Skip to main content
Racconti di Dominazione

La donna che cambiò nome

By 7 Novembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

La donna che cambiò nome

-Driiinn!-
-Suonano alla porta! Un attimo, vado ad aprire-
-Ah, tu devi essere Grazia’- Una donna graziosa ed elegante, con occhi e capelli castani, con tocchi biondo cenere, raccolti a coda di cavallo, sulla trentina, oltrepassò la soglia d’ingresso dell’appartamento.
-Robertooho! E’ arrivata la tua schiahavaaha!- Il proprietario di casa chiamò un uomo che arrivò subito.
Lei arrossì di colpo, non sapendo cosa dovesse fare, come comportarsi:
-Ah eccoti, aspettavamo solo te!- Disse quest’ultimo.
Grazia, imbarazzatissima protesse titubante la mano per le presentazioni, quando Roberto la prese per la collottola e le impose in modo severo:
-Al tuo posto, troietta!- E la spinse verso il basso.
La schiava chinò la schiena e si mise a quattro gambe, senza protestare:
-Brava troietta, adesso puoi salutare Giovanni come si deve!- L’amico era rimasto di sasso, ma Roberto mise un piede sul collo della donna per farle abbassare ulteriormente la testa.
Grazia iniziò a baciare e leccare le scarpe di Giovanni, che guardava stupito e meravigliato.
L’arrivo della schiava era stato anticipato da Roberto con delle spiegazioni sulla sua particolare personalità.
Raccontò per sommi capi come e quando s’incontrarono e che fu lei stessa a pretendere un rapporto di quel tipo. Dopo i primi approcci normali, un giorno, si presentò come sottomessa e lui si rassegnò al ruolo di Padrone giusto perché le voleva bene e non voleva perderla; alle obiezioni incredule degl’altri, disse loro di non farsi remore ad ordinarle d’eseguire qualsiasi cosa e che avrebbero constatato con i loro occhi quanto l’obbedire fosse nella sua natura ed indole.
Aveva saputo creare molta aspettativa e curiosità; le donne soprattutto, l’avevano sommerso di domande: una aveva adombrato fosse un’handicappata, un’insufficiente mentale e stigmatizzava negativamente il comportamento di Roberto, un’altra che fosse affetta da una particolare forma di ninfomania e la terza s’interessò alla sua vocazione alla sofferenza, incredula che godesse veramente per schiaffi e frustate. Da tutte e tutti traspariva nelle loro parole l’imbarazzo del confrontarsi con le proprie fantasie sessuali più nascoste.
Nel frattempo arrivò in anticamera un’altra coppia.
La schiava, carponi, alzò lo sguardo: il suo viso era languido e contrito; era la prima volta che si presentava nella veste di cagna alla presenza d’estranei e l’imbarazzo che traspariva in quelle persone era pari al suo. Per fortuna la presenza e gl’ordini del suo Padrone la distolsero quasi subito da una situazione di precaria indecisione:
-Saluta anche loro!- Ordinò e lei mosse il bacino ed eseguì:
-Mica male- Fece Andrea, il lui della coppia: -Dovresti imparare!-
-Ti piacerebbe, he?- Rispose sua moglie Annamaria.
Roberto si rivolse a Grazia:
-Dammi la borsa, che t’impiccia.- E le prese una tracolla abbastanza voluminosa:
-Vediamo cosa hai portato’Mhmm, Guarda, guarda’E questo cos’è? Spiegalo ai nostri amici!- Le consegnò un piccolo tubo di ferro.
Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo misto ad un enorme senso di vergogna. Sarebbe voluta sprofondare, scomparire. Era lui che le aveva imposto di portare quella borsa della quale ignorava il contenuto.
La schiava prese in mano l’oggetto e stava per parlare:
-Taci, troietta, senza parole!- Le ordinò. Lei scosse l’oggetto che si estese come un’antenna, allungandosi di circa un metro. Poi, dopo uno sguardo verso il padrone, cominciò ad accennare dei colpi sulle natiche.
-Ehi, furbetta, non si usa così!- La redarguì Roberto: -Tira su la gonna, stupidina!-
La donna arrossì ed esitò un attimo, ma lo sguardo severo del padrone non lasciava dubbi sull’ordine ricevuto. Con un profondo sospiro, eseguì.
Tutti notarono che non portava mutandine e che le natiche erano segnate da strisce blu e piccole vesciche.
-Aspetta, imbranata- Le ingiunse nervosamente: -Dammi a me!- E le prese di mano lo strumento, appioppandole due forti scudisciate.
Grazia emise due -Ugh, ugh!- Soffocati.
-Ecco è così che si usa!- Disse Roberto e domandò agli altri:
-Volete provare?-
Dopo un attimo di smarrimento, Andrea si fece avanti e calò due colpi di striscio, poco violenti e fuori mira, che non produssero la minima reazione nella schiava:
-Fammi provare anche a me!- Disse Annamaria, strappando il frustino dalla mano del marito.
Girò intorno a Grazia e con calma, si mise con le gambe a cavallo del suo corpo; premise la schiena in modo da arcuarla verso il basso e che le natiche svettassero all’insù. Mirò dritto verso il foro dell’ano, iniziando a tempestare la vittima, con colpi dolorosissimi.
Grazia si trattenne dal gridare. In primo luogo perché era un ordine che Roberto le aveva imposto, ma anche non voleva dare soddisfazione alla sua nuova aguzzina.
Essere battuta da una donna non era contemplato dal suo essere di sottomessa; non era nella sua natura e abbassò il bacino: quella stronza colpiva con precisione, sapendo e volendo farle del male.
Giovanni, evidentemente imbarazzato da quella scena cruenta e inaspettata, interruppe l’irruenza dell’amica e invitò gli astanti a recarsi in salotto.
La schiava li seguì sempre carponi dietro il suo Padrone.
Nella sala c’erano altre due coppie, che a quella vista interruppero il chiacchiericcio e tutti volsero lo sguardo verso quella donna che avanzava lentamente, col capo chino, per non far trasparire il suo stato d’animo, ma tradita da un respiro corto ed affannoso.
Roberto la accompagnò, tenendola per la collottola, fino al centro della stanza e le disse:
-Presentati, come fai con me. Avanti esegui!-
Lei, dopo qualche istante, alzò leggermente il viso e con un fil di voce disse:
-Mi chiamavo Grazia, ma ora ho cambiato nome: chiamatemi Troia di nome e Masochista di cognome-
Il mormorio di commenti fu interrotto da Roberto che le ingiunse:
-Vai a salutare anche gli altri- Mentre la donna eseguiva, aggiunse:
-In questa borsa abbiamo le prove della sua perversa passione. Guardate qua: manette, museruola, corde e lucchetti, membri artificiali’- Prese un oggetto costituito da cinghie di cuoio e s’avvicinò a Grazia:
-Giò, dato che tu, in questo momento sei single, ho pensato ti facesse piacere un regalino: eccolo qui- E indicò la schiava:
-Te la dò in prova per una settimana, poi se ti piace, puoi tenertela-
Grazia, a quelle parole, alzò istintivamente la testa per protestare, per dirgli che non era un suo oggetto, ma Roberto le bloccò la bocca fulmineamente, applicandole un bavaglio che la costringeva con quella semiaperta:
-Ohooo!- Riuscì soltanto a pronunciare, scuotendo violentemente la testa. Il bavaglio era fissato strettamente alla nuca con una chiusura a lucchetto.
Roberto le applicò anche delle manette ai polsi e alle caviglie:
-Ecco, qui c’è un mazzetto di chiavi, tienilo tu, Giò e fanne buon uso!- Gli disse Roberto.
Grazia ora guardava nel vuoto. Confusa e avvilita, non aveva più pensieri. Il suo cervello si era fermato: non accettava ciò che le stava succedendo, come fosse in un incubo dal quale sperava di risvegliarsi; sperava fosse solo uno scherzo.
Temeva quell’incontro perché s’era disabituata a dei rapporti normali, ma non era assolutamente disposta trasformarsi in un giocattolo alla mercè di sconosciuti. S’era sottomessa spontaneamente al suo amore, ma non era una puttana.
Il suo padrone, beneamato padrone, l’aveva tradita. Mai avevano parlato di svelare ad altri il loro piccolo grande segreto, e mai e poi mai pensava che quella sera fosse lì per essere un regalo di compleanno, una cosa, un oggetto. Ora era completamente persa e le sembrava che le mancasse il terreno sotto i piedi.
Roberto domandò a Giovanni:
-Vuoi scartarlo tu il regalo, o preferisci che si scarti da solo?-
-Perché non lo scartiamo tutti insieme- Fece Annamaria, con tono entusiasta: si avvicinò a Grazia e prendendole i lembi della gonna vicino alla chiusura a lampo, iniziò a rompergliela, con movimenti decisi.
Dopo un attimo di smarrimento, anche tutti gli altri circondarono la vittima e cominciarono a strattonarle i vestiti: chi la tirava dalle spalline del vestito, chi le strappava le calze, chi ne approfittava per introdurle una mano sotto la camicetta per palparla.
Grazia si lamentava, emettendo piccole grida ed espressioni di dolore, causati dall’irruenza indelicata degli scatenati amici di Roberto, ma non reagiva e si lasciava manipolare, quasi fosse una bambola, tanto era lo sconcerto che provava in quella situazione assurda e inaspettata.
Gl’ospiti stessi si spingevano l’un l’altro come fosse una gara per la conquista del lembo più ampio d’indumenti, o pezzi d’intimo.
In pochi minuti fu denudata completamente, ma si attardarono a pizzicarle e graffiarle la pelle, seguendo l’esempio di Annamaria, veramente la più eccitata ed esaltata.
-Ehi, fermi, non me la rovinate- Esclamò Giovanni, scostandone alcuni. Si sorprese ad usare quel verbo trasportato dalla situazione, anche se l’intenzione era di soccorrere quell’essere indifeso che gli faceva veramente pena.
Gli ricordava certe situazioni di parecchi anni prima, nelle quali aveva vissuto come spettatore a dei linciaggi morali e psicologici verso un suo compagno di scuola da parte degl’altri. Era pressappoco come allora, come se fosse difficile e non naturale interrompere quel clima generale di soprusi per intervenire in difesa della vittima:
-Spostatevi, voglio vederla bene!- Continuò Giovanni, vincendo le resistenze degl’ultimi, tra i quali la solita Annamaria:
-Ha ragione Giovanni, fate largo! Esclamò Roberto e poi rivolto a Grazia:
-Alzati in piedi e mostrati per bene al tuo nuovo Padrone!-
La schiava era paonazza dalla vergogna e dalla rabbia, ma rassegnata, eseguì l’ordine lentamente e una volta ritta:
-Alza la testa e metti le mani su di essa! Brava troietta’Ora gira lentamente su te stessa!-
Il viso esprimeva uno stupore disperato ed aveva gl’occhi lucidi, mentre lo sguardo era perso nel vuoto: respirava con affanno.
Abbastanza piccola di statura, aveva un corpo proporzionato, le tette d’una terza misura, rotondette e ancora floride; le natiche cedevano leggermente per l’età, ma ancora disegnate bene.
La sua pelle era ricamata dai graffi appena subiti e da piccoli segni blu, specialmente sulle natiche e sul seno.
-Avanti, non abbiate pena per lei, potete usarla come volete: è venuta qui apposta per farvi divertire! Non è vero, troia?- Disse Roberto
Lei non emise suono dalla bocca, talmente era atterrita da quell’incredibile e inaspettata situazione; per di più, con quel bavaglio in bocca, sarebbe stato anche ridicolo accennare ad una possibile risposta.
Era la stessa sensazione provata quando da ragazzina fu sequestrata e violentata da suoi coetanei: sentirsi non più umana, ma un animaletto, un essere inferiore, usata come un giocattolo per il divertimento altrui.
Andò da una psicologa, per superare il trauma e con lei riscoprì dei ricordi rimossi dell’infanzia.
Ultima in una famiglia con altri tre fratelli più grandi, aveva subito dei giochi umilianti e terrorizzanti. Nulla di morboso, ma la trattavano come un giocattolo, divertendosi, per esempio, a lanciarsela l’un con l’altro: tutti ridevano e anche lei, ma nell’animo era terrorizzata.
Inoltre, dato la famiglia numerosa, era demandato agl’altri figli il compito di vestirla, accudirla, o accompagnarla in giro, anche quando grandicella, iniziava a vergognarsi del suo corpo nudo.
Soprattutto l’ultimo dei maschi, defraudato dalla sua posizione di più piccolo, nutriva una gelosia incoffessabile, che si tradusse in piccole angherie e soprusi, ricatti e prese in giro riguardo la sua presunta inferiorità di femmina.
-E’ un disco vecchio da buttar via- Diceva la dottoressa: -Non è vero che per accontentare gli altri devi trasformarti in un giocattolo. Oppure: essere donna è bello e abbiamo un potere che i maschi c’invidiano-
Quel discorso sul disco l’aveva capito, ne sapeva l’origine ed era cosciente che non fosse più utile, ma la psicoterapia durò troppo poco per risolvere tutti i suoi problemi.
Avrebbe dovuto andare da una professionista privata e non in un ambulatorio della mutua, ma i genitori non se lo potevano permettere e sottovalutarono l’accaduto, vedendola apparentemente serena. Dal canto suo, lei voleva dimenticare tutto al più presto e non parlarne più.
Col passare degl’anni ebbe però alcuni problemi con l’altro sesso. Ogni volta che s’innamorava, scattava in lei il riflesso condizionato di donarsi completamente e predisporre una situazione che la costringeva in un ruolo di sudditanza: fingersi ignorante o ingenua, per dare soddisfazione al proprio compagno d’essere il suo maestro, anche nella vita d’ogni giorno; oppure comportarsi da bambina capricciosa, goffa ed imbranata, per ricevere rimbrotti e anche punizioni, ma era soprattutto nei momenti più intimi che attuava piccole provocazioni, per farsi prendere con brutalità: le faceva piacere e raggiungeva orgasmi ripetuti ed intensi.
Quasi tutti i suoi amanti, prima o poi, scoprivano quel lato della sua personalità e ne approfittavano, fino a renderle la vita insostenibile. Dopo alcune relazioni disastrose, delusa dal comportamento dei propri partner, stette per un bel po’ da sola, permettendosi qualche scopata con uomini più grandi e già sposati, che la trattavano con rispetto e non la impegnavano sul piano affettivo.
Poi incontrò Roberto.
L’inizio fu meraviglioso: era pieno d’attenzioni, di riguardi. Facevano l’amore in modo ‘normale’, come amanti appassionati. Lei si sentì ‘guarita’ e tutto sembrava procedere per il meglio, ma dopo due anni Roberto avrebbe voluto convivere e lei non si sentiva ancora pronta né per quella, né per diventare madre.
Lui iniziò a frequentarla meno, a non telefonarle più ogni giorno e quando si vedevano, sembrava che gl’incontri fossero una routine scontata; i gesti, gl’approcci avevano perso di poesia: badava solo al proprio piacere, disinteressandosi alla sensibilità di Grazia. Aveva persino smesso d’intrattenerla con quei suoi bei discorsi sui massimi sistemi, che le piaceva tanto stare ad ascoltare, non tanto per il contenuto del quale capiva poco, ma per il tono fermo e rassicurante della voce.
Grazia, ch’era convinta d’aver trovato finalmente il suo principe azzurro, si preoccupò e temette di perderlo. Senza rendersene conto, quasi d’istinto, regredì verso i comportamenti precedenti, ma più si mostrava scema o imbranata, più lui s’allontanava infastidito.

