’altra; deve averle trovate in casella uscendo e non ha resistito alla tentazione di portarsele appresso e leggerle. Veramente interessanti. Illuminanti. Lisetta me la porta con i capelli castano scuri sciolti,

Un pareo le fascia i fianchi scendendo, quasi del tutto trasparente, ai piedi nudi. Ha poco d’altro, un fazzoletto di seta, a coprirle, anzi ad evidenziare il seno. Poi collare, guinzaglio ed i polsi avvinti dai bracciali ed uniti da una catenella al collare. Eperienza fatta in anni di mestiere. La cosa più lunga, le prime volte, era farle spogliare durante la presentazione. Così invece il problema è risolto in partenza, come risolve il problema delle proteste ad essere spogliate e agghindate come desidero, il bavaglio che le è stato imposto subito, prima ancora dei bracciali di morbido cuoio. Per ultima la bautta cieca, ciè con i fori per gli occhi, coperti. Lisetta ha fatto per anni la tenutaria, la maitresse di bordello, ci sa fare con le recalcitranti. Per la precisione sa far molto male se lo vuole e senza lasciare segni, oppure può immobilizzare una persona con mosse molto efficaci. La schiava è stata preparata dottore. Poi mi affida il guinzaglio e, liberatala della bautta esce chiudendo. Entrando mi ha fatto alcuni cenni, dai quali ora so che si è comportata passabilmente bene. Non del tutto però. Seguendo la mia voce sta rivolta verso di me non senza qualche timore penso, mugola un poco, forse vuoi dire qualcosa? Bene, mia cara, oggi è la tua prima volta da schiava. In genere non autorizzo una schiava a parlare, mai. Poi vedremo. Per ora inginocchiati. Le giro attorno, la faccio poi alzare. Ancora non vede, al posto della bautta cieca le ho imposto una benda. Il cambio al suo arrivo è servito in teoria a permettermi di vederne il viso che è regolare e bello. Ha gli ochi scuri. La guido con il guinzaglio e con l’aiuto di un frustino per cavalli. Ne carezzo il corpo con la mano, senza indulgere ai seni o altra parte ‘sensibile’. Il fianco, il capo, il volto e le braccia. Si è ritratta irrigidendosi lo stesso ma non è scema e capisce in fretta che la sto risparmiando o mettendola alla prova. Uso allora per le altre parti, sempre in silenzio, il frustino. Sussulta solo la prima volta. Dopo un poco la sua paura e la sua eccitazione diminuiscono, è ora di smetterla. La riporto al punto di partenza, le tolgo il bavaglio, la benda e le libero i polsi. Ferma, immobile, le ordino. Poi, comodamente seduto, mentre fumo simulando una indifferenza solo parzialmente vera, le dico di spogliarsi. Come era pensabile esita abbastanza perchè possa dirle che sarà punita. Slaccia i due unici veli, scopre il seno, buono, non perfetto ma molto ben fatto per una donna di trent’ anni o poco più, ed i fianchi, certamente almeno pregevoli, quasi voluttuosi se non fosse per i due o tre chili di troppo. Il vello pubico è decisamente eccessivo, commento, e qualche chilo dovrai proprio perderlo. Adesso vieni qui. Inginocchiati. Di nuovo la ammanetto. Capisci di essere del tutto in mio potere? Possibile, mi chiedo, che non abbia paura? Così sembra, ma devo farle provare paura. A mali estremi… Dopo un attimo è legata per i polsi all’archetto delle due colonne. Le colpisco i seni e poiché per sottrarsi rotea se stessa, infliggo altri colpi sulle natiche e sulle cosce Sembra impazzire. E’ doloroso quello sverzino, è uno strumento nuovo, costoso. Fa rumore, un sibilo cattivo, e brucia abbastanza. Non crea ematomi ed in qualche ora o quasi, al massimo un paio di giorni, secondo la forza ed il numero dei colpi, scompare tutto. Ha gridato, un grido, prima di sorpresa, poi di dolore e di rabbia. L’avevo di nuovo bendata. Pensavi fosse uno scherzo troietta, schiava? Pensavi cosa? La strattono, la sospingo, ma non la libero dalla fune che la vincola all’archetto se non quando smette di piangere. Solo allora, liberatala, la abbraccio stringendola con forza. Sei la mia schiava, farò di te quello che voglio ed imparerai cosa sia la obbedienza al tuo padrone.

Ora la donna ha paura. Vorrebbe avere tra le mani l’amica che l’ha inizialmente spinta a questa follia. E’ di nuovo legata, alla colonna questa volta e sente il Padrone allontanarsi per poi tornare. Cosa vuole da lei, cosa vuol farle? Si dibatte quando le allarga le natiche, inutilmente però, anche le caviglie sono legate alla colonna. Con lentezza perversa un dito percorre la fessa, si ritira, torna dopo un attimo, le sta ungendo il buchetto dietro ed il perchè è ovvio. Si dibatte ancora, è la unica cosa possa permettersi, legata ed imbavagliata come è. Se resisti è peggio, te lo rompo questo bel culetto. Ma è più forte di lei resistere od almeno tentarlo. Sente, no è un coso non il membro di lui, ovvio, è un vecchio. Il membro artificiale, sia pur lentamente, le forza l’esterno dell’ano, allarga dolorosamente lo sfintere. Dolorosamente perchè non ha mai affrontato simili situazioni, perchè tenta ancora di opporsi… Entra di più, scende sempre più a fondo. Ora non è più molto doloroso se non per il suo orgoglio.
Le fisso la cintura in vita. Dal centro pende un cordicella che imprigiona il fallo nelle reni di lei. Ora ti spiego perchè sarai, sei anzi una vera schiava, mia per sempre. So che sei una esperta di elettronica. Guarda. La ha portata sul divano.

La vedo sbiancare immagine dopo immagine. Glicine che si fa lavare, Glicine che viene presentata, portata a passegio a guinzaglio, e poi lei che si denuda, che viene battuta, sodomizzata, che accetta quanto le ho fatto fare…Sei perduta, lo sai. E’ ancora impietrita. Sei la mia schiava e lo sarai per sempre. Se ti vorrò, dovrai inventare balle per chi vive con te, molte balle. Non ti metterò a rischio però. Non voglio perderti. Sarai la mia schiava, imparerai cosa voglia dire ubbidire, essere sottomessa, soltanto un oggetto, un giocattolo. Estraggo il fallo dal sedere ma solo per sostituirlo con uno più grosso. Ti stò allargando il culo. Ce l’hai stretto, ma così ti romperei ad incularti senza crema ed a me le creme non piacciono. I culi delle schiave me li godo ‘nature’. Sarai la mia schiava, non l’unica ma una delle poche, la mia donna, imparerai a farmi splendidi pompini a me ed ai miei amici… e vado avanti. Ti chiaverò e mi chiaverai da quella schiava puttana che sei. La stringo e la bacio, la carezzo in completa libertà, senza negarmi alcuna parte di lei. Lo stesso che baciare e toccare una bambola di gomma. Grossi lacrimoni le scendono lungo le gote. La cullo. Un padrone deve anche fare questo.

Non so come ma è riuscito a fotografarmi col mio telefonino. L’ho visto trafficare col suo portatile per poi mostrarmi le immagini. Sono legata ed anche non lo fossi, non potrei fare nulla. Mi fa orrore, lascio mi carezzi le mammelle, tra le gambe che ubbidendo tengo aperte, provo un brivido. Dovrò farmelo piacere, per fortuna è vecchio ma ha parlato di amici ma solo se sono ostinata, non abbastanza sottomessa. Sarò la schiava più sottomessa della storia sarò tutto quello che vuole, poi devo capire dove sia questo posto, trovare…no, brucerò tutto. Devo fingere, devo convincerlo. Sono giovane, bella, saprò far su un vecchio scemo. No, fai attenzione, vecchio ma non scemo, anzi. Mi slaccia i polsi. Lo abbraccio e lo bacio, un lungo bacio, forse il più lungo bacio della mia vita. Sono vostra, voglio essere vostra, padrone. Prendi il tuo telefoniono e cancella le memorie. Meglio che niente, anche se è tutto sul PC. Cancella il disco rigido del PC. Lo guardo perplessa, non capisco. Non vorrai lasciare in giro immagini così, spero. C’è ben poco del resto da cancellare, nulla che non si possa recuperare dall’altro mio computer, mi dice sorridente, qualche conto di casa. Nessun collegamento via cavo e neppute via etere o laser o altro. Esamino tutto il PC ben bene, me ne intendo. Comincio a cancellare immagine per immagine, quando ho finito mi suggerisce di formattare l’hard disk. Se vuoi, portatelo via, e ripeti la cosa più volte… Lo guardo, va sovrascritto molte volte. Appunto. Perché? Lo chiedo per avere conferma del dubbio che mi è balenato ora, vedendolo soddisfatto, quasi sornione. Non ti sei sentita perduta? Non hai creduto a tutto il resto? Non ti sei sentita prigioniera e schiava? Era così, tutto vero ma tutt’ora temevo l’ennesima burla nella burla. Ma voi Padrone fate così con tutte quelle che vengono quì? No, solo con quelle che mi piacciono veramente, quelle che vorrei fossero mie schiave, che sogno siano mie schiave. Mi abbraccia e sono io a cercarne la bocca, baciandolo di nuovo con una passione che credevo spenta da anni.

Per mostrarmi le immagini la prima volta, si era seduto sul divando, facendo sedere me tra le sue gambe divaricate. Ho sentito premere sulla fessa quello che data l’età di lui, avrei pensato fosse una protesi, ma era calda. Ormai ero però uno straccio, priva di qualsiasi volontà. Finire sui giornali, su qualche sito di internet, vedere i risolini dei vicini e peggio ancora delle amiche. Le linee telefoniche sarebbero diventate roventi ed immagino…non potevo sperare di essere libera fintanto che quelle immagini potevano essere messe in circolazione. Ora mi tocca come vuole, non ha remore, ritegno. Ti tocchi spesso? Riesco appena a scuotere il capo in un gesto di diniego. Mai, e ripeto poi, assolutamente mai. Non vado certo a raccontare i fatti miei di quando ragazzina…Allora vatti a sedere la, di faccia. Con le spalle appoggiate al mobiletto, a gambe sconciamente spalancate aspetto, le ginocchia piegate quasi verticali sui piedi, mostro la f ed il c. Non ti sei mai toccata, sul serio? No Padrone…Come è facile lasciarsi andare, arrendersi, perdere ogni dignità. Dolore e paura. Molle elementari, oltre al denaro, che certo fanno aprire le gambe ad un mucchio di donne che altrimenti se ne guarderebbero bene. Ed io? Io sono una pura idiota. Io pago per questo. Nel silenzio emergo dal torpore che mi aveva presa, certa che qualcosa farò, che mi libererò da questo inferno e di questo mostro che sento di odiare in modo inverosimile. Il silenzio dura a lungo e viene rotto da Lui. Allora dici di non esserti mai toccata, bene, ti credo ma è il caso di provarci, devi provarci, non credi? Adesso ed apri anche gli occhi, guardami. Resto immobile, incredula, incapace di disubbidire e di ubbidire, ad occhi sempre chiusi come ciò mi isolasse dalla realtà. Come se il buio fosse un rifugio. Dopo un poco si ripete, quasi grida, guardami! Me lo ripete poi ancora, per la teza volta, ma a voce bassa, bassissima e per questo per me più terrorizzante. Mi manca persino il fiato per dire di no e scuoto il capo. Mi trascina di nuovo verso l’archetto di prima e mi lega, non penzoloni ma alle colonne, immobilizzata a gambe e braccia spalancate, sostenuta sul davanti da una fune che mi passa sotto le ascelle, di nuovo imbavagliata e bendata. Prima mi mostra due corti frustini, li usarà entrambe. Uno ha come terminale un piccolo triangolo, l’altro un cimino di un paio di centimetri di lunghezza ed ancora più stretto. Me li descrive, a lungo, minuziosamente, ma se pensa di accrescere le mie paure sbaglia. Sento che mi parla ma capisco ben poco, sono oltre la paura ed il terrore, sono quasi indifferente a tutto. Sono costosi ma molto dolorosi se ben maneggiati ed io sono un maestro… questo l’ho capito. Ora non vedo più ma dovrei sentire il sibilo. NON LO PERCEPISCO NEPPURE. Un dolore tremendo, pazzesco, accresciuto dalla sorpresa, ed il capezzolo sinistro brucia, è come se fossi stata trafitta da aghi roventi, grido e grido ad ogni colpo e tra un colpo e l’altro che si abbatte ora a destra ora a sinistra. Poi il peggio. Tra le gambe, in alto sul sommo della fessura, sul puntino, il clitoride. Pochi colpi. Non so quando ho orinato, non me ne sono accorta. Quando la cameriera viene a pulire ed a pulirmi, mi riserva una occhiata malevola. Non me ne importa, fatico persino a tener sollevata la testa. Sono di poco rinfrancata e non so quanto tempo sia passato quando torno a sedere contro il mobiletto. Mi fa male anche solo sfiorarmi il petto e tra le gambe ma adesso ho troppa paura per rifiutare. Mi sento strana, sempre più strana, non penso a nulla mentre mi tocco per il primo ditalino della mia vita. Mi ferma prima che…Poi del gel allevia il dolore, almeno in parte. Le dita spandono il gel delicatamente, carezzevoli. Stai ferma! E’ pur sempre doloroso e mi sono ritratta. Allarga le gambe. Con mia meraviglia ubbidisco immediatamente. Siedi, alzati, vieni qui…Ubbidisco passivamnte. Mi lascio legare sul divano. Non mi sono neppure accorta che si spogliava. Per un attimo il suo pene sfiora il mio viso e penso che voglia mettermelo in bocca. Nausea e vergogna. No non vergogna, paura, di non essere alla altezza, di non riuscirci, di essere ancora battuta. Il dolore! Non sapevo fosse così avvilente, ti toglie ogni energia, ogni volontà, l’onore e ti rende appunto schiava di chi sa come infliggertelo e vuole infliggertelo. Scapperò, certo e brucerò il mondo per liberarmi ma ora non so, non posso sottrarmi, ora farò tutto quello che vuole, sarò, sono la sua schiava. E’ una posizione scomoda ma ovviamente ho troppo timore di lui per lamentarmi. Sono stesa sul divano, i polsi tesi verso l’altro bracciolo. Su questo mi ha fatto posare il ventre. Si stende sopra di me, mi tocca i seni, passa le dita sui, miei orifizi. Sta estraendo dalle mie reni il pene finto, involontariamente stringo le chiappe e mi faccio male da sola. La cameriera, Lisetta, entra con un vassoio. Gli occhi cercano i miei, sorride. Le piace vedermi umiliata in questo modo, legata, dolorante e con un cazzo di plastica che mi spunta mezzo dentro e mezzo fuori dal sedere. La ucciderei in questo momento, mi limito ad abbassare gli ochhi . Un attimo di pazienza Lisetta e poi mangio. Un attimo di pazienza per cosa? Mi scopa o mi vuol rompere il sedere? Il sedere me lo ha già rotto, ma non credo per lui conti il cazzo di plastica. Aspettami qui bella schiava, vado a lavarmi le mani, non andartene. Anche derisa! Cambiala, mettile il tre. Quando torna è fatto e mi sembra di avere in corpo un palo. Mi ha fatto male facendolo entrare ed adesso mi tira da morire, mi sento lacerare, stringo gli occhi per non dare a quella la soddisfazione di vedermi piangere e perchè mi fa paura. Lui, devo ricordarmi di chiamarlo Padrone e con deferenza, è tornato. Mi sposta in su ed lo appoggia all’imbocco della fica, adesso mi penetra, mi chiava, mi chiava. Si muove un poco. Sta mangiando e sento alcune briciole cadermi addosso. La donna di servizio guarda interessata. Resta qui per suo ordine, non ho dubbi, ed allora apro gli occhi, la fisso. Il Padrone non sembra aver ancora deciso cosa fare. Si era spostato ed aveva premuto sul buchetto dietro di nuovo liberato, facendomi torcere per il male. Non è entrato, ha solo premuto un poco. Si ritrae, di nuovo punta la f, di nuovo preme. Dio mio, non è protetto. Sono in un giorno fertile? No, viene fuori, anzi non è entrato per niente. Un pianto liberatorio mi squassa quando vengo slegata. Mi porta in un bagno piccolo ma civettuolo, passa la spugna sul corpo sudato, mi asciuga e deve sostenermi. Di nuovo sul divano guardo questa stanza con occhi diversi, sarà il mio inferno, penso. Mi lascio però abbracciare, lo fa con una certa gentilezza senza però trattenersi da nulla se non possedermi; no, non si rifiuta nient’altro. Ad un mio gesto di ripulsa mi pone sulle sue ginocchia e mi porta a piangere di dolore. Non credevo che essere sculacciata fosse così doloroso. Le dita di tanto in tanto percorrono la riga del sedere e giungono carezzevoli al mio sesso, vi insistono fino a farmi quasi gemere e non di dolore. Di nuovo sono seduta col suo membro che preme sulla riga del sedere. Mi vuole così, ma farà male. E’ il dolore che temo, tutto il resto non importa mi porge il telefonino. Lo guardo meglio, è il mio. Poi, quando mi fa cancellare le immagini sul suo vecchi portatile capisco. Mi mancano le forze, non è vero niente, non mi sta ricattando, mi ha fatto però capire cosa voglia dire pensare, credere, di essere sul serio una schiava.

E’ calda tra le mie braccia. Ha capito. E’ lei ora a stringersi a me, a baciarmi, a cercare sia pure timidamente le carezze, anche le più intime. Mi chiama Padrone. Potrei prenderla ora, non ci sarebbero problemi, direi che non aspetti altro. Devo però riposare. E’ arrivato un messaggio delle gemelle e ho detto a Lisetta di accettare. Significa una grossa somma ma sono le regine del pompino, mi sfiancano e rognano se mi trovano poco in forma. Protestano anche se la tavola non è all’altezza delle loro aspettative. La vedo seguire Lisetta, addobbata come all’arrivo, secondo la tradizione. Non devi prendertela con Lisetta, le ho detto, la responsabilità di tutto ciò che avviene qui è mia. Ti aspetto. Per quanto legata si è protesa in muta offerta. Mi son chinato a baciare attraverso la seta sottile i capezzoli martoriati poi la ho abbracciata mormorandole all’orecchio. Torna dal tuo Padrone, torna presto.

