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Racconti di Dominazione

L’ avvocatessa 2 – la sfida di Michela

By 6 Aprile 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Michela non riuscì a finire la relazione quella sera, ma il giorno successivo in tribunale se la cavò molto bene nella trattativa con i giurati e le parti avverse. In fondo il suo lavoro consisteva in buona parte nella capacità di sostenere verbalmente ogni possibile cavillo con la massima convinzione, e la parola scritta non era tutto per suscitare le giuste impressioni su chi doveva giudicare. Fu il suo primo concreto successo sulla strada dell’ avvocatura, e certo i giudici con cui conversò quella mattina ebbero l’ impressione che la ragazza si era studiata molto bene la parte il giorno precedente. Niente di più vero, pensava sorridendo tra sé Michela.
Nel pomeriggio si ritrovò da sola in ufficio con poche cose da sbrigare, e non le dispiacque tornare per un attimo con la mente agli imprevisti avvenimenti del giorno prima. Quella poltrona’.l’ avevano inchiodata su quella comoda prigione e lei si era lasciata dolcemente imprigionare dalle spire del piacere che le avevano donato in quel modo per lei nuovo. Entrò nell’ ufficio di Silvia, curiosa di percepire dentro di sé un deja vù di ricordi e sensazioni così recenti e così forti. In effetti la stanza le parve spoglia e linda, nulla che la invogliasse a provare a rivivere quelle due ore di autentica dissolutezza che l’ avevano condotta per la prima volta verso una soglia di piacere nuova e per lei assolutamente imprevedibile. Si sedette un attimo sulla poltroncina, riconoscendone la dolce pieghevolezza dello schienale e i braccioli ampi e soffici. Ma non provò che un rilassante abbandono del suo corpo, e nulla più. Anche i suoi abiti non le favorivano che un relativo comfort, per l’ importante incontro in tribunale era tornata ad un look molto sobrio fatto di giacchetta e gonna lunga, con i capelli riavvolti semplicemente in una pratica banana fermata da mollette. Pensava’.chissà che facevano oggi loro’era venerdì e probabilmente i due piccioncini se n’ erano fuggiti nella loro casetta al mare, per un lungo weekend che, ne era sicura, sarebbe stato alquanto piacevole e poco disturbato dal lavoro. Che egoisti però’.sentiva dentro sé una punta di gelosia, l’ avevano lasciata sola a rimuginare sul pomeriggio del giorno prima, su quelle sensazioni inedite, elettrizzanti. Non li avrebbe rivisti prima di tre giorni almeno e le parvero già un’ eternità, nella sua immaginazione ora prendevano forma quelle che sarebbero state le loro mosse successive, perché ne era certa, non sarebbe finita lì. O si sbagliava? Era forse solamente stata un diversivo di un pomeriggio e ora che l’ avevano ‘iniziata’ a quel gioco perverso l’ avrebbero lasciata sola a cercarsi gli stessi piaceri altrove?
Il fine settimana di Michela trascorse come molti altri, una serata con alcune amiche e amici e un sabato di impegni domestici e telefonate. La domenica era un giorno grigio e umido e dopo una sveglia comoda si stiracchiò pigramente tra il divano e il letto, ove le capitò di tornare col pensiero alla sua nuova attività presso lo studio. Pensava a Lisa, e alle altre ragazze tirocinanti di cui le fu accennato. Avrebbe dato un neurone per conoscere qualcosa di loro, e quale fu il rapporto che le legò ai due avvocati. Sorrise tra sé..’le legò a loro”, mai pensiero fu più fisicamente traducibile in quel momento. Forse Lisa era stata su quella stessa poltroncina. Forse la cosa non le era piaciuta come a lei. O forse le era piaciuta troppo? Doveva sapere, voleva sapere, conoscere il passato dei due amanti le avrebbe dato un grande vantaggio su come doveva comportarsi con loro. Anche se in fondo dubitava che ciò avrebbe avuto effetti rilevanti sulla sua carriera all’ interno dello studio legale, finora ciò che di Giulio e Silvia l’ aveva stupita non erano le inclinazioni lavorative, era ben altro’..
Lunedì di primo mattino ritrovò i suoi colleghi leggermente abbronzati e di umore poco incline alla conversazione, e non se ne stupì, era lunedì mattina per tutti. Giulio in particolare aveva un atteggiamento più brusco e autoritario del solito, anche con Silvia. Un po’ la meravigliò vedere Silvia meno determinata di come la conosceva, la sua attitudine al comando le era stata chiara fin dal primo giorno. Ma quando si trattò di discutere di questioni pratiche sul suo lavoro ebbe subito chiaro che l’ avvocatessa non aveva affatto perso smalto, anzi. Se il suo tono era più dimesso e musicale con lui, quando rivolgeva la parola a lei diventava d’ un tratto più secca e concisa, alzando sempre di due semitoni l’ intensità della voce. Notò che se fino all’ altro giorno era solita aggiungere un ‘cara’ alle sue richieste ora se n’ era quasi del tutto dimenticata. Se prima diceva ‘Vuoi prendermi la causa Ellero, cara?’, quella mattina le diceva semplicemente: ‘Prendimi le carte di Villa Cynthia, Michi.’ Bene, pensò, quel ‘cara’ non &egrave che le fosse mai piaciuto tanto. Dal tono con cui le parlava era implicito che aggiungesse ‘svelta’, ma a Michela non dispiacque comunque esaudire quell’ inespresso desiderio di Silvia. Era lì per lavorare e intendeva farlo al meglio delle sue possibilità, e si sarebbe comunque stupita di un diverso atteggiamento da parte di lei. Silvia era gelosa di lei, e se prima aveva qualche vago dubbio la cosa le era diventata chiarissima nella loro quasi orgia di giovedì. Ed era ben decisa a sfidarla su questo terreno, la solleticava l’ idea stessa di provocarla, di irretirla per saggiare le sue reazioni, ne avrebbe subito le conseguenze sulla propria pelle perché solo così facendo avrebbe forse potuto svelare il mistero di quella donna. E anche il suo, pensò. La cosa ora non le si mostrava per nulla difficile, se all’ inizio temeva gli atteggiamenti bizzarri dell’ avvocatessa ora li avrebbe cercati, stimolati perché questo gioco di potere cominciava ad affascinarla nel profondo. E poi voleva sapere di Lisa. Solo scendendo più a fondo nella conoscenza intima dei due avvocati sarebbe potuta risalire al mistero di quella ragazza che l’ aveva preceduta, forse lì stava la chiave per comprendere gli avvenimenti che si susseguivano attorno a lei. Se invece non ci fu alcun accenno nelle parole e nei modi alla loro ‘riunione’ del giovedì scorso, non ne fu sorpresa, cominciava a capire quanto nel carattere dei due soci il lavoro era separato in modo netto da tutto il resto.