L’addestramento

Un giorno, a casa di lei, Roberto come suo solito, era lontano, distratto.
Fu la solita scopata frettolosa e Grazia avrebbe voluto restare abbracciata, almeno per il piacere di toccarlo, sentirlo vicino, ma lui, dopo la copula, s’alzò e si diresse in salotto: accese la televisione, e si mise a vedere un programma sportivo.
Ad quel punto, fu presa dalla disperazione: delusa ed offesa dall’atteggiamento di Roberto, rabbiosa per l’ennesimo mancato orgasmo, prese d’istinto una decisione che le cambiò la vita.
Disse a Roberto che aveva un regalo per lui e abbracciandolo da dietro, gli suggerì di raggiungerla in camera da letto dopo qualche minuto.
Si spogliò di nuovo, rimanendo con scarpe, reggicalze e la camicetta slacciata e aperta; mise una frusta in bella vista, si legò mani e piedi al letto e lo chiamò.
Quando Roberto la vide rimase a bocca aperta. Lei muoveva il corpo sinuosamente, tirando nel contempo le catene che le immobilizzavano le membra.
Ripresosi dallo stupore, si avvicinò al letto e vi si sedette. Senza pronunciare sillaba, inizio a carezzarle prima il viso, poi il corpo, soffermandosi sulle tette e la vagina che si dischiuse già umida e vogliosa.
Si alzò e la contemplò ancora. Grazia allora, aggiunse al movimento, anche dei mugolii, mimando un amplesso.
-Sei fantastica!- Commentò lui:
-Mhm’ Manca qualcosa’.- Si guardò in giro e vide una palla da tennis; la prese e la nascose nel palmo della mano, poi avvicinatosi di nuovo a Grazia le chiese con gentilezza:
-Apri la bocca, tesoro. Un po’ di più, amore- E appena ottenuto di fargliela spalancare, le ficcò in bocca la sfera che fissò con un fazzoletto annodato dietro la nuca.
Lei protestò vivacemente, cercando d’articolare parole incomprensibili, ma lui iniziò ad accarezzarla e baciarla teneramente.
La tattica funzionò e lei si calmò, godendo di quel piacevole momento d’intimità. Lui la palpò ancora, scostando il reggipetto, con una mano, mentre l’altra cercava la frusta, che sapeva essere a poca distanza: la trovò.
La prese in mano e iniziò a far scorrere le sottili strisce di cuoio sul suo corpo:
-Ti piace farti accarezzare he?-
-Ohuu, ohoo!- Rispose lei, con il terrore negli occhi:
-O la preferisci da qui!- Girò l’arnese, le toccò il petto dalla parte del manico e poi, strofinandolo verso il basso, aggiunse:
-O ti piace sentirlo più profondamente-
Serrò le cosce ed emise un grido soffocato, mentre lui le insinuava la punta dello strumento nella vagina. Dapprima indugiò sui labbri, ma poi non si risparmiò di penetrarla, facendolo entrare per metà della sua lunghezza.
-Sei una gran troia- Le disse: -Ora si, che ci divertiremo!-
Grazia era rossa dalla vergogna e dalla rabbia verso se stessa. Ma cosa l’era saltato in mente. Ora si era pentita di essersi mostrata a Roberto in quella veste. Aveva fatto bene? Che ne sarebbe stato del loro amore?
Lui estrasse il manico con violenza, facendola sussultare, e lo annusò, sentendolo bagnato d’umori.
Brandì la frusta ed iniziò a menare colpi sul petto nudo di Grazia, la quale cercò di voltarsi s’un fianco, nel tentativo di difendersi, ma lui si mise dietro e, tenendola ferma, continuò ad infierire sulla quella parte.
-Ti piace, he, troietta! Ti piace!- Continuava a ripetere, mentre le sferrava le frustate.
Lei mugolava disperata e si dimenava, finché, stanco, smise:
-Allora, sono state di tuo gusto? Ne vuoi ancora?-
-Ohooo! Ohooo- Rispose Grazia, scuotendo la testa, ma Roberto accostò una mano sulla sua fessura bagnata e glie la ficcò dentro:
-Si che ti piacciono, porcona!- E cominciò a masturbarla.
Grazia scuoteva ancora la testa. Razionalmente si rifiutava d’ammettere il godimento del suo corpo, ma l’estrema eccitazione prese il sopravvento e proruppe nei lamenti inequivocabili di un acuto orgasmo.
Era immersa in quell’attimo di beatitudine, gl’occhi chiusi ed il viso disteso, quando sentì un dolore lancinante alla vagina.
Roberto aveva ripreso a frustarla, questa volta sulla parte che aveva appena massaggiato in ben altro modo.
Ricominciò con urla soffocate e scomposte, rimbalzando col corpo ad ogni colpo ricevuto. Il dolore intenso, da locale, si spandeva in tutta lei, sprofondandola in un torpore’terribile’terribilmente piacevole’ E venne, venne di nuovo, sentendosi fradicia d’umori e forse di sangue.
Roberto la rigirò. Ora le sue membra erano incrociate e tirate verso le sponde del letto alle quali erano legate.
Alle quali si era legata.
Roberto era sopra di lei, lo vedeva con la coda dell’occhio.
Sentì scostarsi le natiche e qualcosa che s’introduceva dentro: freddo. Le stava ficcando il manico della frusta.
Avrebbe voluto urlare la sua protesta, ma, impedita dal bavaglio, iniziò a muggire, con voce ormai roca e spezzata, mentre un rivolo di saliva le usciva dalla bocca, ma Roberto sembrava bearsi di quella scena e insisteva a penetrarla in quel modo.
Spingeva l’arnese dentro e lo rigirava, per allargare il buco stretto per la paura. Poi, quando decise che s’era dilatato a sufficienza, glie lo tolse e al suo posto mise il suo pene turgido ed eccitatissimo.
La penetrò lentamente: prima solo il glande, di forza, facendola sussultare dal dolore e poi ci mise un minuto d’orologio per arrivare a sentire il suo ventre appoggiarsi sulle natiche.
A Grazia sembrò tanto lungo, che ebbe l’impressione d’essere sfondata da un palo della luce. Emise un lungo, rauco lamento, serrando gli occhi e afferrando con le mani i lembi delle lenzuola.
Poi Roberto cominciò a stantuffarla ad un ritmo sempre più veloce, finché le riempì le viscere d’abbondante sborra.
Le stette dentro ancora un poco e poi con uno strattone uscì.
Grazia giaceva immobile sul letto.
Lui la girò a pancia in su: aveva gli occhi pieni di lacrime.
Le tolse il bavaglio, l’aiutò a togliere la palla da tennis e prima che lei riuscisse a pronunciare una sillaba, le stampò un bacio sulla bocca. Si baciarono a lungo, ma quando lui si scostò, le impose:
-Zitta, troia! Non una parola!-
-..?!’-
Si avvicinò alle catene e le slegò le caviglie, mentre le diceva:
-E’ inutile che neghi! Ti piace e hai goduto come una troia!-
-Ma’-
-Taci! Ho detto di stare zitta! Troie come te non hanno il permesso di parlare!-
-Ma io’Ahiaaa! Nohoo, Bastahaa- Venne raggiunta da frustate.
-Basta, No? Che parole! Ma non senti che ad ogni colpo ti bagni come una porcella?- Le aveva ficcato di nuovo la mano in mezzo alle gambe e glie l’aveva fatta annusare.
-Lecca, troia! Lecca i tuoi umori!- Le impose.
Grazia eseguì, ma una lacrima le scese lentamente s’una guancia.
Le slegò anche le mani. Lei si massaggiò i polsi e le caviglie.
Roberto si accostò di nuovo teneramente e le sussurrò:
-M’hai svelato un lato di te che non conoscevo. Mi piace, mi piace molto. Cercherò d’essere all’altezza del ruolo che mi chiedi, ma tu dovrai fare la brava!-
-Ma io non’.-
-Taci ho detto! Ne vuoi ancora?- Le impose con tutt’altro tono, brandendo la frusta e facendola saettare in aria.
-No, noohahaa!- Gridò per il colpo ricevuto.
-Zitta, non una sillaba! Parlerai quando ti darò il permesso, capito?- Le disse con lo strumento a mezz’aria.
Lei annuì, tremante. Non era paura, ma un riflesso condizionato, ogni volta che si trovava in una situazione come quella: una voce autoritaria che la rimproverava, la minacciava per poi rabbonirla con un bacio. Proprio come faceva suo padre con lei:
-Bene, bene, bene’Credevo di avere soltanto un amore e invece ho trovato una schiavettina. Una bella sorpresa- E l’accarezzò.
-Ora vediamo cosa sei disposta a fare, tanto so che ti piace farti frustare’.-
Grazia voleva sbottare e dirgli che non era vero. Che era pentita di essersi legata al letto, che era solo un malaugurato malinteso.
Aveva le mani libere, si poteva ribellare’.Ma non fece nulla. Come se fosse prigioniera di se stessa, della reazione del suo corpo. Era in preda a un’enorme vergogna. Si sentiva colpevole e meritevole del trattamento che stava subendo:
-Togliti quegl’inutili stracci che hai addosso e scendi dal letto, lurida cagna- Le ordinò:
-Guarda come l’hai sporcato!- Si notavano sulla coperta, macchie di sangue.
Lei si strappò con rabbia malcelata gli ultimi indumenti. Era la rabbia d’essersi cacciata di nuovo in una situazione sadomaso. La rabbia contro quel vecchio disco maledetto, che la costringeva a godere attraverso il dolore. La rabbia di lasciarsi maltrattare per sentirsi amata:
-A quattro gambe, cagna!- Roberto l’accompagnò con la mano stretta sul collo e la fece scendere come un animale, prima con le braccia e la testa verso il pavimento, poi con le gambe. Lo sperma le colava lentamente dal buco posteriore e gocciolava, rapprendendosi, sulle sue cosce.
-Seguimi in bagno, sei sporca da far schifo!- Le disse, sempre con fare brusco:
-Entra nella vasca.-
Aprì il rubinetto della doccia a telefono e inizio ad irrorarla con getti gelidi.
Grazia cercava di scansare l’acqua, gridando, ma Roberto la frustò un paio di volte, imponendole di stare ferma e subire il lavaggio.
Il forte getto, come miriadi di sottili spilli, la trafiggeva in tutto il corpo.
Lui si soffermò prima sulle natiche, glie le aprì e le inflisse un clistere violento e doloroso.
Poi le irrorò la figa: per un attimo introdusse la cornetta nella fessura ristretta dal freddo e dalla paura. La reazione di lei, furono ancora strilli acuti e un tentativo di sottrarsi all’ennesima sevizia, ma lui le teneva il bacino stretto a sé.
Infine fu la volta del petto. La spinse in ginocchio e le impose le mani dietro la schiena. Squassò le sue tette, rigate dalle frustate precedenti, facendole sobbalzare con getti potenti e manovrando la doccia in direzioni diverse.
Chiuse l’acqua.
Grazia aveva la pelle d’oca, ma quell’energico lavaggio gelato, aveva attivato la circolazione periferica del sangue: si sentì pervasa da un calore benefico.
-Esci dalla vasca, cagna!- Con quelle parole, Roberto intendeva che lei mantenesse la posizione carponi. Stese un accappatoio per terra e le ordinò si salirci:
-Sta’ ferma e non fiatare, se non vuoi altre frustate.-
L’asciugò vigorosamente, poi prese dell’alcol, trovato in un armadietto e la innaffiò su tutto il corpo. La fece girare prona e ripeté l’operazione.
Grazia urlò nuovamente per il bruciore: le piccole ferite e le abrasioni sul suo corpo, tormentavano la donna, che si lamentava, ora gridando, ora piagnucolando parole d’implorazione.
-Zitta troia! Ti sto curando e ti lamenti! Non sei mai contenta!-
Finito che ebbe, Roberto la condusse di nuovo in camera:
-Dunque, cara la mia troietta- Le disse:
-Da ora in poi, questa sarà la tua posizione abituale al mio cospetto. Non potrai pronunciare nemmeno una sillaba, se non ti sarà richiesto e sono abolite parole come ‘No’, ‘Basta’, ‘Pietà’, o implorazioni del genere. Inoltre ti rivolgerai a me chiamandomi ‘Signore’ e mi darai del lei e infine il tuo nome è cambiato: non ti chiami più Grazia, ma Troia. Hai capito, troia, rispondi!-
-Ma..?!-
La minaccia della frusta a mezz’aria la costrinse a rispondere:
-Si signore, ho capito signore-
-E come ti chiami?-
-Mi’Mi chiamo’troia- Fece lei con aria afflitta e tristemente sottomessa.
-Benissimo, cara la mia troia- Guardò l’orologio:
-S’è fatto tardi, devo andare’.Ti telefono domani’.Mi raccomando: ricordati che sei solo una piccola e lurida troia masochista!- La baciò sulla bocca, le diede un ultimo colpo di frusta sulle natiche, prima di posare l’arnese ed uscì dalla stanza, lasciandola immobile, nuda e carponi.
Stette qualche secondo in quella posizione, trasalendo al rumore della chiusura della porta e s’accasciò raggomitolandosi per terra, piangendo sommessamente.
Riavutasi dallo shock di quella situazione e dell’evoluzione del rapporto con Roberto, si condannò per la sua stupidità.
Non aveva voglia di ritornare in quell’inferno nel quale il suo cervello andava costantemente in cortocircuito. Godeva, certamente, più che con qualsiasi altra pratica sessuale, ma era troppo faticoso riconciliarsi ogni volta con se stessa.
Decise di troncare la relazione: meglio sola che ripetere gl’errori passati, pieni di frustrazioni e sensi di colpa. Se lo ripeté più volte durante quella sera, immaginandosi le parole più adatte per mandare Roberto a quel paese e convogliando la sua rabbia montante verso quell’uomo, ma quando lui le telefonò, il giorno dopo, andò completamente nel pallone: la voce autoritaria e profonda di Roberto le cancellò ogni pretesa di ribellione ed acconsentì di rivederlo, rispondendogli a tono, con voce flebile e sottomessa.
Era di nuovo furibonda con se stessa e dapprima pensò di non farsi vedere, ma era combattuta tra le sue due anime e si convinse che non le poteva succedere nulla visto che l’appuntamento era in centro: decise che poteva sempre riconquistarlo in un ruolo più ‘normale’.
Indossò una gonna corta, una camicetta semitrasparente sopra un reggiseno a balconcino e un golfino non abbottonato; si mise delle calze autoreggenti e delle scarpe con tacco alto, ma non sapeva decidersi se indossare le mutandine oppure no. Nel dubbio e per non deludere il suo amante che s’aspettava una schiavetta, si mise un tanga: avrebbe potuto accampare la scusa di temere l’arrivo delle mestruazioni.
Appena la vide, Roberto esclamò:
-Sei stupenda!- E si baciarono appassionatamente.
-Vieni, amore, andiamo dal fruttivendolo-
Lei lo guardò con aria interrogativa, ma lui le mise il braccio intorno alla vita e senz’altre spiegazioni, la trascinò, camminando velocemente.
Giunti al negozio, si rivolse all’esercente, chiedendo delle carote; poi rivolgendosi a Grazia:
-Ti piacciono?-
-Si, ma’- Rispose lei, senza capire cosa avesse in mente:
-Ha delle pere? Ne vorrei mezzo chilo, ma acerbe, grosse e belle dure!- Chiese ancora Roberto:
-Ecco, quelle vanno benissimo. Poi di nuovo a Grazia:
-Anche le pere ti piacciono, vero?-
-Si’- Gli disse, ancora, un po’ titubante:
-Paga, sono per te!- Le ordinò
Poi uscirono e si diressero verso un bar. Si sedettero ad un tavolino. Lui le si accostò all’orecchio e le disse con tono suadente:
-Ora la mia brava schiavetta, prenderà una carota, andrà alla toilette e se l’infilerà nel culo-
-‘..- Lei lo guardò stupefatta. Era sorpresa e contrariata dalla richiesta: fino ad allora l’aveva trattata normalmente, come una volta, in modo affettuoso e pieno di premure. Pensava d’essere tornata la sua amante di sempre; non aveva preteso un rapporto referenziale e malgrado quegl’acquisti strani, s’era illusa che Roberto si fosse dimenticato dell’accaduto del giorno prima :
-Ti conviene obbedire, e alla svelta! O facciamo i conti a casa!-
Grazia guardò nel sacchetto delle carote: erano tutte maledettamente grosse e lunghe. Scelse quella che le parve meno voluminosa e guardando Roberto ancora una volta, nella speranza che desistesse dalla richiesta, si alzò e andò verso i servizi.
Di nuovo si maledisse, ma per un riflesso condizionato, non le passò per la testa di rifiutare quell’ordine, ribellarsi; come fosse una schiava incatenata ad un destino ineluttabile, si rassegnò ad accontentare l’uomo, giurando a se stessa che sarebbe stata l’ultima volta.
Bagnò la carota e la cosparse di sapone. Poi si chinò e accostò il frutto tra le natiche. Strinse i denti e lo cacciò dentro. Riuscì a farlo penetrare per metà, abbastanza facilmente, nonostante il dolore, ma quando, tastando, si rese conto della parte di carota ancora fuori, si disperò.
La spinse ancora un po’, con un grugnito animalesco. Non ce la faceva, era troppo lunga e grossa: mancavano almeno quattro centimetri.
Si rialzò lentamente, ma perse quasi l’equilibrio dalla fitta di dolore che la percorse, rimbalzando dall’ano al cervello.
Si riprese e decise di tornare da lui. Toccandosi, notò con raccapriccio che la punta della carota sporgeva e si sarebbe vista sotto la gonna. Vergognandosi come una ladra, uscì dalla toilette con le mani dietro, a coprire l’indecente protuberanza.
Camminava piano ed ogni passo era una sofferenza indicibile.
Lui la guardò arrivare e le ordinò di sedersi: lei sbiancò. La sola idea di poggiare la carota sul sedile la faceva svenire.
-Siediti, ho detto! Lurida troia maledetta! Ce ne messo di tempo! Sei stata forse a masturbarti?- Le sussurrò in tono deciso e la prese dalle spalle, costringendola verso il basso.
Grazia si accomodò, mantenendosi sollevata sulle gambe; gli sorrise leggermente come sempre le succedeva istintivamente di fronte ad un’ingiunzione, ma lui le disse freddamente:
-Sei contenta, eh? Solleva quelle gambette, furbetta!-
Grazia lo guardò implorante, scuotendo disperatamente la testa.
-Ma cos’hai oggi, sei sorda? Ti devo ripetere gli ordini sempre due volte, per farmi obbedire? Se fossimo a casa, sai quante ne prenderesti!- E la schiacciò giù, seduta.
Lei si accasciò sul tavolo, mordendosi una mano per non urlare, ma lui, per niente intenerito, le prese l’orecchio e le grido dentro:
-Voglio vedere le tue gambe sollevarsi da terra, brutta troia disobbediente!-
Grazia le alzò tremante e sentì la carota che penetrava lentamente nelle sue viscere, sfondandola definitivamente.
-Bevi, troia, bevilo tutto d’un fiato- Le ordinò appena si riprese dallo stordimento del dolore. Era un bicchiere di doppio whisky. Si senti subito meglio. Brilla e un po’ euforica, era a stomaco vuoto e l’alcol entrò nel sangue immediatamente.
-Ora, per farti perdonare degli indugi ad obbedirmi, tieni questa pera, va’ di nuovo alla toilette e ficcatela nella vagina!-
Lei si sentì persa. La sola idea di alzarsi e di camminare la faceva svenire:
-Non ce la faccio- Gli disse: -Non ce la faccio a muovermi, ti prego’-
Lui le tappò la bocca con una mano:
-Forse non ci siamo capiti! Forse non sono stato chiaro! Devi eseguire subito e senza fiatare!- Le intimò con tono calmo, ma fortemente irritato e proseguì:
-Non sono affatto contento del tuo comportamento: ora fa quel che ho ordinato e poi vedrò di raddrizzarti a casa, una volta per tutte!-
La minacciò con un tono talmente fermo e convincente, che Grazia si alzò di scatto dalla sedia, aiutandosi con le mani che afferravano il bordo del tavolino e ignorando il male boia che sentiva nel didietro, prese la pera e si avviò alla toilette.
Ormai era completamente in balia dell’uomo e si scordò dei suoi propositi di ribellione, come se quella sua parte si fosse dileguata come neve al sole. Ripiombata in una dimensione di sottomissione totale, si strappò con rabbia il tanga di dosso e lo buttò nel gabinetto, tirando lo sciacquone.
Chiuso il coperchio si sdraiò sulla schiena con le gambe piegate in aria e, tolto il picciolo, premette il frutto contro la vagina larga e bagnata d’una schiava masochista.
Malgrado ciò, dovette stringere i denti e trattenere il fiato, per farla penetrare tutta per il suo volume.
Rimessasi in piedi con fatica, s’aggrappò al lavabo, ansimante e sudata. Aspettò che il respiro si calmasse e tentò di avviarsi verso l’uscita.
Camminava lentamente, coi piedi a papera, un po’ come le donne incinte all’ultimo mese. Ad ogni passo, la pera si muoveva, dandole delle fitte di dolore e di piacere allo stesso tempo. Le sembrava che il frutto tendesse ad uscire: senza mutandine era difficile trattenerlo dentro.
Tornò al tavolino e con una smorfia di dolore, si sedette.
-Siediti in modo decente, vuoi far vedere a tutti quanto sei troia? Accavalla le gambe, svelta!- E ad un ulteriore indugio della schiava, le afferrò un ginocchio ed accompagnò il suo movimento.
Di nuovo fu costretta a mordersi la mano, per non urlare dal dolore. Sentì la pera addentrarsi fino al collo dell’utero: era certa che quelle pratiche brutali nei suoi orifizi, l’avessero sfondata, ferita. Si vedeva già trasportata in ospedale, derisa e compatita da medici ed infermieri.
-Bevi, schiava! Bevine un altro!- Le ordinò Roberto, mettendole davanti un altro bicchiere di doppio whisky.
Lo trangugiò tutto d’un fiato: le girò la testa, ma il dolore scomparve e si sentì pervadere da un torpore benefico.
-Andiamo, alzati!-
Lei eseguì, ma barcollò e se lui non l’avesse sostenuta, sarebbe crollata a terra:
-Sei ubriaca da far schifo!- Commentò lui, prendendola sottobraccio:
-Un po’ d’aria ti farà bene.
Grazia alzò la mano, timidamente.
-E adesso che c’è. Se vuoi ancora lamentarti o implorare, giuro che ti frusto, qui davanti a tutti, con la cintura dei pantaloni! Avanti dimmi, sentiamo:
-Mi scusi, signore- Fece lei con un fil di voce: -Ho paura che la pera esca, non ho le mutandine e’.-
-Se uscirà anche solo di un millimetro, saranno cazzi tuoi! Cammina bene, con le cosce strette e vedrai che non succederà.
Lei pensava di andare subito a casa. Era sollevata al pensiero di dover camminare solo fino all’auto, ma anche preoccupata per le punizioni promesse che avrebbe dovuto subire una volta giunti.
Roberto si diresse invece verso una merceria.
-Porti la terza misura, vero?- Le domandò.
Lei annuì con la testa.
Alla commessa chiese un reggipetto, fasciante e rigido:
-Della seconda misura. Ecco bene, proprio così. Possiamo provarlo?-
Lui la spinse nello spogliatoio e le ingiunse di mettersi l’indumento.
Lei si spogliò, addossandosi al muro, per reggersi in piedi. Prese il reggiseno e ci ficcò a fatica le tette.
-Allaccialo dietro!- Ordinò Roberto.
Grazia tirò l’elastico all’inverosimile e dopo vari tentativi, riuscì a far scattare la chiusura. Le spalline affondavano nella pelle e le tette schiacciate, svettavano tirate in su e da parti opposte.
Lui tolse di tasca un paio di forbicine e tagliò il reggipetto nel punto corrispondente ai capezzoli. Poi li afferrò, pizzicandoglieli con le dita e li estrasse a forza, facendo uscire anche l’aureola.
Lei si contrasse in una smorfia di dolore, ma non disse niente. Ormai lasciava manipolare il suo corpo con rassegnazione, mista alla leggera sensazione di piacere che le dava l’eseguire degl’ordini.
-Mettiti il golf!- Le ingiunse e mise la sua camicetta e il reggipetto a balconcino, nel sacchetto della frutta.
La lana strofinava contro quella parte così delicata, resa ancora più sensibile dall’indumento aderente. I capezzoli s’indurirono immediatamente.
Grazia si vergognava a morte: attraverso la stoffa si poteva scorgere nitidamente la loro forma, il loro essere turgido. Si mise le mani per coprirli, ma quando lui le ingiunse di pagare, mostrò alla commessa tutto il suo imbarazzo. Quest’ultima, che forse non avrebbe notato nulla, le sorrise in modo complice, facendola arrossire.
Ora Grazia si sentiva tutto il corpo dolorante, alla mercé dei voleri, dei capricci e delle voglie del Padrone: non era più una donna, ma irrimediabilmente una schiava.
Passarono da un negozio di animali.
Senza ritegno verso il commesso e le persone presenti, Roberto le fece provare dei collari, fino a sceglierne due: uno di maglia di ferro e uno di cuoio borchiato. Comprò anche un guinzaglio di cuoio e qualche scatoletta di paté per cani.
Anche quelle merci, tutte dedicate al suo ruolo, le dovette pagare la schiava.
Erano passati tre mesi da quella prima volta: tre mesi di sevizie, umiliazioni e fantastici orgasmi, che raggiungeva solo con le pratiche sadomaso impartite dal suo Padrone.
Ormai s’era scordata della Grazia d’un tempo: il conflitto mentale che la tormentava nei primi giorni era scomparso.
Era la piccola troia di Roberto, che si prestava a qualsiasi tortura, costrizione le fosse imposta, godendo delle attenzioni, delle manipolazioni, delle intrusioni nelle sue intimità.
Cagna a tutti gli effetti, con collare e guinzaglio, aveva imparato a leccare i piedi del padrone e persino scodinzolare con una coda ficcata nell’ano o mangiare, da una ciotola cibo per cani, condito a volte col piscio di Roberto.
S’esprimeva con abbai e guaiti, rispondendo umanamente dei sì e dei no solo con la testa, o, più raramente accennando della gestualità.
Si sentiva appagata, viveva completamente al servizio del suo padrone, dal quale dipendeva in tutto e per tutto.
Non aveva bisogno di lavorare per mantenersi: ci pensava lui. S’era trasferita a casa sua ed a richiesta, gli faceva da cameriera, da cuoca e da puttana.
Le rare volte nelle quali Roberto se la portava con sé fuori, la lasciava vestirsi da donna, ma dei piccoli accorgimenti sotto il vestito o direttamente in qualche orifizio, la rassicuravano del suo stato; quando, più spesso era lasciata sola a casa, durante il giorno, oppure anche la sera, perché si sentisse sicura, le preparava una situazione di bondage estremo, in modo da farle passare il tempo in sua assenza, sempre col pensiero diretto a lui.
Quando affermò che aveva intenzione di farle conoscere degli amici, fu veramente felice. Sotto, sotto sospettava che avesse trovato un’altra donna e che lo tradisse in quelle uscite serali, sempre più numerose.
Il giorno stabilito per l’incontro, lui preparò una borsa senza che lei ne vedesse il contenuto e nella quale mise vari strumenti di sottomissione. Appena giunti, le disse d’aspettare in auto una mezz’ora prima di salire da Giovanni e di portare la borsa con i regali.
Le spiegò l’itinerario che doveva fare dal portone alla casa del suo amico e se lo fece ripetere più volte per essere sicuro che non si perdesse.
Erano mesi che non si muoveva da sola e Roberto aveva paura per la sua incolumità psicofisica. D’altra parte anche Grazia era fortemente insicura e titubante d’affrontare il percorso da sola, abituata com’era ad obbedire ciecamente e non pensare a nulla.