Ha il viso stravolto, livido. E’ stata lavata dentro e fuori, truccata. Prima di truccarla le hanno spalmato unguenti sulle parti più dolenti: capezzoli, ano e clitoride. Le fischia un’orecchio, già, gli schiaffi. La farò scendere vicino a dove l’ho tirata su prima, non proprio li però. Quando mi fermo aspetti che vengo a farla scendere. Vedrò di accompagnarla davanti ad una vetrina adatta in modo che nessuno le badi. Una signora che guarda una vetrina. Conti, poi le dirò fino a quanto, dopo faccia quello che vuole. Non tolga gli occhiali prima di aver finito di contare comunque.
Ho seguito le istruzioni contando fino a cento, un tempo più che sufficiente a farla allontanare. Sono vicina a casa e dopo neanche un quarto d’ora entro finalmente nel portone e salgo. Lisa, proprio Lisa, la mia cameriera, quasi lo stesso nome dell’altra, mi raggiunge quando sto già entrando in bagno. Le dico che ho mal di capo e cenerò solo con un brodo. Sono ancora scossa e dolorante e non ho voglia di discutere su cosa mangiare. Un’ora abbondante nella vasca mi ha ristorata e calmata. Solo ora mi accorgo che ho fame. Non ho messo niente nello stomaco per tutta la giornata.

E’ sazia, di cibo e di emozioni, ma il sonno non arriva. Il Padrone, ma quando ha cominciato a pensare a lui così, chiamandolo anche dentro la sua testa Padrone? E’ il Padrone oppure solo Lui. In basso, tra le cosce e dietro non brucia più, non molto. Va in bagno, allo specchio la solita faccia, nessuna differenza, solo un poco pallida, le occhiaie segnate. Per ore si è sentita completamente in sua balìa. E’ stata in sua balìa. Sfila la lunga camicia da notte, posa le mani sui seni, preme sui capezzoli. Fa male, ma neppure tanto. E’ più doloroso premere sul pistolino e sul buchetto dietro. Si chiede se sul serio voglia allargarlo per fare quella cosa, e senza crema o vasellina. Ma si allarga poi od è solo una storia? Cerca di infilare la prima falange e ci riesce a stento, fa male. Ma nel pomeriggio i tre…uno più grosso dell’altro. Ed infatti l’anello di carne è gonfio, tumefatto. Non si è accorta, non ricorda di essere stata frustata anche sulle cosce, ma i segni ci sono, visibili anche se leggeri, come sulle mammelle. Me le ha colpite per prime, ma non loro, i capezzoli, quelli si. Ma il peggio, quello che la ha moralmente fatta a pezzi è stato…i colpi sul puntino della f. Si torce per guardarsi le natiche: segnate anche loro. Bastardi. Lo grida quasi, ma nessuno è li a sentirla. E si meraviglia perchè nel novero dei bastardi non ha contemplato Lui. Si è riferita a quanti nei secoli hanno usato le donne per, per cosa? E stata lei, ha pagato per essere trattata così. Bastardo anche lui, e scema lei.
Fa caldo, torna in camera e sfila la camicia infilandosi per la prima volta a sua memoria nel letto nuda. Si rigira a lungo. Bastardo, ripete, bastardo, piange, ed io scema. Devo essermi addormentata ed aver sognato di essere legata, e sono tutta sudata, mi tocco, si quando mi ha fatta toccare, così solo che mi ha fermata. E’ difficile fermarsi. Non voglio fermarmi. Non mi fermo, le dita ruotano attorno al puntino che, anche se poco, le duole, scivolano in basso, entrano nella f. un poco, un poco di più. L’altra mano sfiora i capezzoli, li preme fino a farsi male, ne stringe uno finchè il dolore è troppo, si arresta per poi passare all’altro. Si accoge di aver stretto tra i denti il labbro e poi non pensa più a nulla. Mentre sta per godere si immagina in ginocchio davanti a Lui, il suo Padrone.
Ha deciso di prendersi qualche giorno, una settimana o dieci giorni di vacanza, niente clienti che lo annoiano a morte anche se il loro denaro gli è indispensabile. Non sa però dove andare. Per adesso ha solo comunicato a quelle, due soltanto, che volevano prenotare per la prossima settimana che sarà purtroppo assente. Quel pomeriggio ha due clienti, una poco impegnativa, le piace essere sculacciata, l’altra più difficile, ma non di molto, almeno sul piano fisico. Va sovrastata, sottomessa ed umiliata. Poi qualche colpo di scudiscio, di sverzino, ma piano. Torna al pensiero che sempre meno spesso lo angustia. Due mesi e Glicine non si è più fatta viva. Non è l’unica che scompare nel nulla dopo la prima esperienza. Con lei poi ha calcato troppo la mano…peccato.

La signora scende dalla macchina del ragioniere, hanno concluso in banca, nelle due banche. Prima i problemi erano stati discussi a fondo in stabilimento anche con il direttore tecnico. Quando ti presenti con i soldi le banche sono gentilissime e lei dalla vendita del palazzo, mobili, quadri, tappeti ed argenteria compresi, ha ricavato, dopo aver rifiutato le offerte crescenti per oltre sei mesi, più di quanto sperasse. Non le resterà in tasca molto però. Ma non dovrà chiudere. Vendere, una decisione presa due mesi prima. Vendere il palazzo dei suoi genitori, nonni e bisnonni, in una delle più esclusive zone di Milano. Nella via più esclusiva forse di Milano. Far rivivere la Azienda del bisnonno. Quei soldi forse neppure bastavano. Avrebbe comunque ridotto drasticamente il suo tenore di vita. Era stata la sua ex bambinaia ed ora governante a dirle cosa fare, o meglio a dare l’ultima spinta. Venda signora! Questa non è una casa, è un museo. La aveva definitivamente convinta, era vero. Ci era vissuto il bisnonno ed i suoi tre fratelli, le loro famiglie…e non c’era più nessuno, solo lei. Del suo ex marito poi…Vede il ragioniere uscire dal cancelletto ed allontanarsi in macchina mentre il piccolo montacarichi fa salire le sue ultime cose. Chiude la porta del montacarichi e si avvia. La sua nuova casa. Adesso li chiamano loft. Si guarda in giro. ‘Parva sed apta mihi’, ride per queste rimembranze scolastiche. Piccola, più piccola della zona della servitù ancora in uso nell’altra casa che non appartiene più alla Famiglia. Molto più piccola. Tanto piccola che poteva tenerla in ordine da sola senza sforzo. Un monolocale, con angolo cottura e bagno. Letto a scomparsa. Una volta la settimana una donna per i lavori pesanti e lei sarebbe andata tutti i giorni in fabbrica. Avrebbe imparato e la sua laurea a qualcosa sarebbe servita. Porta su nel soppalco la valigia e la sacca ormai vuote, poi deve decidere per la cena. Aveva seguito un corso di cucina e la vecchia cuoca, anni, decenni prima, era contenta di vedersela attorno.

Per fortuna ho scialato nell’arredare questo appartamentino, non che prevedessi di vendere, ancora non se ne parlava proprio. Una follia comprarla, si era detta, ma allora era certa di poterselo permettere per il puro piacere di farlo.

Nel bagno mi guardo attorno con vero piacere e decido di inaugurarlo. Sto nella vasca ad idromassagio a lungo, poi mi asciugo e come ultimamente avviene spesso, porto le mani a coppa sui seni. Lui ha detto che avevo sul pube troppo pelo. E’ stata lunga ma la laserterapia lo ha drasticamente ridotto in modo permanente. Per mia sola soddisfazione mi sono assoggettata ad una dieta che qualche risultato sta dando e nello stesso Centro mi sono ache assoggettata a massaggi e lunghe sedute di ginnastica. Lo ho fatto per me, non per Lui. Se mai…ma cambio corso ai miei pensieri. Lo maledico. Penso troppo spesso a quel giorno. Tecnicamente non ho tradito mio marito, il mio ex marito da pochi giorni. Mi prende il solito ‘magone’. Una breve crociera? La settimana scorsa, nella consueta Agenzia Viaggi mi son trattenuta dal fissarla questa breve crociera, ma tra aereo e crociera…certo posso ancora permettermelo. Ripongo il pieghettato, ho tempo fino a dopodomani per decidere e confermare, ma non sono ancora certa, non sono certa di niente. Anzi sono da qualche tempo, da quando…sono insicura su tutto. Finisco di mettere in ordine le poche cose, le ultime cose. Un sacchetto, ci guardo dentro e per un attimo non ne riconosco il contenuto. Poi…me le ha date la serva di Lui, creme per lenire il dolore e favorire la scomparsa di bruciori ed eventuali ematomi. Non mi serve, avevo pensato tempo prima, ma le avevo messe via e portate a casa, nella vecchia casa.. Accendo il PC; è la prima volta che testo questa linea, un controllo soltanto. Il collegamento ad internet c’è, chiamo i diversi browsers che uso. Poi, senza pensarci, per abitudine cerco la chiavetta e l’hard disk esterno, mi collego, so che mi stanno rimpallando, dovrò aspettare, questione di secondi, devono reindirizzarmi. Vado in cucina a bere. E’ stata una avventura semplicemente folle, per ore ho creduto di essere nele sue mani, prigioniera, schiava di un ricatto vile ma che fosse impossibile liberarmene. Avevo provato a pensare di venire a dar fuoco alla casa, ma neppure sapevo dove fossimo. Non so tutt’ora dove fossi e sul serio mi sono sentita prigioniera e schiava, sul serio ho immaginato di dovermi sottomettere a…a tutto e per sempre. Disperazione, dolore, la frusta sui capezzoli e sul clitoride era stata la cosa peggiore, solo per quel che riguardava il dolore, ma era stato il ditalino, non finito a dire il vero, a spezzarmi. Quelle foto scattate a mia insaputa…le ho cancellate tutte alla fine, me le ha fatte cancellare tutte e proposto di formattare l’hard disk. Mi ha dato da portare via il disco rigido, un vecchio catafalco a dire la verità che ho fatto in briciole ed ora me ne pento. Le vorrei quelle fotografie, sconce o meno le vorrei guardare. Perché poi? Ne ricordo solo qualcuna e solo approssimativamente. In una mi tocco la f. In un’altra credo mi stia frustando, vi compaio a braccia spalancate, il viso quasi del tutto coperto dai capelli sudati levato verso l’alto a bocca aperta in un urlo di dolore e disperazione ora muto e che non rammento. Nella terza sono infine a pancia in giù sul bracciolo del divano con un fallo artificiale che mi spunta, no fuoriesce dall’ano per metà. Desidero rivedere quello che da allora nella mia testa testa chiamo Lui o Padrone? Neanche morta. Non sono tanto scema da pagare fior di soldi per farmi frustare e rompere dietro con un coso di plastica. Una volta mi è bastato. Però sono stati momenti magici almeno in parte perchè sentirsi prigioniera, completamente a sua disposizione…non so come spiegarmelo, ma è stato anche qualcosa di irripetibile. Irripetibile no, è sbagliato. Di totalizzante, qualcosa che qualsiasi donna ricorderebbe per tutta la vita. Io certo non lo dimenticherò. Terrore e magia. Ecco, sono state ore di terrore e magia. Chiedergli di poter tornare? Non se ne parla. E’ anche una questione di soldi e poi, ora so che rispetta i limiti, che non mi violenta, che non mi riduce in schiavitù e che è un gioco, molto osè ma solo un gioco. Non avrebbe più senso. Per i soldi…potrei rinunciare, ho già di fatto rinunciato alla crociera, devo per pura educazione avvertire.
C’è il format, compogo un testo qualsiasi. Non ho impegni da domattina e per tutta la settimana. Avrebbe qualche tempo da dedicarmi? Vostra Glicine. Glicine, non brutto come nome. Me l’ero immediatamente fatto girare in bocca. Te la riempie. Sono state ore che certo non dimenticherò facilmente. Stavo per andarmene, un poco schfata di me stessa. Infastidita di tanta supponenza. Poi, in modo del tutto avulso dal mio consueto comportamento, la improvvisa eccitazione che mi ha fatto accettare quasi senza discutere, anzi senza discutere. Ben poche le mie precedenti scappatelle. Qualche bacio al liceo, un filarino presto interrotto all’università, il matrimonio, Mia mamma che una volta al mese, in modo neanche velato chiedeva se fossi incinta. Qualche novità cara. Teneva sul calendario dell’agendina le date dei miei mestrui. Non potevo dirle la verità, che con un marito così…Lui è stato diabolico o fortunato? Da ragazza, sui vent’anni ho sognato di nuovo dopo cinque o sei anni, di essere ai piedi di un uomo, in ginocchio e poco vestita, è stato questo a spingermi ad accettare. Avevo cominciato a pensarci sempre più spesso e quel ricordo mi martoriava l’anima. Se avessi voluto un amante, non avrei avuto troppo da faticare. Non sono pochi i mosconi che di tanto in tanto, nonostante la fama di vergine di ferro ci provano con mio fastidio. A parte ogni altra considerazione però mi ripugnava correre il rischio, quasi la certezza di finire in fretta nel gruppo delle vedovelle o divorziate allegre, chiacchierate, oggetto di qualche buona battuta di spirito. No grazie. Quasi meglio la frusta. Ma sei scema? Eppure un brivido, il solito brivido lungo la schiena ed una mano tiepida, a pugno dentro lo stomaco, il groppo alla gola…
Cancello la maiuscola, una schiava non si firma con la maiuscola: vostra glicine. Enter. Messaggio regolarmente inviato. Fra trenta secondi il collegamento…
Tesa ed irritata, ansiosa. Mi do della cretina. Posso sempre non andare…posso sempre inventare un impegno improvviso. Faccio fuoriuscire il letto e lo preparo, provo a dispiegare il paravento, tutto a posto. Il letto scompare ed anche il paravento torna al suo posto. Sono io che non sono a posto. Un diavoletto mi perseguita. Perché non togliermi quest’ultimo sfizio? Che c’è di male? I soldi? Già, anche i soldi. Decido, di non andare al solito ristorante per il gran finale, come avevo deciso. Cambio vita. Vestirmi e truccarmi in modo adeguato, sopportare il mezzo inchino del Maitre, il gesto affettato col quale attira l’attenzione dei suoi collaboratori, no, non me la sento. Mangiare a casa però, no, meglio la pizzeria qui vicino. Il monitor è acceso, sono quasi le sette. Quando sto vestendomi per uscire lo schermo lampeggia. Una mail. Pubblicità, quella pubblicità che è un segnale, ed allora torno dentro come mi ha insegnato, con la chiavetta, Un indirizzo, un’ora, cioè le otto del mattino, domani. Faremo colazine insieme. Per il resto tutto uguale. Una notte quasi insonne, la sveglia anche del telefonino nel caso l’altra non funzioni o non la senta, gli occhiali da cieca e la corsa in automobile verso qualche ora di, di cosa? Di quello cui ora non rinuncierei per tutto l’oro del mondo nonostante la paura. Guidata dalla cameriera più giovane, eccoci, la scala, il bagno ed i lavacri. Mi perdo nei miei pensieri e nelle mie paure. Non solo paura però. Le mani sono ferme ma cortesi, come la prima volta ed allora ero molto più ansiosa. Le sento sul mio corpo quasi con piacere, anche quando mi trattano proprio come una schiava che viene preparata per il letto del padrone e questo mi fa rabbrividire. E’ dimagrita, il dottore ne sarà contento, peccato, adesso le tette pendono un poco. Va meglio anche qui sotto, ma se lo toglieva tutto questo pelo era meglio. Stanno parlando tra loro come fossi un manichino. Poi clistere, lavaggio vaginale, la ignominia di un dito unto che fruga prima davanti e poi dietro. Io posso solo ascoltare ora, legata, imbavagliata e bendata. Devo tacere sul fatto che mi sono toccata, me lo aveva proibito, non devo dirgli niente di me. Mentre mi rivoltolano come un calzino od una bambola di pezza mi preparo una storia credibile, due mesi di problemi di famiglia, niente particolari. No, qualche particolare serve, ma innocuo, facile da ricordare. Perché mai ci sono ricascata? Non lo so e forse…le mani sul mio corpo, ma la frusta? Di nuovo? Non ho mai fatto l’amore con nessuno oltre che con mio marito…ed in queste settimane poi, qualche ditino veloce, come tanti anni fa sentii una compagna chiamare quella cosa, toccarsi. Ormai è troppo tardi per ripensarci.. Attenta adesso, ci siamo. Sono stata portata nella sua camera da letto, liberata di legami, benda e bavaglio. Spogliati. Ubbidisco, si tratta di ben poco, i due grandi fazzoletti. E’ vero Lisetta è dimagrita e sta meglio senza tutto quel pelo. Non dice nulla delle tette pendule, un poco soltanto, molto poco, penso io. Ho fatto la prova matita ed è stata positiva. Posta nella piega tra il busto ed il seno è caduta immediatamente. Lui non chiede la ragione del mio lungo silenzio. La signora Lisetta mi ha detto cosa intenda per ‘far colazione con una schiava’: servirlo mentre lui fa colazione. Per fortuna che non ho resistito e, in anticipo sull’orario dell’appuntamento, sono entrata in un bar e mi son fatta un caffè con la brioche. Rivestiti, ordina, meravigliandomi non poco. Non è una cosa lunga. La cameriera se ne va salutando Lui, non me. Piccole cose che lentamente dovrebbero farmi sprofondare nella mia parte di schiava. Non me ne frega niente, schiava, ma andiamo, tutto un gioco. Però… Gli verso il caffè, imburro una fetta di pane tostato scuro, gli verso l’acqua, altro caffè. Ha trovato il modo di avere un’altra donna di servizio gratis. Sto attenta a non perdere un suo odine, magari solo un cenno, ma osservo la stanza, i mobili, Lui. Non provo neppure ad immaginare cosa succederà tra poco. Non so quanto mi terrà con sé. Me lo dirà di certo ed il massimo sono quattro ore. Ho con me denaro per quattro ore soltanto e mi prende l’eccitazione, l’ansia.