Nel pomeriggio Silvia era impegnata fuori città, e Michela si trovò sola con Giulio a riordinare le carte di una causa in vista di una riunione da tenersi nello studio nel tardo pomeriggio. Lui la chiamò dall’ ufficio, e il suo tono di voce si rifletteva quel giorno nel suo aspetto fisico più attraente del solito. Quel velo dorato sui tratti maschi del suo viso gli conferiva un colorito molto piacevole, forse erano stati in spiaggia perché l’ abbronzatura scendeva fin sul collo e sul petto di lui semivisibile dall’ apertura della camicia blu notte. Michela pensò che quel giorno l’ avvocato non era solo ‘un tipo’, ma probabilmente un bell’ uomo con la faccia da attore cinematografico. Tanto le bastò per presentarsi nel suo ufficio una volta smessa la giacchetta nera a stelline viola, si sentiva meglio con la sola camicetta bianca ora. Giulio parve non far caso al suo mini-strip da lei appena deciso, e si misero assieme al lavoro. Michela si era alzata dalla sedia due volte per andare nell’ archivio vetrato di fronte alla scrivania, ed entrambe le volte la ricerca del materiale cartaceo si era rivelata assai lunga. Questo gli aveva permesso di argomentare nella sua mente di come quella ragazza fosse in effetti un bel pezzo di figa, e non solo una bella tettona. Aveva quel giorno una minigonna a mezzacoscia, color topazio, e le gambe dritte e snelle rimanevano immobili mentre le sue braccia continuavano a scartabellare tra gli scomparti. E poi le piacevano le sue scarpe basse, coi tacchi sarebbe stata troppo slanciata per i suoi gusti. Però quello che c’ era di strano in lei erano i tempi eccessivamente lunghi della ricerca. Michela era sveglia e precisa in certe cose, così giunse alla conclusione che quel giorno non era solo un bel pezzo di figa che lo aiutava nel suo lavoro, ma anche una ragazza in cerca di emozioni. Del resto si erano già conosciuti nei loro costumi adamitici, non ci sarebbe stato nulla di strano se da parte loro c’era ora un interesse all’ approfondimento della conoscenza reciproca. Quando tornò dalla sua seconda ricerca, sulla scrivania era riapparso il frustino. Questa volta Michela non ne fu troppo sorpresa, e riuscì a dissimulare le sue reazioni. Ormai stava imparando a conoscere i tempi e i modi del’ apparizione di quell’ oggetto fino all’ altro giorno misterioso e minaccioso. ‘Di questo passo finiremo domattina, Michela.’ ‘Hai ragione Giulio, scusami ma sono ancora presa dalle sbornie del fine settimana.’ Furono entrambi soddisfatti di quel breve dialogo, perché percepivano l’ inizio di qualcosa che avrebbe potuto divenire interessante. Nel bel mezzo della conversazione di lavoro Giulio le piazzò la domanda a bruciapelo: ‘Secondo te Silvia &egrave gelosa, Michi?’. Questa volta fu sorpresa, e non ebbe il tempo di riflettere su una risposta articolata perché quel quesito la stava coinvolgendo parecchio: ‘Secondo me si. D’ altra parte’.&egrave normale.’ Diede una risposta che in seguito definì più che banale e aperta a molti dubbi, cos’ era ‘normale’? Ma almeno era stata sincera. Non tornarono più sull’ argomento. La mandò a prendere altri documenti, questa volta avvertendola di cercare negli scomparti bassi dell’ archivio. ‘Guarda meglio Michi, o faremo notte.’ I documenti che cercava non esistevano affatto, pensava ridacchiando tra sé Giulio, ma intanto Michela si era chinata ginocchioni contro l’ archivio e cominciava a pensare la stessa cosa. Divaricò le gambe simulando affannosa ricerca manuale, quasi entrò dentro con la testa nello scaffale inferiore, cominciava a divertirsi pensando a lui che la guardava arrapato. Si tirò fuori dallo scaffale ma rimanendo in ginocchio, sconfitta. ‘Davvero non lo trovo quel volume, Giulio’, ansimò senza recitare e riavviandosi i lunghi capelli. Lui si alzò lentamente dalla poltrona, e lei aspettava solo l’ attimo in cui avrebbe impugnato il frustino. Fece il giro della scrivania poi lo prese, e in un attimo fu davanti a lei. ‘Non credo tu abbia cercato così bene, Michi. Vuoi riprovare per cortesia?’ I due contendenti sentivano salire dentro di loro il livello di adrenalina per quella nuova curiosa situazione. ‘Va bene Giulio, ma cerca di capire qui dentro fa un tale caldo che la vista quasi mi si annebbia’, disse rivolgendo verso l’ alto i suoi occhi mentre non attendendo commenti si era rapidamente slacciata la camicia e l’ aveva lasciata sfilare per terra. Ora il suo petto florido rigonfiava il reggiseno di pizzo nero, e il respiro affannoso lo faceva muovere un po’ ciondolante. Le piaceva mostrarsi così in quella posizione a lui, intuiva che l’ avrebbe eccitato maggiormente. Voleva cogliere le differenze tra Giulio e Silvia nel porsi verso di lei, era determinata a scoprire tutte le stranezze di quei due personaggi che erano entrati nella sua vita con un messaggio di sorprendente piacere, per quanto inatteso nei modi. ‘Se ti senti più libera così fa pure, ciò che conta &egrave che tu trovi quel volume Michi. Ne abbiamo bisogno, lo sai.’ ‘Si ora riprovo Giulio, dammi una altra possibilità e vedrai che scoverò quel trattato che ti &egrave così indispensabile.’ ‘CI &egrave indispensabile, Michi, siamo un gruppo di lavoro qui, non un insieme di individualità. Ti darò un’altra possibilità si. Ma una sola.’ Lei ebbe un sussulto interiore a quelle sue parole. L’ ultima possibilità, aveva detto. Poi’.ma già sapeva cosa sarebbe successo POI, di lì a breve, o meglio lo intuiva solamente, con la mente curiosissima di quale metodo avrebbe usato Giulio per giudicare il suo inevitabile fallimento. Quel pensiero la fece montare più in alto il flusso di emozione erotica già vivo in quel frangente. Lei inginocchiata così, e per giunta seminuda dinanzi a lui, che pur senza minacciarla l’ aveva già trascinata in un altro gioco inebriante in cui ancora una volta lei e solo lei era la protagonista. Fece per entrare dentro lo scaffale con la testa, mentre si spostava sul pavimento con le gambe per trovare la posizione migliore per quell’ esercizio, avendo cura di dare alle sue movenze quel tocco di sensualità che di certo lui avrebbe apprezzato. Lui la osservava sempre più eccitato dal pensiero che tutto ciò che lei faceva ora era solo in funzione del reciproco piacere, una preparazione maliziosa di ciò che entrambi attendevano. ‘Uff, non si vede nulla qui dentro. Sono così impacciata nei movimenti’, disse lei mentre con la mano destra si sganciava l’ attacco della gonna lasciandola cadere dietro le ginocchia. Il suo buongusto nell’ intimo si rivelava ancora una volta, le mutandine di pizzo nero perfettamente intonate al reggiseno le disegnavano una figura deliziosa nel sedere ora scoperto quasi per intero. Le coscie sottili e leggermente concave lasciavano uno spazio libero all’ interno del suo cavallo, e Giulio pensò che avrebbe potuto tranquillamente infilare una mano in quello spazio dalle curve armonicamente leggere. Lei uscì con la testa dallo scaffale, e piegandosi sulle ginocchia mise le mani in grembo in un atteggiamento da sincera penitente che Giulio trovò quanto mai allettante. ‘Io’.non lo trovo, Giulio. Mi spiace davvero.’ Lui finse una malcelata irritazione mentre guardando altrove le rivolse le parole che lei attendeva con un piacere già grondante nelle sue zone basse. ‘Era un documento indispensabile, lo sapevi Michela. Ho voluto darti un’ ultima possibilità ma a quanto vedo hai fallito. Dovrai affrontarne le conseguenze, lo sai vero?’ ‘Lo so, me ne rendo perfettamente conto Giulio.’, replicò lei mentre furtivamente una mano sfuggì a toccarsi il clitoride già infiammato sotto le mutandine. ‘E oltretutto non hai fatto altro che ritardare il tuo compito dedicandoti a uno spogliarello degno di un night club. A me pare che la lezione che ti abbiamo dato l’ altro giorno sia servita a poco, Michi.’ Lei teneva il capo basso volutamente, quelle parole avevano l’ effetto di portarla sempre più verso un godimento che sarebbe stato tanto più intenso quanto lo sarebbe stata la sua capacità di recitare la sua parte alla perfezione. Ancora una volta le sue mani si resero indipendenti e scivolarono sul reggiseno per staccarne la chiusura a bottoncino e cominciò a massaggiarsi senza ritegno anche una tetta. ‘Dopo quello che &egrave successo immagino che nei miei confronti vorrai agire con un provvedimento restrittivo’, gli disse guardandolo, e notando il prepotente rigonfiamento in azione sotto i pantaloni di lino di lui. Avanzò ginocchioni e senza fretta cominciò a sganciargli la cintura, e a calargli lentamente le braghe davanti al suo viso. ‘Non esattamente Michi. Le condizioni per una misura restrittiva ora non ci sono, non abbiamo molto tempo prima della riunione. Per questa volta te la caverai con una punizione esemplare.’ Lei rimase nella posizione a ginocchioni, una mano sui seni e una sotto le mutandine, e il suo sguardo sempre più perso sembrava dicesse ‘Non attendo altro’, ma era talmente eccitata che non articolò frasi di senso compiuto, aveva cominciato a gemere in maniera ben udibile. ‘Non fai altro che toccarti. Che sporcacciona sei’.’, disse mentre finiva di spogliarsi, il suo attrezzo di piacere era lanciato verso la sua massima espressione energetica. Intanto aveva portato il morbido tappeto della sala sotto di loro, il pavimento in fondo era un po’ troppo duro anche per quell’ evento tra il penitente e il punitivo. Lei lo guardava: ‘Sei bello’, non le venne altro in mente in quei momenti di iperattività ormonale. ‘Vuoi mettere la mani a terra, per piacere? Mi sembra l’ unico modo per impedire che tu fornisca ancora a lungo questo spettacolo indecente.’ Prontamente Michela ubbidì, i palmi distesi sul pavimento dinanzi a lui che la scrutava attentamente in ogni mossa. Ora non poteva più toccarsi, e la sola idea di essere stata messa a quattro zampe come in mille sue fantasie erotiche faceva si che il suo piacere umido continuasse ad affluire copioso dentro lei. Lo malediva solamente per quella sua studiata lentezza, si sentiva pronta a ricevere un’ intera corporazione di avvocati del foro se solo fossero stati come lui. Giulio la aggirò, ammirando il suo corpo flessuoso in quella posizione da gatta o da devota pellegrina rivolta verso la Mecca. Aveva inflesso leggermente il busto verso il basso per consentire ai suoi capezzoli di fare contatto col freddo pavimento, in quel momento qualsiasi tipo di sfioramento alle sue estremità l’ avrebbe soddisfatta. ‘Sciaff” Il colpo del frustino fu secco e improvviso sulla sua natica, provocandole un primo rimescolio di sensazioni senza emettere però suoni vocali. ‘Sciafff”, Giulio colpì l’ altra natica con maggior forza, e lei si lasciò sfuggire un ‘Ouhh’.’ I colpi raddoppiarono di numero nel giro di pochi secondi, e non erano carezze, facevano male davvero. ‘Oouhhh’.oouuhhhh’.’, si ritrovò a gemere con ritmo cadenzato e volle accompagnare i colpi ricevuti con gemiti crescenti, certa di eccitarlo ancorpiù. Intanto la sua mano destra aveva ripreso una tetta e la massaggiava spremendola con vigore, e Giulio le inflisse subito una staffilata più forte in segno di disapprovazione: ‘Giù quella mano!’ ‘Ooh’perché’.ti prego non così, sei crudele’. In tutta risposta lui si piegò e le prese un seno in mano, dandole finalmente quel piacere diverso di cui sentiva ora un bisogno assoluto. Spremette a dovere i suoi seni alternativamente mentre con l’ altra mano continuava a frustarla dietro. Alla fine i colpi sulle sue chiappe e le sue gambe furono dodici, li contò, e Michela avrebbe pensato bruciassero un po’ meno, ma non pensò nemmeno lontanamente di protestare. Lui mollò il frustino e le si mise sopra a cavalcioni, le mani a stringerle i grossi seni mentre la sua lingua cominciava a perlustrarle la schiena e il collo, stimolandone ora un piacere nuovo. Le sue mani scesero come minuziosi ispettori sul suo corpo giovane non risparmiandone quasi nessun centimetro, e così la sua bocca avida di baci e di morsi. Lei non ce la faceva veramente più, se avesse aspettato ancora un minuto sarebbe impazzita. La rivoltò sulla schiena e subito lei con un gesto rabbioso si strappò le mutandine di pizzo, chiamando a sé il sesso turgido e torreggiante di lui. Poi se ne sarebbe pentita un po’ delle mutandine, ma in quel frangente nulla era più sotto il suo controllo razionale. Lo sentì finalmente entrare, come un ariete senza corna che le placava una fame che le pareva durare da un secolo. I colpi di lui furono ritmati, con cadenza lenta come amava fare. La penetrò con assoluta professionalità senza lasciarle perdere una sola goccia di un piacere che sembrava non finire mai. Alla fine era esausto e si appoggiò su di lei, che lo accolse continuando a baciare e mordicchiare le sue labbra e la sua pelle mentre lui si riprendeva lentamente da quell’ elisir di piacere che quel giorno aveva saputo offrire a lei e a sé stesso. Il tappeto sotto di loro profumava di lavanda, e fu molto apprezzato da entrambi per quel suo sottofondo che attenuava di molto la durezza dei listelli di legno. Finirono per abbracciarsi e rivoltarsi ancora su quel fondo invitante, lei lo baciò a lungo prima di rialzarsi, non poteva negare che le aveva donato un pomeriggio davvero fantastico.
Ebbero il tempo di riassettare le cose prima dell’ importante riunione e di mettere a punto quei dettagli che, come Michela aveva immaginato, in realtà non erano poi così rilevanti da portare via tutto un pomeriggio. L’ incontro con i due colleghi avvocati andò per la meglio, Silvia arrivò nel bel mezzo della riunione e a una certa ora Michela fu congedata e terminò la sua giornata lavorativa. Chissà se l’ avvocatessa aveva intravisto sotto il tavolo le sue mutandine assenti, ridacchiò tra sé.
Quella sera Giulio e Silvia finirono piuttosto tardi l’ incontro di lavoro, e data l’ ora si ripromisero di cenare fuori e poi tornare al proprio ovile. Andarono in un ristorantino in cui erano da tempo clienti più o meno irregolari, gli piaceva quell’ ambiente piccolo e in genere poco affollato con il loro tavolo preferito che dava sul Lungadige. Il menù era più che soddisfacente e il servizio a ritmo messicano, ed era l’ aspetto che più apprezzavano di quel locale. Passavano anche ore per una cena quando erano particolarmente affiatati, e nessuno si sarebbe mai sognato di sollecitarli, tanto il ristorante non era mai pieno. Parlarono per un po’ di lavoro e altri fatti personali, e prima del secondo il discorso cadde su Michela. ‘Com’&egrave andata con la nostra ragazza oggi?’, domandò lei sapendo bene che lui aspettava quella domanda. ‘Bene direi, era particolarmente vivace oggi. Nel pomeriggio quasi euforica direi.’ ‘Sarà stata la mia assenza’, replicò lei sorridendo sorniona. ‘Hmm si non lo escluderei, e poi mi ha confessato che pensa tu sia gelosa di lei’. ‘Wow veramente? Non credevo ti spiattellasse tutto, credo siate entrati in confidenza tu e lei’. ‘Diciamo che oggi era di buonumore la donzella’ ‘Hmmm già’.’, lo guardò lei scettica. Il loro rapporto era da così tanto tempo consolidato sulla base della reciproca sincerità che non occorreva nemmeno più raccontarsi le cose in modo esplicito, preferivano farlo a mò di aneddoti e racconti simbolici. Godevano l’ un l’ altro dell’ altrui affabilità nel saper dire e non dire, ma soprattutto della loro libertà di inventare nuovi modi per far balenare nell’ altro pensieri e sospetti. Questo era cominciato solo da qualche anno, ed era stato un modo per rivitalizzare un rapporto erotico che sembrava perdere stimoli. Dopo una serie di storie temporanee avute da entrambi con altre persone, erano rimasti gli unici soci dell’ avviato studio e si erano sposati. Quando poi arrivò Lisa presso la loro società scoprirono di punto in bianco quanto potesse essere stimolante coinvolgere una terza persona nel loro rapporto erotico. Con Lisa ne avevano fatte di quasi ogni genere, però lei era rimasta per non molto tempo, e ora avevano Michela che prometteva di essere la loro nuova fiamma. Niente gelosie o rivalità su di lei, questo lo sapevano bene. Michela era loro, e desideravano coinvolgerla fino a dove sarebbero riusciti a portarla e fin dove lei li avrebbe condotti. ‘Perché non dici chiaramente che pensi che ci siamo sbattuti sul divano tutto il pomeriggio?’, incalzò lui ironico. ‘Oh molto semplice, so che detesti farlo sui divani, caro’. ‘E poi ‘riprese lei ‘ sai che non amo indagare troppo a fondo sugli effetti irresistibili del tuo fascino forense sulle giovincelle’. ‘Vero, ma solo perché a mia volta non svolgo accurate indagini sui tuoi frequenti viaggi di lavoro presso giudici e avvocati’. ‘Uhmm non sei mai stato abile come detective, la tua &egrave una scelta di convenienza, confessa”’. ‘Si, può essere’..cara’. ‘Comunque questa cosa che io sarei gelosa’.mah la ragazza potrebbe avere ragione’. ‘Secondo me ne &egrave convinta’. ‘Ahahah sei un grande. Ti dirò, se &egrave convinta di questo allora non potrò certo deluderla, tu che ne dici?’. ‘Vero le daresti una grande delusione, povera ragazza, non fa altro che sgobbare là dentro, non toglierle quei pochi divertimenti’. ‘E poi, guarda che unghie!’, Silvia alzò le mani sul tavolo mostrando le sue belle mani, piccole e delicate ma con artigli molto lunghi e affilati, rigorosamente smaltati di rosso. ‘Simbolo della gelosia femminile o simbolo erotico?’, domandò lui. ‘Secondo me entrambi. L’ ho già beccata più volte osservarmi le mani sai. Credo sia terrorizzata dalla mia manicure ahahah’. ‘Lei invece le porta corte, forse se le mangia pure’. ‘Lo hai notato dai graffi mancanti sulla tua schiena?’, ammiccò lei. Lui si limitò a sorriderle, non c’ era bisogno di molte altre parole quella sera. Si volevano bene ed erano diventati da qualche tempo più complici di prima in amore, in un modo che non si sarebbero proprio aspettati.