La festa

All’inizio la serata non fu così terribile o cruenta, come si sarebbe sospettato, visto l’accoglienza organizzata da Roberto.
Gli amici erano più meravigliati e interessati alla particolare natura della personalità di Grazia, che ad infierire con giochi sadomaso.
Giovanni la invitò a sedersi per terra al centro della stanza, la coprì con un plaid e tutti fecero delle domande, alle quali lei rispondeva con un si, annuendo, o con un no, scuotendo la testa.
Benché Roberto si sforzasse di spronare gli amici a provare la resistenza alle sevizie della schiava, a proporre scene intriganti o utilizzarla singolarmente in una delle stanze della casa di Giovanni, nessuno osava cimentarsi nella propria componente sadica, men che meno per prestazioni sessuali promiscue. Anzi, una coppia, ad un certo punto, minacciò d’andarsene, se la serata fosse continuata su quel tono: erano visibilmente disgustati. Soprattutto la lei della coppia, affermò la sua contrarietà a sfruttare in modo così abbietto una donna, la quale, evidentemente, aveva seri problemi psicologici. Al contrario sarebbe stato meglio aiutarla e denunciare Roberto per circonvenzione d’incapace.
A quel punto, Giovanni ritenne opportuno condurre Grazia nella sua camera da letto, le stese sopra una coperta e la confortò con parole gentili e rassicuranti, le tolse il bavaglio, mentre gli altri, nella sala, continuavano a discutere animatamente.
Annamaria, l’unica veramente interessata ed entusiasta di poter sperimentare su una donna le proprie voglie, dapprima stette in silenzio ad ascoltare le ragioni dei più che esprimevano la loro contrarietà alle iniziative di Roberto, poi con una scusa, lasciò gli amici e si diresse verso la stanza di Giovanni.
Quando Grazia la vide entrare in camera, capì subito che non era per una visita di cortesia.
Con una mossa tanto infantile, quanto inutile e provocatoria, si nascose sotto la coperta, tremante.
Annamaria si avvicinò e le disse con voce melliflua:
-Ma dove sarà quella bella schiavettina? Sotto il letto? No, non è sotto il letto. Forse dietro la tenda? No, neanche lì. Ah, ho capito, è dentro l’armadio! No, non è nemmeno qui.- Poi tirò leggermente la coperta e:
-Ah, eccoti qui, birichina! Ti volevi nascondere, he?- E fece volare via la coltre.
Grazia si rannicchiò in posizione fetale, assecondando inconsapevolmente il gioco crudele della donna, la quale invece d’intenerirsi, le si avvicinò con fare minaccioso: la prese per la ciocca di capelli della coda di cavallo e la strattonò con violenza giù dal letto, facendola cadere pesantemente sulle natiche.
La trascinò così fino in bagno e chiuse la porta a chiave.
Mentre Grazia si riaveva dal trattamento subito e si tastava la testa, temendo d’esser stata scotennata, Annamaria salì sopra le sue costole, posizionando i tacchi delle scarpe sulle tette: la schiava gridò dal male tremendo, ma l’aguzzina si sfilò la piccola cintura del suo vestito e la minacciò con essa, intimandole di tacere e di muoversi:
-Striscia, verme schifoso! Striscia pigrona rammolita!-
Grazia strinse i denti, puntò i gomiti per terra e con l’aiuto dei piedi, cercò di avanzare all’indietro, ma con scarsi risultati: un po’ per il peso di Annamaria, una donna possente e robusta e un po’ per il dolore alle tette, martoriate dai tacchi che cambiavano posizione continuamente, per trovare l’equilibrio su quel piedestallo molle ed instabile.
Capendo che sarebbe stato impossibile che la poveretta eseguisse l’ordine, l’aguzzina, s’inginocchiò con le rotule sulla pancia e le punte delle scarpe sul petto e, allargandole a forza le cosce, iniziò a frustarla selvaggiamente sulla figa con la cintura dalla parte della fibbia.
Ad ogni colpo, Grazia riceveva anche il contraccolpo sul resto del tronco e non ci volle molto perché cominciasse ad ululare per il dolore.
Annamaria interruppe la sevizia per paura che le grida allarmassero gl’altri e minacciò di continuare, se non l’avesse leccata per benino sulla vagina.
Le venne in mente quell’ingiunzione, lì per lì, senza pensarci due volte, scoprendo un suo lato lesbico che non sapeva d’avere
La schiava non era per niente felice dell’alternativa: non era attratta affatto dalle donne, non l’aveva mai fatto e le faceva ribrezzo il solo pensiero.
Inoltre non era una puttana e detestava Annamaria, la sua arroganza nell’averla considerata da subito come un oggetto di piacere, ma quest’ultima non le diede il tempo di scegliere: si sfilò le mutandine e si sedette sulla faccia di lei, accomodando la sua figa sulla bocca di Grazia e ricominciando a colpirla con la cintura, la convinse ad eseguire.
Annamaria si stupì di quanto fosse piacevole sottomettere una donna e si bagnò immediatamente. Guidava la schiava, ora a leccarle o succhiarle la clitoride, ora ad affondare la lingua nella vagina, come se l’avesse sempre fatto.
Socchiuse gl’occhi per un piacere montante e sconosciuto, serrò le mani sulle tette di Grazia, incitandola ad eseguire a puntino gli ordini, mungendola o rigirandole i capezzoli, procurandole dolore come solo una donna sa fare ad un’altra donna.
Dopo vari minuti di sofferenza, Annamaria venne con grida sguaiate, accompagnando gli ultimi sussulti di un formidabile orgasmo con colpi violenti di frusta.
Grazia pensò fosse finalmente finita la tortura. Le sembrò che l’aguzzina fosse stata ampiamente accontentata, ma quest’ultima, pur soddisfatta e spossata, rimase nella stessa posizione, ansimante, finché il respiro si calmò.
Si toccò la figa e controllò che fosse nella posizione adatta e si rivolse a Grazia con voce suadente:
-Mi spiace cara, di non essere un uomo! Ti sei persa una bella bevuta! Ma non ti crucciare, anch’io posso riempirti la bocca di mio liquido-
Grazia capì immediatamente l’antifona e cominciò a mugolare sotto quell’ammasso di carne, ma Annamaria le impose di stare ferma, convincendola a bere e non sporcare in giro: le tirò le tette con tale violenza che alla schiava pareva di sentirsele strappare.
Mentre subiva quell’ultima schifosa umiliazione, si sentì bussare alla porta: era Andrea, il marito:
-Sei qui Anna?-
-Si-
-Ti senti male?-
-Mai sentita meglio, ahaaaa!- Rispose quella, mentre soddisfatta, si liberava del piscio:
-Hai bisogno di venire in bagno?- Gli domandò attraverso la porta.
-Nnnno’. Cioè’ si. Ma l’importante è che tu stia bene!-
-Non ti preoccupare, esco fra un attimo-
Si alzò, si rimise le mutandine e guardò la schiava come se fosse un essere repellente: quest’ultima, sentendosi autorizzata a muoversi e avendo dei conati di vomito, si trascinò verso la tazza del gabinetto per evacuare il liquido appena ingurgitato.
Ora Annamaria sembrava avesse un atteggiamento premuroso: si avvicinò e le prese la testa, come si fa in questi casi, aiutandola a calmare i rigurgiti. Successivamente le porse un asciugamano per pulirsi la bocca, ma quando vide che s’era ristabilita, le disse:
-Sta’ pure lì, cesso, anzi siediti sul water!-
La schiava non capiva quello che Annamaria avesse in mente, ma si accinse ad eseguire.
-Alza l’asse del gabinetto! Ecco, così! Ora metti dentro il tuo sederino, da brava- Le ingiunse con quella voce melliflua, che la schiava ben conosceva e che presagiva una trovata per niente simpatica.
Annamaria afferrò le caviglie della sua vittima e glie le costrinse anch’esse nella tazza e poi la spinse in basso, incastrandola dentro il water. Le prese le mani e girandogliele dietro la schiena, fissò la catena delle manette al tubo del cesso con il piccolo asciugamano del bidet. Poi si guardò in giro: sapeva che Giovanni aveva in bagno da qualche parte, un cartellino spiritoso con una vignetta e una scritta che diceva: ‘Abbiate mira’. Lo staccò dalla parete e glie lo appese al collo. Prese infine della carta igienica e glie la ficcò in bocca.
-Arrivederci, cesso! E buone bevute!- Fu il suo congedo.
Tornando nella sala, incontrò Andrea e lo informò che il bagno era libero, a sua disposizione.
Il marito non se lo fece dire due volte e corse al gabinetto. Chiuse la porta a chiave e voltandosi, solo in quel momento vide Grazia.
Sentì il suo membro eccitarsi alla vista di quella donna, legata, impotente, che si lamentava sommessamente. Sconcertato, non sapeva che fare.
In sala, una volta abbandonato dalla moglie, era stato convinto dalla maggioranza dei presenti, che Grazia fosse una poveretta e che approfittarne sarebbe stato da reato penale.
D’altra parte, conosceva bene Roberto, fin dall’infanzia: non era certo un criminale. Più volte si erano scambiati dei pareri sulle loro esperienze con le rispettive fidanzate. Roberto era convinto della naturale propensione delle donne verso il masochismo:
-Quando sono innamorate, si lasciano fare di tutto: sono delle vere porcelle!- Diceva.
Andrea concordava parzialmente con lui. Era un tipo più sensibile e riflessivo e non si faceva una ragazza, via l’altra come il suo amico.
S’era da poco sposato con Annamaria, una donna decisa, che lo comandava a bacchetta.
Si lasciò andare all’istinto e preso coraggio, si avvicinò a Grazia. Le accarezzò il viso, le tolse quel tampone di carta compressa e bagnata dalla saliva e le chiese gentilmente:
-Mi fai un bel servizietto, per favore?- Mentre si slacciava la patta dei pantaloni e tirava fuori il suo pene eccitato.
La schiava non mosse la testa, né verso il membro di Andrea, né la girò per negargli il pompino. Era disperata e confusa, spossata e talmente disorientata dalla piega degl’avvenimenti che non rispose.
La sua bocca dischiusa e il suo silenzio fu interpretato come un assenso si trovò con il cazzo in bocca: d’istinto socchiuse le labbra.
Andrea si muoveva come se stesse scopando in una figa e tenendole la testa ferma con le mani, non le imponeva alcun movimento, mentre Grazia si rendeva appena conto, in quel frangente di spossatezza e semi incoscienza, d’essere diventata una puttana, un oggetto da fottere, da usare a piacimento.
Come negl’incubi di certe notti, nei quali ripercorreva la violenza subita da adolescente, decise di partecipare attivamente per terminare in fretta quel servizio umiliante.
Succhio e leccò il glande con la lingua in modo che Andrea venisse in pochi minuti.
Fu inondata da fiotti abbondanti di sperma, mentre l’uomo le premeva la bocca sull’inguine, le accarezzava i capelli ringraziandola e complimentandosi con lei.
Le parole di Andrea la lasciarono indifferente, immersa com’era nel senso di colpa che l’attanagliava ogni volta che s’era trovata in frangenti simili e mentre inghiottiva delle lacrime amare le scendevano sul viso.
Lui si guardò in giro, indeciso sul da farsi; poi le rimise il tampone in bocca e si liberò la vescica nel bidet. Non gli passò neanche dall’anticamera del cervello di pisciarle contro o addirittura in bocca.
Tornò in sala e incrociò lo sguardo complice della moglie:
-Fatto?- Le sussurrò lei, che pensava ad una minzione in bocca.
-Fatto!- Rispose lui, sorridente, ricordando invece il bellissimo pompino, pratica assolutamente negatagli dalla sua consorte.
Ormai s’era fatto tardi e gli amici di Giovanni si congedarono. Roberto gli raccomandò di non fare troppi complimenti con la schiava:
-Più la si tratta male e più ti vuole bene. Qui ci sono gli attrezzi correttivi: se hai bisogno d’altro, o se non ti obbedisce a dovere, telefonami pure.-
-Ma perché te ne vuoi sbarazzare?- Gli chiese l’amico.
-Perché il lavoro d’addestramento è finito e non ci provo più gusto ad avere intorno una cagna senza volontà, che non possiede più un moto di ribellione. Comunque se anche tu ti stufi, puoi sempre ridarmela o appiopparla a qualcun altro. Ad Annamaria, per esempio, che m’è parsa interessata-
Giovanni s’accontentò della risposta, anche se voleva andare a fondo della faccenda.
Possedere una schiava? Quante volte l’aveva sognato: una femmina obbediente, sempre a sua disposizione. Ma un conto è la fantasia e un altro è la realtà. Fosse vissuto nell’antichità o nel medioevo, non ci sarebbero stati problemi, ma adesso’.Roberto gli aveva dato una bella gatta da pelare.

A casa di Giovanni

Quando Roberto se ne andò e chiuse la porta, Giovanni si recò in camera da letto, ma con sua sorpresa non trovò Grazia.
Allarmato la chiamò: pensava si fosse nascosta da qualche parte nella stanza o addirittura si fosse buttata dalla finestra.
I discorsi che erano stati fatti, prima d’accompagnarla nella stanza, non erano molto lusinghieri nei suoi riguardi, sia da chi accettava il suo ruolo di schiava, sia da chi pensava fosse una povera plagiata, o matta, o ancora un’handicappata mentale.
Uscì dalla stanza e la cercò prima in cucina, pensando, forse, le fosse venuta fame e poi finalmente la trovò in bagno, incastrata nel water.
S’era assopita in quella posizione scomoda, sporca e con evidenti segni di frustate sul corpo.
Le si avvicinò lentamente e l’accarezzò sul viso.
Lei si destò di soprassalto, allarmata.
Subito la rincuorò:
-Povera ragazza, ma cosa t’hanno fatto, chi t’ha ridotto in questo stato?-
Lei abbassò lo sguardo e rispose con dei gemiti. Alcune lacrime le scendevano sul viso.
-Aspetta- Le disse Giovanni: -Devo trovare le chiavi giuste.-
Provò ad aprirle il lucchetto delle manette con una, con una seconda: chiaramente era la terza.
Appena liberata la bocca, lei la chiuse e si umettò le labbra, ma non disse una parola.
L’aiutò ad uscire dalla tazza del gabinetto.
Non fu un’operazione facile: le sue membra erano addormentate e non riusciva a muoversi. La dovette tirare su di peso e appena poggiò i piedi, crollò a terra.
Giovanni liberò anche le caviglie e cominciò a massaggiarla: era fredda e intorpidita.
-E’ meglio che ti prepari subito un bel bagno caldo- Le disse, ma lei scosse la testa e si rannicchiò impaurita in un angolo.
Impressionato da quel comportamento, la lasciò stare ed aprì i rubinetti della vasca da bagno. Poi tornò da lei e cercò di parlarle nel modo più gentile e convincente che poté.
Aveva capito che Grazia era traumatizzata. Si ricordava quando arrivò a casa sua: malgrado l’atteggiamento remissivo era un’altra persona. Doveva essere successo qualcosa di grave.
-Stai tranquilla- Le disse:
-E’ tutto passato, non c’è più nessuno in casa- Si accostò a lei e fece per accarezzarla, ma lei si riparò con le mani, temendo d’essere aggredita:
-Poverina- E l’accarezzò con un dito s’una guancia. Lei aprì la guardia, si lasciò abbracciare e poi proruppe in un pianto liberatorio, poggiando la testa sul petto di Giovanni.
Stettero così un bel po’, senza dirsi una parola. Lui la cullava come fosse una bambina e lei si calmò, ma più di una volta ricominciò a singhiozzare.
-Dai, che il peggio è passato. Guarda il bagno è pronto, vieni- Le disse.
La schiava seguì l’uomo camminando a quattro gambe e, come un automa scavalcò la sponda e si sistemò nella vasca sempre carponi.
-Sdraiati tranquilla, non voglio farti del male. Rilassati, il bagno è fatto anche per questo, no?-
La vide arrossarsi ed esclamò: -Ma l’acqua è troppo calda! Dovevi dirmelo!- E aprì il rubinetto della fredda:
-Grazie- Disse lei con un fil di voce. Fu la prima parola che si permise di pronunciare senza permesso.
Giovanni stette a guardarla accovacciato, vicino alla sponda della vasca: era veramente bella, anche se deturpata dai segni delle sevizie subite.
Dopo un po’ le diede in mano la spugna e del sapone e la invitò a lavarsi. Di nuovo lei pronunciò un: -Grazie- Pieno di gratitudine, ma nient’altro.
Giovanni si offrì di lavarle la schiena. Lei lo guardò timorosa e gli diede la spugna insaponata, mettendosi in ginocchio e chinandosi con la testa quasi del tutto immersa nell’acqua e le mani intrecciate dietro il collo.
‘No’, pensò lui, ‘Non può essere solo il trattamento ricevuto questa sera. Mi sembra che a questa poveretta sia stato lavato il cervello’
Finito di lavarsi, l’aiutò a scavalcare la sponda: lei si mise subito a quattro gambe. Giovanni pensò fosse troppo debole per stare in piedi e la coprì con un accappatoio. Rimase immobile:
-Ma che fai lì- Gli venne spontaneo:
-Su, asciugati!-
La schiava si strofinò, sempre rimanendo nella stessa posizione.
-Vieni, andiamo a farci una bella dormita! Vedrai, domani ti sentirai meglio-
Lei lo seguì camminando carponi e Giovanni esclamò:
-Non ce la fai a camminare dritta?- E la prese sotto le ascelle per aiutarla ad alzarsi.
-Non mi è permesso, signore!- Rispose la schiava, che non faceva nulla per aiutarlo nell’operazione.
-Ma scusa- Lui sbottò:
-Quando sei arrivata a casa mia, camminavi normalmente, o hai fatto la strada, tutta a quattro gambe!-
La schiava s’alzò, ma tenne la testa china e non rispose.
Arrivati in camera, lui scalzò le lenzuola e le disse di sdraiarsi:
-Scusa se il letto è un po’ piccolo, ci adatteremo: tanto sia io che te, siamo stanchi morti, vero?-
-Una cagna dorme sul tappeto, signore- Disse lei e si rimise carponi:
-Ma nient’affatto. Tu sei un essere umano e ora vieni a letto!- Le intimò spazientito.
La schiava si arrampicò sul letto, si sdraiò e appena Giovanni la raggiunse, lei si rannicchiò prendendogli in bocca il pene.
Riprendendo un tono calmo e usando la massima gentilezza lui le scostò il viso e disse:
-Sei stanca, riposati. Anch’io sono stanco. Domani ti sentirai meglio. Buonanotte, Grazia.-
Lei gli si mise vicino, la testa sulla spalla e un braccio sul petto e si addormentò come una bambina.
Giovanni si destò abbastanza presto, anche s’era sabato e non doveva recarsi in ufficio. Sentì un corpo vicino al suo:
‘Ah, già, la schiava!’ pensò. Era così abituato a stare da solo, che s’era dimenticato della presenza di Grazia, la quale era immersa in un sonno profondo.
Andò in bagno e poi in cucina per preparare la colazione.
Quando tornò in camera per vedere se Grazia s’era svegliata e invitarla a mangiare, vide la schiava sul tappeto vicino al letto.
Appena lui entrò in camera, lei si mise in ginocchio con le cosce alzate, le mani sulle caviglie, lo sguardo perso nel vuoto.
-Che fai lì, alzati! Avrai bisogno di andare al gabinetto, credo!-
Lei si mise carponi e si avviò, ma Giovanni la fermò: le si sedette per terra vicino e le disse:
-Senti, Grazia, smettila di far la cagna con me! Non ce n’è bisogno! Io vorrei aver a che fare con una donna-
Lei non proferì parola.
-Avanti, rispondi, di’ qualcosa!- Le disse spazientito:
-Non mi chiamo Grazia, mi chiamo Troia, perché sono una troia.- Rispose compunta, rimettendosi in ginocchio.
-Ma chi t’ha messo in mente queste cazzate?- Le domandò brusco.
-Il mio padrone, mi ha cambiato nome, signore- Rispose, abbassando lo sguardo.
-E come, quando?- Giovanni era sempre più stupito.
-Una mattina, ero ancora semiaddormentata, mi chiese come mi chiamassi. Io, come una stupida, gli risposi di chiamarmi Grazia. Allora lui, per farmi entrare ben in testa il nuovo nome, mi ordinò di mettermi in ginocchio, come sono ora e di ripetere cento volte: -Mi chiamo Troia, perché sono una troia- Ed ogni volta ricevevo una frustata sulla schiena, che dovevo contare. Alla cinquantesima, mi piegai in avanti. Non resistevo più in quella posizione e il mio padrone, invece di arrabbiarsi, mi disse che bastava così.
Da allora mi chiamo Troia’-
-Perché sei una troia- Finì la frase lui: -Veramente magnanimo Roberto!- Commentò.
L’uomo capì che solo trattandola bruscamente, avrebbe ottenuto il suo scopo e le ordinò con tono perentorio:
-Ora ti alzi in piedi e vai in bagno ad orinare, poi vieni in cucina per far colazione!-
Lei, in silenzio, ubbidì.
Nel frattempo, Giovanni, cercò dei vestiti che le si adattassero. Non aveva, chiaramente abbigliamento femminile: trovò una giacca da casa che si allacciava con una cintura e delle ciabatte: ‘Per ora’ Pensò: ‘Si metterà questo, in seguito andrò a comprarle qualcosa di decente.
Mentre l’aspettava meditò su quella situazione, veramente intricata.
Grazia era la donna di Roberto. Almeno, questo pensava fino la sera prima. Poteva ridargliela e lavarsene le mani, ma le faceva pena.
Se l’avesse accompagnata all’ospedale, avrebbe perso un amico, e questo era il meno; ma sarebbe potuto finire nei guai. Come avrebbe spiegato ai medici la conoscenza di quella donna? In quello stato, Grazia avrebbe certo confessato d’essere la sua schiava. E nei guai sarebbe finito anche Roberto.
Decise di aspettare fino all’indomani e cercare di scuotere la donna e riportarla ad una condizione umana: almeno apparente.
La schiava arrivò in cucina e si prostrò ai piedi di Giovanni, il quale le ingiunse di alzarsi in piedi ed indossare la vestaglia e le ciabatte:
-Vieni, facciamo colazione.- La invitò.
Lei versò il latte e il caffè nella tazza del padrone e poi si rannicchiò sotto il tavolo e si accinse a prendere il suo cazzo per fargli un pompino:
-Ma cosa fai?- Le domandò
-‘.Colazione, mio Signore’- Gli rispose come se la sua azione fosse del tutto normale.
-Alzati!- Le ordinò: -E siediti vicino a me. Berrai il latte e mangerai del pane con la marmellata come’.Si come se fossi una donna normale!- Sentì pronunciare la sua voce. ‘Che razza di parole sto dicendo’, Pensò.
Lei eseguì, ma mentre si spalmava una fetta, delle lacrime cominciarono a scendere sulle guance.
-E adesso che succede? Perché piangi?-
-Lei, signore, non mi vuole! Non mi vuole bene!- Disse piagnucolando.
-Ma cosa dici? Hai dormito s’un letto, ti ho dato un vestito, non è granché, ma puoi accontentarti, per ora. Stai facendo colazione vicino a me”Certo che ti voglio bene!-
-Sono una schiava, signore e non mi ha ancora usato, non mi ha battuto- Continuò fra i singhiozzi:
-Perché mi ha tolto le mie manette, perché mi lascia così libera?-
Giovanni rimase con una fetta imburrata a mezz’aria, senza parole.
-Vuoi tornare da Roberto?- Gli venne in mente di domandarle, lì per lì, per rompere il silenzio.
-Come lei deciderà, signore- Rispose abbassando lo sguardo.
-Ma, intendo, ti piacerebbe tornare dal tuo padrone?-
-La mia opinione non ha importanza, signore.-
Ora Giovanni cominciava ad innervosirsi per quella remissione assoluta, ma cercando di controllarsi le disse:
-A me importa, invece. Voglio che tu mi dica se vuoi tornare da Roberto!-
-N’No, signore- Gli rispose con timore. Aveva pronunciato una parola assolutamente proibita: -Non mi piacerebbe-
-E perché? Lui ti batte e ti usa!- Affermò, utilizzando le stesse parole di lei:
-Non mi piacerebbe, signore, perché il mio padrone m’ha donato a lei. Non mi vuole più-
-E allora ti dovrai rassegnare a stare con me! Asciugati le lacrime e finisci il latte!- Le ordinò.
Giovanni decise da allora in poi, d’utilizzare sempre un tono brusco. Gli era anche più semplice e gli veniva spontaneo, di fronte al comportamento di Grazia. Certo che imporre la libertà era una contraddizione nei termini, ma non sopportava di aver intorno una larva.
Era peggio che avere un cane vero; almeno quello avrebbe avuto una sua personalità, un suo carattere e invece Grazia sembrava assolutamente amorfa; dipendeva completamente da un’altra persona: il suo padrone.
Suonò il telefono: era Andrea:
-Oh ciao, come stai?-
-Bene, e tu?-
-Senti, mi spiace per ieri sera- Gli disse Giovanni:
-Non è stata una serata molto divertente’-
-Ma no, perché!? E’ stato molto interessante, invece. Come va con la schiavetta?-
-Così, così. A proposito, già che mi viene in mente, non è che Maria potrebbe prestarmi qualche vestito, magari di quelli che non le vanno più bene? Roberto me l’ha lasciata nuda, senza niente da metterle addosso-
-Un momento che chiedo’-
-Si, m’ha detto che avrebbe qualcosa. Vuoi che te li portiamo o vieni tu.-
-No, meglio che veniate voi. Non mi fido a lasciare Grazia da sola.-
-Va bene nel pomeriggio? Ci siamo appena alzati e’..-
-O.k., quando volete, io sono qui-
Annamaria non si lasciò scappare un’occasione simile. Non aveva nessun vestito per quella schiava: le loro taglie erano diversissime, ma l’idea di poterla rincontrare, la eccitò ed ideò un piano diabolico.
Da quando era uscita da casa di Giovanni, continuava a pensare a quell’incontro fatidico. Non aveva mai goduto tanto in vita sua ed era così eccitata che arrivata a casa fece l’amore con Andrea, senza peraltro raggiungere lo stesso apice di godimento.
Per quanto comandasse a bacchetta suo marito, non c’era paragone con la soddisfazione che provò ad umiliare quella schiava, colpirla con la cintura, martoriarle le tette. Poi farsi slinguettare fu meraviglioso, meglio di qualunque uomo.
Non le passò neanche dall’anticamera del cervello che fossero delle pratiche lesbiche, tanto considerava Grazia un essere inferiore, un animaletto, un oggetto al suo servizio.
Doveva solo distrarre Giovanni e a questo avrebbe pensato Andrea: suo marito eseguiva tutto ciò che lei diceva.
Andò da una vicina che raccoglieva indumenti per la parrocchia. Con una scusa se ne fece dare tre. Poi progettò tutto fin nei minimi particolari e quando furono le due del pomeriggio uscirono per andare a fare la buona azione, come disse lei.
Intanto Giovanni riuscì a trovare un modus vivendi con Grazia, almeno in quelle prime ore.
La incaricò di mettere in ordine la casa, pulirla e preparare da mangiare. Erano incarichi assolutamente normali e non umilianti; lei si sentì finalmente occupata ad eseguire degli ordini, essere contenuta e limitata nei suoi movimenti.
Quando, però, si sedette a tavola, Grazia lo servì e si mise in ginocchio, in attesa:
-Be’, non ti siedi a mangiare?-
-Non mi permetterei mai, signore-
-Ma non mangi nulla? Non hai preparato anche per te?-
-Ho cercato una scatoletta di cibo per cani, ma non l’ho trovata, signore!-
-Scatoletta per cani? Ma sei matta?-
-Sono una cagna e devo mangiare cibo per cani, signore- Rispose con un sospiro, come se il matto fosse Giovanni.
Lui rimase di stucco a quelle risposte assurde, aberranti.
Pensò cosa fare e poi con tono un po’ ironico, le disse:
-Non sapevo che dovessi mangiare quella roba. Visto che non ne ho, accontentati di dividere con me il pasto che hai preparato. Prendi un piatto, le posate e un bicchiere e siediti a tavola. E’ un ordine!- Tutta quella scena sarebbe stata ridicola se non si fosse trattato d’un tragico dramma.
La schiava eseguì e a testa bassa, mangiò tutto ciò che Giovanni le mise nel piatto.
Poi l’incaricò di sparecchiare e lavare i piatti e finito che ebbe, le ordinò di stare ferma, seduta s’una poltrona della sala.
Trovava veramente buffo, doverle ordinare, con tono severo, di compiere azioni assolutamente normali, ma era l’unica maniera per farla comportare da essere umano. Si rendeva conto che non avrebbe risolto il problema, ma per ora, era la soluzione più semplice che avesse trovato.
Verso le tre, suonarono alla porta:
-Va’ ad aprire.- Le ordinò Giovanni.
Quando si vide comparire davanti Andrea e Annamaria, la schiava rimase di pietra e sbiancò:
-Be’, non ci fai entrare? Non sei contenta di vederci, troia?- La investì l’aguzzina:
-Bu..Buongiorno signora- Balbettò lei e si prostrò ai suoi piedi, baciandoglieli.
Annamaria le diede un calcio in faccia e la spostò di lato, mentre la voce di Giovanni li invitava ad accomodarsi in sala:
-Un attimo e sono da voi- Disse gridando lui, dalla camera da letto.
Raggiunse Grazia in anticamera ed insieme andarono dagli ospiti. Si sedettero sulle poltrone e la schiava si accovacciò per terra, ai piedi del padrone, il quale le mise, teneramente, un braccio intorno al collo.
-Allora come va con la schiavetta, ti trovi bene?- Domandò Annamaria, che stava mangiando con gl’occhi la sua preda, eccitata, ma insofferente per quei convenevoli, che ne ritardavano la cattura:
-Ci stiamo abituando l’un l’altra. Non è facile. Sapete com’è: era già un bel po’ di tempo che stavo da solo- Mentì diplomaticamente. Non voleva ammettere d’avere problemi con quello che poteva sembrare l’ideale per un maschio:
-Ma piano, piano, ci stiamo intendendo, vero?-
Guardò la schiava e lei assentì con la testa.
-Volete qualcosa da bere? Un succo?- Chiese Giovanni agli ospiti.
-Grazie, per me va bene- Rispose Andrea
-Anche per me, ma con l’aggiunta di un po’ di gin: ce l’hai, vero?-
-Si, certo. Grazia va’ in cucina e portaci i succhi. Il gin lo trovi qui nell’armadietto bar-
-Ma non si chiama troia?- Domandò con malizia Annamaria.
-Lei si chiama così, ma io preferisco Grazia- Rispose lui, con una nota di disappunto.
La schiava arrivò con tre bicchieri e due bottiglie di succo s’un vassoio. Prese il gin e abbassandosi in ginocchio, servì prima gli ospiti e poi Giovanni.
Quest’ultimo le disse di prendere un bicchiere anche per lei e quando tornò, Annamaria, precedendo Giovanni, proruppe con tono perentorio:
-Tu vuoi qualcosa di forte, suppongo- E le versò una dose doppia di gin, colorando la bevanda con un’ombra di succo di pompelmo.
La schiava, tremante al cospetto di quell’aguzzina, accettò l’offerta; non le dispiaceva sentirsi un po’ brilla.
Bevve d’un fiato, com’era abituata con Roberto e si sentì subito pervasa da un dolce torpore nel quale avrebbe accettato tutto. Lo sguardo penetrante ed autoritario di Annamaria la terrorizzava e l’alcol poteva lenire quella sensazione che l’attanagliava.
Come una vera e propria cagna aveva scelto la sua nuova padrona, suo malgrado. Si riaccovacciò ai piedi di Giovanni, ma guardava quella donna, ormai succube del suo volere.
-Be’, qui ci sono dei vestiti: dovrebbero andarle bene, ma forse bisognerà accorciarli, sai ho le braccia lunghe io- Disse l’aguzzina, guardando intensamente il marito. Lui capì ed istruito dalla moglie:
-Senti, Giovanni, mentre le donne vanno a provare i vestiti, noi potremmo farci una passeggiata. C’è una bellissima giornata e tu sei stato bloccato dalla presenza della schiavetta. Tanto, sai come sono le donne: ci mettono un sacco di tempo a farsi belle ed è un peccato non uscire a prendere un po’ d’aria-
Giovanni colse la palla al balzo. Non gli parve vero di poter lasciare ‘Il problema’ per qualche ora, distrarsi e non pensarci:
-E’ un’ottima idea! Mi raccomando ragazze, fate le brave!- Disse sorridendo, mentre si metteva il cappotto.
Non notò il viso di Grazia, che con gli occhi lucidi, cercava di fargli capire la sua disperazione. La salutò dicendo che sarebbe tornato presto e uscì con Andrea. Quest’ultimo era stato incaricato dalla moglie di stare via almeno per un paio d’ore.
Annamaria, la perfida