Sto lavorando. Passo le fatture, le spese di casa insomma. Lei è mezza nuda, seduta a terra appoggiata alle mie gambe. Il fatto è che non so come comportarmi. Mi piace, voglio scoparla…e , fare tutto, godermela in tutti, ma proprio tutti i modi. Ma…botte o ‘sistema dolcezza’? Dentro di me so benissimo che battere una donna, esagerare almeno, mi lascia l’amaro in bocca, ed a lungo. Glicine poi mi piace molto. La voglio ma a modo mio. Magari soltanto per un po’, qualche settimana, un paio di mesi, fino a stufarmene insomma, prima che diventi mielosa e rompipalle. Abbasso la mano a carezzarle il capo, la sento irrigidirsi.. Il mio sorriso tirato, la smorfia, le restano celati. La carezzo di nuovo e mi chino quel che basta a poterle carezzare il seno, neanche tanto pendule, mormoro, ma abbastanza forte da essere inteso. Non è il petto di una ventenne ma non è male, tutt’altro. Una mattinata nello studio di Walter basterebbe a rimettermela al top. Mi costerebbe un bel po’. Dolcezza o frusta? Ho sempre pensato che la via di mezzo sia impraticabile, sono sempre stato certo che o la tratti come una schiava puttana o la tratti come una principessa e ne fai la tua amante, con tutti i problemi annessi e connessi, compreso il trovartela appiccicata addosso quando non la vuoi più oppure vederla volare via senza preavviso quando la vorresti ancora. Chiudo fogli e quaderno nel cassetto e me la guardo. Di nuovo titubante la piccola, non sa a cosa abbia pensato o cosa abbia deciso. Sono stato piuttosto duro con lei quando è stata ‘mia ospite’. Ho picchiato altre donne molto più duramente, mai però la prima volta. Alcune, pochissime, le ho scopate, inculate e mi son fatto succhiare il cazzo dopo mezz’ora appena che le avevo viste, ma erano puttane dichiarate o quasi, in cerca di novità eccitanti. Non ho mai tradito mio marito ha detto e tutto sommato le credo. Rosellina che l’ha istigata a questa avventura mi ha detto che non credeva proprio di riuscirci. Sono certa, Padrone, che non abbia mai sgarrato, ed era vergine quando si è sposata. Matrimonio di interesse, spinta dai genitori. Roba d’altri tempi. La signora Lisetta dice che non è ‘tonica’ nè davanti nè dietro. Per lei, tonica vuol dire smollata. E’ vergine o ‘demie vierge’ di certo dietro, se mai lo ha usato, il culo, in modo difforme, lo ha fatto molto di rado e non di recente. Ma crede di no. Quasi quarant’anni di esperienza in un bordello di cui la maggior parte come vice della maitresse e poi lei capo in testa mi fanno tenere le sue opinioni in materia nel massimo conto. Anche la figa l’ha usata ben poco oppure è una delle fortunate che non le si smolla, parole testuali della mia fida servante. Tutto contribuisce ad acuire l’interesse e la curiosità che provo. So che ha poco più di trent’anni, e non ne dimostra di più. Un passaggio per lo studio di Walter è da escludere comunque, costerebbe troppo e le tette le ha ancora sode. Neppure so poi fino a che punto potrò arrivare con lei. Certo che è tornata e ci speravo poco. Quelle che dopo la presentazione lasciano passare più di un mese o due, in genere non le vedo più. Lei invece non solo è venuta ma è stata molto ubbidiente durante la preparazione…un poco ansiosa Dottore ma anche contenta di essere qui, di riprovarci a…

Sapevo sarebbe successo. Nel suo letto, tra le sue braccia. Quello che desideravo ma pure temevo. Sono tanto sciocca da dirgli che gli ho disobbedito, che mi sono toccata. Quante volte? E’ bastato questa semplice domanda ed ho detto tutto. Diventerai una brava schiava, non temi di raccontare al tuo Padrome…Poi ho camminato altera fino al ‘patibolo’.Non devi gridare assolutamente. Ti premierò per aver detto subito la verità e se mostrerai di saper resistere alla sferza. In realtà quasi non mi reggo in piedi per l’ansia ed il terrore di quello che stava succedendsomi, di nuovo la frusta. Comunque non ti frusterò molto, non più di… no, li conterai tu. I primi colpi fanno male ma sono sopportabili. Aghi che ti trafiggono. Quando però i colpo si susseguono mugolo ed infine emetto un grido strozzato. Perdonatemi Padrone, perdonatemi. Va bene, basta così, sei stata molto brava. Questa volta mi fa cospargere di uno spry puzzolente che brucia più della frusta. Mugolo di nuovo per tutto il tempo, fin quando la signora Lisetta, dopo avermi sciacquata, non mi riporta da Lui. Accetto i suoi baci e le carezze che contraccambio fin che posso. Fin quando cioè non mi lega i polsi alla testata del letto. Non catene o funi, nastri di seta. Non li potrei strappare forse ma certo posso arrivare ai capi dei nodi a ciocca e tirarli, liberandomi immediatamente, ma certo non devo farlo, sono un simbolo, un altro simbolo. Mi carezza i seni, con sovrumana levità, succhia i capezzoli e li stringe tra i denti, prima delicatamente per poi arrivare al dolore crescente, ai miei gemiti, mentre la mano scende a frugarmi, anchessa lieve, le cosce, sempre più in alto, su, sempre più su e non è un gemito di dolore che emetto mentre mi bacia e sugge la mia lingua che si arrende e segue la sua, sono estasiata. Le carezze ripetute mi eccitano fino a farmi bagnare ma quando credo voglia possedermi si stacca, si allontana, mi fa porre a faccia in giù. Tremo per il mio culetto vergine. Vergine, a parte i tre peni di plastica…ancora carezze, il pene di lui percorre la riga del sedere, cerca curioso e trova lo stretto e contratto buchetto, vi preme facendomi un poco male ma dandomi sopratutto fastidio, si scosta e cerca l’altro orifizio. Anche qui preme, forse entra un poco perchè mi sento quasi dilatare le pareti vaginali ma neppure qui insiste. Questo tira e molla mi distrugge e mi esalta, anzi perdo il senso di tutto, del dove e del quando. Sono tornata indietro di due mesi, so di nuovo di non potergli rifiutare nulla sono la sua schiava. Ho attorno ai polsi i nastri di seta ma i nodi alla testata sono stati sciolti, ho le mani libere. Quando mai è successo non so e non me ne importa. Importa l’improviso stringere del dito e della nocca attorno al capezzolo, doloroso tanto da farmi sussultare e gemere ma non tanto da farmi griìdare. Importa che si sia posto steso tra le ginocchia che tengo oscenamente dischiuse. Importa che schiuda le labbra della vagina e con i polpastrelli umidi dei miei umori ne percorra la lunghezza più volte, lentamente circuisca il clitoride che deve essersi rizzato. Importa infine che passi più e più volte la lingua per lo stesso percorso, facendomi ripetutamente quasi uscire di senno, arrestandosi sempre un attimo prima che questo accada nonostante le mie inutili proteste e i colpi violenti con cui mi percuoto le cosce; cerco il dolore perchè il piacere mi sta facendo impazzire. Poi mi chiede di permettergli di possedermi. Non sono certa di aver capito. Lasciare che mi possieda? Non desideravo che questo. Non desideravo che sentirlo mentre guida il glande entro le grandi e piccole labbra sfregando ripetutamente il pistolino già eccitato e certo eretto per aprirsi la strada nel mio corpo, nel mio ventre caldo, per tornare al l’orifizio fremente, in attesa, che lo accoglieva dolorosamente estasiato. Mi sento violare, quasi lacerare e riempire, ma ho già il ventre in fiamme, il calore di cui avevo solo sentito parlare sale, si diffonde mi scalda su fino al cuore, esplode nella mia testa mentre… mentre tutto rotea attorno a me e non so… mi abbandono. Sono vostra, Padrone, sono vostra, la vostra schiava.

Le ho sciolto i polsi, la tengo stretta a me. Da un lato è stata una delusione. E’ inesperta come una vergine la prima notte di matrimonio ed all’inizio altrettanto impaurita. Forse però è questo ad attirarmi, a farmela apparire così desiderabile. Hai molte cose da dirmi mia cara schiava, penso, e mi rcconterai tutto. Avrei voglia del suo sederino, della sua bocca, ma è meglio soprassedere, per ora almeno. Hai goduto come un riccio ma non seI arrivata, nonostante i miei sforzi, all’orgasmo.Potrei scoparmela ancora ma voglio… Cosa voglio esattamente? Solo che la voglio per me. Schiava od amante? Non so. La vorrei amante innamorata ed appassionata come nei momenti ultimi quando si è abbandonata ma al tempo stesso schiava sottomessa, in attesa solo dei miei cenni per soddisfare ubbidiente ogni mio capriccio. Libera di amarmi come una schiava. E’ stato bellissimo ed al tempo stesso spossante farla godere anche solo così, negli ultimi istanti e per il resto gelidamente impassibile. Fosse stata vergine sarebbe stato impossibile, già così ha provato dolore. Se avesse saputo di dover anche subire la deflorazione sarebbe stata bloccata del tutto dalla paura. Ma, se pur dopo molto e per qualche momento solo, si è mostrata favolosamente calda. Imparerà. Ci è mancato poco all’orgasmo, pochissimo. Sono io che son venuto meno, secondo almeno i miei vecchi standard. Già i miei standard di un tempo. Più che godere è andata fuori di testa. Il risultato alla fine per lei è stato quasi lo stesso.
Gli ho raccontato tutto. Tutto no ma troppo. Quando però mi abbraccia non esiste nulla se non quell’attimo, quel posto, e sono sua. Adoro le mani che percorrono il mio corpo, le sue labbra, ed il momento in cui la sua virilità entra in me, mi fa male e ne gioisco, sua, sua!. Aspetto quel momento ad occhi chiusi, aspetto che il mio sesso si intrida dei miei umori, aspetto che le carezze ed i baci mi preparino all’arrvo del padrone, il suo cazzo. Cazzo cazzo cazzo. Mi piace gridarlo dentro di me. Il grido silenzioso di una parola vietata, impronunciabile per me da sempre, per l’educazione impartitami, che ho fatta mia, proibita fino a poco fa persino nella mia mente. Ti piace questo? Cos’è? Alla mia timida risposta, l’avevo chiamata virilità, aveva riso. No cara è il tuo cazzo, e aveva chiesto che lo ripetessi. Al mio rifiuto mi aveva punita. Da allora lo grido, dentro di me almeno, nella mia testa. Sto vivendo il terzo giorno o forse il quarto, qui, nel suo regno. Dovevo restraci qualche ora soltanto, non oso chiedere spiegazioni Lo amo? Quando usa il mio corpo per il suo piacere e ne godo, dio se mi piace, sono certa di amarlo. Mentre mi porta al patibolo e mi batte sento di odiarlo, o no? No odiarlo no. Cosa provo? Neppure paura, non troppa almeno. So, spero sempre che i colpi siano pochi e leggeri. Sto persino superando l’imbarazzo di dover fare i miei bisogni nella cassetta in giardino, sotto gli occhi divertiti in genere di una delle serve che mi tiene al guinzaglio, nuda ovviamente. Piova o ci sia il sole, di giorno o di notte. Quello che odio di più è il getto violento e gelido con cui subito dopo vengo lavata. Odio quei momenti e mi trattengo fino all’ultimo, col risultato ora di perdere la pipì prima di raggiungere la cassetta. Temo mi batterà sul serio questa volta. Invece mi dice solo di non essere più così sciocca. Finalmente. Mi prende, mi chiava ed io lo chiavo, il culmine di un lungo eterno momento di baci e carezze. Scaccio il pensiero molesto di una gravidanza, certamente gli è ben presente ed ha preso qualche precauzione o è sterile. Dormo nel suo letto, vivo nella sua casa, mangio il suo cibo; non lo amo ma neppure saprei immaginare una vita diversa. Ma se non lo amo cosa provo per lui? Solo perchè mi piace scopare?Che altro se no? Ma scopare con Lui e solo con Lui. Non ho nessun termine di paragone se non mio marito che non fa testo. Sarebbe lo stesso che usare un doppio decimetro per misurare l’universo. E perchè non usa…il resto di me? Non che ci tenga, tutt’altro; l’una cosa mi fa schifo solo a pensarci e l’altra dicono faccia male da morire. Persino il Padrone ha detto l’altra volta che devo farmelo allargare prima. Ce l’ho quindi troppo stretto. Idee che mi frullano per la testa in sua assenza mentre pulisco ‘casa nostra’, le poche stanze in cui posso muovermi liberamente. Una macchiolina sui legni intarsiati del parquet è un peccato mortale e come tale immediatamente punito, spolvero, rassetto accuratamente. Anche così il tempo passerebbe lentamente se non ci fosse il rifugio della fantasia, delle sue braccia forti, dell’attesa di qualcosa di nuovo Mi tengo sempre pulita e pronta per Lui con frequenti abluzioni. Incredibilmente per un uomo della sua età, mi gode tre ed anche quattro volte al giorno. Incredibilmente ne provo sempre piacere e ne faccio con qualche ritrosia parola con Lui che ne ride. Credevo, gli dico, ho sentito dalle mie amiche che l’orgasmo per una donna è molto poco frequente. Lui ne ha riso. Non temere, ci arriverai anche tu. Per adesso ti piace e basta. Quando avrai il tuo primo orgasmo te ne accorgerai. Vedrai la differenza. Una donna, quando comincia a scopare abitualmente, deve imparare, l’organismo deve imparare a rispondere al meglio. Da quanti giorni sia qui con Lui, il mio Padrone non so, ma devo chiederlo. Il cazzo svetta dal vello pubico. Avrei, ho voglia di carezzarlo, e perchè no, di baciarlo ma non oso. Domani devi andare nella tua Azienda. Dirai che…ed infine vedranno arrivare tre contratti, non immensi ma sufficienti a tranquillizzare le banche e farli lavorare per qualche mese. Prometti altri contratti, uno piccolo come questi ma due un poco maggiori e con condizioni di pagamento più favorevoli, poi altri ancora. Sono allibita come sempre., mi sorprende. Dì loro che comunicherai solo tramite mail o messaggini. Che terrai il cellulare di cui hanno il numero, spento. Di lasciare se del caso un messaggio registrato. Lo guardo ancora più allibita. Vorrei chiedere qualcosa ma non oso. Ti voglio qui, sempre con me. Credo letteralmente legga sul mio viso la felicità che provo. No non lo amo ma non posso vivere senza di lui, anzi solo lontana da Lui. Sono tutti entusiasti e lo sono pure io. Lui, il Padrone, in qualche modo ha fatto arrivare la conferma d’ordine mentre eravamo in riunione. C’è una nota in fondo, dei saluti per me. E non è un ordine qualsiasi. Il primo dei tre che ho loro anticipato all’inizio della seduta di Consiglio. Un ordine abbastanza consistente ed a condizioni di consegna e pagamento meno esose di quanto prudentemente avessi anticipato. Bene, dico loro, alla fine hanno accettato anche alcune delle condizioni aggiuntive.

La piccola Glicine dovrebbe essere contenta. La sua fabbrichetta sta venendone fuori bene, Madam Kellog sta facendo un ottimo lavoro. E mi è anzi grata, aveva proprio bisogno, dice, di una piccola azienda che lavorasse bene ed a prezzi contenuti. Glicine non dovrà sapere della Kellog, od anzi…no troppo pericoloso. Se Madam sapesse di essere stata frustata o solo vista da Glicine, guai, magari per orgoglio…Ho voglia di scoparmela di nuovo, di sentirla spasimare ma anche di godere io. Solo che ho gli anni che ho. Mi sono distrutto con lei, scopandola in quel modo, devo trovare un’altra soluzione, devo assolutamente legare a me la piccola Glicine in qualche altro modo, almeno finchè me ne stanchi, se mai me ne stancherò. Mi sta entrando nel sangue.

Vi amo, Padrone, Vi amo da morire. Non è del tutto vero. Lo amo o solo mi fa impazzire a letto? Bastano poche carezze e sono persa, incapace di ragionare. Ma giorno dopo giorno sono sempre più certa che ci sia a legarmi a lui qualcosa d’altro oltre il letto e l’interesse. L’interesse, i soldi? Gli ordini di cui ricevo copia arrivano secondo le sue promesse ed altri ancora, ordini sempre piccoli ma numerosi, di nuovi clienti. Questo conta ma non basta a spiegare quello che provo per Lui. Lo temo e lo desidero. Non amo certo essere punita ma quando per più di qualche giorno non mi distraggo o non faccio inavvertitamente qualche sciocchezza, di proposito mi faccio punire. Lo so, sono scema ma è più forte di me. E’ sempre un qualcosa di istintivo, improvviso, mai premeditato perchè non amo essere battuta, lo temo anzi, e quando lo vedo fissarmi attento mentre decide, ne sono terrorizzata. Ho, almeno in quel momento tutta la sua attenzione. La sua attenzione l’avevo ottenuta anche quando mi ha sodomizzata, inculata insomma. Era stato tremendo. Niente o quasi di quei preliminari che tanto ormai avevo imparato ad apprezzare. Sei la mia schiava mi aveva detto e avevo tremato sentendo il tono quasi feroce di Lui. Poi il glande che si apriva prepotentemenre la strada. No neppure prepotentemente, Da padrone, orgoglioso di esserlo. Indifferente alla mia sofferenza giocava col mio buchetto od almeno così mi sembrava mentre mordevo il cuscino nel tentativo vano di soffocare i lamenti. Mi sono dibattuta cercando di sciogliermi, liberarmi per fuggire. Fuggire? Non voglio fuggire. Non fuggirei mai da Lui. Credevo di morire, credevo mi lacerasse, ero convinta mi avesse già lacerata ed avevo gridato. Un urlo, quasi l’ululato di una lupa vinta ma feroce, me l’ha detto Lui, Poi solo gemiti ed un pianto disperato. Non mi ha lacerata ma rotta e vinta si, di certo, definitivamente, per sempre. Ti devi abituare, mi piace il tuo culetto vergine, poi ha riso, ex vergine ormai. Mi sono abituata, od almeno non temo più in modo particolare questo suo modo di divertirsi, di godere. Mi è diventato consueto, non indolore, non indifferente se non fosse per il piacere, solo cerebrale, che ne ricavo sapendo di dargli piacere, che ne gode. Si sono sua anche se non lo vorrei, non del tutto, almeno, non fino a questo punto. Non amo perticolarmente neppure che mi goda in bocca. Lo faccio perchè devo, perchè non so sottrarmi ai suoi desideri, ordini anzi. Quando all’inizio me lo ficcava su per il sedere giuravo a me stessa che me ne sarei andata, quando mi ha obbligata a suchiarglielo ed a berne ciò che ne esce lo maledicevo. Ora però non mi spiace più di tanto.

In quel momento non penso ad una punizione qualsiasi ma a far passare come punizione qualcosa che dovrebbe accettare di fare per me, ma non è facile. Chiederglielo dicendo che ho bisogno dei soldi di queste due figlie di…introcchie? Assurdo! Devo cercare una ragione sufficiente per una pesante punizione.
E’ Glicine stessa a fornirmene la possibilità. E’ immobile e pallida, ad ochi bassi, tremante in ginocchio davanti a me. Mi fingo infuriato. Questo è troppo, le dico, adesso mi hai stufato, basta, vattene e non farti più vedere. Non speravo fosse così facile, non speravo arrivasse a tanta disperazione, Sempre in ginocchio mi supplica di perdonarla, promette, giura, di non sollevare mai più obiezioni, di non discutere più i miei ordini di ubbidire come suo dovere a qualsiasi mio desiderio. Insiste su questo, lo ripete più volte. Ti metterò allora alla prova. Sarai a disposizione di una coppia di mie clienti, oggi stesso, due lesbiche, vedrai che non sarà una cosa da poco, sono due assatanate. La guardo attento, mi aspetto orrore, schifo, mi aspetto non un rifiuto ma almeno titubanza. Poi la avrei convinta. Niente di tutto questo. Impallidisce ancora di più ma alza il volto fiero, sollevata quasi. Sono la vostra schiava, dice soltanto e qualche attimo dopo, farò quello che mi chiedete, qualsiasi cosa sia, vi ubbidirò.