L’ indomani mattina Giulio dovette partire molto presto per Firenze ad un importante sopralluogo sulla scena di un delitto. Quando arrivò Michela lui era già partito e lei fu un po’ delusa perché quel genere particolare di lavoro sul campo l’ attraeva tantissimo. Ma forse era un caso troppo complesso per portarla con sé. Silvia al solito era molto impegnata al telefono e lei si buttò con solerzia su una nuova pratica per il tribunale. Si videro solo verso le 10 alla pausa caff&egrave, e le sue parole come spesso succedeva la sorpresero, questa volta per un riferimento preciso che Silvia fece nel suo commento al suo nuovo look: ‘Ehi morettina. Così somigli sempre più a Lisa, lo sai?’. La sera precedente, prima di andare a casa, Michela era passata dalla sua estetista e parrucchiera e si era decisa per fare il grande salto, era diventata mora. Lo era stata solo in adolescenza qualche volta, e ora le era tornata quella voglia di cambiare, di adattare il suo aspetto esteriore a ciò che interiormente sentiva mutare. La tinta dei suoi capelli ora era corvina, aveva scelto il colore più scuro in commercio. ‘Lisa era mora?’, domandò lei sinceramente incuriosita. ‘La chiamavamo Pocahontas a volte. Ma tu ora lo sei di più di lei. Hai veramente esagerato, Michi’, disse l’ avvocatessa senza sorridere, accendendosi una sigaretta. ‘B&egrave’contrasti cromatici’, replicò lei. ‘Come, scusa?’, la incalzò Silvia. ‘Voglio dire che anche tu non scherzi in quanto a colori estremi, Silvia’. ‘Ma che c’ entra gioia, io sono bionda naturale. Lisa mi diceva che ero una Sharon Stone in versione nazi’. ‘Già, anche questo &egrave vero’, rispose lei ma aveva forti dubbi che quel colorito chiarissimo della sua tinta fosse il suo originale. ‘Diciamo contrasti, ok?’, le disse Silvia guardandola fissa e toccandosi le unghie con l’ altra mano. ‘Ok, contrasti’, ribatt&egrave Michela in tono conciliatorio.
Contrasti’..pensava a questo concetto Michela quando tornò alla sua scrivania. Silvia non sembrava aver apprezzato molto la sua scelta di capelli, ma in fondo pensò che era ben raro che si prodigasse in qualche complimento verso di lei. Mentre scriveva la sentì inveire durante una telefonata di lavoro, era raro che la sua natura sostanzialmente fredda perdesse le staffe. Tornò per un momento alla memoria del pomeriggio precedente. Possibile che lei intuisse, o addirittura sapesse? Avrebbe trovato molto strano che il marito le confessasse i rapporti con altre donne così su due piedi, come un galletto presuntuoso. No non era possibile si disse, che senso avrebbe avuto. A meno che dopo l’ elettrizzante pomeriggio della scorsa settimana Michela fosse stata di fatto resa partecipe del loro rapporto. Ma questo era ancora meno probabile dal momento che quel giorno la più recalcitrante dei tre era proprio Silvia’aveva tollerato la sua presenza fino ad un certo punto e poi si era spazientita, e ancora ne sentiva il bruciore sulla pelle. Non c’ era mai nulla di semplice in quei due, pensò rassegnata, ma la sua curiosità era talmente forte che avrebbe sfidato qualsiasi circostanza pur di arrivare a scoprire le carte di entrambi. Ed, era bene ricordarselo, anche le sue. Nelle poche settimane di permanenza qui le erano caduti dei tabù che non pensava potesse affrontare così tranquillamente, e soprattutto provandone un piacere unico.