Il rumore della porta che si chiudeva fece sussultare la schiava, che si rannicchiò vicino alla poltrona.
Ehi, bella, vieni qui! Non credevi di rivedermi così presto, eh?- Le disse Annamaria sorridendo, ma lei non si mosse.
-Vieni qui, troia! Devo venirti a prendere e afferrarti dove so io?-
La schiava si mosse e stava per raggiungere l’aguzzina, quando lei le intimò:
-Strisciando! Devi venire strisciando come un verme! Avanti! Svelta, scema!-
Eseguì e quando le fu ai piedi:
-Scommetto che quel rammollito di Giovanni non ti ha nemmeno scopato! Allora, rispondi: ti ha fottuto oppure no!-
Lei scrollo la testa.
-Lo sapevo. Che scemo! Ti tratta come una damerina e invece sei un lurido verme masochista: è vero? Rispondi imbecille!-
Lei annuì.
-Bene, visto che siamo d’accordo iniziamo da dove avevamo finito! Baciami!-
Lei le baciò le scarpe, ma:
-Eh no, carina!- La prese per una ciocca di capelli, mentre le diceva:
-Quando ti dico baciami è questa che devi baciare!- E portò la testa di lei sotto la gonna, tenendogliela ben ferma, incollata al suo ventre.
Era uscita senza mutandine per poter ricevere il servizio direttamente.
La schiava iniziò a leccare la parte, credendo fosse quello che l’aguzzina voleva, ma Annamaria le intimò:
-No, no, no, lurida lesbicaccia! Ti piacerebbe eh? Apri bene quella tua boccuccia da cesso e fatti una bella bevuta! E non sporcare in giro! Se schizza una sola goccia, ti faro leccare tutto il pavimento! Sai, fin da prima di pranzare, mi sono trattenuta, non senza sforzo, per donarti il maggior quantitativo possibile del mio liquido dorato e ben concentrato, eh, eh, eh- Le disse ridendo perfidamente.
Si sentì il rumore tipico d’uno zampillo, che in poco tempo riempì la bocca della vittima, che pure deglutiva a grosse sorsate:
-Ma come sei diventata brava!- Il flusso durò per almeno venti secondi
Le tenne la bocca premuta sul piccolo orifizio, fino a liberarsi la vescica con alcune spruzzate finali e poi mollò la presa, facendo cadere a terra la schiava, la quale, si girò verso il pavimento ed ebbe un rigurgito, ma l’aguzzina aggiunse:
-Ti conviene trattenerla, scema, se non vuoi poi leccare il tuo vomito schifoso!-
La schiava si premette la bocca con una mano e con sforzo riuscì a deglutire definitivamente.
-Ora togliti quella vestaglia inutile e sdraiati a pancia all’aria- Annamaria vide che sul tavolo giaceva la borsa con tutti gli attrezzi sadomaso, portati il giorno prima. La prese e le ordinò di muoversi:
-Tieni larghe le gambe e striscia, verme! Andiamo in bagno. Così se anche i nostri uomini tornano prima del tempo, non ci disturberanno!-
La schiava si mosse puntando le mani e i piedi per terra, muovendosi all’indietro.
Annamaria trasse dalla borsa una frusta e iniziò a colpirla sulla figa, incitandola ad accelerare:
-Più veloce, più veloce!- Diceva accompagnando le parole con la sferza.
Arrivate davanti alla porta del gabinetto, glie la fece aprire con una testata e la richiuse a chiave.
-Alzati in piedi e provati i vestiti! Voglio proprio vedere se ti vanno bene, eh, eh, eh ‘-
Grazia non capiva. L’aveva trattata con crudeltà fino ad allora e adesso le ordinava d’indossare degli indumenti. Comunque ne prese uno e se lo infilò.
Ebbe appena il tempo di aggiustarselo addosso, che iniziò a sentire un prurito irresistibile in tutto il corpo.
-Stai ferma!- Le diceva Annamaria:
-Qui bisognerebbe fare delle pence e qui’E stai ferma un attimo, scema! Se continui a muoverti, come faccio a vedere dove si devono fare le modifiche!-
La schiava sudava, si dimenava e non resistendo oltre, si sfilò il vestito, pur sapendo di aver preso un’iniziativa che avrebbe pagato cara.
Invece di punirla, l’aguzzina le chiese con aria stupita:
-C’è qualcosa che non va in quel vestito? Non ti piace? Meno male che ne ho portati altri due. Forza, indossa quello rosso! Avanti, che hai!- La incitò.
Ora la schiava si rendeva conto del perché di quelle attenzioni inusuali. Aveva paura d’indossare il secondo: chissà che altra diavoleria aveva escogitato quella perfida donna.
-E dai, non farti pregare. Ho promesso a Giovanni di farteli provare e ora te li metterai. Su, da brava, alza le braccia.-
Lei eseguì e Annamaria le infilò il vestito rosso dal collo, poi, con uno strattone energico, glie lo abbassò sul corpo.
Un urlo lacerante uscì dalla bocca della vittima e piccole macchie di sangue si spansero sulla veste: era riempito di piccole schegge di vetro.
-Sembra che anche questo, non sia di tuo gradimento! Ma come sei difficile, verme!-
Abbondanti lacrime rigavano il volto della schiava, che non osava protestare altro che piagnucolando. Rimase in piedi, con le braccia tese in alto e aspettò un nuovo ordine, una nuova sevizia.
L’aguzzina tirò giù la lampo del vestito e glie lo sfilò da sotto. La pelle di Grazia era un ricamo di graffi e puntini rossi.
-Vediamo se almeno questa tutina elastica ti piace, signorina mai contenta- Le disse beffardamente.
Appena indosso, la schiava cominciò ad urlare e rotolarsi per terra, punta da mille aghi: era riempito di granuli di sale e pepe, che a contatto con le piccole ferite, causavano bruciori insopportabili. Cercò di levarsela, ma inutilmente. La lunga chiusura a lampo si allacciava dietro e la stoffa sintetica si era attaccata al corpo sudato come una seconda pelle.
-Ha, ha, ha, ha!- Maria si mise a ridere:
-Che buffa che sei. Potresti fare il clown per le smorfie che fai: ha, ha, ha, ha’Se continui così mi farai morir dal ridere’Ha, ha, ha, ha.- Mentre l’aguzzina si sganasciava, la povera vittima si lamentava disperata, piangeva, urlava, si dimenava per tutto il pavimento, dentro quel sudario maledetto.
-Quando hai finito di dar spettacolo, vieni qui che ti levo il costume di scena, ha, ha, ha, ha”-
La schiava rotolò subito ai suoi piedi e alzò lo sguardo verso l’aguzzina, con aria implorante, mugolando sommessamente, impossibilitata a restare completamente ferma:
-Dimmi cara la mia ingrata’- Le disse con voce melliflua Annamaria, mentre si chinava leggermente verso la sua vittima:
-‘Cerca di ringraziarmi invece di sbraitare come un ossessa!- E le accarezzò la schiena, calcando la mano e acuendo il bruciore.
La schiava confusa e con voce flebile iniziò a balbettare un:
-Grazie, mia signora, grazie, grahazieheee’-
-E di che? Sciagurata! Perché cavolo mi ringrazi, stupida imbecille verme!- La schiava tremante dal dolore, dalla tensione e dall’apprensione proferì disperata:
-La prehhegohoo, miahaa signohorahha, laha pregohoo’-
-La prego, la prego, la prego’- Annamaria le imitò la voce afflitta, mentre continuava a massaggiarle le spalle:
-Piantala di frignare, ingrata e ringraziami per questi vestiti, verme schifoso!- La schiava fece una smorfia e rispose come comandato, mentre l’aguzzina soddisfatta dall’ennesima umiliazione inflitta alla sua vittima, fece scorrere la chiusura lampo e con uno strattone tolse la parte superiore della tutina.
Poi afferrò i bordi appena sopra le caviglie e la sollevò di peso, scuotendola bruscamente. Dopo quattro o cinque botte violente delle natiche sul pavimento, la schiava fu finalmente libera dalla stoffa, ma non dalla tortura:
-Ferma! Sta’ immobile!- Le ordinò l’aguzzina con la frusta a mezz’aria, bloccando sul nascere il tentativo delle mani della vittima, che volevano massaggiare le parti dolenti ed irritate.
Il sudore stava evaporando e la schiava aveva la sensazione d’essere stata scorticata. Era come si fosse fatta un massaggio con le ortiche e sapeva bene cosa volesse dire, ma questa volta era peggio di quella volta in montagna. Si ricordava bene dell’unica felice vacanza con Roberto.
A quel tempo era sbocciato un nuovo idillio fra i due. Lui era sempre più intrigato ed eccitato nell’educare Grazia a sottomettersi come una schiava. Lei era totalmente immersa in una dimensione da fiaba, nella quale passava da un orgasmo all’altro, in una tensione erotica costante: quasi ventiquatt’ore su ventiquattro con la mente occupata solo a rispettare gli ordini del suo padrone.
Un giorno, le annunciò che avrebbero passato una settimana nella baita di un suo amico, il quale gli aveva dato le chiavi e potevano restare; le disse:
-Noi due, soli soletti, in mezzo alla natura incontaminata-
Grazia era entusiasta: da un mese non uscivano dalla città nemmeno per un week-end ed era molto interessata a conoscere posti nuovi, dove mai avrebbe avuto l’occasione d’andare da sola.
Roberto le stava regolando, pian, piano tutti i momenti della giornata, che lui fosse presente o meno. Aveva escogitato mille trucchi per sapere se Grazia avesse trasgredito un suo ordine.
Per esempio, tutte le volte che Roberto usciva, le rendeva più difficile e/o doloroso lo svolgere le mansioni di casalinga, alle quali lei doveva dedicarsi, o legandole le mani o i piedi, oppure lasciandole dentro i suoi orifizi membri artificiali voluminosi; o anche le ordinava di trovare un oggetto che nascondeva, in modo da farle perdere tempo e non consentirle di terminare tutti i compiti assegnatele.
A volte erano ordini non verificabili, tipo prendere un bagno bollente o fare una doccia gelata. In questi casi adottava uno strumento efficacissimo del quale Grazia aveva un terrore folle.
Roberto aveva comprato, per corrispondenza, una sex-machine ed era riuscito a smontarla e a costruire un marchingegno mostruoso: Roberto era un ingegnere elettronico.
Col calore la parte di membro artificiale poteva allungarsi fino a quaranta centimetri e s’ingrossava fino ad un diametro di sette. Inoltre aveva fissato alla base un serbatoio, che si riempiva di qualsiasi liquido o polvere. Il tutto era fissato in un suo orifizio, per mezzo di cinghie strette in vita e intorno alle cosce e messo in funzione con un telecomando. Il liquido poteva fuoriuscire con getti di varia intensità dall’apice o dalle pareti dell’asta.
Non è il caso di elencare quali e quante sostanze la nostra ebbe il modo di sperimentare.
Con questo strumento, il padrone poteva far confessare alla schiava, qualsiasi malefatta, compiuta, oppure no, o anche ottenere qualsiasi servizio, anche il più doloroso, o umiliante.
Fu piacevolmente stupita nell’ammirare la bellezza del luogo, benché fosse sottoposta alle piccole sevizie che Roberto escogitò anche per il viaggio. Un posto da favola: isolato, si raggiungeva solo con una funivia e poi con un tratto di strada a piedi.
Roberto la incaricò di portare i bagagli, due valige pesanti e uno zaino, mentre lui faceva da guida con una mappa dettagliata dategli dal suo amico
Naturalmente le aveva assegnato qualcosa per occupare il suo pensiero durante il tragitto dalla città fino alla baita. Le aveva infilato nella vagina centoventisette olive. Se all’arrivo ne fossero mancate, avrebbe ricevuto una frustata sul quel ‘contenitore’ per ciascuna perdita.
Imparò molto in quella settimana.
Prima di tutto ad accendere il fuoco nella stufa.
Il giorno dopo l’arrivo era una giornata veramente calda, per la stagione e Roberto ne approfittò per far indossare a Grazia solo una maglietta a maniche corte e degli hot paints che le lasciavano scoperte le natiche. Andarono a fare una passeggiata e Grazia fu incaricata di portare lo zaino, facendo attenzione ad appoggiare le cinghie schiacciate sui seni, mentre il ferro di sostegno dietro, le batteva sulle reni.
Roberto durante il percorso la incitava a camminare veloce, ora colpendola con un bastone sulle natiche, ora infilandolo tra esse.
Arrivarono su un pianoro incantevole e lui sottopose Grazia alla prova del sorriso.
Doveva stare in piedi, nuda, con le gambe divaricate e massaggiarsi tutto il corpo, dalla testa ai piedi, con foglie d’ortica; strofinarle bene sui capezzoli, massaggiarsi il foro dell’ano, le grandi labbra e la clitoride: il tutto sorridendo e in silenzio o emettendo tutt’al più dei mugolii come se stesse godendo.
Fu terribile, ma riuscì a superare la prova.
Erano così contenti e soddisfatti tutt’e due dell’esame superato brillantemente, che lui le permise di dormire quella notte nel letto insieme e in quel giorno avrebbe potuto mangiare i suoi avanzi invece della solita scatoletta di cibo per cani.
Grazia, per parte sua, gli promise di fargli da cesso completo, almeno una volta la settimana e la prima, sarebbe stato quel giorno.
Roberto la prese subito in parola e calandosi i pantaloni, s’accucciò pronto a fargliela in bocca. Lei si sdraiò e iniziò a leccargli le palle. Lui le direzionò l’uccello verso la bocca, che prontamente si spalancò per accogliere il liquido dorato.
Poi lei indietreggiò e leccò il perineo, fino ad arrivare nella fessura in mezzo alle natiche. La sua lingua entrava e usciva dal buco dell’ano, ammorbidiva e rilassava la parte.
Una scoreggia puzzolente la investì e quasi la soffocò, imbrattando il suo viso di piccole macchie marrone: era il segnale che uno stronzo stava per arrivare.
Lo accolse dentro e con l’aiuto della lingua e dei denti riuscì a riempirsi la bocca. Lo deglutì lentamente e lo sentì fermarsi in gola, quando ne arrivò un altro un po’ più molle e corto. Questo le rimase in bocca: non c’era verso di mandarlo giù, non c’era posto. Il primo era rimasto in gola e non scendeva. Il terzo fu uno sbuffo che le riempì totalmente la bocca e tracimò sul naso: si mise a tossire mezza asfissiata.
Roberto si alzò e premurosamente, prese delle foglie con le quali cercò di ficcarle in bocca la merda fuoriuscita.
Grazia aveva gli occhi pieni di lacrime dallo sforzo e piano, piano riuscì a deglutire il tutto. Allora lui si riaccucciò su di lei, per farsi pulire bene la parte. Quando si rialzò, lei si voltò e vomitò l’anima, mentre ripeteva costernata:
-Mi scusi, padrone, mi scusi, non ce la faccio’.- E giù un altro conato:
-Mi scusi, non succederà più’.Mi devo abituareheogh!- Roberto le teneva la testa, amorevolmente e quando si riprese, l’abbracciò e le diede delle foglie di menta da masticare. Dopo di che la baciò a lungo.
Questa volta, però, il bruciore era dieci, cento, mille volte, maggiore.
Annamaria le si rivolse con scherno, girandole attorno:
-Si viene qui, ci si da da fare per aiutarti, si portano dei vestiti ad una miserabile come te. Si perde anche del tempo per vedere se ti vanno bene, o se si devono aggiustare, e tu che fai? Ti muovi come un’ossessa. Ma credi che io abbia tempo da perdere? Rispondi verme!- E le diede una frustata sul basso ventre. La schiava scosse la testa, emettendo un grido piangente:
-Credi che mi diverta a passare il sabato in compagnia di un verme schifoso, lurido e masochista come te?- E giù un altro colpo e un urlo singhiozzante corrispondente:
-Credi che valga la pena di aiutare un’ingrata, imbecille e bugiarda come te?-
La schiava battuta e derisa, si mise a piangere e grosse lacrime le sgorgarono, ma l’aguzzina non s’impietosì:
-Piantala, commediante! Se non la smetti, ti massaggio con questa spugna secca tutto il corpo- La minacciò, mostrandole un panno ruvido con il quale si lavano le piastrelle.
La schiava si trattenne a stento, anche se era scossa dai singulti.
-Credo proprio che il tuo bel nome, troia, non ti si addica! Ti nobilita troppo: d’ora in poi ti chiamerai ‘Lurido Verme Schifoso’. M’hai capito? Rispondi stronza!- E un quarto colpo si abbatté sulla vittima.
-Si signora- Le rispose afflitta e piagnucolando:
-Ho capito signora.-
-Hai capito? E come ti chiami tesoruccio? Rispondi!-.
-Ugh! Lurido Verme Schifoso, signora- Sussurrò:
-Prova a dirlo con voce più alta e sicura- Le gridò nell’orecchio.
Lei urlò quel nome come se fosse una recluta dei marines:
-Mi stai prendendo in giro?- Esclamò Annamaria, afferrandole una tetta e rigirandogliela come fosse una manopola:
-Devi dire il tuo nome come dico il mio: mi chiamo Annamaria, ma preferisco farmi chiamare signora, o meglio gentile signora. Allora come ti chiami?- Le domandò, accompagnando la risposta della schiava con un grosso pizzicotto alla tetta.
-Mi chiamo troia, ma preferisco che mi chiamino Lurido Verme Schifoso, gentile signora- Rispose mestamente la schiava, trattenendosi dal lamentarsi del male al seno.
Ma l’aguzzina incalzò ancora:
-E perché vuoi che ti chiamino Lurido Verme Schifoso, pezzo d’imbrogliona e bugiarda?- Le chiese, con aria feroce, mentre le martoriava ancora di più la parte:
-Voglio’Voglio che mi chiamino Lurido Verme Schifosohoo, perché sohono un luhuridoho verme schihifosohoo- Rispose la vittima, che questa volta non riuscì a trattenere dal lamentarsi della sevizia, sempre più dolorosa.
-Peccato che io non possa crederti, stronza di una bugiarda incallita- Le disse afferrandole questa volta le due tette e stringendo le mani a pugno, coi capezzoli strabuzzanti di fuori.
La schiava non capiva: aveva accettato di cambiare nome e ora la padrona crudele non sembrava ancora contenta, non lo accettava.
La guardò con occhi persi ed interrogativi. Annamaria mollò di colpo la presa e lei crollò ai suoi piedi, piagnucolando parole d’implorazione:
-Brava, verme!- Disse l’aguzzina, accompagnando le sue parole con colpi di frusta sulle spalle:
-Stai giù, è lì il tuo posto! Ma girati! Ecco, così a pancia all’aria e cosce divaricate!- Chiaramente ogni movimento era anticipato da una frustata:
-Perfetto! Ora si che va bene! Ma vediamo cosa c’è d’interessante in questa borsa!- L’aguzzina estrasse un pene artificiale, piuttosto pesante, corto e stretto, alla base del quale v’erano due palle voluminose e molli al tatto, dalle quali pendevano delle cinghie, per fissare l’arnese alla vita della vittima. A prima vista, poteva sembrare uno di quegli aggeggi che utilizzano le lesbiche o le Mistress per fottere come un maschio, la propria partner o il proprio schiavo.
‘Strano che l’abbia un padrone, chiederò delucidazioni a ‘sta troietta’ Pensò la donna. Le mise l’arnese davanti agli occhi, facendoglielo oscillare sopra la testa:
-Questo cos’è? Rispondi, verme!-
La schiava sbiancò dal terrore e con un fil di voce rispose:
-E’ un pene’- Una frustata tra pancia e petto, non le lasciò finire la frase:
-Lo vedo anch’io ch’è un cazzo, scema! A cosa serve! Rispondi stronza d’un verme schifoso!-
-Se’Serve a fo..fottermi..- La schiava cercava di mascherare l’ansia e la paura che Annamaria scoprisse il vero uso dell’arnese, ma i suoi occhi la tradivano e contraddicevano la sua espressione forzatamente tranquilla.
-Ma non mi dire! Strano, veramente strano che un cazzo serva per fottere! Non c’avrei mai pensato!- Rispose con tono falsamente stupito, ma subito dopo, con espressione furente:
-Credi di far la furba, eh!- Disse mentre estraeva dalla borsa una corda e l’annodava alla base di una tetta:
-Credi di prendermi in giro? Ora ti faccio vedere io!- Le mise le manette ai polsi e la trascinò verso la vasca da bagno, tirandola per la mammella, col nodo che stringeva sempre più.
Annamaria aveva individuato l’unico appiglio posto in alto, abbastanza resistente, per appenderla: il gancio della doccia a telefono.
Girò la corda, strinse anche l’altra poppa, trasformando i due seni in altrettanti palloncini viola e spasmodicamente tirati. Issò la schiava lasciando che i piedi toccassero la vasca solo sulle punte:
-Ora mi dirai come funziona ‘sto pene: è troppo piccolo, per essere uno strumento sia piacevole, che spiacevole!- Le intimò, mentre giocherellava con le unghie sulla pelle dei capezzoli turgidi e dolenti.
La vittima sempre più terrorizzata non rispose altro che con lamenti e piccole grida.
L’aguzzina allora, iniziò a frustarla furiosamente sulle tette imprigionate e rese ancor più sensibili dalla tensione. I colpi si stampavano sulla parte, impedita a muoversi, con effetti devastanti e la schiava si dibatteva, strillava, piangeva, ma dalla sua bocca non uscivano che suoni inarticolati:
-Grida, grida, che ti piace, lurida, perversa masochista!- Le urlò l’aguzzina, ficcando il pene nella figa, effettivamente larga e bagnata.
Il membro artificiale appena fu dentro, cominciò a muoversi ed Annamaria, stupita, lo estrasse; vide che s’era allungato e ingrossato:
-Mica male! Allora funziona col calore!- Esclamò, mentre l’arnese all’aperto tendeva a tornare alle dimensioni precedenti.
Glie lo rificcò dentro, tenendolo premuto, questa volta, con una mano. Il pene ricominciò ad ingrossarsi, vibrando a ritmo cadenzato e continuo.
La schiava gemeva, ma ora, dal piacere: la tensione nervosa, l’adrenalina indotta dal terrore costante da più di un’ora di sevizie e minacce, erano giunte ad un limite tale, che solo un orgasmo poteva stemperarle, anche se provocato da una sex-machine, anche se provocato dalla persona più odiata e detestata.
Annamaria se ne accorse e quando vide che la schiava era quasi all’apice del piacere, estrasse il pene e, aperto il rubinetto, irrorò la vittima con un getto d’acqua gelata:
-Al fuoco, al fuoco! Spegniamolo bene prima che faccia danni!- Esclamò l’aguzzina, beffardamente.
La schiava gridò disperata- Accavallando le gambe nel tentativo di proteggersi e nel contempo cercare d’afferrare l’orgasmo, ormai perduto.
Nulla da fare. L’aguzzina aveva ottenuto il suo scopo: impedire l’unico attimo di piacere che Grazia avesse potuto cogliere, durante quell’interminabile sequenza di sevizie.
La vagina si restrinse irrimediabilmente e il pene, che aveva raggiunto la lunghezza di dodici centimetri e di quattro di diametro, fu ficcato a forza nel foro dell’ano.
La vittima urlò dal dolore e iniziò ad implorare pietà, mentre il membro ricominciava a pulsare e crescere in quel pertugio più piccolo e dolorante.
Ma l’aguzzina, per niente intenerita, le domandò:
-E quelle belle palle a cosa servono, he?- Il corpo della schiava era scosso dal movimento dello strumento che batteva contro la parete ed imprimeva l’oscillazione del bacino. L’intrusione, benché sempre più ingombrante, era sopportabile perché le cinghie del dildo non erano fissate. Il dolore si manteneva nei limiti e si confondeva con un ritrovato e leggero senso di piacere.
Grazia si lamentava sommessamente, non sentiva le domande, tutta concentrata nel raggiungere l’orgasmo negato precedentemente:
-Avanti, rispondi, stronza d’un verme!- Incalzava l’aguzzina, ma senza risultato.
Allora le afferrò una caviglia e le piegò una gamba, legandogliela alla vita. Non ottenendo ancora risposte, le fece all’altra lo stesso servizio.
Ora Grazia si reggeva con le ginocchia sul bordo della vasca, in equilibrio precario, scossa dall’oscillazione del bacino, mentre le tette strizzate all’inverosimile ricevevano strappi e fitte dolorosissime.
Il pene pulsante le stava squassando l’ano, ormai cresciuto a dismisura, sentiva le pareti interne cedere sotto l’effetto di quell’arnese mostruoso e per cercare d’impietosire l’aguzzina, tra grida e pianti, Grazia cedette e spiegò che le palle si riempivano di liquido da spruzzarle dentro.
L’aguzzina, che non si accorgeva della sofferenza estrema della schiava insisteva ancora nel volere altre risposte:
-E come esce il liquido, pezzo di merda! Rispondi stronza, o ti maciullo la tetta!- Prese un morsetto per tende e glie lo strinse su d’un capezzolo, ottenendo solo grida più acuti.
Annamaria, sempre più eccitata e rabbiosa, afferrò un moschettone e, agganciatolo all’anello del morsetto, tirò in avanti la povera tetta:
-Parla, miserabile, o te la strappo!- Ma la sua furia sadica impediva ormai alla schiava d’esprimersi con parole di senso compiuto, finché inoziò ad urlare una sola parola:
-Il telecomando, il telecomando, il telecomando’.- Con la voce roca e quasi impercettibile:
-Ma che cazzo stai dicendo?!- Annamaria si voltò verso la borsa e vide una scatoletta nera con pulsanti.
Grazia urlò con l’ultimo fiato che le rimaneva, certa ormai d’avere il culo completamente sfasciato, mentre l’aguzzina prendeva in mano con calma il telecomando, lo esamino e domandò:
-E’ questo pulsantino, quello che vuoi che schiacci?-
-Sihiihhii! Sihihihi!- Rispose quella disperata e piangente.
-Ecco, accontentata!- Disse l’aguzzina con un sospiro accondiscendente. L’oscillazione del bacino si arrestò la perfida donna, incuriosita, guardò il bacino della vittima.
Non badò alle urla di quest’ultima che scostata dal muro, era, conseguentemente, appesa solo per le tette. Era assorta ed estasiata dall’effetto devastante che l’arnese aveva prodotto: il pene era largo di almeno sette centimetri, e se la lunghezza era percentualmente la stessa del diametro, doveva essere penetrato di una ventina di centimetri.
Annamaria si rese conto che con quello strumento avrebbe avuto per sempre la sua vittima in pugno:
-Bene, bene, bene, caro il mio vermiciattolo. Ora, con calma, mi spiegherai le funzioni del telecomando; o vuoi che faccia ripartire il pene?-
-Nohoooo! Tutto, tutto, le dirò tutto, signora gentile’..- Rispose piangente.
L’aguzzina le strappò il morsetto dalla tetta e le intimò:
-Avanti, imbecille, parla!-
Dopo l’ennesimo urlo, provocato dal dolore al capezzolo, la schiava iniziò con un fil di voce, inframmezzato da singulti:
-Il pulsante verde’.Serve per far diminuire’.La grossezza del pene. Per pietà, signora gentile’.Gentilissima’Lo schiacci’Pietà, pietà- Implorò la schiava disperata.
-Lo schiaccerò alla fine delle spiegazioni e se ne avrò voglia, stronza d’una impertinente! Ora spiega e sii chiara, o scoprirò da sola la funzione dei bottoni, premendoli a caso-
Grazia raccolse le ultime forze e riuscì a parlare in modo continuo:
-Le frecce servono per spruzzare il liquido contenuto nelle palle- Prese un lungo respiro per reprimere i singhiozzi e proseguì con un fil di voce:
-Quella sopra innaffia lungo tutta l’asta, mentre quella di sotto getta il liquido dall’apice. Il bottone fra le due, serve per dare gli impulsi. Schiacciandolo brevemente, il flusso fuoriesce in modo sottile e forte; se preme lungamente le palle si svuotano completamente. Il pulsante rosso serve per interrompere o riavviare il movimento del pene-
-Interessante, molto interessante- Disse l’aguzzina, mentre allacciava lo strumento alla vita della schiava, in modo da fissare il cazzo dentro:
-Ma, brutta stronza impenitente, col cavolo che ti sgonfio l’arnese! Non mi hai detto dove sono i liquidi delle palle!-
-Sono ne’nella borsa’credo’.- Balbettò la vittima.
Annamaria cercò tra gli accessori e vide tre bottigliette:
-Che mi dici di questo?- Glie le mise una davanti al naso.
La schiava impallidì:
-Dev’essere ottimo! Dall’espressione del tuo viso, qualcosa mi dice che sia perfetto, per punire un verme al pari tuo!-
Grazia cercò inutilmente d’impedire il riempimento delle palle. Muoveva il bacino, cercava d’appiattirsi verso la parete, pronunciava parole d’implorazione, ma l’aguzzina, senza scomporsi e lottare contro la disperata difesa della schiava, schiacciò il pulsante rosso e il pene ricominciò la sua corsa: questa volta era ben fisso nell’ano e l’aumento di volume premeva nelle viscere.
L’effetto fu immediato: la schiava roteò su se stessa, offrendo la parte in bella vista e le palle furono riempite in un batti baleno:
-Funziona proprio bene quest’arnese, eh, eh, eh…- Si compiacque soddisfatta Annamaria:
-Ora mi dirai perché ne hai così terrore, o lo scoprirò da sola!-
La schiava spiegò, tra un singhiozzo e l’altro, che la sostanza, oltre ad essere irritante, era anche astringente e che lo provò solo una volta, dopo la quale, fu portata al pronto soccorso: guarì completamente solo dopo dieci giorni.
-Ottimo- Rispose Maria, mentre guardava l’orologio:
-Uhm, peccato’E’ tardi…Non ti innaffierò il tuo caro culetto, ma tu in cambio mi farai un bel servizio di toilette completa. Vero che sei ansiosa d’assaporare la mia merda? Lo so che sei una depravata schifosa!- Le disse con voce melliflua:
-Si, signora gentile! Si, quello che vuole lei, signora gentile!- Rispose quella mestamente, costretta da obbedire a qualsiasi ingiunzione.
La sganciò dall’appiglio in alto e cadde sdraiata nella vasca.
Annamaria aveva la sua vittima in pugno e si fece servire come meglio credeva sotto la minaccia del telecomando.
S’accomodò sul suo viso e le pisciò in bocca, poi si fece leccare lungamente, fino ad ottenere il godimento di cinque o sei orgasmi.
Ogni volta, l’aguzzina, si sforzava di svuotare la vescica, stimolata da quelle pratiche. Ed ogni volta, la vittima, credendo d’aver finito, con la lingua ormai indolenzita, doveva ricominciare.
Finalmente soddisfatta, urlando l’ultimo ennesimo orgasmo, l’aguzzina sistemò il suo sederone, in modo che l’ano fosse posizionato sulla bocca di Grazia, la quale rimase mezza soffocata da quella massa di carne:
-Ora il regalino promesso!- Le intimò:
-Aprì bene quel cesso di bocca- E subito un lungo stronzo riempì la bocca della vittima.
Si alzò:
-E’ buono, eh? Ha, ha, ha’!- Le disse beffardamente, mentre con un’espressione che disgustata era dir poco, la schiava si sforzava d’ingurgitare quel boccone schifoso e puzzolente:
-Nettati la bocca con la lingua, lurida! Non vorrai pulirmi il culo con quello schifo!- E si riaccomodò per l’ultimo servizio:
-Pulisci da brava, voglio sentire la lingua bene dentro! Ottimo, bellissimo e’- Si sentì il tipico rumore d’una scoreggia e un sospiro di soddisfazione dell’aguzzina, che poi si alzò e si risistemò il vestito.
Il viso di Grazia era rosso e macchiato di chiazze marrone. Non si muoveva, spossata e distrutta, non aveva più la forza nemmeno di lamentarsi: il corpo le doleva dappertutto.
Annamaria guardò ancora l’orologio, scosse la testa e disse quasi fra sé e sé:
-Fra poco i due maschietti ritorneranno. Avrei voluto proprio vedere questa sciagurata dibattersi nel dolore del liquido nel culo, ma non è detta l’ultima parola. Intanto prendo il telecomando. Anche se non sarò presente, posso sempre attivarlo a distanza, ha, ha, ha….- Poi guardò la schiava inerme e semi incosciente, andò a prendere in sala la bottiglia di gin ed accese il televisore.
Al ritorno trovò la sua vittima nella stessa posizione contratta, con il viso reclinato ed imbrattato da conati di vomito.
La innaffiò con la doccia a telefono, le sganciò le caviglie dalla cintura e pulì bene il tutto. Poi la prese dai capelli e l’issò a cavallo della sponda della vasca, prese il primo vestito e glie lo ficcò indosso, senza che la vittima si lamentasse tanto era spossata e martoriata da ben altri stimoli.
Prese la bottiglia di gin e glie la svuotò in bocca, ficcandole il collo in gola e costringendola a berne il contenuto; poi l’afferrò per i capelli e la trascinò sul letto di Giovanni.
S’avvicinò al viso della poveretta, completamente inebetita dalle sevizie e dall’alcol e le ingiunse:
-Non una parola con Giovanni, o ti scorticherò viva!-
La schiava sgranò gl’occhi terrorizzati e annuì tremante, mentre proprio in quel momento si sentì girare la chiave della porta d’ingresso.
Annamaria sfiorò il viso della vittima col telecomando e corse ad accogliere i due:
-Fatto il giretto?-
-Si, siamo andati a quella mostra all’aperto di sculture di Moore: meravigliose! E voi due? I vestiti andavano bene?
-Perfetti, le stanno a pennello!-
-Ma’Grazia’.Dov’è?-
-E’ di là, in camera tua, sul letto a riposare. M’ha detto che si sentiva poco bene. Io mi sono messa a guardare la tv mentre v’aspettavo-
-Hai fatto benissimo’.Beh, ti ringrazio moltissimo. Mi sei stata di grande aiuto.-
-Ma figurati! Anzi, se per caso hai ancora bisogno, non fare complimenti: sono a tua disposizione per aiutare quella povera ragazza-
-Grazie, grazie. Forse’Ma non voglio che ti disturbi’.So ch’è difficile stare insieme a Grazia’-
-Non ti preoccupare’Per me è un piacere’Ehm, aiutare un amico’Ora dobbiamo proprio andare, vero Andrea?- Disse Annamaria, guardò il marito con un’occhiata d’intesa e lui prontamente aggiunse:
-Si, scusa, Giovanni. Ho promesso d’aiutarla a mettere in ordine la casa. Se non lo facciamo il sabato, ci tocca poi restare in città anche la domenica.-
-Allora ciao- Disse lei, avviandosi verso la porta:
-E mi raccomando, tienila d’occhio, la schiavetta! Non mi sembra del tutto in sé-
-Certo, anch’io sono un po’ preoccupato. Ci vediamo e ancora grazie-
Giovanni chiuse la porta e andò in bagno, ma quando stava per uscire, notò per terra una corda arrotolata, terminante con un moschettone. La raccolse e vide che su di esso era infilato un morsetto da tenda. Era macchiato di rosso:
‘Come avrà fatto a finire qui!’ Pensò. Poi si ricordò degli arnesi che Roberto, la sera prima, aveva mostrato a tutti.
Quella corda era nella borsa a tracolla di Grazia. Strano, doveva essere ancora sul tavolo in sala. Ci avrebbe pensato più tardi. Ora voleva vedere come stava la schiava.
Entrò piano per non disturbare Grazia e vide la borsa sul comò.
Si avvicinò alla donna e sentì subito un gran puzzo d’alcol. Si sedette sul letto vicino a lei, l’accarezzò e lei aprì debolmente gli occhi:
-Hai bevuto? Perché? Perché ti devi ridurre così?-
Lei farfugliò qualcosa, mezza tramortita:
-Annamaria’.Annamaria è cattiva’- E le venne un conato di vomito.
Giovanni fece appena in tempo a scostare il tappeto, che Grazia riversò del liquido repellente per terra: puzzava di merda.
-Mi scusi’.- Balbettò lei:
-Mi scusi, signore’- Mentre le uscì altro vomito.
Lui si precipitò in bagno e ritornò con uno straccio e un catino.
-Annamaria’.mi’Pulirò io’.Leccherò tutto’Non mi frusti’Pietà’- Delirava lei, mentre continuava a vomitare l’anima.
La tirò seduta, appoggiandola alla sponda del letto e le tenne la testa all’indietro. I conati s’interruppero. L’accarezzò e le chiese di Annamaria:
-Non posso, non posso’.Mi ammazza!- Rispose quella tremando.
Giovanni non capiva. La confortava come poteva e quando la vide un po’ più calma, le rimbocco le coperte, dicendole di riposare.
Andò in cucina a preparare un caffè forte e poi, mentre aspettava che fosse pronto, tornò in camera e diede un’occhiata ai vestiti.
Prese in mano quello rosso e mentre lo rigirava per osservarlo meglio, si graffiò: ‘Ci dev’essere qualcosa d’appuntito’ Pensò e infilò il braccio per cercarlo, ma ritrasse subito l’arto, ferito da innumerevoli punte. Rivoltò il vestito con delicatezza e scoprì che luccicava di una miriade di schegge di vetro.
L’allontanò da sé, lasciandolo cadere a terra e si avvicinò alla tutina: appena la prese in mano, si senti bruciare sulla parte ferita. Andò alla finestra e scoprì il pinzimonio di pepe e sale, intriso nella stoffa.
-Ma che cazzo!- Esclamò e si rivolse a Grazia, chiedendole spiegazioni:
-Che t’ha fatto Annamaria! Cosa sono questi vestiti?-
Lei, che aveva seguito le manipolazioni di Giovanni con apprensione, scosse la testa. Non disse niente.
Giovanni la scoprì e prese un lembo del vestito che aveva indosso e si sentì subito prudere la mano:
-Avanti, aiutami a toglierti anche questo. Sei matta? Come fai a resistere dentro quel formicaio! Oddio, cazzo, Annamaria mi dovrà delle spiegazioni!
-E’ stata lei, vero?-
Grazia scosse la testa ripetutamente, con lo sguardo basso.
-Non dirmi che sei stata tu stessa a conciare i vestiti in questo modo!-
Lei lo guardò e accennò un assenso con la testa. Confusa e terrorizzata dalle minacce dell’aguzzina, pensava di aver trovato un’ottima risposta per trarsi d’impiccio.
-Che scemo sono stato, come ho fatto a non capire- Disse Giovanni, quasi fra sé e sé:
-Ma certo, ora è tutto chiaro: non riesci a vivere una situazione normale, se non trovi qualcosa per autopunirti’.Forza levati il vestito! Ma guarda’Non ti si può lasciare sola neanche’..-
Con fatica, le sfilò quella stoffa urticante, dato che Grazia era ancora intontita, e insistette per avere ancora spiegazioni, ma non ricevette che bisbigli incomprensibili:
-Non posso credere che Annamaria abbia assecondato queste tue manie’.-
Grazia ebbe il coraggio d’annuire, ma Giovanni non colse neanche quell’assenso, distratto com’era dalla scena che gli si presentava di fronte.
Si ritrasse inorridito, appena l’ebbe denudata: il corpo della poveretta era una maschera di sangue e d’ecchimosi. Dovunque segni bluastri le ricamavano la pelle, in un intreccio di ferite, graffi e gonfiori.
-Puttana!- Esclamò:
-Se ritardavamo ancora qualche minuto, t’avrei trovato morta stecchita! Ma”.Annamaria dev’essere impazzita se non ti ha impedito di farti del male!-
Si caricò sulle spalle Grazia e la portò in bagno, nella vasca. Lei si lamentava debolmente, delirando.
Quando fu nel locale s’accorse del tappo che le sfondava l’ano:
-E questo cos’è! Madonna mia, ma è orribile!-
Cercò d’estrarlo, ma faceva resistenza:
-Come si fa a toglierlo, ne sai qualcosa?- Le domandò, preoccupato.
Lei farfugliò qualcosa a proposito d’un telecomando.
-Telecomando? Quale, quello della televisione?- ‘Questa è diventata matta definitivamente’ Pensò.
-Il telecomando’Annamaria’.E’ nero’Un’antenna-
Lui andò prima in camera, poi in sala. Lì vide la scatola nera, ma sentendo odore di bruciato si ricordò improvvisamente del caffè.
Corse in cucina appena in tempo per spegnere il fuoco, versò tutto il contenuto in una tazza e tornò da Grazia, che nel frattempo aveva ricominciato a vomitarsi addosso:
-Bevi cara, bevi, ti farà bene!- Le porse la tazza bollente e l’aiutò a sorbire il liquido.
Tornò a prendere il telecomando e una volta vicino a Grazia, glie lo consegnò, dicendole di manovrarlo lei.
Era la prima volta che l’ebbe in mano. Spinse subito il pulsante verde e il cazzo si restrinse, facendola ululare dal dolore. Le pareti sanguinolente s’erano appiccicate all’arnese, che ritirandosi le strappava, aprendo delle ferite interne.
-Piano, piano!- Esclamò lui, facendosi consegnare l’apparecchio. Prese del sapone liquido e irrorò la parte, mentre estraeva il pene artificiale. Grazia, prostrata con il viso sul pavimento della vasca e il sedere in alto, gemeva dolorante.
Ci vollero parecchi minuti per toglierle quell’arnese, tra tentativi di farlo uscire e pause d’assestamento.
Finalmente fuoriuscì del tutto e Giovanni accarezzò la poveretta, facendola lentamente sdraiare.
Iniziò a medicarla, mentre meditava sull’accaduto: doveva parlare assolutamente con Annamaria. Era evidente che l’aveva lasciata fare; anzi, forse l’aveva anche aiutata.
Pensò di telefonarle per avere delle spiegazioni; quando s’erano salutati non sembrava preoccupata.
Forse sarebbe stata la persona giusta per riportare Grazia in una dimensione umana. In fondo era una donna e fra di loro si capiscono meglio.
La bagnò delicatamente con la cornetta della doccia con acqua tiepida e l’asciugò, cercando di alleviarle i dolori delle ferite e delle contusioni.
Trovò nell’armadietto dei calmanti che glie li fece trangugiare e poi la riportò in camera, la mise nel letto e vegliò su di lei, finché s’addormentò.
Poi Giovanni telefonò ad Annamaria e cercò, diplomaticamente, di capire che era successo durante la sua assenza.
-Appena le ho fatto vedere i vestiti, Grazia mi s’è prostrata ai piedi, per ringraziarmi di quello che avevo portato. Ha detto che non se lo meritava e di punirla. Io non sapevo come comportarmi, ma lei si è rifiutata d’indossarli, se prima non le avessi frustata da per tutto. E non c’era nulla da fare: mi pregava, anzi mi supplicava. Sai come si comporta Grazia-
-Si, si’.- Rispondeva Giovanni
-Incredibile, poverina: ma tu, non l’hai fatta ragionare?-
-E’ stato impossibile, credimi. Si è tolta la giacca da casa che le avevi fatto indossare e ha cominciato lei stessa a colpirsi, tra l’altro in parti del corpo sulle quali mai avrei immaginato si potesse sopportare il dolore: ti lascio immaginare il mio stupore e raccapriccio, quando come una furia calava con forza quel terribile arnese in mezzo alle gambe. Non riuscivo a fermarla e più volte mi sono presa qualche colpo nel tentativo’-
-Ma è bestiale, non ci posso credere!- Interloquì l’uomo:
-Ti assicuro, cose mai viste’.Sono riuscita finalmente a toglierle di mano l’arnese e le ho ordinato con tono perentorio di smetterla e di provare il primo vestito: mi spiaceva essere così dura con lei’-
-Ti capisco benissimo. Anch’io dovetti agire nello stesso modo per ottenere che si comportasse in maniera umana-
-Eh, già! Ti devo confessare che i vestiti che ho portato non erano miei. Sai, la mia corporatura è ben diversa. Me li sono procurati da una vicina che fa la raccolta per i poveri-
-Addirittura! Ma sei un angelo!- Commentò ingenuamente Giovanni:
-Allora non sapevi in che stato fossero-
Presa la palla al balzo, Annamaria, che non avrebbe saputo inventarsi una scusa valida per le sofferenze patite da Grazia nell’indossare i vestiti, continuò:
-Ho notato che, appena messo, Grazia s’agitava e si lamentava. Non capivo che avesse. Le dicevo, figurati, di stare ferma, per segnare dove aggiustarlo sulla sua figura. Poi mi sono resa conto che probabilmente non era stato lavato, forse aveva delle pulci. Sai nella fretta, non l’avevo controllato.-
-Hai fatto anche più del dovuto, Annamaria-
-Ma no, che dici. Se avessi saputo in che stato fossero quegli indumenti, li avrei prima lavati e puliti. Così è stato per gli altri: io mi sentivo un verme. Già quella poveretta è nello stato che è. Invece di fare una buona azione, mi sono trovata a farla soffrire ancor più-
-Ma non è stata colpa tua, non sapevi’-
-Va bé, intanto il suo corpo era ridotto veramente male. Mi sono scusata, ma lei, invece d’arrabbiarsi, si prostrava nuovamente ai miei piedi, come se fosse colpa sua. Non sapevo come comportarmi’-
-Capisco, come ti capisco’E’ sconcertante’-
-Si, veramente! Ma non è finita! Senti: sono andata a cercare qualcosa che la potesse disinfettare; sai, non conoscendo casa tua, e ho impiegato un po’ di tempo. Quando sono tornata, era in bagno con un coso dentro l’ano e un telecomando in mano. Ero stupefatta: per farla breve si stava auto torturando.
Le ho tolto immediatamente quello strumento e l’ho portata in camera tua, ma mentre cercavo di capire cosa si fosse ficcata dentro, s’era già scolata la bottiglia di gin. Barcollava e l’ho messa sotto le coperte, ingiungendole di stare ferma. Forse sono stata troppo severa?-
-Ma, no, che dici! E’ necessario darle dei comandi! Mi dispiace veramente d’averti procurato tanti fastidi’- Rispose Giovanni costernato:
-Senti, gli amici servono in questi momenti’Grazia mi fa pena, ha tanto bisogno d’aiuto! Non ti preoccupare, ormai me la sono presa a cuore, poverina. Chiamami pure quando vuoi, non farti problemi. Vedrai che piano, piano, riusciremo a farla guarire dal suo stato-
-Grazie, Annamaria, grazie-
-Devi stare attento con Grazia: è come una bambina! Anzi, ti do un consiglio: quando non l’hai sotto controllo, legala. So che è un sistema un po’ brutale, ma così le impedirai di farsi male da sola-
-Si, forse è una buona idea. Magari lunedì, che sono al lavoro’-
-Guarda, lunedì mattina non devo andare in negozio, se vuoi faccio un salto’-
-Ma dai, non importa’-
-No, no, non c’è problema. Per te questo e altro.-
-Sei veramente un’amica. Allora a lunedì, grazie ancora-
-Arrivederci-
Giovanni si preparò la cena e successivamente, dopo il pasto, accese la televisione e si guardò un film. Ogni tanto andava a controllare Grazia che era sprofondata nel sonno dei giusti: i calmanti avevo fatto il loro effetto.
Verso mezzanotte andò a letto: scostò le coperte piano per non svegliarla e lei le si accoccolò, nel dormiveglia, accanto a lui.
Domenica