Dentro di me sono esultante. Mi tiene con sé, non mi scaccia, non mi manda via. In ginocchio aspetto l’ordine di alzarmi, qualche spiegazione. Se ne va tornando subito dopo. Per un attimo spero sia ancora un bluf, ma non è così. Sono due lesbiche, ripete. Non dice altro. Si aspetta un mio rifiuto? Anche se la cosa mi atterrisce letteralmente tanto mi fa ribrezzo, l’alternativa, essere scacciata, non la posso neppure prendere in cosiderazione. Due lesbiche dico a mezza voce, a me stessa, pur sapendo che mi osserva attento e sente. Non ho mai, non so cosa fare con due lesbiche. So certamente cosa voglia dire ma non vorrei farvi fare brutta figura. Non farai assolutamente brutta figura se ubbidirai a tutti i loro desideri, ai loro ordini. Potranno fare di te e con te quello che vogliono. Farò loro sapere che sei una schiava, sapranno che non sei lesbica ed anzi che non hai mai avuto rapporti di quel tipo, Se te lo chiedono anzi, devi dire di non averci mai neppure pensato e che lo fai solo per ubbidirmi. Dopo un attimo aggiunge: non penso che ti chiedano niente, di te, del mondo reale. C’è una sola precauzione da prendere, che non possano vedere il tuo viso, e poi non devono conoscano il tuo nome, Glicine intendo. Se ti comporterai molto bene, se dimostrerai di essere una schiava, la mia brava schiava, vedrò di tenerti con me ed in premio forse ti scopo. Sussulto. Ha capito che per me è il premio più grande? Non mi interessano gli altri uomini che pure potrebbero darmi lo stesso piacere. Ma sul serio ne gioirei allo stesso modo col corpo e la mente? Sono certa di no. Il piacere che provo con Lui è fisico ma non solo fisico. Ed allora ne sono innamorata? Come sempre la risposta è no. E allora?
Aspetto in ansia che le ore passino. Certamente sarò toccata e dovrò toccare quelle donne in tutti i modi. E cosa sarà mai? Poi quando mi preparano e vengo vestita, Lisetta mi mette in allarme. Fai attenzione, sono cattive e gli piace far male. Te ne faranno di certo, non dar loro ragione di fartene ancora di più. Mi meraviglia da parte di lei questa premura ma forse non è per me ma per la proprietà del suo datore di lavoro, teme la danneggino. Indosso una gonna con sottogonna e camicetta oltre alla maschera che temo sia l’unica cosa che non mi toglieranno. Su cosa facciano le lesbiche qualche idea ce l’ho ovviamente ma temo che loro abbiano più fantasia di me.

Avevo ragione. Di fantasia ne avevano molta più di me. Mi lasciano qualche ora più tardi gemente di vergogna più che di dolore, tutta impiastricciata, la bocca ed il corpo del loro rosseto, dei belleti, delle loro salive e…di qualcosa d’altro. Ero stata presentata dal Dottore, così lo chiamano, come lo avevo per poco chiamato io la prima volta. Ecco la vostra Servetta. Vi servirà a tavola e soddisferà ogni vostra esigenza. Ed in effetti sono abbigliata come una servetta, a parte che i seni sono troppo scoperti, fuoriescono quasi dal corpetto. Per fortuna sono pulite perchè i miei peggiori timori si realizzano. Non tutti a dire la verità, mi frustano ben poco ma con abilità consumata. Sanno come e dove colpire. Lui, dopo avermi presentata se ne era andato.

Ci troviamo in una saletta che non ho mai vista, una specie di salotto del settecento. In certe cose ho l’occhio buono e tutto, mobili, tovagliato del tavolo da ‘petit dejèuner’, tapezzerie, tendaggi e tappeto, sembrano originali e ben conservati. Ottime copie? Non ho certo tempo per osservare meglio, guardando le giunture dei mobili o cercando i consueti errori quasi sempre presenti anche nelle copie e nei falsi più accurati. Istintivamente faccio l’inchino di una servetta adatto all’epoca, ricordo di una recita/ricostruzione di molti anni prima. Direi che ne siano deliziate. Anche loro due sono agghindate secondo la moda di allora ed anzi indossano abiti perfetti. Ottime sete pesanti, ricamate a mano, fibbie, spille, pettinini fermacapelli molto belli. Due donne non più giovanissime, sopra i cinquant’anni ed anche un poco troppo in carne. Tu ci ubbidirai in tutto; lo dice la meno giovane delle due e l’altra, più bassa e meno in carne assentisce. Non è una domanda. Sono qui per servirvi signore, in tutto. Tutto perfetto mi sembra, dice la prima con degnazione ed indifferenza affettata mentre si guarda intorno. In effetti persino i piatti dei cibi in bella mostra rispecchiano l’epoca ed il servizio è alla francese e non secondo la moda russa che trionfò in seguito e che in tutto il mondo si segue tutt’ora. Bevono con moderazione ma i loro discorsi non sono discreti. Mentre sbarazzo, con gesto intenzionale della più vecchia, so ormai che si chiama Charlotte, uno schizzo di salsa finisce sui miei vestiti. Così non va e non hai di che cambiarti. Sono costretta a togliere la gonna restando con solo la sottogonna perchè anche la camicia secondo loro è macchiata…Ormai, oltre alla maschera indosso solo la sottogonna di tela. Così vestita, anzi svestita, seminuda, le aiuto ad orinare a turno in un pitale da teatro. Sedute sul sofà allargano le gambe mentre infilo tra le cosce massiccie la parte lunga e stretta dello strumento. Che mi chiedano di asciugarle con la lingua? Un lampo di genio ed uso un lembo della sottoveste. Sbagliato! Avrei dovuto usare i tovaglioli bagnati dell’acqua delle glacettes. Indignata per tanta ignoranza la più giovane mi lega i polsi, quasi sono appesa al lampadario, a gambe aperte. Grido fin dai primi colpi chiedendo pietà che so di non ottenere. Pochi colpi ma ben misurati, ai seni, alle cosce ed i più dolorosi che da dietro, inferti dal basso all’alto, ferocemente raggiungono le pieghe del sesso. Pochi per fortuna. Slegata, carezzata e baciata mi trovo ben presto con la testa sotto le loro ampie crinoline alla ricerca di quello che vogliono trovi. Non sono abile, dicono, ma imparerò, saranno due buone maestre. La stoffa c’è.

Molto più tardi, ben ripulita e riposata sono tra le sue braccia e questa volta grido di piacere e di gioia per aver superata la prova ed essere stata perdonata. Il Padrone ridendo sostiene di non avermi mai vista così. Ti sei eccitata con quelle due! Non me ne importa un fico secco. Quasi grido, mugolo appena, riesco a trattenermi e sono felice persino quando, ancora più tardi, me lo spinge lentamente, ma sempre con vigore, da padrone, nel sedere che ormai lo accoglie abbastanza agevolmente. Il glande è appena umido dei miei umori, mi forza e dilata lo sfintere esterno. Ormai so come fare e spingo come la Signora Lisetta mi ha insegnato a fare. Contemporaneamente faccio forza sulle ginocchia che gli cingono le spalle ai lati del collo, mi penetra, lo ho tutto dentro e non mi dispiace quando, uscito dal mio sedere ci rientra più volte. Toccati pure. Dentro di me lo benedico e porto la sinistra in basso, al clitoride, per avere di nuovo la mia parte di piacere. Non lo amo, penso che l’amore sia qualcosa di profondamente diverso, intimo, ma questo ho e mi piace, mi fa impazzire. Lo accudisco, glie lo lavo, lo lecco e lo stringo tra le labbra con dolcezza. E’ stanco, poverino, carezzandolo , baciandolo e succhiandolo lo riporto a potermi penetrare, ma sarebbe sperare troppo che possa di nuovo e per la terza volta…Steso sulla schiena mi attira a se, ormai sono esperta e piace pure a me. Mi stendo su di lui e con qualche acrobazia, arretrando lentamente, mi faccio penetrare abbandonandomi poi soddisfatta, piena di Lui e sopra il più deizioso materasso al mondo.

Non solo mi piace tutto di lei, giovane senza essere una ragazzina scema, colta, educata e raffinata, di quella cultura e raffinata educazione che non impari solo a scuola, ma dalla famiglia, dall’ambiente che frequenti crescendo e modellandoti sul loro esempio. Le due lesbiche vengono dallo stesso ambiente e Glicine ha saputo subito adeguarsi istintivamente. Le ho spiate per tutto il tempo. Due vere e presuntuose nobili del settecento ed una servetta alla prima esperienza che si è sottomessa conscia della differenza di rango, timorosa che il padrone della locanda la licenzi. Una recita perfetta. Potrei usala di nuovo, con altre clienti. Queste mi hanno anticipato che la vorrebbero di nuovo tra non molto. Potrei anche portarla al Maneggio, questa estate, ne ricaverei parecchio lustro, e ne ho bisogno. Farla scopare dagli altri Soci? I più sono generosi nel concedere le grazie delle proprie schiave. Ma la presento come schiava o come amante? Non so, vedremo, manca ancora parecchio. Si è addormentata, geme piano, muove di tanto in tanto il bacino e mi sta eccitando ma è meglio dorma, anch’io devo dormire se mi riesce. La giovane donna è stanca, la riunione continua ininterrotta da ore e quello sciocco per la terza volta sta rimettendo tutto in discussione. Mi perdoni, dottore, ma tutto questo è già stato detto e sviscerato ripetutamente, mi dica se il suo Istituto…
Era quello che serviva. In meno di un’altra ora la riunione si conclude e la signora vede la soddisfazione nei volti dei suoi collaboratori. Un’altra ora con loro per una ultima messa a punto ed è veramente finita. Il taxi, vecchiotto, la deposita poco dopo al suo indirizzo. E’ tardi però, troppo tardi ormai, dovrà passare la notte a casa.

La donna è vecchia ma sopratutto è odiosa. E’ anche piena di soldi. Nella sua fantasia è la mia schiava, da tre anni, di più anzi, è stata una delle mie prime clienti, la prima importante. Nelle sue fantasie è volubile, ormai da qualche tempo, in ogni ‘teatrino’ ho una specie di harem al quale sovraintende con qualche durezza. Per fortuna molte delle mie ‘clienti’ non desiderano altro e pagano per essere bistrattate da lei. Pagano loro e paga lei, perfetto.E’ feroce, verbalmente più che altro, ed in questo è maestra senza peraltro evitare loro qualcosa di più concretamente sgradevole. Le vittime di turno sono in ginocchio e la supplicano, si fanno la spia l’un l’altra, ciascuna inventa sulla compagna cose difficilmente credibili, quasi mostruose. Fantasie ovviamente. La conclusione è inevitabilmente la solita. In lacrime, con più di qualche gridolino, si fanno fare il culetto rosso. Usa una specie di racchetta da tennisa da tavolo che si porta appresso, altrimenti, dice, si farebbe male alle mani. Passa ad altro, esageratamente oltre le righe, ed intervengo prima che si faccia trasportare troppo dall’entusiasmo. Congedate le due nei modi appropriati, incredulo come sempre di vederle taciturne ma pure soddisfatte, torno da lei. Tra qualche giorno, forse già domani, ricorderanno la cosa con entusiasmo.

Poche parole duramente di biasimo e la vecchiaccia ammette di aver ecceduto, ammette di meritarsi una punizione. Qualsiasi punizione. So che ora ha molta paura, ha già provata la mia ira. La fisso, immobile, cerco di non dimostrare ira, solo freddezza. In realtà so già cosa fare e non mi piace, per niente, temo di superare pure io il sottile limite di non ritorno, di farla fuggire e rinunciare a questi suoi piaceri così proficui per me. Devo, non ho altra via, diventerebbe troppo pericolosa se lasciassi mi sfugga di mano. Le volto le spalle e siedo sulla poltrona, lei e molte altre interpretano questo gesto come l’annuncio di punizioni severe, vedono questa poltrona come una specie di scranno da cui emetto dolorose sentenze e tutto sommato lo è. Non ti sei comportata in maniera adeguata, lascio spazio a qualche futile scusa poi la blocco con un gesto. Abbassa la testa, tace. Tutto, Padrone ma non quello. C’è una cosa che non sopporta, farmi un pompino ed inghiottire. Vomita, da sempre. E’ la punizione peggiore che sia pur raramente le infligga. Taccio, aspetto se mai voglia pronunciare la parolina magica e certo ci pensa. Interromperebbe tutto, qualsiasi punizione. L’ha fatto, anni fa. Ha supplicato per mesi che la accogliessi di nuovo, a patto che… Frustatemi Padrone, cospargete le ferite di sale… E quando mai ho fatto scemenze del genere? Fate di me quel che volete. Frasi sciocche. Diventa terrea quando due figure entrano silenziose. Massicce, completamente avvolte in mantelli neri lunghi sino a terra. Gli esecutori mormora terrorizzata. Non mostrano neppure un millimetro di pelle, neppure delle mani, guantate. A questo neppure aveva pensato.Tutta scena, già pronta, sotto l’imbragatura ed i mantelli si celano le mie due serve. Ultimamente lei ama vedere le sue vittime danzare con dei peni muniti di sonagli che lei stessa, sorridendo e commiserandole, configge loro dolorosamente nel posteriore; le piace poi minacciarle quando perdono il ritmo per un suo colpo di scudiscio.
Ama vederle tremare impaurite alle sue minacce, le piace ancor più ascoltarle e vederle torcersi e gemere quando può realizzare fino a tanto le sue fantasie, quando cioè il padrone le procura donne disposte entro certi limiti anche a questo. Lei però non tollera neppure la vista delle due figure in nero, le teme, ed a ragione. Le teme al punto da cadere quasi in deliquio, da non opporsi quando viene trascinata alla colonna e legata. Non vuole o in questo momento non sa formulare la ‘parola magica’. Urla di dolore ma sopratutto di dispetto mentre per la seconda volta in vita sua viene sodomizzata dolorosamente dalla perfetta riproduzione di un pene antico di osso. E’ una delle mie migliori ed antiche clienti, merita qualche riguardo. Per lei c’è solo dolore e rabbia al momento. Rabbia sopratutto, più ancora del dolore che non è poco. Più tardi mi succhia il cazzo ma ‘generosamente’ le ordino di smettere prima della conclusione naturale… Poi me la portano lavata e profumata e la prendo tra le braccia, sei stata brava a sopportare le dico, ne carezzo le discutibili grazie, la bacio con qualche disgusto. Meriti persino un premio, vedremo. Ormai si è sufficientemente ripresa, entusiasta quanto e più delle due sue vittime, pensa già al premio ventilato,pur esitando chiede di potermelo succhiare ancora, mi offre il ventre vizzo, il sedere dolorante e un poco lacerato, un errore di cui dovranno rispondermi le due serve. Ho vinto come tre o quattro anni fa perchè già sogna fa ipotesi, si illude. E’ disposta a tutto, in fatto di soldi intendo. Con le due di questa sera non potevo lasciarla andare oltre, ma la prossima volta o la successiva vedrò di procurarle due molto toste, di quelle che amano il gioco veramente duro. Clienti così ce ne sono, bisogna vedere se e quando mi contattano. Mi servirebbero due piuttosto giovani, sui quaranta, tutte e due disponibili, senza mariti od amanti ingombranti, probabilmente porteranno per qualche tempo sul corpo i segni di quell’incontro. Proporrò quello che chiamiamo teatrino, con loro nella parte di…vedremo. Ci sarebbe anche Glicine, so che ha chiamato mentre ero occupato, la andranno a prelevare domattina. Mi è mancata la sgualdrinella, per fortuna che ho avuto molto lavoro, quasi troppo anzi, dovrei abituarne altre a venire per dei teatrini, gruppi di due, meglio tre o quattro, non di più però. Potrei selezionare una di loro come schiava da portare tra pochi mesi al Maneggio, da buttare in pasto ai Soci, presentando Glicine come amante, risparmiandole cioè…perchè poi? Mica glie la consumano. Una amante ed una schiava, il massimo possibile quest’anno se voglio evitare di suscitare curiosità. Nonostante tutto sono stato assente per anni, portando due schiave ed una amnte certamente ci sarebbero molte domande e troppa curiosità. Anche questo lo vedrò, non è poi così facile addestrare al punto giusto Glicine e tantomeno scegliere ed addestrare una delle clienti al ruolo di schiava. Non per il Maneggio con tanti parvenù pieni di soldi ed i vecchi Soci pieni di spocchia.

Finalmente sono in macchina, sto andando da Lui. Temevo di non dormire, da un lato pensavo al successo della ditta. Sta crescendo, si sta rafforzando, i debiti sono quasi tutti pagati e gli ordinativi crescono. Considerato poi che le cose in generale vanno come vanno! Dall’altro avevo sperato di essere già questa notte con Lui. E’ inutile fingere, mentire a me stessa. E’ un gioco, quasi un gioco, non ne sono innamorata, per fortuna. Non sono certo una schiava. Schiava poi, ridicolo, è un gioco, vado a letto con Lui, mi faccio scopare e mi piace. Devo anche fare solo e sempre quello che mi dice, prenderlo nel sedere o succhiarglielo cercando di prenderlo in gola senza vomitare, accettare le sue punizioni, chiamarlo Padrone! Ma fa parte del gioco, posso smettere quando voglio e come voglio, sono padrona di me stessa. Certamente non ne sono innamorata, mi piace, questo si, ma innamorata, no di certo. Che mi manchi è normale, mi sono abituata a fare l’amore, cosa c’è di male? Niente, assolutamente niente. Lui è un uomo, vecchio anche, ma fosse stato così mio marito, anzi fosse stato uomo la metà di Lui, un centesimo anzi…Ha detto che vuol sentire i miei gridolini. Vuol dire che mi frusta? Temo di si e ne rabbrividisco ma al tempo stesso il brivido di paura mi fa sentire strana, piacevolmente strana. E’ parecchio che non lo fa, da quando…spero proprio di no, non subito arrivando, non oggi. E cosa fai se ti dice di…cosa vuoi fare scema? Il semaforo? No hanno cambiato strada, non si fidano ancora di me, oppure sono io che mi confondo. Adesso comincia la paura e…e come chiamarla se non voglia di Lui? Di sentirmi stretta nelle sue braccia, inerme, arrendermi, sottomettermi, soggiacere a lui. Mi perdo voluttuosamente in queste anticipazioni, già reali per me, tanto che sento le mani di Lui padrone del mio corpo, non solo le mani… Arriveremo in tempo per la colazione del padrone mi dice la nipote della signora Lisetta. Non ne parla con il dovuto rispetto, penso. Come si chiami non lo so e non me ne può fregare di meno. Non dovrebbe mancare molto. Il cuore mi batte forte, sempre più forte, l’ho in gola. Ho i palmi delle mani bagnati e forse non solo quelli. No, mi dico con forza, non lo amo, ma mi piace l’idea di essere sua e su questo non ci piove, non conta.