Sentì schioccare i tacchi di Silvia che si dirigevano verso il suo ufficio. Anche lei era in minigonna oggi, con le immancabili calze a rete invernali uniformi. Anche la camicetta era nera come la gonna, pareva vestita come la nuova chioma di Michela-Pocahontas. ‘Dobbiamo scrivere la relazione di Albertini. Molla tutto che ci serve in tarda mattinata’, le disse col solito tono freddo e secco. ‘A Giulio serviva la causa Baiocchi per stasera’, ribatt&egrave lei. Non ricordava nemmeno se era vero. Le era venuta fuori così, sentiva che oggi era giorno di’..contrasti. ‘Baiocchi? Non mi risulta’, la bionda le si avvicinò fissandola col suo sguardo gelido che ormai ben conosceva. Michela era decisa a dare battaglia, anche a costo di perderla. O forse voleva solo dare battaglia pur essendo certa della sconfitta, questo pensiero le sfiorò per un attimo la coscienza. ‘Si, dovremo consegnarla domattina alla procura di Verona, si &egrave raccomandato di terminarla entro oggi’. ‘Michi?’, le disse incrociando le braccia davanti a lei seduta. Michela la guardò in attesa. ‘Non c’&egrave nessuna causa Baiocchi da consegnare domattina a Verona. Quando te l’ ha detto Giulio?’. Il suo tono si faceva sempre meno amichevole, Michela cominciava a sentirsi di burro. ‘Me l’ ha detto’.ieri’. ‘Ah si? A me ha detto che ieri avete lavorato sulla riunione di ieri sera’. Michela tacque per un attimo, pensava a come uscire da quel garbuglio in cui si era volontariamente ficcata. ‘Allora gioia? Siamo un po’ distratte oggi mi pare’. Non c’ era più un filo di simpatia nella sua voce. A Michela ancora una volta pareva di stare sotto processo, era la stessa sensazione provata nei giorni scorsi quella che stava nascendo. Ma forse oggi sarebbe stato più difficile. Silvia continuava a stare in piedi e a fissarla, pensò che avrebbe potuto stare in quella posizione finch&egrave lei non le avesse confessato ogni avvenimento del giorno prima per filo e per segno. Più passavano i secondi più si convinceva che lei sapeva qualcosa, ed era lì esattamente per verificarlo. ‘A me sembrava che mi avesse detto così’, riuscì a dire lei con voce bassa e sempre meno convinta. ‘Evidentemente ti sei sbagliata’, replicò l’ avvocatessa inamovibile. Stava cercando una resa incondizionata, e Michela per nulla al mondo avrebbe pensato che si stesse divertendo un mondo in quel gioco spietato. Era sempre più convinta che le motivazioni della durezza di Silvia erano dettate dalla gelosia, non riusciva a scorgere altri possibili moventi. E se non reagiva come avrebbe potuto non era tanto per una sua mancanza di carattere, ne era certo dotata nelle circostanze anche più difficili, ma da quella insinuante convinzione che la sua gelosia era ora legittima e giustificata dagli avvenimenti. Ed essere vittima della gelosia femminile era un sentimento tra i più ricercati tra la vanità delle donne, un implicito riconoscimento della propria forza. ‘Credo di essermi sbagliata si. Mi dispiace, Silvia’. Finalmente la bionda si mosse da quella posizione inquisitrice e si appoggiò sulla scrivania di Michela col sedere, rimanendo in piedi di fianco e di fronte a lei. Sarebbe davvero stato un giorno di forti contrasti, realizzò nuovamente lei. Aveva accettato la sfida, e ora avrebbe giocato. ‘Vai sui file della causa Albertini’, le ordinò. Così pensò Michela, perché ora il suo tono era diventato né più né meno che quello fatto di comandi asciutti e che non ammettevano repliche. Lei come prima mossa si tolse la giacchetta e la ripose sullo schienale della sedia, e non solo perché conscia che ciò avrebbe dato fastidio a Silvia, ma anche perché era un caldo non da poco lì dentro, amplificato dagli ultimi dialoghi tra di loro. Ora era nella sua camicetta bianca del giorno prima, abbastanza scollata perché le sue forme generose fossero bene in vista ai suoi occhi. Occhi invidiosi, pensò sicura. Anche perché la posizione da boss assunta da Silvia la metteva nella condizione di sovrastarla e di avere di lei un quadro completo tranne l’ estremità delle gambe. Forse non era un caso che avesse scelto quella posizione? Sta di fatto che Silvia aveva l’ aria di assecondare i suoi pensieri perché senza motivi plausibili mantenne verso di lei un atteggiamento sgradevolmente autoritario. ‘Sei andata alla parte che tratta delle operazioni finanziarie attuate dalla vittima prima degli avvenimenti?’ ‘Sono al capoverso che parla dell’ arresto di” ‘Allora sei stronza!’, sbottò lei. ‘Vuoi fare quello che ti dico o vogliamo scrivere un altro pezzo?’. Michela rimase di stucco, era certissima di essere andata esattamente dove lei le aveva detto. Ora era troppo però, non moderava neppure più le parole quella strega. Aveva due soluzioni, o alzarsi in piedi e mandarla educatamente a cagare, o giocare di sorpresa. Non aveva senso in questo momento abbandonare la partita, troppe cose voleva sapere e conoscere di lei, di loro, e di sé stessa. Decise per la carta a sorpresa che doveva ribaltare la partita: ‘Per caso ti dà fastidio il mio decolté, Silvia?’ Già mentre lo diceva era fremente di attendere in quali spazi si sarebbe rifugiata lei per dribblare quella domanda sconveniente. La risposta di lei la raggelò. Le avvicinò il viso al suo: ‘Se vuoi saperlo, si. Mi dà molto fastidio’. Lo disse con tono leggermente meno acido di quello che aveva oggi, ma con la più assoluta tranquillità. Lei per qualche attimo perse il controllo della situazione, non le era mai accaduta una tale franchezza da parte di una donna su un argomento così incline alle false risposte. Che doveva fare? Panico. La guardò come un detenuto a Guantanamo guarda un sergente dell’ esercito americano. ‘Devo rimettermi la giacchetta?’. Non le venne fuori nulla di più fantasioso, si maledì per questo ma ormai la sua capacità di concentrazione si era dileguata, lo shock di quelle parole, di quello sguardo erano ancora lì davanti a lei. Voleva sorprendere e ancora una volta fu sorpresa. ‘Ormai l’ hai tolta’, fu la sua lapidaria replica. Ma che voleva da lei quella donna subdola, per quanto sincera quando non era il caso? Silvia percepiva bene la sua difficoltà, e passò all’ attacco: ‘Allora vogliamo finire questa relazione o discutiamo di scollature fino a sera?’ Ma come. Con quello che le aveva detto pretendeva di rimettersi a lavorare. Non ce l’ avrebbe fatta, Michela lo sentiva. E ciònondimeno non voleva mollare la partita, era più forte di lei. Ma nuove sensazioni le affollavano ora la mente. Guardava Silvia appoggiata alla sua scrivania, le sue gambe accavallate sotto le ginocchia. Aveva le cosce robuste ma non flaccide. Ricordò come da ragazza in certi suoi momenti di pensieri bisex fosse attratta da quel tipo di donna. Ebbe un flash, lei che le baciava le gambe avvolte dalle calze a rete . Quella donna era una strega, e la stava soggiogando. Non le piaceva, ma la attraeva. Per la prima volta ebbe questa consapevolezza, era un fatto davvero nuovo per lei. Ma aveva mai dubitato che le sorprese non sarebbero finite lì dentro? ‘Non mi sembra un argomento poi tanto grave’. Le uscivano solo frasi banali, stava perdendo smalto, lo avvertiva. ‘No non lo &egrave infatti, senonch&egrave siamo qui per fare altro. O sbaglio Michi?’ Ma ormai non si poteva sottrarre a quella curiosità morbosa, ma che genere di donna era mai Silvia? ‘Si ma &egrave anche vero che non &egrave bello sentirsi dire quello che mi hai detto’, azzardò con maggior convinzione. ‘Che cosa avrei detto esattamente? Sentiamo, sono tutt’ orecchi gioia’. La sua arroganza cresceva sotto lo sguardo perso di Michela. ‘Perché dovrebbe darti fastidio’la mia camicetta. Questo intendevo’. Attese la risposta mentre era sempre più certa che fosse solo la gelosia il suo movente. ‘Perché? Oh vuoi fare l’ingenua ora carina?’, le sibilò a bassa voce contraendo leggermente le labbra. Lei continuò a guardarla, ansiosa. ‘A me non piacciono le tue tette, cara.’ Silvia attese qualche secondo per saggiare le reazioni di lei a quest’ ennesimo affondo. Ancora Michela fu schiacciata dalla brutale sincerità di lei. Non aveva mai conosciuto una donna così. ‘Devo venderle?’, le uscì una battuta che suonò ridicola, ma era ormai nel più completo pallone. La bionda si staccò dalla scrivania, e ancora si portò dinanzi a lei con quelle braccia incrociate a cui Michela si era quasi abituata. ‘E ancora meno mi piacciono le tettone che mangiano l’ erba del vicino’. Michela capì. La bionda si mosse verso lei, la vedeva ormai sciolta, immobile. Le afferrò i lunghi capelli, li strattonò con forza. Michela piegò la testa all’ indietro, non aveva più nessuna domanda o spiegazione da dare. ‘E che poi fanno le finte ingenue davanti e le sgualdrine alle spalle’, le disse curvandosi verso le sue orecchie. Michela non aveva più fiato anche se non parlava, ora sarebbe scesa giù dal piedistallo. Lo sapeva. Non avrebbe fatto nulla per impedirlo, anche se ancora non si chiedeva se era proprio quello che cercava. Silvia alzò la temperatura della sua eccitazione, la vista della rivale al tappeto la spronava ad agire senza remore. ‘Allora cocca? Ti sei divertita ieri vero?’, le ringhiò mentre ancora le strattonava la lunga chioma. Michela era nel buio più totale e ora voleva solo essere guidata, in qualsiasi posto lei la volesse condurre. ‘Scu’.scusa Silvia. Mi spiace’, le disse a voce bassa e lamentosa. Voleva sparire, era annichilita. La bionda le diede uno strattone per i capelli che le fece perdere l’ equilibrio, era a terra. Ecco, il posto giusto, pensò nella sua nuova condizione mentale. A contatto col pavimento le sue sensazioni si rivitalizzarono, quantomeno sapeva di essere viva. Essere a terra, essere sotto le appariva ormai un destino univoco in quel posto. L’ avrebbe accettato anche adesso, e stavolta senza nemmeno chiedere in cambio il piacere. Mentiva a sé stessa ma non lo sapeva ancora. Silvia doveva avere un vero odio per i suoi capelli visto che continuava a tirarglieli anche ora che era a terra. Era la cosa più umiliante per qualsiasi donna e quindi non era certo un caso. In realtà le serviva anche per spostarla a suo piacimento per la stanza, e le fece assumere in breve la posizione di schiena a terra. Evidentemente lei e suo marito avevano opinioni opposte su questo punto. Una volta distesa Silvia non tardò a utilizzare l’ arma dello stivale per umiliarla come lei si aspettava. Glielo passò sul viso, sfiorandola a ripetizione, fino ad avvicinare il tacco alla sua bocca. ‘Apri-pri, su su’, le canticchiava sadicamente lei. Sentiva la superficie liscia del tacco sulle labbra, dapprima mobile e poi fermo. Ripensò alla causa di tutto ciò. Lei era gelosa e ne aveva tutte le ragioni, decise che non avrebbe opposto resistenze. Aprì la bocca e pian piano la lunga e sottile appendice di lei le entrò dentro. Provò anche ad assaggiarlo, ma era duro. Si allontanò un secondo solo per tornare con l’ inseparabile frustino, che sostituì ora i tacchi nel suo gioco maligno. Si mise sopra di lei, i piedi appoggiati tra le braccia e la vita. Piegandosi carezzava il viso di lei con il frustino dandole dei buffetti sulle guance e sul collo, fino a che divennero sonori schiaffi di pelle nera. A Michela vennero le lacrime, mai era stata umiliata così da nessuna donna prima. Ma aveva potuto evitare di finire dentro il gioco e non l’ aveva voluto, e ora avrebbe giocato. Silvia le mise un piede sopra la tetta sinistra, sentiva la pianta dello stivale comprimergli il petto mentre il tacco le tormentava le costole. ‘Michela &egrave una pu-tta-na, sentiamo come canti carina’. Per nulla al mondo l’ avrebbe fatto, che facesse pure i suoi comodi con lei ma cantare proprio no. Al suo diniego col capo la bionda scostò il piede e con un gesto fulmineo le mise le mani sul bordo superiore della camicetta e la strappò con violenza, sfilandola poi rapidamente dalla schiena e gettandola in parte. Michela chiuse gli occhi cercando di non pensare, ma non poteva evitarlo. Perché queste scene violente l’ avevano sempre incuriosita guardandole dall’ esterno? Non si sarebbe mai sentita capace di prendervi parte attiva ma la incuriosivano terribilmente. Ora forse la sua curiosità veniva appagata da un punto di osservazione privilegiato. Quel gesto di Silvia le provocò la prima reale scarica di adrenalina, si