La mattina, Giovanni stava sognando di fare l’amore e lentamente si svegliò: la sensazione di stare scopando continuava.
S’accorse che Grazia lo stava pompinando, con delicatezza. Lui le accarezzò la testa, e lentamente la trasse verso di sé. Lei con le cosce aperte accolse il suo membro eccitato nella vagina, che entrò come un dito nel burro.
L’abbracciò e si baciarono. Grazia muoveva lentamente il bacino; ora chiuse le gambe e stretto la fessura, fasciando il fallo turgido dell’uomo: ansimava di piacere e lui con lei.
Fu un rapporto lungo, piacevole, tenero.
La donna era fradicia d’umori e si sentiva che stava godendo di tanti piccoli orgasmi, finché proruppe in un grido più acuto quando anche Giovanni venne, riempiendola d’un getto abbondante di sperma: era veramente molto che lui non scopava.
Stettero ancora abbracciati, l’uno dentro l’altra per un po’, senza dire una parola. Poi lui, pensando fosse il momento propizio, le sussurrò:
-E’ stato meraviglioso! Continuiamo così, mi piace stare con te, senza violenza. Fai finta di non essere una schiava e sforzati di comportarti da donna, se puoi-
-Come vuole lei, Padrone- Fu la sconcertante risposta.
Giovanni a quel punto, stava per perdere la pazienza, ma si trattenne. Le parole di Grazia avevano rotto quell’incantesimo, che sperava avesse creato lo stare abbracciati come due ‘normali’ amanti.
Non voleva trattarla duramente, ma si ricredette subito, quando le dovette comandare d’alzarsi e di andare al gabinetto. Senza un ordine perentorio, lei non faceva nulla: restava in terra, in ginocchio, con gl’occhi bassi e le mani sulla testa.
Fecero la doccia insieme. Lui la lavò e l’asciugò, come si fa tra amanti appassionati, e lei rispondeva a tono, ma una volta in cucina, dovette imporle di nuovo di mettersi seduta al tavolo, impugnare le posate per imburrarsi delle fette di pane tostato e bere il caffelatte.
Le impose’di vestirsi, dandole dei suoi indumenti. Di statura erano più o meno uguali e rimediò alla larghezza dei pantaloni, con una cintura. Sopra una maglietta, le fece indossare una camicia sportiva: non era elegante, ma nel complesso stava abbastanza bene. Almeno non era nuda e potevano uscire. Per le scarpe non ci furono problemi: era l’unica cosa che era rimasta intatta, tra gli indumenti coi quali era venuta.
Giovanni pensò che fuori di casa, Grazia, si sarebbe comportata da donna e forse sarebbe stata l’occasione per iniziare a rieducarla.
La portò fuori città e lasciata la macchina, fecero una passeggiata, mano nella mano. Ogni tanto, nei luoghi più suggestivi, si baciavano. Lei lo stringeva, eccitandolo, tanto che ad un certo punto, preso da una libido incontrollabile, tornarono in auto e, dopo aver trovato un posto riparato da sguardi indiscreti, fecero di nuovo l’amore.
Lei era il meglio che un uomo potesse desiderare in fatto di sesso. Delicata in certi momenti, assatanata in altri, sembrava provare un piacere immenso solo a donarsi al partner, a baciare e farsi baciare ogni centimetro di pelle.
I suoi lamenti, i suoi movimenti, le espressioni languide non potevano essere una commedia da puttana; godeva e faceva godere con trasporto, ma lui fu di nuovo sconcertato, quando, spossati da un ennesimo orgasmo, gli accostò la bocca al fallo ormai floscio e vedendo che non succedeva nulla, si rivolse a Giovanni con un fil di voce:
-Falla pure, Padrone, lo so che dopo si ha bisogno di liberare la vescica’-
-Ma che dici, sei matta?- Sbottò lui spazientito, mentre lei si ritraeva come un cane bastonato:
-Se ne avrò lo stimolo, posso farla qui fuori, con tutta questa campagna’-
Una lacrimona le scese sul viso:
-E adesso che ti prende! Dimmi, che c’è!
-Lei, Padrone, non mi vuole veramente bene’Io sono la sua schiava e’
-Senti, io mi comporto come cazzo voglio! E se non voglio pisciarti in bocca ho tutti i diritti di non farlo!- Si pentì subito d’aver alzato il tono della voce. S’era imposto di trattarla con più gentilezza possibile, per smarcarsi da un comportamento rude, ma quella faceva saltare i nervi anche ad un santo:
-Ascoltami, caro amore- Si riprese, in modo calmo:
-Cercherò d’accontentarti come posso. Sii un po’ indulgente con me, fammi abituare alle tue richieste e vedrai che piano, piano, risolveremo tutti i problemi. Dobbiamo conoscerci meglio, ma anche tu cerca di capire il mio punto di vista-
Lei assentì e smise di piangere, ma lui non si convinse affatto che avesse capito:
-Grazia, ascoltami’.Mi trovo bene con te, sei meravigliosa- Ella sorrise, ma non rispose:
-Dai, dimmi qualcosa. Non ti piace essere trattata con gentilezza?-
-Tu sei il mio Padrone e hai il diritto di fare ciò che vuoi con me.-
-Non hai risposto alla mia domanda- Le disse Giovanni, trattenendosi dallo sbottare nuovamente.
Grazia tenne gli occhi bassi e sommessamente balbettò:
-Io’Io’Non’Sono’Una donna’Come le altre’Sono’Masochista’Mi piace molto stare con te’Ma’Ho’Bisogno’Di essere contenuta’Non’Posso’Se non appartengo a qualcuno, non sono niente. Devi’Devo essere’- E prendendo coraggio disse a Giovanni quello che le premeva di più:
-‘Io provo piacere quando mi frusta il mio Padrone, quando mi costringe le membra legate, quando gli posso offrire il mio corpo completamente: mi fa sentire bene, importante e mi eccita’Si, mi eccita più d’ogni altra cosa, più che fare l’amore-
Lui la guardava a bocca aperta, inebetito. Non sapeva che rispondere, che dire. Mai gli era capitata una situazione così imbarazzante. Pensava che scene di questo tipo potessero essere solo nelle didascalie di riviste porno di quart’ordine, ma lei, ormai era un torrente in piena e s’insultò, senza pudore:
-Sono’una depravata’Sono una lurida masochista, una demente che ama farsi umiliare e seviziare: solo così mi sento a posto, mi sento viva-
Stettero in silenzio per alcuni minuti. Giovanni guardava davanti a sé. Il cervello si rifiutava di ragionare, d’avere dei pensieri.
Poi, iniziò a considerare la faccenda. Era combattuto tra pensieri contradditori.
Dunque non c’era nulla da fare, non l’avrebbe convinta a comportarsi in modo normale. A lei piaceva essere una schiava.
Doveva decidere. Forse la cosa migliore era restituirla a Roberto.
Però gli dispiaceva. In fondo, stava bene con lei, era stato stupendo far l’amore. Poteva imporle quello che avesse voluto, quindi anche di non essere maltrattata.
Ma, no. Gli aveva appena detto che le piaceva essere frustata’
Prese tempo: nessuno lo obbligava a scegliere subito sul da farsi.
Con un po’ di timore, Giovanni la portò in un ristorantino. Temeva che lei si potesse comportare in modo equivoco, ma non fu così. Come d’incanto, Grazia fu perfetta, sembrava un’altra persona.
Riuscì persino ad intavolare una conversazione con lei, senza estorcerle le parole di bocca, anche se Grazia rispondeva solo alle sue domande, senza aggiungere altro, o rivolgergliene di sue.
Non affrontò discorsi sul suo stato di schiava. Le chiese se il cibo era di suo gradimento e discorsero sulla bontà di questo o di quello: come si doveva cucinare, quali trucchi si potevano usare per insaporire meglio le pietanze, e così via.
A Giovanni sembrò d’averla sciolta e che poteva permettersi d’indagare sul suo passato.
Le domandò qualcosa, rispetto alla sua vita, prima d’incontrare Roberto: se avesse mai lavorato e se le fosse piaciuto ricominciare, ma lei cambiò tono ed iniziò a rispondere, con un po’ di reticenza e senza aggiungere particolari, che non le fossero esplicitamente richiesti.
Giovanni s’arrese all’evidenza: o se la teneva così com’era, oppure la riconsegnava al mittente.
Non c’era nulla da fare, almeno in quel momento e in fondo, non era il caso suo, molti mariti, soprattutto nel passato, non tenevano in gran conto le opinioni delle mogli, i loro desideri, le esigenze: ci facevano l’amore, a volte le picchiavano e poco altro.
Decise di tentare di andarle incontro rispetto a ciò che lei chiedeva ed assumere il ruolo di padrone. Bastava mettere in pratica delle sue fantasie erotiche, prendersi delle licenze che mai avrebbe osato con altre donne.
Uscirono dal ristorante, e mentre s’incamminavano lentamente lungo una stradina in mezzo agli alberi, le ordinò di mettersi le mani sulla testa e, dietro di lei, intrufolò da sotto la camicia, le sue. Raggiunse il seno e appena toccò un capezzolo s’accorse che s’induriva: non gli parve vero di poter fare tutto quello che gli saltava in mente, senza nessuna remora. Glie lo strinse e lei gemette. Le piaceva, sì, le piaceva.
Cominciò a giocherellare con tutt’e due i bottoni, allargando il suo interesse all’aureola e poi alle tette, prendendole a coppa.
Provò ad afferrarli e strinse sempre di più la morsa e, come se stessero facendo l’amore, Grazia mugolava a bocca chiusa. L’aprì per un piccolo grido soffocato solo quando iniziò a mungerla come fosse una vacca.
Giunsero dietro un cespuglio, riparati da occhi indiscreti.
Giovanni era preso da una passione crescente. Le sgusciò le tette dalla camicia e le manovrava come se avesse in mano delle manopole: le schiacciava, le strattonava giù e su, a destra e a sinistra e poi le mollava, facendole perdere l’equilibrio e sostenendola solo da quella parte. Ora Grazia emetteva mugolii sonori e gridolini soffocati e lui le impose di stare zitta se non voleva richiamare l’attenzione.
Stava liberando, piano, piano e non senza sensi di colpa, il suo lato sadico, che via, via cresceva, quanto il fallo dentro i pantaloni.
La mise seduta per terra e con un piede scostò la cintura fino ad abbassarle i pantaloni, mentre con le mani sulle tette, la tirava in alto. Cercò di stuprala con la scarpa e non riuscendo, iniziò a darle dei calci, prima con piccoli colpetti e poi sempre più forti, fino a spostarla di peso.
Grazia ansimava e si tratteneva dal gridare, ma all’ultimo non ce la fece ed emise un urlo. Lui s’interruppe, lasciando la presa, mentre lei s’accasciava al suolo, massaggiandosi l’inguine dolorante:
-Via quelle mani!- Le ordinò, sempre più trascinato da quelle sensazioni sconosciute. Dalla tasca prese un fazzoletto e glie lo mise in bocca:
-Adesso mi posso divertire, senza far scandalo- Esclamò, pervaso in un delirio d’onnipotenza. Non era più quell’uomo premuroso e gentile, nel quale s’era sempre identificato, ma stava uscendo in lui tutta la rabbia repressa di una vita fatta da signorsì, sul lavoro, nei rapporti d’amicizia e nelle relazioni con l’altro sesso. S’era trasformato nel mostro sadico che teneva nascosto e che temeva di far uscire.
Prese un rametto flessibile da un arbusto, girò la donna supina, le colpì le natiche scoperte con furia selvaggia. Poi la penetrò violentemente nell’ano e la stantuffò con energia, prendendo il suo piacere ed eccitandosi sempre più, accompagnato dai mugolii disperati e soffocati della vittima.
Dopo essere finalmente venuto, spossato e rilassato, rinvenne da quello stato di febbricitante passione e ripensò a ciò che aveva compiuto. Grazia giaceva inerme, con le unghie conficcate nella terra, le natiche rigate dalle frustate: non si muoveva.
Si sentì una merda d’uomo, un vigliacco: aveva approfittato di lei in modo obbrobrioso, come peggio non avrebbe potuto fare. Non sapeva come comportarsi, che dirle.
S’avvicinò per vedere come stava: respirava, debolmente, ma respirava. A vederla così immobile temette d’averla uccisa. Non si ricordava bene che le avesse fatto, talmente era stato preso da quella furia disumana.
Le sfiorò i capelli e lei si volse verso di lui: aveva il viso stravolto dalle lacrime, sporco di terra, piena di moccio e con il fazzoletto fradicio di saliva. Le tolse il bavaglio:
-Scusami, non so cosa m’abbia preso, perdonami, è che’-
Lei lo guardò, gli sorrise e dopo qualche timore decise d’abbracciarlo, prendendo un’iniziativa che si stupì d’aver avuto: il coraggio d’una azione autonoma.
Stettero avvinghiati così per qualche minuto, presi tutt’e due dalla paura di quel lato delle rispettive personalità che non sapevano di possedere: lui col suo sadismo e lei riscoprendo una volontà indipendente.
Giovanni aiutò Grazia ad alzarsi e a rivestirsi. La sostenne con un braccio alla vita e si diressero verso l’auto.
-Torniamo a casa, ti va?- Le domandò.
-Si, amore- Lei si sorprese a rispondere.
Durante il tragitto non parlarono, ognuno immerso nei proprio pensieri. Passando da una rosticeria, Giovanni comprò qualcosa da mangiare. Entrarono nell’appartamento e lui la invitò ad andare a lavarsi:
-Va a rinfrescarti, sei piena di terra. Ti ho veramente conciato male-
Lei non rispose e quando uscì dal bagno era nuda e portava sul braccio i vestiti.
-Vieni ti do qualcosa da mettere, poi domani, quando rientro dal lavoro, andremo a comprarti qualche indumento femminile. Contenta?-
-Come vuoi, ma io sto bene anche così- Ancora una volta si sorprese a rispondere a lui, senza permesso, senza pronunciare la parola Padrone e senza dargli del lei. Cosa le stava succedendo?
-Ma va, dai, non puoi stare mica senza vestiti! E se ti va d’uscire?-
-Non esco senza di te. Non riesco’.Non posso’-
-Ma non dire sciocchezze, vedrai’- E vedendo la sua titubanza, lui continuò con tono perentorio e un tantino ironico:
-Tu uscirai di casa anche da sola, è un ordine!-
Poi l’accompagnò in camera e le diede altri vestiti. Andarono in sala e lui si sedette sul divano, mentre lei si accoccolò fra le sue gambe. Giovanni si chinò a baciarla.
Non c’era verso, le movenze di lei, i suoi mugolii, erano troppo provocanti, e lui, irresistibilmente attratto da quelle tette, iniziò nuovamente a palpargliele, questa volta teneramente, mentre il suo fallo s’allungava. La bocca di lei s’appoggiò sulla patta di Giovanni e senza usare le mani, glie l’aprì, e cominciò a lavorargli l’asta con la lingua: a lui sembrò di stare in paradiso.
Fu il pompino più bello della sua vita. Forse per il fatto d’essersi amati così spesso quel giorno, forse per l’abilità di lei, stabilirono senz’altro il record di durata. Giovanni si perdette in un torpore estatico, mentre aveva in mano i seni di Grazia che stringeva e rilasciava ritmicamente. Lei gemeva, ansimava, muoveva il bacino, si toccava sulla vagina e raggiunse più volte l’orgasmo, stringendo il fallo con mugolii sonori inequivocabili.
Alla fine lui eiaculò pochi fiotti di sperma e rimase nella beatitudine più assoluta, come fosse sospeso per aria, il corpo completamente abbandonato.
Era talmente rilassato e semi incosciente che quando gli venne lo stimolo di pisciare, la fece senza remore. Per fortuna, Grazia aveva ancora il suo fallo in bocca e l’accolse senza sporcare il pavimento.
Rinvenne da un sonno beato, attratto da un profumino allettante. Il cibo della rosticeria fumante era sul tavolino vicino al divano e Grazia stava apparecchiando. Aveva indosso una tenda di una finestra e si muoveva in modo sexy e provocante, anche in quelle operazioni normali.
‘Basta, basta’ Pensò, ancora spossato, ‘Questa mi farà morire di sesso’:
-Non smetti mai di provocare. Vestiti e smettila muoverti in quel modo- Proferì con voce piagnucolosa:
-Non sono mica superman!-
La donna s’interruppe in quello che stava facendo e lo guardò attonita: ‘Eppure in campagna s’era comportato da Padrone! M’aveva finalmente trattato da schiava.’ Pensò lei con disappunto.’Forse devo ricordarglielo’ Considerò e cerco di provocarlo con le armi che possedeva. Si prostrò davanti a Giovanni:
-Perdono, Padrone, perdono sono una lurida troia e le troie come me si devono muovere così-
-Tirati su, scema e piantala di chiamarmi padrone, mi sono stufato!-
-Mi perdoni- Ripeté lei e mettendosi in ginocchio con le mani intrecciate sulla testa:
-Mi punisca severamente, non lo farò più, se questo è il suo desiderio-
Il fare remissivo e quell’atteggiamento da schiava ebbero l’effetto sperato. Giovanni s’irritò ulteriormente: si risvegliò e gli salì nuovamente dal profondo il mostro sadico che s’annidava in lui. Sentì la sua voce ordinarle:
-Va a prendere la frusta! Te ne darò tante da farti svenire!-
La vide procedere carponi, raggiante in viso e quando tornò con l’arnese in bocca, ancheggiava, tenendo il bacino in alto e arcuando la schiena il più possibile, mentre la veste trasparente scivolava verso il basso e la denudava.
Quella vista annebbiò in Giovanni, la parte razionale del cervello che gl’impediva azioni sconsiderate: le prese di bocca la frusta e la tempestò di colpì sulla schiena e sul bacino.
Grazia si lamentava con grida trattenute a mezza bocca, ma dopo pochi attimi, lui si fermò con l’arnese a mezz’aria, domandandosi cosa stesse facendo.
Per lei non era abbastanza e temeva di doversi sorbire un altro approccio melenso, fatto di carezze e bacini.
Decise di provocarlo ulteriormente, prendendo l’iniziativa. Lo guardò con aria di sfida e gli gridò in faccia tutta la sua delusione:
-Non m’hai fatto niente. Sei solo un bluff, un mollaccione, una femminuccia senza nerbo’-
La provocazione ebbe l’effetto desiderato e Giovanni cadde nella trappola: Grazia aveva colpito nel segno, utilizzando le parole che più ferivano il suo orgoglio di maschio, le stesse che si sentì ripetere da precedenti relazioni con altre donne e spesso sul lavoro.
Gl’occhi gli s’iniettarono di sangue e preso da una rabbia incontrollata, le gridò:
-Sta ferma, stronza d’una puttana! Te lo faccio vedere io, se sono un bluff-
Corse a prendere la borsa con le attrezzature sadomaso, arraffò delle manette e delle corde con le mani tremanti dalla tensione nervosa.
Tornò in sala, trascinò Grazia verso l’ armadio a muro e l’appese, lasciando che toccasse il pavimento solo con le dita dei piedi.
Le contemplò la schiena e il bacino, ma lei, soddisfatta e per niente intimorita, continuava a muovere quest’ultimo in modo provocante.
Iniziò a frustarla, ma Grazia non proferì nulla e non smetteva quella sua danza di natiche.
Il nervosismo di Giovanni salì alle stelle e visto che non otteneva risposta, girò la donna e la colpì a casaccio sul torso.
La schiava si mordeva le labbra, ma non si lamentava altro che con piccoli grugniti: guardava l’aguzzino con aria di sfida, basculando ancora il bacino.
Lui le prese una gamba e la fissò tesa in alto, con una corda attaccata al collo e poi mirò alla vagina sempre più forte.
La resistenza di lei fu presto vinta e proruppe, in un grido, seguito da singhiozzi di pianto, ma Giovanni, a questo punto non s’accontentò e le tappò la bocca con un bavaglio a pallina, poi prese il famoso fallo e glie lo ficcò nella vagina, fissandoglielo alle cosce e alla vita.
La trovò fradicia d’umori e questo lo rese ancora più rabbioso, mentre lei sbarrava gli occhi e si lamentava terrorizzata alla vista di quell’arnese crudele.
Contemplò il fallo che col calore si allargava e allungava, trattenuto dentro dalle cinghie, mentre lei mugolava disperatamente: la punizione tanto desiderata si stava trasformando in una tortura vera e propria.
Si rese conto che forse aveva esagerato, che Giovanni aveva perso il controllo di sé, ma era troppo tardi per farlo desistere: lo vedeva con un espressione stravolta, non sapeva come rabbonirlo e più mugolava disperata, più quell’uomo s’accaniva con crudeltà. I lamenti e le grida di godimento sono gli stessi di quelli provocati dalla sofferenza.
Giovanni prese il telecomando e premette i bottoni a casaccio. Spense il meccanismo e poi lo riaccese, più volte, senza sapere cosa stesse facendo.
Grazia, s’allarmò terrorizzata, ma vedendo quelle manovre goffe, si tranquillizzò e provò un po’ di sollievo quando il fallo si fermava pur rimanendo duro e lungo oppure s’afflosciava, o innaffiava d’aria la vagina, provocando in essa buffi rumori, come scoregge.
Giovanni, però, capì ben presto il funzionamento dei bottoni e ricominciò a torturarla con l’ingrossamento del pene artificiale: ora il bacino si muoveva squassato e violentato dalle vibrazioni e dalla crescita cadenzata di quell’affare. Lei stravolta, piangeva disperata, in preda a fitte dolorose, finché un rivolo di sangue non le uscì dalla vagina.
Lui se ne accorse e s’impressionò talmente, che tornò in sé:
-Ma porc’.Che sto facendo, allucinante!- Esclamò:
-Tu’Tu mi fai impazzire! Guarda come ti ho conciata! Oddio’- Diceva, mentre afflosciava il fallo, slegava le cinghie che lo tenevano fissato e lo estraeva con delicatezza. Ancora un po’ di sangue, non molto:
-Meno male, temevo avessi provocato un’emorragia’-
Grazia si lamentava sommessamente. Sapeva che Giovanni era ormai ritornato quel mollaccione di sempre. Non c’erano vie di mezzo con lui: o era troppo pieno di smancerie stucchevoli, o si comportava da bestia assatanata. Si rese conto che era molto più pericoloso dei padroni che aveva avuto fino ad allora.
Giovanni le piaceva, sentiva d’amarlo, ma avrebbe dovuto educarlo con pazienza, se voleva ottenere da lui ciò che desiderava.
La sciolse dai nodi che la legavano e lei crollò, sostenuta da quell’uomo contrito e allarmato dalle sue stesse azioni. La stese sul divano e andò a prendere del disinfettante e della crema emolliente.
Le allargò la vagina e la pulì con più delicatezza possibile, anche se lei ad ogni toccò, trasaliva dal male. Le mise una coperta e, inginocchiandosi vicino, la baciò.
Grazia, prese coraggio e ruppe il ghiaccio, rendendosi conto che senza una spiegazione a parole, mai sarebbe riuscita a mantenere la situazione con equilibrio:
-Amore- Iniziò a dire, sapendo di fargli piacere se pronunciava quella parola:
-Amore, così non va’Non va bene!- Sussurrò con un fil di voce.
-Ma tu’Tu’Sei tu che sei impossibile’Mi provochi’Io non sono così’Che mi sta succedendo’Non mi riconosco più- Diceva quasi solo a se stesso.
-Amore- Ribadì lei:
-Hai detto che noi dobbiamo comprenderci’Là in campagna’Ricordi?-
-Si, si’-
-Io’.Io sono masochista, ma’- Non sapeva neanche lei quali parole scegliere. Non era da lei gestire la propria vita, figuriamoci quella d’un altro, d’un uomo, un padrone:
-Ho bisogno d’essere contenuta’.Che ci sia qualcuno che mi dica ciò che devo fare’Che mi punisca’Ma con criterio’Non come fai tu’Sono un essere umano’.In fondo’-
-Hai ragione, tesoro, capisco d’aver esagerato. Non sono abituato, non so come controllarmi. Con te fare l’amore è meraviglioso e’Non riesco a pensare di volerti picchiare’-
-Ma tu’Non devi picchiarmi’Devi’Farmi sentire tua’Voglio sentire il tuo controllo, ogni momento della giornata. Solo così sono sicura. Voglio che tu mi punisca, ma non c’è bisogno di farmi del male, almeno non così’Prova a’A legarmi’Fammi sentire schiava’Devota’Sottomessa’Per favore’Io’Non riesco a vivere come vorresti’-
-Ci proverò, ma come faccio a sapere cosa’quando’-
-Ci penso io- Disse Grazia, facendo appello alla donna che c’era in lei, che da tanto tempo era in letargo e in un angolino del profondo stava riemergendo piano, piano:
-Fatti servire come se fossi la tua cameriera, la donna delle pulizie, la tua’Puttana. E quando non sei soddisfatto del mio lavoro, punisci le mancanze, gli errori: ce ne saranno sempre. Non conosco la casa e poi sarò io a’A sbagliare’.Apposta’E tu capirai’-
-Va bene- Disse lui e provando a prendere la palla al balzo, senza curarsi dello stato di malessere fisico nel quale si trovava Grazia, le ordinò:
-Alzati e versami un bicchiere di whisky! Ne ho proprio bisogno.-
Lei si mosse con fatica: il corpo le doleva da tutte le parti e soprattutto, quando muoveva le gambe, sentiva delle fitte nella vagina.
Gli porse il bicchiere e si mise in ginocchio davanti al suo Padrone. Forse aveva trovato la chiave giusta per vivere la sua natura masochista con Giovanni.
Sì, non c’erano dubbi: era attratta da quell’uomo così maldestro ed imbranato. Le piacque fin dal primo momento che l’aveva visto. Era diverso dagl’altri. Da tanto tempo non sentiva le farfalle nello stomaco e solo la sua presenza, il suo sguardo, la scombussolava: era veramente innamorata.
In campagna, quando la frustò in modo selvaggio, fu felice, appagata, soddisfatta: quel suo modo animalesco di trattarla, sembrava provenire da un mondo ancestrale e che vibrava con il suo. Aveva un po’ esagerato, ma ora era riuscita a spiegargli i suoi sentimenti ed era molto orgogliosa di sé: quella sua parte repressa, cacciata giù nei meandri dell’anima, trovava finalmente spazio. Per questo si sentiva così bene e avrebbe voluto che il sogno di una bella storia d’amore sadomaso continuasse per sempre. Aveva, forse, trovato il suo principe azzurro?
Dopo un po’ che stavano seduti, lui sul divano e lei di nuovo accoccolata ai suoi piedi, Giovanni le chiese a bruciapelo: -Cosa mi proponi per la serata?-
Grazia lo guardò con aria interrogativa e l’uomo continuò:
-Si, hai capito cosa intendo: mi piacerebbe qualcosa di sfizioso. Non hai in repertorio una scena stuzzicante, provocatoria, che mi faccia rizzare di nuovo l’uccello?-
‘Madonna!’ Pensò lei: ‘Che vorrà da me!’
-Che intendi dire’-Prese tempo.
-Con tutta l’esperienza che hai’Non hai detto che vuoi essere la mia puttana masochista?- Le disse lui con un fare misto tra l’ironico e il severo.
Grazia stette in silenzio qualche minuto e accarezzava le gambe di Giovanni.
Poi gli sorrise s’alzò e andò a prendere delle corde, in quel suo modo sexy, arrapante; glie le appoggiò sul grembo, s’inginocchio con le mani dietro il collo e gli disse con tono languido:
-Padrone, mi leghi alla sedia’.Poi le verrà in mente cosa farmi’-
Giovanni la guardò fisso negl’occhi e lei abbassò lo sguardo.
Prese la corda e trascinandola delicatamente verso la sedia, la guidò nella posizione.
Iniziò a girargliela alla base dei seni e passandola dietro, le fissò le caviglie sollevate da terra: se la schiava avesse abbassato i piedi, le corde si sarebbero strette intorno alle tette. Prese le manette e attaccò i polsi di lei al collare. Le bendò gli occhi.
Già quella scena era stimolante: Grazia era in balia di Giovanni, legata e cieca; aguzzava le orecchie per capirne le intenzioni. Di nuovo fu assalita dal dubbio di aver dato troppa corda, nel vero senso della parola, al suo Padrone; sperava solo che controllasse il suo furore’:
-Vediamo un po’ se reagisci con questo!- Disse l’uomo con tono minaccioso, sfiorando la vittima con qualcosa di morbido. Lei non capiva, stava sudando, ma appena la toccò con quell’arnese le venne la pelle d’oca. Cosa voleva farle. Sentì che sistemava qualcosa davanti e poi dietro di lei.
S’era fermato dietro. Poi un leggero fastidio sotto le piante dei piedi. Dopo due minuti quel leggero fastidio era diventato solletico.
L’aveva presa alla sprovvista. Di solito lo sopportava molto bene, ma siccome si aspettava chissà quali torture, quel piccolo e leggero sfregamento la prese in contropiede. Sentii la sua voce ridacchiare e poi gridare e, senza rendersene conto, era pervasa da fremiti irreprimibili, dovuti a quella ridicola sevizia.
La sua voglia masochista, travestita d’amore per quell’uomo prevalse sulla ragione e il controllo. Gridava di smetterla e rideva nello stesso tempo, finché lui:
-Mai stai impazzendo? Guarda le tue tette!- Le tolse la benda: erano delle sfere blu. Lo scombussolamento di tutto il corpo e dei piedi in particolare, avevano stretto i seni in modo inverosimile, rendendoli mostruosi.
Il Padrone tolse le corde che in parte s’erano appiccicate alla pelle. La schiava urlò ancora per il dolore della riattivazione del sangue, stimolata da Giovanni che le palpava e le mungeva le tette
L’uomo aspettò che il respiro della sua vittima si acquietasse, poi rilegò la donna alla sedia, senza farle girare la corda sul petto e la ribendò.
Si avvicinò di nuovo col piumino ed iniziò ad accarezzare la pelle del tronco e delle tette e lei ricadde nel tranello. Si rilassò a quel tocco delicato e amoroso quel tanto che bastava per farsi cogliere nuovamente impreparata quando il Padrone cominciò a stimolare le ascelle e il collo.
Quel tipo di solletico fu devastante per la schiava, che nel delirio della disperazione, proruppe in una serie d’orgasmi a ripetizione. L’effetto fu talmente forte che si coprì di tutti i suoi umori possibili: oltre a quelli di una vagina larga e fradicia, il viso era sporco di mocci soffiati dal naso, bagnata di lacrime e saliva, il corpo con chiazze di catarro e il sedile colava di feci ed orina.
La sbendò ed esclamò, gridandole nelle orecchie:
-Guarda come ti sei ridotta, fai schifo! Sta lì e non muoverti, maiale!- Come se avesse potuto scappare. Ritornò con un secchio:
-Ecco, pulisci!- Le ordinò, mentre la slegava. Lei si mise carponi e lo guardò con aria interrogativa:
-Si, si, hai capito bene, ora la maialina pulirà tutto con le sue zampette e se non lo farà bene, dovrà usare la lingua!-
La schiava s’assoggettò per amore verso il Padrone, felice d’essere stata seviziata come le piaceva. In fondo era roba sua e non doveva mica mangiarsela.
Finito di pulire, Giovanni la prese di nuovo dai capelli e la trascinò verso il bagno.
Il secchio fu scaricato nel gabinetto e lei fu irrorato con la doccia a telefono nella vasca e con un getto d’acqua fresca.
Poi, sempre presa per i capelli, Giovnni la portò in camera:
-Per punizione, ora t’appendo e te ne starai in posizione fino a che ne avrò voglia- Le disse tranquillo e lei sorrise appagata e soddisfatta.
‘E’ stupendo’, pensò,’Finalmente ha capito come voglio essere trattata’-
Utilizzando il gancio della luce centrale, Giovanni legò i polsi di Grazia ad un altezza per la quale fosse in ginocchio per terra.
Piegò le sue gambe e fissò le caviglie al bacino.
Poi le ingiunse di farsi pompinare, stimolando la schiava,prima con del solletico sotto le ascelle che le provocarono dei gemiti sommessi ed arrapanti e poi, giunto quasi al culmine dell’orgasmo, la colpì ripetutamente con la frusta sulla schiena e sulle natiche e i mugolii sonori di lei si confusero con l’espressioni di soddisfazione di lui.
S’accasciò sul letto stravolto, pensando di slegare la schiava, appena si fosse riavuto dal torpore post orgasmico, ma s’addormentò e lasciò Grazia in quella posizione tutta la notte.
Lei si rassegnò e non osò svegliarlo. Vinta dalla stanchezza, s’assopì anche lei.