E’ indifferente alla puntura dell’ago che procura qualche goccia del suo sangue per attestarne la purezza. Niente virus o altro. E’ indifferente ai riti purificatori, lavacri che faranno di lei una odalisca degna delle attenzione del suo Signore. Riti che ha pensato tendano a staccare le ‘ospiti’ dal mondo reale introducendole in questo, fantastico. Una sciocchezza si ripete tutte le volte, ma un poco funziona. Già salendo le scale nel buio creato dalla benda, la destra sul corrimano, ubbidiente ai tocchi leggeri della verga, anche questo un simbolo che può tramutarsi in una dolorosa realtà, lascia l’altro ‘mondo’ sbiadire alle spalle. E’ questo il suo mondo. Il collare, la sua totale nudità, l’ubbidienza, il rispetto del silenzio. Ed in questo mondo viene ‘vestita’appena fuori delle stanze del padrone. Imbavagliata anche. Solo a questo punto bussano ed entrano. La vostra schiava, Padrone.

Una recita assurda della quale si sente interprete e quasi protagonista. Avverte il passaggio di mano della catena legata al collare, sente la voce di Lui ordinare di liberarla. Ora può vedere e potrebbe parlare, potrebbe. E’ Lui che la libera del collare. Al suo ordine si spoglia. Le prime volte le pareva ridicolo indossare fuori della porta i due grandi fazzoletti per coprire i seni ed il ventre e toglierli appena entrata. Ora non ci pensa più ed è piacevole scoprirsi permettendogli di ammirarla. Non servono le parole, inutili anche gli sguardi di Lui se pur eloquenti. Più tardi il tutto, essere tra le sue braccia nel suo letto.
Mi sei mancata le dice solo, o solo questo lei ricorda oltre al corpo che anelante gli offre, che offre alla fame ed alla sete di Lui che è felice di placare, placando al tempo le proprie voglie ansiose. Non si chiede se lo ami o solo desideri essere sua come femmina. No, in questo momento non si chiede niente. Mentre già si abbandona al torpore l’uomo si meraviglia della sua arrendevolezza che non è non è resa, non sa però come definirla e non gli importa, lei è li, il sonno lo coglie. Anche lei ha dormito, forse solo qualche minuto, non sa, non può neppure girarsi per guardare l’orologio, la stringe non può svegliarlo. Non che le importi l’ora. Li, sopratutto ora, il tempo non esiste. Mai in passato aveva saputo darle tanto piacere, mai assolutamente mai. Un orgasmo forse? Il mitico orgamo? Non ne è certa, pensa di no, qualcosa di diverso, forse di più grande persino, ma non quello.
Non l’ho mai sentito godermi tanto, gli sono piaciuta moltissimo, certamente come mai prima. E’ questo che mi ha dato tanto gusto, piacere? I ricordi sono ancora vividi e vivide le sensazioni. Il coso…ma va la, chiamalo cazzo, il suo cazzo, ha trovato subito il nido, la mia fica già calda e bagnata. Mica tanto calda e per niente bagnata. Eravamo stesi, posavo la testa sulla spalla e parlavamo. Di cosa? Ricordo cose da poco e poi…poi la sua mano che dal petto è sceso fino alla mia fessura, no, fica, cazzo e fica, a grattarmela. Mi è sembrato quasi me la grattasse con un dito. Non che mi desse fastidio, non mi dà mai fastidio essere toccata da Lui. Poi mi è piaciuto, sempre più, andavo fuori di testa mentre il dito lento e sapiente scivolava lungo la fessura sempre più umida e sensibile, introducendosi un poco nell’orifizio voglioso e felice di quella intrusione dolcissima, delicatamente insinuante per poi salire al puntolino e circuirlo, sfiorarlo soltanto, premerlo per poi lasciarlo sempre troppo presto. Ad ogni grattata facevo fatica a non sussultare e contraevo le natiche, il buco del sedere. Ero arrivata allo spasimo era un vero spasimo. Non parlavamo più, mi teneva stretta stretta e mi carezzava, sempre li. Poi mi ha chiavata e sono impazzita.

Non ricorda molto ma quanto ricorda la riempie anche ora. Mi riempie di calore il ventre, rende veloce il respiro ed il battito ai polsi ed al petto. Cos’è? Non amore, escluso. Ma cos’altro si può dire altrimenti. Eppure lo nega a se stessa con veemenza. Non amore. Forse è stata l’astinenza a dare a lui tanta energia e tanta voglia a me. Voglia di cazzo nella fica. Sto diventando una donna con i desideri di una donna: la voglia di quel maledetto pendaglio che hanno tra le gambe. Astinenza per me soltanto poi. Non è però che scopi poi molto con le clienti, solo quando non può farne a meno, dice. E la maggior parte sono dei cessi. Non tutte, ma quasi. E’ la posizione, tanto simile a quella di qualche giorno prima che forse mi fa pensare queste cose assurde. Non sono certo gelosa, mai più. Mi riempirebbe di botte se solo sospettase qualcosa del genere e di botte me ne ha date abbastanza una settimana fa, no sei giorni fa. Fa parte della confezione regalo, se voglio stare con Lui c’è anche questo. Io voglio restare con Lui, quasi a qualsiasi costo ed il quasi scorre sempre più in là. Mi piace stare appoggiata con la testa alla sua spalla, sentire il suo respiro, sentire il suo odore. Chiudo gli occhi. Le labbra sfiorano la sua pelle. Vecchio? Chi? Lui? Viva i vecchi. Adoro i vecchi, questo vecchio. Ho la tentazione di leccarlo e sporgo un poco la lingua, lo sfioro. Non l’ho mai fatto prima naturalmente né con lui e tantomeno con l’altro, mio marito. L’unico altro. Preferisco non pensarci neanche. Mi sposto un poco, mi giro lentamente ancor più verso di Lui. Forse mi addormento, non so. Devo aver allungato nel dormiveglia la mano che posa sull’inguine di lui, anzi ho il suo cazzo sotto la mano. Trattengo il respiro, non oso muovermi nel timore si svegli. Potrebbe pensare chissa che, offendersi, battermi. Perché battermi? Forse la mia vicinanza, di un corpo femminile, forse il calore della mano fa o fanno il loro effetto: si è almeno un poco ingrossato. Vorrei ritirare la mano, devo ritirare la mano ma non posso e forse non voglio. Stringo appena un poco. In pratica lo stringo tra il pollice, l’indice ed il medio e lo sento caldo anche se certo non è al meglio. Stringo un poco col pollice e subito timorosa lo lascio. E’ tra il medio piegato ed il pollice, l’indice sembra quasi assistere, steso lungo il mio principesco e semiaddormentato signor cazzo. Mio e di altre purtroppo, troppe. Solo clienti ed in questo momento è mio. Mi piace farlo, mi piace sentirlo, prigioniero e mio. Non ne ho mai saputo troppo del membro maschile, ma questo sembra crescermi in mano, un’altra stretta e dopo un poco ancora. Ogni volta cresce, cresce anche se non lo stringo. Ormai devo spostare la mano, letteralmente lo impugno, delicatamente. Odio fargli i pompini e quando devo, chiudo gli occhi. A cosa serve chiudere gli occhi? Non lo so ma li chiudo, lui non vede. Solo ora mi accorgo che sono libera del suo braccio. Esito, è una lucida follia la mia, sono come ubriaca. Tutte le volte che dovevo accostare il viso e la bocca mi rifiutavo di vedere, ora invece non resisto. Movendomi con prudente lentezza dopo aver a lungo spiato il suo bel viso, si bello, mi piace, e allora? Mi faccio più vicina. Non l’ho mai guardato così da vicino. Ho una mano piuttosto piccola, non riesco ad impugnarlo, intendo dire che l’anello delle mie dita non riesce a cingerlo del tutto. L’asta fuoriesce abbondantemente dal mio pugno. E’ normale, o grosso e lungo? Noto per la prima volta che è curvo, il mio signore è pallido, quasi bianco. Possibile che questo pezzo di carne ed i due annessi diano loro tanto potere su di noi donne? Guardo ancora, noto per la prima volta le grosse vene più scure, bluastre quasi a confronto del biancore del resto. Per forza bianco, non prendono mai il sole li i maschi. Poi sempre con attenzuione scopro il prepuzio, no, asina scopro il glande tirando giù la pelle che lo copre, il prepuzio. Sono proprio un’asina. Muovo, sia pur impercepibilmente la mano su e giù, gli sto quasi facendo una sega. Due o tre volte, di più forse, non so, ed è bello duro, quasi al massimo se capisco bene ed il glande svetta, rosso scuro. Non so trattenermi, mi fa tenerezza, mi attira, mi chiama e vi poso le labbra. Possibile che continui a dormire? Forse gli uomini sono meno sensibili di noi femminucce. Se mi avessero toccata tra le gambe mentre dormivo mi sarei trovata con un urlo appesa al lampadario, a quattro zampe. Devo smettere ma non posso. Di nuovo poso le labbra e poi la lingua sulla pelle sottile del glande, vi alito sopra, è più forte di me, schiudo le labbra, lo voglio in bocca. Mi do della sporcacciona e peggio ma è più forte di me, lo circondo con le labbra ma sono secche mi umetto le labbra, le chiudo lentamente. Istintivamente, per abitudine, chiudo gli occhi, ma li riapro, mi fermo. Possibile che continui a dirmire?

Peccato. E’ stato bellissimo ma lo sarebbe stato ancora di più se non mi muovevo. Il più bel pompino della mia vita, di certo. Non ero lontano da goderle in bocca. Si sarebbe scostata? Non lo so. Un bellissiimo pompino non richiesto, nel dormiveglia, almeno al suo inizio. Glicine non ama i pompini. Già la mano di lei che volutamente o meno mi aveva svegliato il cazzo, poi il resto, roba da sballo. Lei che ne provava all’inizio schifo come moltissime donne, ha cominciato di sua iniziativa. Scopare le è piaciuto sin dall’inizio, ma il sedere ed i pompini proprio no. Ne ha prese di botte per questo e solo da poco si è abituata un poco ad accettarli, non devo più legarla per ficcarglielo nel sedere.
E’ stata la più bella ora d’amore che io ricordi, da molti anni in qui almeno.
Mi stanno preparando, niente di nuovo ma come sempre provo una grande eccitazione ed al tempo stesso le forze quasi mi vengono meno. A tratti ansimo oppure senza volerlo trattengo il respiro che emetto poi di colpo, rumorosamente. Nervoso, ansia, voglio essere bellissima per Lui. Spero di farlo impazzire di desiderio e poi farlo gode come mai, si, voglio farlo proprio impazzire, io voglio impazzire. Venti giorni senza un uomo sono lunghi, eterni poi se l’uomo è Lui. Lo ami, sciocchina? Parlo da sola… Certo che no mi rispondo, però mi piace e mi piace perdermi nelle senzazioni sempre uguali ma sempre nuove che provo mentre mi carezza per…perchè gli piace o perchè vuole che io sia più arrendevole e disponibile. Sciocco, non capisce che sono felice di essere sempre arrendevole e disponibile per Lui, sua. Gli voglio bene allora o no? La risposta è quella di sempre. Non lo so neppure io ma stare con lui…è…e la lontananza mi fa impazzire. Non ho fame. Che mangi poco non guasta, perder un altro chiletto… ma devo persino prendere le goccine se voglio dormire ed in ditta dovevo frenarmi per non alzare la voce…L’ultima volta, mentre stavo per lasciarlo, mi ha chiesto quanto lo amassi, fin dove sarei disposta a spingermi per poter continuare ad amarlo. Ha cambiato discorso sentendo arrivare la signora Lisetta per portarmi via. Fortunatamente non ho dovuto rispondergli. Non saprei neppure adesso cosa rispondergli se mai lo chiedesse ancora. Non so proprio cosa significhi amore. Una parola da pellicole di terza categoria. Invece sentirlo godere dentro di me mentre mi possiede nel modo che piace a me, che mi fa sentire infinitamente donna, femmina ed un poco… maiala, oppure anche come Lui troppo spesso preferisce…mi fa male però, nonostante il mio sederino sia ormai abituato, abbastanza ben rodato come adesso dice spesso…perchè gli permetto di farlo? Perchè lo amo? Forse un poco lo amo, ma…Ora però non mi interessa, neppure voglio saperlo. Amore o solo voglia di andare a letto con lui, di sentire le sue mani dappertutto, perchè no, anche il suo coso, il cazzo dappertutto. Sono la sua amante in un gioco che adoro. Solletica la mia fantasia e non solo la fantasia, spesso a questo punto sono così eccitata che li in basso… Mi basta essere stretta da Lui, anzi, solo immaginare che tra poco mi stringerà ed il cuore comincia a battere più in fretta e sudo il palmo delle mani. Le fauci asciutte per l’ansia, resa cieca dalla solita benda ma anche con gli occhi chiusi sotto la benda, salgo la scala che non ho mai vista eppure conosco così bene. Tengo chiusi gli occhi perchè così mi sembra di estraniarmi più rapidamente da quel mondo che ormai detesto e che per qualche tempo almeno, non sarà il mio mondo. Neppure ci voglio pensare al mondo di fuori, mi immergo in questo, diverso, crudele anche, ma al quale non potrei rinunciare per tutto l’oro del mondo, significherebbe rinunciare a Lui e Lui è il mio mondo. Sono certa che lo fanno apposta, per far entrare le altre donne, le clienti, in questa magia, dimenticare quanto pagano per farsi maltrattare da Lui, pensare come penso io che esista solo il qui adesso, un qui ed adesso che mi piace sempre di più. Conosco il numero degli anelli infissi al muro che tengono appena teso il corrimano, un grosso torciglione di velluto su cui poso la mano per darmi equilibrio. Conosco il numero dei gradini piuttosto ripidi coperti dalla passatoia che intuisco un poco logora sotto la pianta dei piedi nudi, me la immagino rossa come immagino rosso il corrimano. Conosco il pianerottolo su cui apre la ‘porta’ del regno su cui Lui domina incontrastato. Ad ogni gradino il mondo, l’altro, quello piatto e prosaico si fa più distante, svanisce sempre di più, e mi accosto, pronta ad immergermi nell’altro di mondo che diventa sempre più vero, l’unico vero, quello di Lui, quello che vorrei fosse il mondo vero e per sempre. Lo sta divenendo, lo faccio diventare così gradino dopo gradino. Si fermi signora. Non servirebbe quest’ordine. Davanti a me, invisibile, c’è una porta, chiusa, massiccia, che verrà aperta per me e richiusa poi alle mie spalle con un rumore sordo. Da questo lato non l’ho mai vista, spero di non vederla mai. No so il perchè ma è così, tanto che serro ancora di più le palpebre sotto la benda pur impenetrabile e nel farlo non mi sento affatto sciocca anche se ora, un poco almeno, ho paura, ansia almeno.

Perplessa, un poco preoccupata, guardo le due donne eleganti, non più giovani e del tutto a loro agio. Chi sono? Non le ho mai viste. La più anziana, ancora interessante nonostante gli anni, stringe il mio guinzaglio con noncuranza, senza distogliere gli occhi dal mio corpo appena velato. L’altra, non giovanissima ma molto più giovane della prima è ancora desiderabile e bella. Mi fissa attenta ma chiaramente aspetta che sia la sua compagna a decidere. A decidere cosa? Dove è Lui? C’è sempre prima di un ‘teatrino’. Mi spiega cosa mai debba fare e cosa non fare, le idiosincrasie di chi incontrerò. Una trafittura al cuore che sembra saltare qualche battito, mi manca per un attimo l’aria. Mi sta vendendo o regalando a queste due. Un attimo solo poi mi dico che è una sciocchezza. Tieni, mio nipote ha detto di dartela. Suo nipote? Chi? La più anziana, dai capelli quasi azzurri mi porge una busta, leggo il contenuto. Non c’è molto. -Ascoltale-, e la Sua firma… Poi un sussulto. Suo nipote! La guardo un attimo, c’è forse una qualche somiglianza? Forse. O forse è solo la mia fantasia e poi non importa. Ascoltale, ha scritto Lui, ha persino evitato di perdere tempo scrivendo una seconda parola che è però ovvia, è già stampata dentro di me: Ubbidisci! Come sempre ubbidisco.Vogliono sapere tutto di me e quando salto qualcosa sembrano capirlo immediatamente, allora scavano e scoprono i piccoli dettagli, i segreti dimenticati o che tenevo celati persino a me stessa. Non riesco a mentire, mai, in niente. A metà pomeriggio sanno come e perchè sia giunta fino a Lui, come abbia fatto di me la sua amante e più che la sua amante. Sanno tutto alla fine. Racconto le più recondite sensazioni che provo nel salire la scala, nel denudarmi davanti a Lui, nel servirlo, il piacere anche in testa che provo nel dargli piacere e nel sottomettermi a Lui, concedendogli tutto, permettendogli di avermi quando vuole e come vuole. Sanno ormai dei teatrini. Sanno proprio tutto: come mi piaccia dargli piacere e ricevere il mio piacere, perché obbedisca anche quando quello che vuole un poco ancora mi ripugni. Allora lo ami, chiede la donna più giovane ma forse è una affermazione. Taccio. E’ la domanda che temevo di più. Non rispondo, dentro di me sento le viscere torcersi. Devi rispondere cara. La più anziana ora sorride, un sorriso che per un attimo sembra minaccioso. Un lampo, una intuizione, ho paura ad innamorarmene. Devo dire la verità? No, assolutamente no! Si, rispondo alla fine, credo di volergli bene, di amarlo. Credi di amarlo o lo ami? Di nuovo non so cosa rispondere. Quando ti batte lo ami? Quando mi frusta non lo amo, no, ma…Ma cosa? Talvolta sono io, esito ancora, poi mi decido. E’ come denudarsi in pubblico, penso. Sono io, almeno qualche volta a voler avere la sua attenzione, allora faccio qualcosa che lo costringa a badare a me…Ti fai frustare di proposito! Si… E ti piace. Piacermi no, ma almeno…bada a me. L’ho detto anche se non è tutta la verità. Ora cascherà il mondo. Questo è amore mia cara. Lui sa molte cose su di te, tu invece adesso conoscerai tutto o quasi tutto di mio nipote Pierre, il tuo amante…