chiese dove l’ avrebbe condotta. Lei le si mise sopra, le ginocchia vicino ai fianchi, le gambe piegate. Guardandola ora più da vicino poteva scorgere in lei i segni di un’ imminente eccitazione. Da quella sadica che era. I suoi occhi non erano più gelidi ma vivaci, seppur la guardavano con una luce perfida. Staccò anche il bottoncino del reggiseno e con un altro gesto sprezzante lo sbatt&egrave via, lontano. Senza proferir parola le diede uno schiaffo. Era di certo per aver visto le sue tette. Non si sbagliava, subito dopo riservò lo stesso trattamento ai suoi seni, che vennero alternativamente e violentemente schiaffeggiati. Silvia ci sapeva fare, era una sadica giusta pensò. Forse cominciava ad ammirarla. Si stancò di prendere a sberle le sue tette, e vi appoggiò le mani sopra, dolcemente. Il suo tocco non mancò di eccitare i suoi sensi stravolti dall’ insolita disputa. Alzò le gambe per rilassarle, sperando che la bionda non si accorgesse della mossa. Ma non era certo una novellina, e subito intuì come stavano le cose: ‘La puttana si sta forse eccitando?’, le disse ruvida, sentiva i capezzoli di lei gonfiarsi sotto le sue mani e non aveva dubbi. Ne strinse uno tra le unghie, cominciando lentamente a farlo roteare. ‘Silvia’..’, fu tutto quello che riuscì a dire lei mentre con il corpo le chiedeva il permesso di lasciar passare le sue mani verso il suo sesso. Non poteva nemmeno immaginare che fosse bagnato come un’ anguilla, stava godendo da chissà quanto tempo, forse ancora da quando era seduta alla scrivania. Non se ne era capacitata. Silvia continuava a torcere il capezzolo, era diventato ancora più grosso del naturale a contatto con le sue mani crudeli. Faceva male, pensò Michela, guardandola negli occhi. Realizzò come Silvia si fosse accorta da molto tempo del piacere che la stava assalendo, e che questo l’ aveva del tutto avvantaggiata nel condurre il gioco. Mollò il capezzolo destro arrossato di Michela e strinse la mano sul seno sinistro di lei, dapprima lentamente. La bruna poteva sentire lo sfregamento delle sue unghie sulla pelle e chiuse gli occhi. La pressione delle unghie aumentava e con essa il dolore, che diventò presto lancinante quando Silvia chiuse come in una morsa le sue mani sui seni di lei. Gli occhi bagnati di pianto di Michela si aprirono, voleva guardarla mentre le faceva male, voleva vedere se provava davvero piacere. Non c’ erano dubbi, gli occhi della bionda brillavano di una luce nient’ affatto fredda come suo solito ma erano vivi e pulsanti, quella sadica stava godendo un mondo a lasciarle i segni sulla pelle. Si impose di non urlare e ci riuscì. Silvia si chinò verso Michela per leccarle le guance intrise di lacrime, mentre mollava la presa sulle tette ora insanguinate di lei. ‘Sei la solita puttanella egoista, vuoi il piacere tutto per te vero Michi?’, le disse viso a viso mentre avvicinava il suo corpo verso la faccia di lei. Mise le cosce attorno alla sua testa, lei rialzò leggermente il capo per trovare la sua fichetta in tempesta e onorarla con la lingua del meritato piacere. Era già un lago né più né meno come la sua, quella strega aveva saputo bene come stimolare la sua curiosità morbosa quel giorno. Le piaceva sentire le sue cosce forti attorno al suo viso, sentirsi presa in una trappola senza uscita, vagheggiava nella sua mente. Intanto anche il suo piacere stava giungendo al culmine, non aveva avuto bisogno dell’ ausilio del frustino stavolta. Sfinita e dolorante guardò l’ avvocatessa mentre si riappropriava della realtà quotidiana più banale, rivestendosi senza degnarla di un attenzione. Era già tornata nel suo ufficio quando ancora lei girovagava per la stanza per riappropriarsi della camicetta strappata. La trovò infine sopra l’ armadio, era incredibile con quanta rabbia fosse stata lanciata, pensò. Sarebbe tornata a casa coi vestiti un po’ laceri quella sera, ma aveva scoperto un altro lato di sé. Possibile che avrebbe continuato a scoprirne uno al giorno in quel posto? Fece due passi per avvicinarsi alla stanza di Silvia, lei stava già lavorando. Si appoggiò allo stipite della porta mentre la bionda la guardava incuriosita. Voleva forse un premio per l’ eccitante spettacolo offerto, si chiese? Aveva già spedito un sms al marito per chiedergli a che ora sarebbe tornato e per fargli sapere che la giornata era trascorsa piacevolmente in ufficio. ‘ Qui tutto ok, a che ora torni? Michela oggi era molto vivace, quasi euforica sai? Baci ‘ così recitava il breve messaggino. Pensava alla faccia di lui quando l’ avrebbe letto. Intanto Michela le parlò: ‘Lisa era come me?’, le domandò con voce dolce e priva di timore. Lei la guardò con un accenno di sorriso:’No, credo fosse peggio di te, cara. Forse &egrave per questo che non ha resistito’. ‘Con lei’..era come con me?’ ‘In un certo senso si, perché me lo chiedi? Però come ti dico, lei era peggio. Abbiamo dovuto portarla nella Sala più di una volta’.
La loro conversazione era finita lì. La Sala? Quando Silvia fu uscita dall’ ufficio fece una ricognizione per i vari locali dello studio. Qual’ era la Sala di cui aveva parlato Silvia, semmai fosse una cosa reale e non simbolica? Il suo ufficio, che fu quello di Lisa? O quello di lui? Pensò se per caso ci fosse qualche locale adiacente all’ ufficio, ma non le pareva plausibile. Poi si ricordò di qualcosa di vago, forse. Andò nel locale di servizio adibito a piccolo deposito attrezzi, e in effetti si ricordava bene, sul lato opposto c’ era una porta. Entrò e giunta davanti alla porta fece per aprirla. Era chiusa, doveva immaginarlo. Provò a guardare dal buco della serratura. Buio. Nessuna chiave nelle vicinanze. Pazienza, pensò, magari comunica con un appartamento di altra proprietà e l’ hanno chiusa.
Bene, ho qualcosa di nuovo a cui pensare stasera, si disse mentre tornava a casa avendo cura di chiudere bene la giacchetta per non esibire la camicetta lacera.

Nota dell’ autore: Se avete suggerimenti o idee per un nuovo episodio della saga di Michela contattatemi al mio indirizzo marquisjulien@hotmail.it, in caso contrario’..alla prossima!

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