Suonò la sveglia e Giovanni s’accorse con raccapriccio della dimenticanza:
-Buongiorno, Padrone, ha dormito bene, Padrone?- Sentì la voce suadente di Grazia nella penombra:
-Io sì, ma tu’.- S’alzò prontamente e la slegò in fretta.
La schiava crollò a terra, ma s’arrampicò sulle gambe di Giovanni e senza che lui la potesse fermare, si mise il fallo in bocca, in attesa dell’orina mattutina.
Lui non si stupì dell’atteggiamento di Grazia; le accarezzò i capelli e le staccò delicatamente la testa dal suo inguine:
-Vieni con me in bagno, dai’- La prese dai capelli fino al locale.
Prima orinò lui e poi le ordinò di sedersi sulla tazza.
Lei lo guardava come fosse un dio, innamorata persa e lui se ne accorse.
La baciò intensamente e pronunciò un ‘Ti amo, pervertita’, quasi senza rendersi conto di ciò che diceva.
La risposta di Grazia fu un ‘La adoro mio Padrone’ ed una serie di baci sul petto e sulla pancia di lui, fino al fallo:
-Scusami, Grazia, ma non ho tempo’Devo sbrigarmi per andare al lavoro’-
Entrò nella doccia e la chiamò per lavarsi insieme, ma lei non era più in bagno.
Non la cercò: aveva fretta. Si vestì e quando arrivò in cucina la colazione fumante era già sul tavolo:
-Sei un tesoro!- La baciò, ma dovette ordinarle di sedersi e condividere il pasto insieme.
La costrinse a vestirsi con dei jeans corti e una camicia a quadri, che lei vezzosamente, annodò sopra l’ombelico.
Le legò i polsi con una catenella di dieci centimetri ch’era fissata alla cintura ed una corta fra le caviglie. Le impartì di pulire la casa e preparare da mangiare, promettendole delle punizioni al suo ritorno se non avesse eseguito gl’ordini perfettamente, come le aveva suggerito di fare lei e per controllarla, le avrebbe mandato dei messaggi durante il giorno con altre ingiunzioni da eseguire e lei avrebbe.
Il programma era proprio ciò che piaceva a Grazia; si sentì finalmente compresa ed esaudita nei suoi desideri. Già pensava a come trasgredire per fornirgli dei pretesti di punizione; sulla porta si baciarono a lungo, con trasporto e uscì, raccomandandole di chiudersi dentro. Dopo qualche minuto, suono il campanello; era Giovanni. Grazia aprì la porta e lui le disse:
-Mi sono dimenticato di dirti che questa mattina passerà Annamaria con altri vestiti. Pensa che brava! M’ha detto anche che le dispiace molto per quello ch’era successo sabato, non sapeva che i vestiti fossero in quello stato!- E chiuse la porta.
Grazia rimase impietrita, la scopa le cadde dalle mani. Era tutto troppo bello. Si precipitò ad aprire, ma ormai lui se n’era andato. Andò alla finestra e lo vide affrettarsi verso la fermata dell’autobus. Gridò, facendo un disperato cenno con la mano: lui la vide e rispose, credendo lo stesse salutando. Avrebbe voluto chiamarlo al cellulare, ma non sapeva il numero. Mise l’apparecchio vicino, sperando di ricevere subito un sms.
Delle lacrime di tensione le rigarono il viso e s’accinse a scopare il salotto con l’orecchio teso, trasalendo ogni volta che sentiva qualcuno passare dal pianerottolo.
Dopo una mezz’oretta sentì squillare il campanello. Ci mise un po’ a decidere se aprire.
Annamaria la minacciò che sarebbe entrata con le chiavi del portinaio e allora sarebbe stati guai per lei, guai seri.
-Un momento, vengo, vengo- Grazia finse d’essere dall’altra parte della casa e aprì:
-Ma guarda che signorinetta abbiamo qui! Ma fatti vedere!- Grazia era immobile, mentre Annamaria chiuse la porta e le girava intorno sfiorandola:
-Stai pure comoda, verme, eh? Saluta come si deve, reginella della mia merda!-
Una forte frustata raggiunse il petto e la camicia si sbottonò, sgusciando le tette. Grazia si prostrò ai piedi dell’aguzzina, la quale l’afferrò per i capelli e si svuotò la vescica come di consueto:
-Ringraziami cesso d’un verme!-
-Grazie, mia dolcissima Padrona per avermi offerto il suo liquido dorato!- Rispose la schiava, nel modo più accondiscendente possibile, ma rendendosi conto che era del tutto inutile: Annamaria l’avrebbe torturata ed umiliata fino a distruggerla nell’animo.
Avrebbe voluto scomparire, rivoltarsi, ma si rendeva conto che la corporatura e la forza di quella donna era troppo grande rispetto alla sua, oltre al fatto d’essere legata mani e piedi dalle catenelle imposte da Giovanni. Era disperata, in trappola ed una rabbia impotente le montava dentro.
Annamaria, invece, senza esserne cosciente, aveva trovato in Grazia un bersaglio per sfogare la rabbia d’esser nata donna. Ecco perché era così perfida e godeva a stuprarla, ad annientarla.
Fin da piccola aveva sofferto l’appartenenza al suo sesso e giocava sempre coi maschi, illudendosi d’essere accettata come uno di loro: faceva a botte e si cimentava nelle gare di forza fisica, riuscendo anche a vincere, ma verso i dieci anni, la magia si ruppe e, con una delusione cocente d’impotenza, fu costretta a riconoscersi femmina. D’improvviso si sentì diversa, emarginata, inferiore.
Il gioco era cimentarsi a chi pisciava più lontano. Loro tiravano fuori il loro pene e lei con imbarazzo, li guardava invidiosa.
S’accorsero subito del suo stato d’animo e cominciarono a prenderla in giro. Solleticati dalla curiosità innocente dei bambini, la circondarono, imponendole di calarsi i pantaloncini.
Per la prima volta si sentì pervasa da un senso di vergogna e fece per scappar via, ma i suoi amici la immobilizzarono e la denudarono, mentre continuavano a canzonarla.
Era immobile ed impietrita. Uno di loro iniziò ad inondarla di piscio, seguito anche dagl’altri: ridevano contenti, mentre lei accucciata e piangente subiva l’affronto, senza la forza di ribellarsi altro che con gridolini di diniego.
Finito quel passatempo e senza rendersi conto di ciò che avevano combinato, i ragazzini la invitarono ad altri giochi, ma lei, fradicia e puzzolente, rimase immobile e fu presto abbandonata.
Pianse disperata e tornò a casa. Sua madre, invece di consolarla, la sgridò severamente, ricordandole ch’era una signorina e proibendole di rivedere i suoi amichetti.
Trascorse l’adolescenza, passando dalla disperazione d’avere un corpo robusto, non desiderabile e la determinazione di imporsi contro tutto e tutti.
Crebbe in lei un odio montante verso il genere femminile, acuito dalla rivalità con la madre, una donna molto bella e femminile; un modello inarrivabile, mentre per anni sopravvalutò quello maschile, imitandone gl’aspetti peggiori: l’aggressività e l’esibizione della forza fisica.
Era la leader delle sue compagne che si divertiva giostrare, mettendo le une contro le altre, a mortificarle con piccole angherie e pettegolezzi malevoli, soprattutto quando qualcuna di queste si tradiva, confidandole l’attrazione per un ragazzo.
Dal canto suo, fino a diciotto anni collezionò più d’un rifiuto da parte dell’altro sesso perché era attratta dai caratteri forti, dominanti, quanto lo era suo padre, ma non incarnava il modello complementare ricercato da quest’ultimi.
Le uniche soddisfazioni le traeva dalla sua capacità di comando e il piacere sottile di veder sottomessa ai suoi ordini qualche sua compagna.
Godeva anche fisicamente, anche se non era cosciente del nesso fra le pratiche onaniste che si concedeva e i progetti di sopruso da imporre alla vittima di turno.
Poi ebbe la sua prima esperienza con un ragazzo mite e servizievole e scoperse che anche coi ragazzi si potevano utilizzare le stesse tattiche; si faceva servire e riverire, concedendo a caro prezzo i suoi favori.
La sua sessualità esplose di colpo e ci fu un periodo nel quale era attorniata da una corte di ragazzi più giovani ai quali imponeva capricci inverosimili, tanto che rischiò una denuncia da parte dei genitori di uno di questi.
Lo shock fu salutare e si calmò concentrandosi negli studi universitari. E’ qui che conobbe Andrea, un uomo mansueto e devoto, che comandava a bacchetta, sia nella vita di tutti i giorni, sia a letto, con soddisfazione d’entrambi.
Si convinse che il genere umano si divideva tra due categorie, al di fuori dell’appartenenza sessuale: chi comandava e chi ubbidiva e si mise il cuore in pace, soddisfatta della relazione con quell’uomo che divenne presto suo marito.
L’incontro con Grazia, però, fu una bomba che riscoprì i traumi repressi; risvegliò in lei la rabbia antica contro la madre e l’educazione cieca ed insensibile alla sua personalità.
La schiava catalizzava pulsioni diverse come una sorta di parafulmine per tutte le frustrazioni vissute nella sua vita: non solo la bellezza, la femminilità, ma la remissività e la disponibilità estrema ad umiliazioni fisiche e psicologiche. Rifletteva ciò che credeva le fosse stato richiesto in passato e più quella l’assecondava, più lei tendeva ad alzare la posta.
Fu un incontro fatale quella sera alla festa di compleanno di Giovanni. L’invito a colpire Grazia con la frusta le suscitò un piacere ancestrale; sollecitò la sua indole lesbica, da maschio mancato, mai riconosciuta e per questo si concretizzò con ferocia, fin da subito. La schiava si meritava il trattamento che l’era inflitto: ed era lì, apposta per lei.