La guerra fu disastrosa per la nostra famiglia. Mia sorella tra gli altri perse i due fratelli ed il marito. Io pure rimasi vedova all’età in cui le mie coetanee…ma non importa. Tra me e Pierre ci sono solo una decina di anni di differenza, e mia sorella si era autoesclusa dal mondo rinchiudendosi nella sua camera. Lo ho cresciuto io nella nostra casa da quando aveva dieci anni, ma già da qualche anno, in estate, andavo ospite di una amica. La guerra non era ancora finita. Quell’estate lo portai con me. La mia amica, la signora Karen, bella ed estrosa viveva con il marito, invalido della prima guerra mondiale ed amava il marito in maniera assoluta, totale, dimostrandoglielo con modi che la società non avrebbe certo accettato. Pierre accettò il poco che gli fu permesso di vedere e non ne parlò con anima viva oltre me. Accettò che Karen amasse il suo uomo al limite della totale sottomissione. Trainava persino il carretto, una specie di sulky, quei carrettini per le gare di trotto, col quale si spostava per i viali del parco. Lo trainava ben poco vestita, guidata con le redini e sferzata ,se necessario per incitarla.
L’anno seguente vide anche il resto. Era troppo grande per cenare in cucina sotto la mia sorveglianza per poi coricarsi poco dopo il tramonto. Karen serviva a tavola completamente nuda, prima o dopo veniva punita per le eventuali mancanze della giornata con una sferza, la stessa che di tanto in tanto Pierre usa su di te.
Quella sera, la prima sera, lo vidi sgranare gli occhi che subito dopo rivolse meravigliato verso di me. Bastò un cenno e tacque. Credimi, fu per lui una serata incredibile, indimenticabile. Cravattino nero i pochi maschi ed abiti lunghi le signore. Ovviamente il servizio era spartano, solo Karen ad affannarsi, ed era completamente nuda, bellissima nello splendore dei suoi quarant’anni. Indossava solo uno strangolino di velluto rosso. Il corpo quella sera era segnato dalle striature dello scudiscio, uno scudiscio, non il solito, che ti auguro di non dover mai subire. Il viso, gli occhi, erano orgogliosamente levati , non si vergognava della sua mise, per niente. Spesso il marito di Karen si assentava ed affidava al fratello il compito di badare a lei, frustarla e, se del caso, montarla. Quando il fratello era assente il compito era affidato ad un altro ospite. Spesso l’incombenza era affidata a me, la potevo solo frustare, affidandola per il resto ad un altro ospite, un maschio ovviamente. La servitù sapeva certamente tutto o quasi ma era fidata e non potevano mai assistere a fatti troppo disdicevoli. Se il marito vedeva di non poter rientrare per la sera, telefonava e la moglie consegnava a chi le era stato indicato da lui un biglietto con le istruzioni ricevute. Pierre aveva tredici anni quando per la terza volta lo condussi al Maniero senza più celargli nulla delle cose che avvenivano. Aveva solo tredici anni ma era già un ometto, un giovanotto quasi che sospettavo mi avesse spiata in uno degli incontri col mio ultimo amante. Avevo anche altri sospetti, cose normali per un ragazzo alle soglie della pubertà. A Karen si era unita da poco la sorella, Viviana. Più giovane e bella, vedova anch’essa ma da non molto. Eravamo solo noi cinque quella sera e vidi Pierre particolarmente attento, interessato alla presenza delle due donne nude che ci servivano a tavola. Condividevano le attenzioni e la disciplina del padrone di casa. Dopo cena il marito usò su entrambe e con durezza misurata lo scudiscio leggero e le montò entrambe. Per quanto permettesse ad altri di godersi le due donne secondo le preferenze di ciascuno, amava penetrare le donne solo nel sesso. Quella sera, nel nostro salottino, Pierre, stranamente calmo, mi chiese come mai non rimanessero mai gravide e fui certa alludesse anche a me ed ai miei amanti. Gli spiegai che il padrone di casa come mio padre avevano lavorato in oriente riportando in patria dei metodi, poco noti anche tra quelle popolazioni, che permettevano di evitare gravidanze indesiderate. Metodi biasimati ferocemente dalla Chiesa e dalle leggi e pertanto tenuti segreti dalle donne che li usavano. Era pensieroso ricordo, molto pensieroso. Qualche giorno più tardi l’uomo telefonò comunicando che non sarebbe rientrato e Karen consegnò a me la solita busta. Eravamo pronti ad andare a tavola, pertanto, mi veniva comunicato, potevo punirle dopo cena, cosa che comunicai a Pierre mentre venivamo serviti. Le avrei punite nel nostro salottino dove ci raggiunsero non appena finito di riordinare. Si erano rivestite e le feci spogliare. Pierre ed io eravamo in vestaglia. Letteralmente trasecolò quando gli porsi la sferza dicendogli di colpirle. Pur arrossendo e sbiancando diede gli ordini esatti nella giusta sequenza ed evitò persino di palpeggiarle troppo a lungo come dopo mi confessò avrebbe desiderato fare. Non era del tutto inesperto con lo scudiscio, si era spesso esercitato di nascosto sul manichino della sartoria ed lo sapevo. A torso nudo colpì senza esitazioni eccessive ed abbastanza a lungo, sia pur senza la forza e la cattiveria necessaria. Notai il gonfiore ben manifesto sul davanti del pigiama. Certamente al padrone di casa non sarebbe spiaciuto. Gli feci montare Karen. Era eccitato, bramoso anzi, era la prima volta che possedeva una donna. In genere i ragazzi, troppo giovani per poter frequentare il bordello che qualche garanzia pure la offriva, facevano le loro prime esperienze con laide prostitute di strada. Avevo deciso che lui, prima del rientro a casa mia per l’inizio dell’anno scolastico, divenisse uomo con delle donne di mia fiducia. Nel vedere come l’ istinto già lo guidasse e quanto Karen e la sorella fossero liete di essere le prime sue maestre provai fastidio, avrei voluto essere al loro posto. La penetrò senza esitazioni e la montò come fosse cosa consueta. Durò ben poco nonostante i suggerimenti ed i consigli delle due. Lo affidai alle amorevoli cure delle due schiave e con mia meraviglia non molto dopo, le carezze quasi materne di Karen e Viviana gli fecero ritrovare sia la voglia che la forza necessaria a ricominciare. Per quanto eccitato questa volta montò Viviana a lungo, tanto da portarla quasi a goderne. Divenne consueto nelle frequenti assenze del loro uomo, che almeno per la parte che richiedeva la presenza di un maschio, se ne occupasse Pierre. Prima io le fustigavo secondo le indicazioni del loro uomo, ma sovente il mio pupillo svolgeva entrambe i compiti. Spesso, assente il padrone ma col suo permesso, amava farsi trasportare per il parco con il carretto cui aggiogava entrambe le donne. Io ne ero entusiasta, felice di vederlo crescere nella stima delle schiave e dei padroni. Un giorno, passeggiando, lo vidi pensieroso. Mi spiegò che quel giorno gli era venuto in mente che alla fine delle vacanze avrebbe dovuto rinunciare alle due per almeno molti mesi, sino alle vacanze successive. Fu più forte di me. Potrai avere una donna,una schiava anche a casa, gli dissi. In realtà non usavamo quasi mai quel termine. Noi tutti le chiamavamo ‘ filles o femmes particulières’. Mi inginocchiai davanti a lui e gli chiesi appunto l’onore di essere la sua ‘femme particulière’, soltanto sua però ed in segreto. Pierre, il Padron Pierre accondiscese ed io piansi facendo la mia ‘professione di fedeltà’. Da tempo lo desideravo senza osare manifestare questa mia ossessione, in quei momenti mi accorsi di amarlo. Era intimidito però e nascosti tra i cespugli presi l’iniziativa scoprendogli il pene e dandogli piacere con la bocca ed incredibilmente beandomi nel berne i frutti. Si sciolse dalle sue remore ed inibizioni nei miei confronti, mi fece alzare le gonne e con una canna mi frustò a lungo facendomi anche inorgoglire perchè mentre colpiva si complimentava con me per come stavo sopportando il dolore, con qualche gemito solamente. Per amor Vostro osai mormorare. Era la prima volta che subivo la frusta e la amai. La guardo incredula. Quella donna doveva avere almeno ottant’anni e parla di fatti accaduti cinquanta o sessanta anni anni prima…di più anzi. Quasi tutte le sere gioivo tra le sue braccia dopo aver versato lacrime, ma in silenzio, sotto la frusta. Era stata una decisione non certo improvvisa ma prima non avevo osato parlarne, trattenuta anche dalla sua giovane età e dal timore che essere sua schiava si dimostrasse intollerabile, troppo doloroso per il corpo e per l’anima. Non l’ho mai rimpianto. Non mi sono mai pentita. Solo di tanto in tanto, pentendomi però subito dopo di essermi pentita. All’inizio, poco esperto, eccedeva con la frusta. Rido della mediocre battuta della donna. Non sono certa però sia una battuta di spirito. E la signora prosegue. Dopo qualche giorno già la cosa, l’essere sua, non era più un segreto. Ben presto cominciò a darmi ordini tali da non farmi distinguere dalle altre schiave. Ubbidii da subito, in tutto, a qualsiasi ordine. Ho ubbidito per molti anni, ubbidisco ancora adesso. Quando gli anni hanno cominciato a pesarmi ho chiesto ad Odille di affiancarmi. Non fu una ricerca facile e tantomeno breve, certo però fruttuosa.

La guardo stupita ma l’altra non mi da tempo. Anch’io, racconta Odille, ho accettato volentieri. Ero una ragazzina ma senza saperlo, dentro di me probabilmente desideravo proprio quello. Forse mi ha portata a desiderarlo anche l’abile propaganda di Claire. Quando mi fu chiesto di appartenergli dissi subito di si e mi ha avuta che ero intatta. Ora ti chiedo ti chiediamo anzi, se vuoi affiancarmi. Ovviamente sono anch’io una schiava e lo sarai anche tu. Una vera schiava, non i giochini di adesso. Anche se ormai si usa più discrezione e certe usanze, le più dure come i marchi a fuoco sono tramontate, è una vita dura, credimi. Dura ma esaltante. Solo una autentica masochista come sei tu e come siamo noi può godere a fondo, con tutta se stessa di una simile situazione. Se lo ami tanto da accettare, sarai una delle sue schiave, per ora noi due sole, poi chissà, solo Lui può decidere.
Se rifiuti sarai rimandata a casa e non vedrai mai più nessuna di noi. Non rivedrai neppure Lui ovviamente. Non è neppure immaginabile! Accetto senza esitazioni.

Il Padrone doveva restare a ‘lavorare’ tutto giugno quindi parto con Odille diretta al Maniero. Altro non so. Sono tesa, ho paura della novità che ho accettato liberamente ed alla quale non oso neppure pensare di sottrarmi. Rinunciare a Lui no, non posso nonostante l’ansia che mi stringe il petto. Chissà, se saprò imparare ad amarlo io…Io cosa? Non volevi neppure pensare di essere innamorata ed invece lo sei come una pera cotta. Posso sempre però decidere di andarmene… Persa in questi pensieri non bado a nulla. Tornare al presente, alla realtà non è facile, guardo la mia compagna. E’ bella Odille nonostante i suoi quasi cinquant’anni. Palestra, farmaci e chirurghi estetici fanno meraviglie aveva detto di fronte ai miei dubbi sulla età sua e di Claire. Ma gli anni ci sono, aveva soggiunto quasi a malincuore. Mi stanco facilmente e se vengo punita un poco duramente fatico a riprendermi, ci impiego molto più che un tempo e sono anche meno agile, pensa, mi chiamavano ‘Vipera’, prima o poi saprai il perchè, comunque quegli anni sono passati Noi schiave non fumiamo, e neppure beviamo alcoolici se non per far compagnia ai Padroni. Si interrompe per fare attenzione alla strada e mi guardo attorno. Ai Padroni, ha detto. Karen e Vivana erano godute dal padrone della prima e la sorella aveva accettato il cognato come Padrone…ma venivano date ad altri uomini…il mio Padron Pierre ad esempio. Mi chiedo se… Odille riprende a parlare. Mi piace stare in compagnia di Odille, ascoltare i suoi ricordi, le sue vicissitudini. Ha persino tirato il carretto. E’ invece inutile cercar di sapere qualcosa sul Maniero. Vedrai è l’unica cosa che dice. Abbiamo un Padrone che ha dato degli ordini. Tra questi uno mi vieta di dirti cosa succederà. Devo preoccuparmi, le chiedo? Ride. Stacca la destra dal volante e mi carezza il dorso della mano che tengo posata sul ginocchio. Sa essere molto dura, lo so, ma spesso come adesso è infinitamente dolce, materna. Preoccuparti? Certo, un poco, solo un poco…e poi ti piacerà, vedrai, ne sono sicura. E’ un mondo fatato, meraviglioso, in cui perdersi è facile e dolce. Il mondo di chi ama l’adrenalina, le sensazioni forti. Una decina di minuti di silenzio perchè attorno ad un centro abitato c’è traffico. Ed io, dovrò…con altri uomini… Sono stata nei teatrini con delle donne, mai con uomini. Tranne Lui ovviamente. Non oso chiedere niente. Adrenalina e sensazioni forti. Non sono certa di capire. Il traffico diminuisce, continua per piacere, dimmi di quando hai conosciuto il Padrone e lei ricomincia con i suoi ricordi. Lo avevo visto qualche volta, alla lontana ma eravamo imparentati ed in certe ricorrenze capitava di incontrarci. Lui però era un uomo, un adulto ed io una bambina. Quando divenni una ragazzetta cominciai a vedere sempre più spesso Claire ma più raramente il Padrone, non volevano suscitare pettegolezzi. Lei però lo metteva in buona luce parlandomene spesso ed in termini molto elogiativi tanto da farmi supporre che ne fosse innamorata. Un giorno lo guardavamo mentre montava a cavallo per poi allontanarsi. E’ magnifico, non trovi anche tu? Si, è veramente magnifico risposi. Un uomo, non un ragazzo come i miei compagni e allontanandosi si girò con un cenno di saluto. Ad entrambe o solo a Claire? A lei soltanto pensai ma per la prima volta lo sguardo di un uomo mi turbò facendomi sentire donna. Sentii anzi il mio ventre contrarsi ed esistere, tanto che non osai tenere lo sguardo fisso su di lui o girar gli occhi verso di Lei. Temevo leggessero dentro di me, capissero cosa provavo. Claire aveva già messo alla prova la mia discrezione ed avevo sempre superato tutti i suoi esami, a pieni voti. E’ il mio amante, disse allora. Mi fido di te, proseguì. Lui già mi interessava, forse anche per la simpatia che Claire gli dimostrava ma cominciai a guardarlo con occhi diversi. Ne sapevo ben poco di cose di sesso, ma se lei che ammiravo sopra ogni altra cosa al mondo si era innamorata e data a lui, quell’uomo doveva essere per forza il più amabile ed adorabile degli uomini, simile anzi ad una antica divinità. Una giovinetta queste cose le pensa od almeno le pensava allora. Non pensavo certo di toglierlo a lei, lo ammiravo, forse già lo amavo senza accorgermene o forse in cuor mio già lo sapevo celandolo a me stessa. Ero giovane e prigioniera delle convenzioni…una povera sciocca ragazzina. In realtà non sapevo cosa pensare, desiderare o fare, non capivo, ma le confidenze di Claire si facevano sempre più aperte ed esplicite ed io arrivai a trovar logico che amandolo lei accettasse di soggiacere alla sua volontà. A prima vista era una situazione normale. In tutte le coppie il marito comandava e la moglie ubbidiva. Capii poi dalle sue confidenze che non era la consueta sottomissione di tutte le donne. Erano amanti ma non si limitavano a quello. Realizzandolo sentii il mio mondo andare a gambe all’aria. Claire andava oltre la sottomissione che si considerava normale. Piccoli particolari all’inizio, sempre più dettagliati, sempre più osè. Lei era la parte debole e sottomessa della coppia, sottomessa oltre ogni limite. Non sapevo esattamente come ma sapevo che era quello il loro menage: lei lo amava e lui ne era il Padrone, gli ubbidiva in tutto. Persino, mi disse una volta fissandomi insistentemente negli occhi, oltre, molto oltre ogni limite di decenza e decoro. Andò in seguito anche oltre nel accontare la sua vita con Lui. Ero una signorinetta quando divenni sua ospite. I miei genitori partivano per l’oriente, sarebbero stati assenti per anni ed allora i viaggi erano lenti e costosi. Ci scrivevamo ma li vidi solo una volta durante il lungo servizio di papà oltremare. Dovendo frequentare scuole che dove erano diretti mancavano completamente, venni affidata a lei. La imitavo in tutto, accettavo da lei ordini e punizioni in caso di un voto non all’altezza o per qualsiasi altra cosa ritenesse imputarmi. Scapaccioni prima, i diversi tipi di frusta in seguito. Divenni comunque la sua amante poco tempo dopo essere giunta nella sua casa. Fu semplice, mi chiamò un pomeriggio nella sua camera e mi prese con la semplicità con cui si raccoglie un fiore in un giardino. Non pensai neppure di oppormi. Mi abbracciò, mi baciò e lasciai mi abbracciasse e baciasse. Mi fece stendere sulle coltri e lasciai mi spogliasse. La amavo, certo, ma erano le vestigia restanti della precedente passione giovanile, quando Claire era la persona più bella e grande della terra. La amavo ma sopratutto ero presa di Lui. Lo seguivo ovunque potessi, non sapevo staccare gli occhi dalla sua figura. Cercavo di spiarli nei loro amori. Lo sognavo persino e tra le braccia di lei immaginavo di abbracciare e baciare Lui, di essere carezzata da Lui, che fosse Lui a legarmi e battermi. Ero solo una patetica ragazzina. Divenne normale l’impensabile: servirli vestita di tutto punto all’inizio, nuda poco tempo dopo, assistendo ai loro amori, ai giochi erotici, alla vegogna di Lei che in ginocchio sul letto si faceva prendere contro natura o gli dava piacere con la bocca. Ne andava fiera. Davanti a noi Lui possedette una bella e giovane contadina stupita della nostra presenza. Quelle non contano, le disse nel forzarle le reni non assuefatte al membro maschile. La consolammo noi due. Quando mi chiese se avrei voluto essere anche l’amante di lui. Lui ti vuole, vuole averti come già ha me, ho accettato immediatamente. Nessuna perplessità, nessuna remora. Se Claire si inginocchiava in ossequiosa sottomissione, se nei loro amplessi peccavano contro natura, se si faceva battere per amor suo, certamente potevo farlo pure io, lo desideravo anzi, e col tempo amai essere battuta da Lui o per Lui. Ho ben presente lo splendido mattino di fine estate in cui mi fece donna. Ricordo la paura ed il desiderio. Temevo il dolore di cui tra ragazze si parlava a vanvera. Temevo di non piacergli, mi ritenevo brutta e magra. Un gemito ed ero donna. Nessun piacere, eppure ero felice. Ero la sua amante. Quando i miei tornarono dopo cinque anni ero da poco maggiorenne e con un piccolo peculio ereditato. Poco dopo mi sposai. Lui mi aveva trovato il marito adatto, un uomo che non ci avrebbe infastidito. Ci vedevamo solo nelle grandi occasioni della famiglia, ma la coppia ben presto si sciolse. Lui tornò in patria ed ottenne il divorzio come previsto. Festeggiammo l’avvenimento a letto, insieme tutti e tre. Ero finalmente libera di appartenergli. Ormai da tempo ero una giovane schiava sottomessa. La sua schiava devota.
Quella estate tornammo al Maniero che da anni frequentavo come amante e schiava di Lui. Vi tornavo come schiava soltanto.

Siamo arrivate a metà pomeriggio e all’inizio ne resto delusa. Una palazzina tenuta solo discretamente bene, ma anche con una bella pulizia della facciata non avrebbe reso onore al nome. Maniero mi aveva suggerito un antico palazzo fastoso ed appariscente non certo quella villa da poco, solo vecchiotta e malandata. Qul nome stonava un poco anche con il parco, notevole come estensione ma non abbastanza curato. Tre cameriere in grembiule e cuffietta si precipitarono salutandoci con un formalissimo inchino fuori del tempo e senza una parola si impossessarono del bagaglio mentre due ragazze, una giovane, l’altra giovanissima si avvicinarono a noi sorridenti. Odille, Karen, mia cara. La ragazza bionda e Odille si abbracciarono mentre l’altra, una deliziosa morettina stava un poco intimidita in disparte. Questa è Glicine allora, vieni cara che ti abbracci. Ne sono un poco stupita, non ci siamo mai viste ed è molto più giovane di me, vent’anni e non di più, nondimeno la abbraccio. Entriamo e già all’ingresso noto la differenza con l’esterno. Le vecchie tavole di legno del pavimento sono lucide da far rabbia ed ogni particolre dell’arredamento è perfetto. Veniamo subito fatte salire ed accompagnate al nostro appartamentino dove le cameriere aspettavano con il bagaglio. Due camere da letto, un salotto ed il bagno. Odille si immerge nella vasca, io faccio la doccia. Che le cameriere vadano e vengano dal bagno per riporvi le nostre cose ci lascia indifferenti, stanno sistemando le altre nostre cose nei cassetti, dice Odille. Si cena presto. Nel sedere a tavola immagino il mio Padrone, da bambino, guardare stupefatto ed incredulo quello che io stessa vedo stentando a credere ai miei occhi ed alle mie orecchie. La piccola Anna, superba nella sua impudica nudità dichiara ad Odille che da quel momento sarà al suo servizio. Giorno e notte sottolinea con appena un lieve rossore. La signora Karen sostiene, e le credo, che sono fortunata ad avere una maestra come Odille. Tu, Glicine, prosegue la bionda e bella Karen, hai la tua camera vicino a quella di Odille ma cureremo insieme la tua educazione. Obbedirai in primo luogo a lei comunque, dice Odille e nel dirlo fa un leggero inchino in direzione dell’altra. Io, prosegue la mia ‘sorella maggiore’, ovviamente sarò soggetta alla autorità della Padrona di casa. E ‘ la ‘regola’ ma noi tutte ci avvarremo della tua esperienza. E’ stata anche la mia Maestra prosegue come lo sarà della mia sorellina. Questo non è un ‘teatrino’ mi dice Odille mentre ci sediamo ai nostri posti, questo è il mondo reale, per noi esiste solo questo mondo. Questa sera sarai una ospite ma domani sarai la schiava Glicine. Non fatico ad ‘entrare nella parte’. Anche se il futuro mi fa paura temo ancora di più la mia vita senza di Lui. Non stacco gli occhi dalla piccina, Anna, incredibile ed anche…discutibile. Serve a tavola tutta compunta. Mentre mesce il vino ad Odille noto che le natiche troppo magre portano segni indiscutibili di qualche colpo di scudiscio. Colpi leggeri o di giorni prima ed in via di completa guarigione. Guardo meglio mentre è china a raccogliere qualcosa e nascosto dalle due mezze meline, indiscutibile quanto i segni della sferza, vedo spuntare qualcosa. Non ne sono certa, eppure sembra proprio un dildo. Un attimo di pena per lei, è così giovane, tenera quasi… Le due sorelle servono a tavola ugualmente nude ed in silenzio, bellissime e desiderabili. Non ho mai desiderato una donna ma… Sono splendenti di giovinezza. Più tardi un servo fa inginocchiare le due. Usa un corto scudiscio e monta la bionda Karen mentre un secondo frusta la sorella usandone poi la bocca. Mentre aspettiamo in salotto che ci raggiungano sono tanto sciocca da chiedere se sul serio siano due servi. Odille si fa seria. Devi imparare ad essere più prudente. La tua domanda ed il tono con cui la hai fatta potrebbe far credere che noi, schiave, siamo troppo orgogliose per essere allenate, punite o a qualsiasi titolo date ad un servo. Tace un attimo. Il Padrone può importi qualsiasi cosa…Noi possiamo solo ubbidire. Diversamente, sai tu cosa puoi fare. Andartene, oppure restare, seguendo però le regole del posto. Dovrai…ma siamo appena arrivate, domani comincerai l’addestramento, solo domani. Sei una ospite per questa notte, se vuoi puoi chiedere a Karen di farti compagnia. Io mi terrò Anna. Alla fine dormo da sola. Ne sono sollevata, un conto è fare la parte della servetta tra le mani di donne vogliose, un conto…io non sono lesbica.

ALTRI RACCONTI DI ‘CHIODINO’ SU: I RACCONTI DI MILU

E’ giovane… ma grande abbastanza.
Farsi scopare da uno schiavo, mai!
Gallina vecchia.
I sogni muoiono all’alba.
Il Circolo dei ‘Bastard’.
Incubo?
La bella estate quando divenni uomo.
La mi cagna da riporto.
Lei e Lui, Lei e Lei, Lui e Loro.
Mi piacciono i culi, tutti i culi, rigorosamente femminili.
Padrone di schiave per forza?
Quattro uomini per una signora (Gli Dei vogliono risorgere).
Schiava o puttana? Schiava e puttana.
Tutto per i miei bambini. Dieci giorni. Circa dieci giorni. Da subito ho perso il senso del tempo e non ci sono calendari in questa parte del Maniero. Il trascorrere del tempo non deve interessarci, non vogliono, almeno credo, ci interessi. Non mi interessa più di tanto, in effetti. Non ti ho chiesto fino ad oggi cosa pensi di questa tua nuova vita, mi dice Karen. Me ne meraviglio, sta parlando con la sorella ed una donna che è arrivata poco fa. Bella, giovane, sottomessa forse ma con occhi assai vivaci. Non so, non ci ho pensato molto, rispondo, ma in realtà non voglio raccontare alle due sorelle cose che ritengo solo mie, tanto meno alla presenza di questa sconosciuta. Va bene, continua Karen, questa è Tessy, dovrete fare amicizia. Quel ‘dovrete’, pur pronunciato con voce normalissima, non lascia dubbi. Oggi puoi riposare cara Tessy, ma domani avremo ospiti importanti. Tu, prosegue subito dopo, falle compagnia e ascoltala. Di nuovo non è un blando suggerimento ma un ordine ben chiaro diretto a me. La seguo nella sua stanza, piccola ma graziosa dove un gran letto occupa troppo spazio come nella mia. Un simbolo forse, ma in questi giorni sono stata a letto solo con Odille, Karen e sua sorella Anna. Mai con Ospiti. Solo Ospiti speciali poi vengono ammessi a questa palazzina, Il Maniero vero e proprio, la residenza di famiglia in un certo senso. E’ una frase che ho sentito pronunciare qualche sera fa mentre servivo a tavola ed appunto c’era una coppia di ospiti ‘speciali’, marito e moglie non più giovanissimi che non mi hanno degnata di uno sguardo.

E’ bella, molto bella, ben fatta, proporzionata. Alta quanto me e rossa di capelli, rossa naturale direi, perchè ha persino qualche efelide sul viso che le dà un’aria sbarazzina. Si libera degli abiti in un attimo e sbuffa soddisfatta. Dai, spogliati anche tu. Ti chiami Glicine se ho ben capito, di chi sei? Del Dottore, rispondo dopo una piccola esitazione. Emette un sibilo, mi fissa un attimo, il Dottore, dice quasi con reverenza, caspita, e sei una schiava come me o la sua amante? Non lo so, rispondo, non ne sono certa. Credo la sua schiava. Se la mia ignoranza la meraviglia non lo dimostra. Facciamo la doccia e poi mi vuole nel letto. Non mi meraviglia e non mi disturba. Mi spiega che dovendo quasi di certo occuparci insieme dei Clienti Vip, dobbiamo conoscerci. E’ molto dolce Tessy, la giornata non caldissima rende i nostri abbracci ancora più piacevoli, bacia e prodiga carezze di volta in volta con dolcezza infinita o con…frenesia famelica. Mi abbandono, le abbandono la bocca e tutto il mio corpo fin quasi ad urlare di piacere e lei ansima quando a mia volta le do piacere. Compaiono dei nastri colorati con i quali con dei nodi a gala, unisce separatamente i miei polsi alla testata. Potrei liberarmene come e quando voglio ma non lo voglio. Mentre succhia le mie labbra, mentre morde con qualche durezza i capezzoli o li torce, sempre mi carezza, più spesso l’interno delle cosce salendo sempre più su, fino alla fessura ed all’orifizio che penetra prima con un dito, poi con due, abbandonandolo per titillare il mio cazzetto, stringerlo fin quasi al dolore per poi raggiungerlo con le labbra, carezzarlo con la lingua, suggerlo, morderlo. Quasi urlo quando si scosta e sorride scuotendo il capo. Di nuovo si dedica a me finché mi abbatto incredula, quasi singhiozzando. D’improvviso mi schiaffeggia i seni, con forza, ripetutamente. Ai primi colpi per la sorpresa cerco di sottrarmi, un poco mi lamento poi riesco a serrare i denti. Trattengo persino i gemiti quando torce i seni ed i capezzoli molto più rudemente di prima. Grido ancora e di piacere, rantolo quando ripete l’exploit precedente, portandomi ancora a godere con le mani e la bocca. Ora si è accesa una sigaretta, fuma e crea anelli di fumo in cui inserisce, prima che svaniscano, la sigaretta stessa. Facendo così, una volta i clienti dei bordelli, chiamavano le puttane, dicevano di aver voglia di chiavare, mi spiega. Subito dopo, senza quasi interrompersi. Sai chi sono state la mie maestre? Per quanto ancora persa, scuoto il capo. Oh, Tessy voi…mi blocca subito. Siamo entrambe schiave e solo schiave, ci daremo sempre del tu. Comunque ho avuto due maestre che dovresti conoscere bene. Claire ed Odille, le schiave del tuo Padrone. So che Odille ha dovuto partire appena arrivata. Peccato. Ne conosci per caso la ragione? No. Mi ha svegliata di notte per dirmi che doveva assentarsi, che non sapeva se e quando sarebbe tornata e di ubbidire alla Signora della casa che neppure so chi sia. Capisco, a noi non dicono mai niente. Noi ubbidiamo e basta, continua poi. Ubbidiamo e siamo felici di ubbidire. E’ l’attimo in cui avverto la bellezza di essere legata, impotente, nelle mani di altri. Ne sono anzi infinitamente lieta, serena, non ho nessuna paura. Può farmi quello che vuole, di certo mi piacerà, anche se non subito magari. Vorrei dirglielo; non oso ma è quello che provo ora. Sembra però mi legga dentro. Odille mi preparò per Claire come ora sto preparando te e ne sei…felice? Più che la parola ‘si’ dalla gola mi esce un sospiro. Mi preparò bene, Claire sarebbe stata una specie di esaminatrice e ho superato l’esame. E’ stata la seconda volta ma anche l’ultima che la vedevo.
Allora come adesso era molto costoso essere ammessi come ospiti alla Magione. Mio fratello mi parlava da tempo di questo posto. Ero una ragazzina, lui invece aveva già più di vent’anni. Gli omosessuali non erano ben visti, peggio che adesso, ma se pagavano entravano. Io fui l’abbonamento estivo per lui ed il suo amico per due anni. Loro stavano in una delle dependance, io qui. Siamo molto simili tu ed io, identiche quasi. A te piace essere legata, essere vittima, avere un padrone, ubbidirgli. Devo dire che mio fratello esitò a lungo prima portarmi qui e di vendermi alla casa. Forse voleva di più in cambio. Dovetti supplicarlo, nonostante qualcosa sapessi od almeno intuissi, credevo anzi peggio, molto peggio, ma era l’unico modo per sfuggire a quanto altrimenti sarebbe stata la mia vita. Ho scelto bene, non me ne sono mai pentita. Non molto spesso almeno e non troppo. Certo le prime volte in certe situazioni…e lo scudiscio fa male sempre. I dieci anni del mio impegno scadono tra qualche mese comunque, ma certo non intendo cambiare vita. Sciogli i nastri, lo puoi, lo hai sempre potuto fare. Esito ma sciolgo i nastri, la abbraccio. Questi nodi in effetti ti legheranno per sempre anche quando materialmente, come ora non ci saranno più. Ha ragione, lo sento e ne sono certa, non sbaglia. Il perchè però mi sfugge. Continuiamo a parlare, mi fa molte domande. Il Padrone mi ha ordinato di dire tutto, di non nascondere nulla. E’ piacevole raccontarle tutto della mia vita, del mio amore, del mio sprofondare felicemente nei dolori e nella vergogna della sottomissione.
Ho veduto Claire solo due volte, prosegue lei. La Signora del Maniero mi affidò a loro poco dopo il mio arrivo. Senza dire una parola mi denudarono, facendomi sedere sul divano della saletta. Fece tutto Claire. Poi lentamente mi fecero capire il piacere di essere nelle loro mani. Mi fecero impazzire. Per tutto il tempo della cena, sia pure sotto il controllo delle due, i commensali potevano dedicarmi qualche carezza. Per qualche notte dormii con Odille…poi cominciai il servizio, ma solo dopo la approvazione di Claire. Comunque ero ancora ‘virgo intacta’. Si, mi fecero capire la fortuna di essere donna, mi fecero desiderare il momento in cui sarei stata fatta donna, spasimai per ogni secondo di quella attesa. Pur nella mia giovanile inesperienza ed ingenuità ero certa che avrebbero venduta la mia verginità a caro prezzo. E’ quello che di solito avviene ancora adesso quando arriva una vergine. Decisero di agire diversamente. Me ne meraviglio pur senza dire nulla, ma Tessy sa leggermi dentro, lo ho capito subito ed in questo caso poi il mio sbalordimento penso sia palese. Non sono sicura della ragione o delle ragioni. E’ venuto od hanno chiesto venisse per questo, il Dottore, il tuo padrone, il mio anche, almeno in un certo senso. Lo vidi sin dall’inizio come la mano che per sempre avrebbe impugnati i nastri con cui sin dall’inizio mi avviluppò i polsi. Mi sono sentita sua fin da quando l’ho visto e mi ha salutata baciandomi la mano mentre mi sollevava da terra, dove l’avevo atteso in ginocchio e completamente vestita. Mi ha condotta in giardino per una breve passeggiata. Subito si inginocchiò davanti a me legandomi un nastro ad ogni polso. Li unì ed iniziammo a camminare in silenzio, talvolta fianco a fianco, talvolta preceduta da lui per quanto la lunghezza dei nastri lo permettesse. Più tardi uno spuntino. Fu estremamente galante ma rispettoso. Non avrebbe potuto esserlo di più nel giardino di mia madre. Solo più tardi, nel mio salottino, mi chiese di mostrarmi a lui. Sapevo cosa volesse dire e lo feci con gioia, senza vergognarmene, senza pudori. Sei bella mi disse, ti voglio, ora, subito, in ogni modo un uomo possa possedere e godere di una donna, della sua donna. Sono le sue parole esatte, non le dimenticherò mai. Un lungo volo nel cielo, sempre più in alto ad ogni sua carezza. Un gemito appena, più sorpresa che dolore, quando mi ha impedito di essere, da quel momento in poi, chiamata fanciulla. Ero una donna infine e fiera di esserlo. Ha chiesto, nota bene, ha chiesto, che accettassi di dargli piacere come fossi un ragazzo. Ti farò male, almeno un poco e di certo il dolore sarà molto minore se ascolti e segui i miei consigli. Niente creme però, intervengo io. Tessy ride. Tu, la prima volta con lui, come è stato? Tutto gentilezze o duro e spietato come dicono sappia essere? Probabilmente ancora più duro, volgare e spietato di quanto dicano, ma te lo racconterò un’ altra volta, vai avanti, ti prego, muoio di curiosità. Va bene. Non avevo termini di paragone, ma mi sembrò il suo, un attrezzo spaventoso per il mio buchetto. Ma ti aveva fatta donna poco prima! Vero, risponde lei, ma prima non ero sulla terra, ma in cielo. Adesso invece ero ben presente a me stessa ed avevo paura. Via tutti i i cuscini vengo messa a pancia sotto. Mi sembrò ovvio. Meno ovvio che mi entrasse di nuovo ed a lungo nel sesso, dentro di me speravo avesse cambiato idea. Ora che la mia femminilità rispondeva emettendo i sui umori benedetti, l’attrezzo, lo chiamavo così e spesso lo chiamo ancora così, cercava il buchetto, lo umettava aiutandosi anche con le dita. Credimi, torno spesso a quelle ore, a quei giorni. Fai quello che ti ho detto. Il glande obbliga l’ anello di carne ad allargarsi, ad accogliere il suo padrone. Niente giochini dentro e fuori, una spinta costante e quando serviva un colpo di reni delicato. Mi sentivo lacerare, faceva male, me ne sentivo oltraggiosamente invasa, credevo ne sarei morta persino. Non lo sapevo ma ero strettissima, lo sono tutto sommato ancora adesso. Aggiungi la paura, il peccato contro natura e tutto il resto. Pensa a quel che dice la morale corrente e dieci anni fa era ancora peggio. Sono tutto dentro di te cara, un attimo di pazienza. Riesce ad infilare la mano tra il mio corpo e le coltri e carezza come può la fessura. Senza grandi risultati a dire la verità. Ora però sono meno oppressa dall’intrusione, meno…piena, la sua presenza è meno lacerante, sempre meno…Seguendo le sue indicazioni, uniti, impalata anzi, ci spostiamo sul fianco sinistro, lo saprai, lo hai certamente…faccio segno di no perchè la sua descrizione mi eccita dolcemente, mi piace ascoltarla, vai avanti, le dico, continua per piacere. Probabilmente a Tessy piace raccontarmelo anche se, secondo lei, sono cose che normalmente, tiene per sé. E’ nata tra noi, da subito una strana ed innaturale fiducia spontanea… Continua Tessy, tesoro, continua. Per incitarla, istintivamente o per il gusto che ne provo, sfioro le labbra carnose e naturalmente quasi rosse, le carezzo il seno, stringo il capezzolo impegnando al massimo la mia scarsa arte in materia, ma basta. Cara, cara…Posata sui gomiti sopra di lei, sovrastandola, le tengo il palmo delle mani sotto il capo, sei mia le dico prima di chinarmi a baciarle le palpebre chiuse e le labbra già schiuse in attesa. Muovo il busto e le spalle per sfregare i seni sui suoi. Una frustata mi trafigge i lombi, non mi interesserebbe nient’altro, forse crollasse la casa separandoci… Un braccio mi avvinghia la schiena, in alto, l’ altra preme convulsa sulle natiche. Vuole sentirmi più vicina, forse quasi dentro di lei. Io, sia pur per un attimo pazzo vorrei avere tra le gambe di che soddisfare questo impulso. Sciocchezze. Siamo femmine, felici e fiere di esserlo. Un suo ginocchio tra le mie, le vulve si cercano, si sfiorano solo…la mia mano invece…e poi anche la sua…sono sopra di lei, mi fa quasi male il collo in quella innaturale posizione, la fronte premuta sul lenzuolo…mentre il calore monta, scalda le viscere, sale al cuore facendolo impazzire e quasi bloccando il respiro. Soffiamo il nostro piacere quasi contemporaneamente. Stese di traverso sul letto, di uovo fianco a fianco, ansanti e felicemente esauste. Credo di avere ben poco da insegnarti mia cara e dolce Glicine. Scuoto appena il capo, incredula, scossa ancora di tanto in tanto da brividi sempre più leggeri. Non è mai stato così bello, entusiasmante. Cerco un termine adatto, ecco, travolgente. Poi, timidamente, con una voce quasi roca: credo sia stato il mio primo orgasmo. Tessy, sollevandosi su un gomito mi fissa seria seria. Sul serio? O poverina…Se hai la mia età era ora. Vedremo di fare in modo che la cosa si ripeta spesso, molto spesso. Siamo entrambe spossate, un caffè, Tessy lo apprezza ed ha con sé tutto il necessario, una doccia, lunga ed apprezzatissima e di nuovo sul letto di cui abbiamo cambiato le lenzuola…Abbiamo tempo dice lei, lentamente ci addormentiamo ed al risveglio di tempo non ne abbiamo più. Cosa rispondo a Karen se chiede cosa abbiamo fatto…Mi blocca ridendo birichina. Abbiamo studiato, ovviamente, fatto scuola, e che altro! Sono io a ridere questa volta. Sono felice.