-Brutta bestiaccia immonda’Dov’è quel dildo telecomandato, he? Dove lo hai nascosto, stronza d’una masochista di merda!-
-Fo..Forse è in camera’-Balbettò la disgraziata. Annamaria stava per andarlo a cercare quando Grazia si ricordò: -Ah no! E’ qui in salotto!-
-Mi vuoi far perder tempo, eh? Prendilo, così ti farò rigare dritto!-
La schiava s’affrettò con piccoli passetti, prese il dildo e il telecomando, posandoli ai piedi dell’aguzzina, la quale, sganciatele le catene ai polsi, le ordinò:
-In piedi scema! Tirati giù i pantaloni!-
Le circondò il bacino con un braccio e con mossa repentina, le lo ficcò l’arnese dentro, facendola ululare dal dolore:
-Ora va a prendere quel pacco di vestiti! Svelta- La colpì con una frustata:
-Più svelta- Gridò, mentre Grazia impedita dalle catenelle alle caviglie, avanzava con fatica.
Prese titubante il pacco e lo portò ad Annamaria, che lo aprì:
-Togliti quella camicia ed infilati questo, presto, che non ho da perder tempo!- Notando l’indugio della schiava, l’aiutò con strattoni alla stoffa, fino a farglielo indossare completamente:
-Sta ferma!- Le disse la donna, mentre andava a prendere degli spilli:
-Fatti vedere’- Era un bel vestitino azzurro, con scollatura ampia, che necessitava di una camicetta. La gonna era troppo lunga. Annamaria prese degli spilli e trafisse una tetta di Grazia con una manciata:
-Ecco, così sono a portata di mano’E sta ferma, ti dico!- La schiava aveva sussultato, reagendo d’istinto con una smorfia per quelle frecce piantate nel seno.
Come una sarta esperta, puntava gli spilli per segnare l’orlo della sottana, stringere e accorciare le maniche, senza disdegnare di pungere le braccia e le gambe della vittima, che doveva stare immobile e subire.
Così fu per tutte le prove e tutti i vestiti e quand’ebbero finito, Grazia era stata punta dovunque, vuoi per riporre quei piccoli arnesi in un punto più vicino a dove si operava, vuoi per puro diletto sadico.
-Vediamo che ore s’è fatta’.Uhu, ma è tardissimo! E io che avrei voluto divertirmi un po’ con te! Ah, ma non ti preoccupare in un’oretta se ne fanno di cose, eh?-
‘Dunque sarebbe rimasta lì ancora solo un’ora’ Pensò con soddisfazione Grazia: ‘Per ora non era successo ancora nulla doloroso’.
-Lascerei che li aggiustassi tu stessa, se non sapessi quanto sei pigra!- Grazia non capiva e stava per ribattere, quando, l’aguzzina svelò il senso del discorso:
-Te li metterò a posto io, così dovrò venire un’altra volta per provarli? Sei contenta, bastarda?-
-Si, mia dolce Signora, sono contenta!- Fu la risposta obbligata della schiava.
In quel momento suonò il cellulare. D’istinto Grazia si voltò verso di esso e Annamaria si precipitò a leggere il messaggio:
-Come sta la mia schiavettina?-
-Uhm- Commentò l’aguzzina:
-Finalmente s’è deciso a trattarti come si deve! Ah sta buona, rispondo io- Disse, con prepotenza la donna, che aveva notato un disappunto nel viso di Grazia:
-Ti faccio vedere come si risponde ad un Padrone!-
Rispose al messaggio scrivendo che si sentiva sola e trascurata e che avrebbe avuto bisogno d’essere contenuta.
Giovanni ci mise un po’ a rispondere e, durante l’attesa, l’atmosfera si caricò di notevole tensione.
Annamaria camminava avanti e indietro, brandendo il telecomando, mentre la schiava pensava con terrore che cosa Giovanni le avrebbe ordinato di fare, sapendo che l’aguzzina le avrebbe imposto qualche sevizia aggiuntiva, finché si sentì il suono caratteristico del cellulare.
Annamaria lesse il messaggio ad alta voce:
-Appena hai finito coi mestieri di casa, legati alla sedia, come ieri sera e aspettami!-
L’aguzzina si fece spiegare per filo e per segno come doveva procedere, ma, dato che aveva ancora tre quarti d’ora da passare con la schiava, le impose di finire di pulire i pavimenti.
Le assicurò alle tette degli stracci e le impose le mani legate al collare, ordinandole di lavare e lucidare tutta la casa, sdraiata e strofinando solo col petto.
Naturalmente, accompagnò l’operazione con colpi micidiali sulle sue terga: non con la frusta, che avrebbe lasciato i segni sulla pelle, ma utilizzando un asciugamano bagnato, un manganello di gomma dura e facendo crescere nelle viscere quel dildo micidiale.
La schiava fu costretta ad immergere le tette nell’acqua bollente, piena di detersivo e farsele strizzare, insieme agli stracci.
Stava quasi per svenire per i miasmi della cera che fu costretta ad inspirare, dato il modo con il quale era costretta a stenderla.
Quando, finalmente, Annamaria s’accorse ch’era tardi, Grazia era ridotta ad uno stato confusionale, tramortita e spossata dalle botte ricevute, dalla fatica fisica e intossicata dalle inalazioni.
Si lasciò manipolare come una bambolina, mentre l’aguzzina l’issava sulla sedia e le assicurava le caviglie, sollevate da terra, legandole alle tette con un nodo scorsoio, in modo che si stringessero alla base, quando la schiava tendeva ad abbassare i piedi per terra.
Annamaria agì con perizia, in modo che fosse credibile che si fosse immobilizzata da sola e
con perfidia non spense il telecomando, lasciando che il dildo continuasse la sua opera dolorosa nell’ano della vittima.
Prima di congedarsi, eccitata dalla situazione, si fece masturbare, inclinando la sedia e costringendo la bocca della schiava sul suo sesso. Concluse l’operazione, come suo solito, costringendo Grazia a farle da cesso e notando il disappunto di lei, volle concedersi un ultimo piacere da padrona, giusto per ribadire la sua autorità. Mollò un sonoro ceffone s’una guancia della vittima, imponendole subito dopo di ringraziarla e baciarle la mano:
-Arrivederci, mia cara, divertiti’E non ti preoccupare, verrò presto a trovarti: oltre alle prove dei vestiti, ci saranno altre mille occasioni per stare sole solette, senza quei rammoliti dei nostri uomini’A presto!-
La porta si chiuse e, malgrado il fastidio del dildo, dopo pochi minuti, Grazia s’addormentò spossata.
Giovanni rientrò abbastanza presto e trovò la sua schiavetta in uno stato confusionale: semi incosciente, affamata, le tette bluastre, strette nelle corde, tese dai piedi appoggiati a terra e quel maledetto dildo che le pulsava dentro.
Non le disse nulla.
Convinto che si fosse autopunita in quel modo pensò che non avrebbe dovuto più lasciarla libera. Avrebbe dovuto legarla quando s’assentava, oppure assumere una badante per le ore nelle quali Annamaria, l’unica amica libera, non avesse potuto starle dietro.
Appena le tolse il dildo, fece per buttarlo nella spazzatura, ma considerando fosse un marchingegno costoso, lo mise in un sacchetto e lo ripose in un armadio, decidendo di ridarlo a Roberto, appena ci fosse stata l’occasione.
Se la coccolò tutta la sera, alternando momenti meravigliosamente teneri a rimproveri oppure ordini severi ed utilizzando il frustino per costringerla a comportarsi da essere umano.
Pensò di lasciarla legata, ma da sola il giorno seguente e vedere cosa sarebbe successo: forse non c’era bisogno di una slave-sitter.