Cara lettrice, scrivendo, mi è sempre difficile esprimere, quando la situazione lo richiede, quelle che possano essere le pulsioni ed i pensieri di una di voi. Cosa possa pensare e sentire cioè una donna, magari sposa fedele e madre affettuosa nel sentirsi corteggiata con garbo da un uomo non spregevole. Cosa può pensare nelle mille situazioni in cui una donna può venirsi a trovare. Per questo ho abbozzato questo spunto. Per far capire con un semplice esempio questa mia difficoltà.
Vorrei entrare in contatto con una donna, che non vedrò mai, con la quale dividere alla pari onori ed oneri per la composizione di qualche lavoro. Ne decideremmo insieme la trama e collaboreremmo alla sua redazione. Alla pari, senza conoscerci se non via internet. Se la cosa apparisse troppo impegnativa potremmo discutere e trovare forme di collaborazione accettabili ad entrambi.
Posso essere contattato tramite Milu e conservereste il vostro completo anonimato. Sempre su Milu sono presenti una quindicina di miei scritti per eventualmente farvene una idea.
Speranzoso
Chiodino.

I RACCONTI DI ‘CHIODINO’ SU: I RACCONTI DI MILU
Padrone di schiave per forza?
Io, gigolò a settant’anni
E’ giovane… ma grande abbastanza.
Farsi scopare da uno schiavo, mai!
Gallina vecchia.
I sogni muoiono all’alba.
Il Circolo dei ‘Bastard’.
Incubo?
La bella estate quando divenni uomo.
La mia cagna da riporto.
Lei e Lui, Lei e Lei, Lui e Loro.
Mi piacciono i culi, tutti i culi, rigorosamente femminili.
Quattro uomini per una signora (Gli Dei vogliono risorgere).
Schiava o puttana? Schiava e puttana.
Tutto per i miei bambini.
Sedotto.
Le mie bambine ed uno, rapite, addestrate per… Sono appena arrivate e prepararle sarà un lavoro lungo per la nipote di Lisetta che è sola. Penso alla lettera di Glicine, una vera lettera di carta con il francobollo sulla busta. Pensarla mi riporta indietro ad un anno fa quando ancora non la conoscevo ed invece conoscevo Marta. é per avere il tempo necessario con Marta che ho mandato Glicine al Maniero come son tornati a chiamarlo. Li, la spezzano o diventa quello che voglio, una schiava, una schiava completa. Anche Maria ora lo è o lo sta diventando.
Appunto circa un anno fa ho visto per la prima volta Marta. Peggio che brutta, deplorevolmente insignificante, un niente. Apparentemente piena di soldi però e mi faceva comodo prenderne la maggior parte possibile. Fin dall’inizio è stata tassativa ed ha preteso di scopare soltanto. Si stendeva sul letto ad occhi chiusi e con le braccia poco discoste dal corpo. Alta senza esagerare, aveva un corpo normale ed i lineamenti normali. Era deplorevolmente normale ed insignificante. Facevo fatica a farmelo diventare duro e scoparla. Non si muoveva non sembrava neppure avvedersi di avermi sopra. Pochi preliminari inutili, le venivo dentro e lei all’ora convenuta si lavava e partiva. Poco per volta ha però cominciato ad apprezzare, a dire qualche parola, persino a provare a sorridere diventando anche una pompinara notevole ma niente di più. Neanche parlarne di farle il culo o di usare lo scudiscio. Ora parlavamo, ero io a raccontarle quello che succedeva da me. Lei ascoltava e rideva. Ero tutto preso di Glicine quando si verificò la svolta. Due clienti molto esigenti per le quali mi necessitava un ‘tiramisù’ avevano dato buca. Lei era stata fatta salire vestita, senza la consueta messa in scena e senza essere preparata perchè Lisetta, la cameriera, doveva andarsene per una commissione importante per me. Dalla borsa di lei cadono delle immagini. Lei, nuda su un divano con due splendori di ragazze a fianco sul divano nude altrettanto. Le altre immagini tolgono ogni possibile dubbio. Vado a prendere la seconda parte del ‘tiramisù’, bagno le mani ed il cazzo con un liquido che si asciuga rapidamente e torno a stendermi. L’amico, un medico ricercatore che mi cura da moltissimi anni, sostiene che posso usarlo due volte la settimana in dosi anche maggiori di quella odierna, ma va bene anche così, mezza dose una volta ogni tanto. Eccola, arriva. E’ forse un poco migliorata, sorride persino. Stai meglio, le dico, con i capelli pettinati così. Li ho anche tagliati, risponde con un sorriso appena accennato. Mi tira da morire, è la prima volta che uso il liquido mirato a far eccitare lei, un farmaco per contatto che non dovrebbe avere nessun effetto sul maschio, mi sembra però me lo faccia gonfiare a dismisura. Marta, ad occhi chiusi e nella consueta posizione aspetta. Ho il cuore in gola, il cazzo mi pulsa, temo quasi mi venga un ‘coccolone’, ma scoperei anche sua nonna in questo momento e la raggiungo. Il medico mi ha suggerito di cercare di eccitarla bene prima di penetrarla e di stare poi qualche minuto fermo dentro di lei per far agire il farmaco che deve eccitarla, quello con cui ho bagnato le mani ed il cazzo. Carezzala dappertutto, ha suggerito, la gola, le tempie, la fica. Ha un autentico bosco ma la carezzo, carezzo i seni, la gola il ventre. La sgrilletto e la faccio bagnare. Ha la fica stretta, nervosa quasi, nondimeno ormai mi accoglie senza difficoltà ed anzi, emette un leggero sospiro di piacere già all’inizio. Poi resta però immobile come un ciocco. Il glande si apre lentamente la strada ed entro fin che posso, senza difficoltà. Marta sta serrando i pugni, null’altro. Mi fermo, la carezzo a lungo stando sopra di lei, Ficcale un dito in bocca e poi nel culo se puoi, ha detto il dottore. Posso provare in bocca. Lo passo sulle labbra, lo sfrego sulle tempie, ancora sulle labbra che con mia meraviglia schiude per succhiarlo, poi solleva il viso, incredibilmente sorride, non so neppure quanto sia stato fermo dentro di lei, ora la sto chiavando, piano, dolcemente, e per la prima volta mi piace. Per la prima volta con lei mi abbandono alle mie fantasie e mi lascio trasportare dall’istinto che mai o quasi mai sbaglia. La monto con foga, poi mi trattengo, ora è l’oggetto del mio piacere più sfrenato, poi quasi mi blocco. Ha come sempre gli occhi chiusi ma ansima un poco con le narici dilatate, poi geme, freme. In modo quasi impercettibile, è vero, ma non era mai successo prima. Esco dalla sua tana per la prima volta così calda ed accogliente, la fisso un attimo e bacio le labbra finalmente morbide, posso giocare con la sua lingua che risponde al gioco. Di nuovo sono nel suo ventre e lei geme e sussulta, di nuovo, più di prima. Esulto. Sei la mia schiava le dico mentre percepisco il suo piacere crescere sempre più. Questa volta badando a quel che faccio la porto tra le nuvole, è prossima a godere, freno, ricomincio, più volte, sempre più vicina a quel piacere che mai ho saputo darle e forse non ha mai raggiunto. Si torce poi si abbandona un attimo. Esplode in un parossistico ruotare continuo del capo mentre batte le mani ed i talloni sul lenzuolo. Mugola, grida poi, inarcando la schiena, incapace di trattenersi. Sei mia le ripeto. La stringo a me, la penetro di nuovo e poco dopo di nuovo geme, si torce, grida. Riesco a stento a trattenermi, ma lo stesso è squassata da orgasmi ripetuti. Sei la mia schiava le ripeto per la terza volta e Marta ora si stringe con parossistica violenza a me in un ultimo orgasmo che sembra annichilirla. Sono vostra, la vostra schiava, mormora piano. Grosse lacrime rigano il suo volto. Siete il mio Padrone, potete , potrete…non va oltre ma solleva gli occhi alla panoplia che mostra le fruste. Ho paura, si, lo so, devo…un’altra volta? Per piacere…

Non devi gridare le ordino, guardandola ed esultando per la vittoria. E’ la schiava meno resistente allo sverzino che abbia mai frustato, geme e grida troppo presto, prima del decimo colpo. Non importa, La pongo sul letto ansante e piangente e la chiavo ancora, a lungo e lei si perde completamente di nuovo. Questa volta ha i polsi avvinti e legati alla sbarra del letto e godo anche del mio inatteso successo. La monto anche da dietro, protesta appena quando porto il glande tra le natiche. Griderebbe di terrore e dolore puro quando premo sul grumo di carne serrato, ma è imbavagliata. Spingo sempre più forte, gravo su di lei con il mio peso, la apro un poco, la dilato, la penetro fino ai testicoli. Mi arresto per il tempo necessario a farla dilatare e la monto. Non è il suo piacere che conta ma il mio, soltanto il mio. E’ più larga, le chiavo il sedere con gusto, a lungo. Piange, sussulta, ma ormai si è arresa, è mia, mi dico mentre penso alle immagini che ho visto poco fa. Godo, a lungo, intensamente. Un tarlo però mi rode. Chi sono le due? L’immagine è recente, degli ultimi giorni, è certo. Prima aveva i capelli pettinati diversamente e più lunghi. Chi sono le due splendide ragazze nude come lei delle foto? Le hai fatte cadere andando in bagno, prima. Sussulta,mi piace sentirlo fare. Poi cambio argomento. Le tocco il buchetto un poco tumefatto, neanche tanto tutto sommato. Ti fa male? Sono steso di fianco a lei è ancora legata alla sbarra. Non aspetto la risposta. Vado a prendere qualcosa che ti farà bene. Poco dopo le spingo su per il sedere la supposta gialla e nel sesso quella rosa. Fai attenzione, ha detto il dottore, non confondere i colori. Rosa davanti, gialla dietro. La differenza è importante… Mi muovo un poco, le carezzo le spalle, la nuca. Anche Marta si muove, anche Marta mi carezza come può. Anche questo mi piace. Torno sull’argomento fotografie. Esita all’inizio, poi mi racconta del suo matrimonio, aveva venti anni e lui, un buzzurro, poco di più. Furbo però. Comprava e vendeva di tutto. Dopo cinque anni soltanto ha comprato un discreto appartamento ed alla fine, pochi mesi prima, morendo in un incidente, le ha lasciato di che vivere per parecchi anni. Poco dopo il matrimonio lei ha capito chi fosse suo marito, ma non poteva farci niente. Per tenere in ordine la casa lei sceglieva donne che non avrebbero attirate le voglie neppure di un ergastolano ma tanto lui si scopava chi voleva lo stesso ed io non esistevo più. Seia, la maggiore delle due, me la ha portata a casa lui. Studia, studiava anzi belle arti, ha quasi finito, l’altra studia lo stesso ma è più indietro. Si chiama Jurta ed ha venti anni. Seia cercava un posto di ragazza alla pari e lui voleva scopar anche a casa. Una cara ragazza, l’ha scampata. E partito per affari, un mese intero, ed è morto nell’incidente prima di tornarci a casa. Ho scoperto che la casa era intestata a me e che mi aveva lasciato dei soldi, più di quanto immaginassi. Tornando dal funerale Seia mi ha abbracciata per consolarmi e da cosa è nata cosa. Ho fatto venire Jurta che era rimasta senza un tetto ed anche lei…la terza sorella…C’è una terza sorella? Si studia dalle suore, e sa che con le altre due io…tu te le porti a letto, soggiungo speranzoso. Ormai il tanfo del liquido con cui la ho medicata si è attenuato. Ti voglio ancora, le dico. Siete il Padrone, dice, poi un risolino, anche questo il primo che io veda: e non mi spiace, anzi, conclude.
Diventa rossa nel dirlo come fosse la prima volta che siamo a letto e non la…non so, scopiamo da più di sei mesi ormai. Glicine. Non posso dar la caccia alle tre sorelle con lei intorno. La decisione è presa, la manderò come schiava al Maniero, di certo mi farà fare bella figura. Le supposte hanno la stessa funzione del liquido per contatto ma sono più efficaci oltre che emollienti; impiegano però cinque minuti almeno solo per cominciare a fare effetto. Ne è passato di più di tempo. La libero e la faccio stendere sopra di me con il cazzo nella fica, come mi piace. L’orologio mi dice che di minuti ne sono passati più di quindici. Direi che le piaccia questa posizione. Si muove un poco per assestarsi e nel farlo mi eccita ancora di più e si eccita lei che si protende a baciarmi. Quasi mi addormento ma sono immediatamente sveglio quando cerca di scendere di sella. Che c’è, le chiedo. Deve fare pipì.
La conclusione è ovvia per me. I polsi legati dietro la schiena, guinzaglio e collare, la porto in giardino. Non è la prima a fare pipì sul mucchio di sabbia. Piega un poco le ginocchia a gambe aperte ed il getto di orina scroscia piacevolmente. La guido alla panchina. Allarga le gambe e china il busto, le dico. Le ho liberato i polsi e le faccio posare il capo sugli avambracci. Non dico neppure che la voglio scopare ed inculare, è ovvio. Le faccio assumere la posizione che mi serve e le entro nel sesso, poco dopo sono abbastanza bagnato e lo spingo nel sedere lentamente, non per risparmiarla ma per godermela meglio, più a lungo…ha un culo delizioso in cui godo io come un riccio.

Ho ordinato a Lisetta di servire il pranzo nella saletta piccola. Lei, di nuovo indossa il collare ed ha i polsi legati dietro la schiena. La hanno lavata dentro e fuori. Ogni tanto le metto in bocca qualche boccone…è la mia cagna, ha lo sguardo di una cagna. Mi porterà l’intera cucciolata spero.
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Cara lettrice, scrivendo, mi è sempre difficile esprimere, quando la situazione lo richieda, quelle che possono essere le pulsioni ed i pensieri di una di voi. Cosa possa pensare e sentire cioè una donna, magari sposa fedele e madre affettuosa nel sentirsi corteggiata con garbo da un uomo non spregevole. Cosa può pensare e provare una donna nelle mille situazioni in cui può venirsi a trovare. Per questo ho abbozzato questo spunto. Per far capire con un semplice esempio questa mia difficoltà.
Vorrei entrare in contatto con una donna, che non vedrò mai, con la quale dividere alla pari onori ed oneri per la composizione di qualche lavoro. Ne decideremmo insieme la trama e collaboreremmo alla sua redazione. Alla pari, senza conoscerci se non via internet. Se la cosa apparisse troppo impegnativa potremmo discutere e trovare forme di collaborazione accettabili ad entrambi.
Posso essere contattato tramite Milu e conservereste il vostro completo anonimato. Sempre su Milu sono presenti una quindicina di miei scritti per eventualmente farvene una idea.
Speranzosamente vostro

Chiodino.

I RACCONTI DI ‘CHIODINO’ SU: I RACCONTI DI MILU
Padrone di schiave per forza?
Io, gigolò a settant’anni
E’ giovane… ma grande abbastanza.
Farsi scopare da uno schiavo, mai!
Gallina vecchia.
I sogni muoiono all’alba.
Il Circolo dei ‘Bastard’.
Incubo?
La bella estate quando divenni uomo.
La mia cagna da riporto.
Lei e Lui, Lei e Lei, Lui e Loro.
Mi piacciono i culi, tutti i culi, rigorosamente femminili.
Quattro uomini per una signora (Gli Dei vogliono risorgere).
Schiava o puttana? Schiava e puttana.
Tutto per i miei bambini.
Sedotto.
Le mie bambine ed io, rapite, addestrate per…

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