Il giorno dopo Grazia s’alzò e servi quel suo nuovo Padrone, ma il modo con il quale la trattava la poneva in uno stato d’estrema insicurezza.
La notte aveva dormito nel suo letto, accanto a lui. Le aveva fatto piacere essere coccolata, ma le mancò una serata di sevizie.
Giovanni era rimasto impressionato dallo stato fisico nel quale aveva trovato Grazia e non volle infierire e di questo lei glie ne fu grata, ma quello che non era riuscita a far capire a quell’uomo era l’atmosfera di continua tensione sadica ed elettrizzante di un rapporto sadomaso autentico, quello che la privava di pensieri, dubbi e contraddizioni.
Percepiva il bene, il suo amore, ma non era sufficiente e non le bastava amarlo per sentirsi sicura e protetta.
Abituata a non pensare ed eseguire solo degl’ordini, le mancavano quella continuità e quella consequenzialità delle pratiche punitive che caratterizzò il rapporto con Roberto.
Con lui ogni giorno era una sfida ad accontentarlo e per quanto lei s’adoperasse in tal senso, era sicura di sbagliare in qualcosa. La puniva non perché fosse una sua esigenza, ma per ragioni oggettive, per mancanze autentiche, per veri errori.
Invece percepiva che Giovanni la seviziasse quasi per dovere. Avrebbe voluto essere umiliata, annientata ogni qual volta fosse stata presa da un sentimento d’orgoglio. Costretta
a bergli l’orina, ad ingurgitare le feci, per dimostrargli la sua estrema devozione.
Doveva sempre provocarlo con parole e gesti esagerati per farsi scopare con brutalità: non capiva che le faceva piacere quanto l’essere accarezzata con tenerezza, se non di più.
Se Annamaria fosse stata un uomo, sarebbe stata perfetta.
Arrivò persino a desiderare l’arrivo improvviso della sua aguzzina e, man mano che passava il tempo, coltivava una rabbia montante contro se stessa, la sua natura e quell’amaro destino che era costretta a vivere.
Anche se legata nelle membra, rimase nervosa ed in ansia, rimuginando le ragioni del suo malessere e così passò tutto il tempo tra l’uscita di casa di Giovanni, fino al suo rientro.
Cercò di concentrarsi sulle mansioni assegnatale e ruppe un vaso, qualche bicchiere, sporcò apposta il vetro della finestra della camera da letto, per dare dei pretesti di punizione al Padrone.
Alle cinque Giovanni rientrò a casa e lei le mostrò il pessimo lavoro che aveva svolto, pronta a subire le punizioni che si meritava, ma lui, invece, fu pieno di comprensione e tenerezza.
Le piacevano le carezze ed i baci, ma solo dopo una repressione dura, giusto per prolungare il torpore post orgasmico che le procuravano le sevizie.
Lui le propose d’uscire e la costrinse a vestirsi per andare a comprare qualche capo di biancheria.
Grazia era furibonda ed arrivati nel grande magazzino dimostrò con espressioni del viso e poi anche a parole tutta la sua contrarietà verso gl’acquisti proposti, più per dispetto verso l’uomo che per l’oggettiva inutilità di quei capi di vestiario che non le servivano a niente.
Ogni volta che lui glie ne proponeva uno, lei poneva delle obiezioni.
Giovanni puntava alla funzionalità coprente e proteggente, mentre lei era concentrata a comunicargli la sua indole di schiava: pretendeva i reggiseno d’una misura inferiore alla sua, per modificarli in senso sadomaso, o poco coprenti e di scarsa utilità contenitiva, oppure stretti e a rete o trasparenti; le mutandine le preferiva succinte o solo dei tanga.
Finalmente, Giovanni si spazientì e Grazia credeva d’aver raggiunto il suo scopo,
ma si pentì amaramente del suo comportamento.
Anziché prometterle una punizione esemplare e imporle le sue volontà, Giovanni le comunicò una decisione fatale: disse che sarebbe andata a comprarsi ciò che voleva con Annamaria.
Come fosse stata colpita da un mattone in testa, Grazia ammutolì e precipitò nella disperazione più nera.
Non ebbe il coraggio di tornare sui suoi passi e si convinse ancor di più della sua stupidità e di quanto si fosse scavata la fossa da sola.
L’estrema disperazione e i sensi di colpa durarono per tutta la sera e la notte ebbe degl’incubi, inframmezzati da ore di veglia. Era tempo che non le capitava d’essere coinvolta in pensieri paranoici. Soprattutto di notte piombava in un sonno profondo per la stanchezza, oppure restava sveglia perché sottoposta ad una tortura.
Il giorno dopo, decise di plasmarsi secondo i desideri di Giovanni e rispose alle sue richieste, recitando la parte dell’amante devota, ma le sembrò di camminare come un equilibrista, s’un filo teso e senza rete di protezione e faceva una fatica improba.
Nei giorni seguenti, però, anche Giovanni cambiò atteggiamento. Evidentemente si cominciavano a conoscere meglio e alla tattica d’avvicinamento di Grazia, corrispose un’analoga di Giovanni.
Lei capì che era sufficiente convincerlo che una certa pratica la facesse godere fino all’orgasmo, perché gli si dedicasse.
Così riuscì a diventare il suo orinatoio, il suo materasso, la sua poltrona, tavolo, attaccapanni.
Per Grazia fu una novità l’esperienza d’un estrema oggettivazione e per Giovanni un curioso passatempo nel quale non mancava la componente di soddisfazione sessuale.
La schiava era totalmente presa a rispettare le caratteristiche dell’oggetto che la costringevano a stare immobile e zitta a qualunque stimolo fosse sottoposta, quando Giovanni era presente in casa e la utilizzava.
Durante la sua assenza era controllava ogni ora con dei messaggi al cellulare e se non rispondeva a tono e correttamente, sarebbe stata punita alla sera dopo cena.
Erano riusciti a trovare un equilibrio perfetto con grande soddisfazione per entrambi.
Grazia si scordò di Annamaria presa completamente da quella storia meravigliosa che stava vivendo col suo nuovo Padrone.
Venerdì sera, mentre stavano guardando la televisione, squillò il telefono,
Giovanni era sdraiato sulla sua poltrona umana e si divertiva a masturbare Grazia con uno stimolatore elettrico sulla clitoride. Spesso si muoveva, cambiando la distribuzione del peso e provocava l’introduzione o la fuoriuscita di un palo dall’ano della schiava.
Le tette erano tirate di lato e sostenevano i braccioli, per cui erano stimolate anch’esse dai movimenti del Padrone.
Grazia doveva rimanere in assoluto silenzio, o tutto al più cigolare come un mobile.
Giovanni, rispose:
-Ah ciao Annamaria, come va?- Grazia cigolò terrorizzata al solo sentire quel nome:
-Sì, domani siamo liberi’.Vero cara?- La schiava mugolò sonoramente:
-Allora facciamo per la mattina, così potete provare i nuovi vestiti’.Va bene’.Ok, arrivederci.
Poi si molleggiò più volte: oltre al danno, la beffa.
Grazia si sentì perduta e al dolore all’ano e ai seni martoriati, si sommò una paura ancestrale che le incuteva quella perfida donna.
-Annamaria, verrà qui domani mattina alle dieci e ve ne andrete in centro a comprare la biancheria, contenta?-
Questa volta si sentì un cigolio sommesso: Grazia rasserenata da quella notizia, pensava di non correre pericoli in giro per la città, anche se in compagnia di quella megera e a casa ci sarebbe stato Giovanni.

In giro per compere
L’indomani si alzarono come il solito e dopo essersi lavati, Grazia indossò unicamente una camicia di Giovanni per fare colazione. Non si sentiva a suo agio con dei vestiti indosso e convinse il suo compagno ad accettare che girasse per la casa acconciata in questo modo.
Lui, d’altro canto, non s’oppose più di tanto. Voleva continuare ad educarla ad un vivere civile, ma aveva un aspetto talmente sexy che accondiscese di buon grado.
Ora non s’atteggiava più come una cagnetta e, dopo aver preparato il tutto, si sedeva a tavola normalmente senza farselo ordinare. Stava ridiventando una persona.
Finito la colazione e lavate le tazze, Grazia si mise a quattro zampe, ma a pancia in su, una posizione molto faticosa, ma altamente erotica.
Giovanni guardò l’orologio e le comunicò che non c’era molto tempo.
Ciononostante si chinò verso di lei e le prese in mano il viso capovolto:
-Sta ferma lì!- Le impose, le mise il pene in bocca ed iniziò a scoparla. Lei chiuse le labbra intorno al suo membro e cercò di mantenere la posizione.
Dopo poco lui si sdraiò e le aprì le cosce, ficcandole un grosso dildo nella sua vagina appena dischiuse: lei mugolò sonoramente dal dolore per quell’apertura forzata.
La schiava succhiava e leccava il pene che le avanzava in bocca fino a raggiungere la gola, mentre lui la stantuffava selvaggiamente col membro artificiale.
Il dolore si fuse con un godimento immediato procurato dalla doppia penetrazione e dallo sforzo muscolare di sostenere il corpo del suo Padrone in quella posizione così scomoda.
Giovanni, dal canto suo, non poteva lamentarsi dal servizio offertogli. Senza muovere il bacino e rilassato sulla morbida carne del tavolino, si divertiva ad impugnare il dildo, farlo entrare e uscire fradicio d’umori, mentre con l’altra mano solleticava la clitoride.
I mugolii sempre più frequenti e sonori proruppero in pochi minuti in grida d’un orgasmo micidiale. Il tavolo tremò, vacillò e si schiantò a terra, con le gambe le braccia ripiegate sotto le sue forme:
-Serra le labbra, troia!- Urlò Giovanni eccitatissimo, mentre rituffava il pene nella bocca e il dildo nella vagina dilatata di Grazia.
La schiava non riusciva a trattenersi e alternava tentativi di succhiate a grida per quel godimento estremo che si prolungava nel tempo, oltre la sopportabilità.
Finalmente anche il Padrone venne e s’accasciò ansimante, mentre Grazia boccheggiava col pene che si ritirava pian piano.
Dopo qualche minuto Giovanni le domandò:
-Come sta la troiettina mia?-
-So-Sono mo-rta, mio Pa-drone- Balbettò per risposta e si rimise il pene in bocca, pronta ad accogliere il secondo liquido del Padrone.
Giovanni aveva la sua testa sulla vagina di Grazia e con la lingua raggiunse la clitoride resa sporgente dal dildo ancora mezzo dentro.
S’udì un mugolio di protesta e lui sentì la bocca di lei muoversi a destra e sinistra nel disperato tentativo di comunicargli una tregua per quel godimento senza fine, ma era troppo invitante prendere fra le labbra quella protuberanza.
I gemiti si fecero intensi mentre la bocca di Grazia si riempiva di piscio e la lingua di lui sfregava la clitoride.
Appena deglutì l’ultima sorsata, la schiava urlò:
-Baffa, baffa, fiefà, fefua, fefua, fi-o-e’fefua, fefua- Concluse piangente, senza permettersi di togliere il pene di bocca e pronunciare delle parole comprensibili, ma proprio per questo, Giovanni si mise a ridere e interruppe quella tortura godereccia.
Rotolò di lato e baciò con trasporto la sua schiava che l’abbracciò stretto, stretto, mormorando:
-Credevo di morire, Padrone’-
-Sarebbe stata una bella morte, eh? Troiettina mia’-
-Grazie, grazie, Padrone’Grazie’- E lo baciò ancora:
-Su, sdraiamoci come si deve’- La prese in braccio e la coricò sul divano: le accarezzò sulle tette e lei chiuse gl’occhi felice.
Se ne stavano in quell’atmosfera beata, quando alle dieci in punto si sentì suonare il campanello:
-Dev’essere Annamaria- Disse Giovanni. Grazia sobbalzò, mentre il cuore le batteva all’impazzata:
-Abbottonati la camicia, mentre vado ad aprire. Giovanni si tirò su la lampo dei pantaloni, mentre la schiava ebbe un pèo’ di difficoltà a ricomporsi, dato il tremore che la pervadeva in tutto il corpo e non le permetteva di allacciarsi i bottoni, ne di vederli bene, dato che le s’era annebbiata la vista:
-Ciao Annamaria-
-Ciao Giò, ciao Grazia, ma come sei carina’.Allora come va?-
-Sempre meglio, vero amore?- Grazia annuì col capo, mentre dava la mano alla donna che glie la strinse fortemente, mentre la fissava negl’occhi con un’espressione inequivocabile:
-Guarda, Grazia, t’ho portato i vestitini aggiustati: ora dovrebbero andarti a pennello-
-Grazie’.- Rispose con un fil di voce:
-Vieni di là che ti do anche delle mutandine e un reggiseno: non potrai mica uscire senza, no?-
-Grazie, Maria, sei sempre gentile, ma non dovevi disturbarti’.- Disse Giovanni:
-Ma va, è un piacere aiutare la tua nuova compagna, figurati’.Arriviamo in un attimo’.-
-Andate pure in camera mia’.-
Annamaria prese Grazia per un lembo della camicia e la trascinò con sé, mentre lei la seguì come se stesse andando al patibolo:
-Dai, vermetto, mettiti la biancheria che t’ho portato!- E mentre la schiavetta si chinava per riporre la camicia piegata sulla sedia, la donna le prese la testa fra le mani:
-Ora mi saluti come si deve, eh? Verme schifoso!- E costrinse la sua vittima a farle il servizio consueto di toilette:
-Bisognerebbe dirlo a Giovanni che ormai sei diventata esperta a far da cesso. Anche lui si gioverebbe d’un servizio così ben fatto, eh, verme schifoso?-
Grazia pensò con rabbia quanto fosse assurda quella frase; proprio non aveva capito la sua indole e che lei si sottoponeva anche a quel servizio volentieri solo al suo uomo, al suo amore.
Cedette con rassegnazione pensando che fosse l’unico sacrificio per quella mattina: cosa avrebbe potuto farle in giro per i negozi?:
-Forza, sbrigati! Sei ancora lì?- Grazia fece il più in fretta possibile per indossare mutandine e reggiseno, le une a vita alta e fascianti il bacino, l’altro coprente per intero il seno. Poi s’infilò il vestito azzurro, ma s’accorse di un prurito irresistibile sia all’inguine che sulle tette e d’istinto si portò una mano in mezzo alle gambe:
-Sempre in calore, eh puttanella! Quando siamo in giro, cerca di non far gesti osceni, mi raccomando! Ora arriviamo-Gridò a Giovanni.
Grazia era visibilmente infastidita da quel solletico nelle parti intime; qualche lacrima le scese sul viso per l’impotenza verso i soprusi e per la tensione che Annamaria le incuteva:
-Ma che fai, stupidella! Asciugati! Non vorrai che Giovanni ti veda così! Guarda che te la farei pagare, in un modo o nell’altro’.Siamo intesi, eh, verme schifoso? Contegno!- Prese un fazzoletto e sgarbatamente lo passò sul suo viso, poi le diede una pacca sul sedere e tornarono verso la sala.
Salutando Giovanni, Grazia l’abbracciò con trasporto e approfittò per strofinare le tette sul suo busto:
-Ehi, amore, non parti mica per il polo nord! Ci vedremo presto’.Ciao, ciao e grazie’-
Appena furono sull’ascensore Annamaria le sussurrò:
-Vedrai che ci divertiremo un mondo questa mattina’.!- E mentre scendevano, le accarezzava il seno per acuirle il fastidio mentre Grazia contrariata e con una smorfia, si lamentava mugolando sommessamente.
Invece d’andare in centro, presero l’autobus e scesero dopo qualche fermata:
-Forza!- Grazia era un po’ stupita, ma Annamaria la spinse giù dal mezzo e la dirigeva sicura, tenendola sotto braccio come si fa con le persone disabili.
Arrivarono in una merceria ed entrarono:
-Buongiorno signora’.-
Buongiorno, avete già fatto il pacco? Sì’? Bene! Ecco qui, grazie e arrivederci’- E poi rivolta a Grazia:
-Tieni, questa è roba tua’.Abbiamo fatto presto, no? E non guardarmi con quella faccia! Le misure le sapevo e anche i tuoi gusti’.Vedrai, ti andranno benissimo’.Ora abbiamo un po’ di tempo per noi, eh? Tanto Giovanni non c’aspetta così presto. Sarai contenta spero, vero?-
-‘.-
-Dai, vermiciattolo, esprimiti, come si deve, avanti!-
-Sì, gentile signora, sono contenta- Rispose con un fil di voce, cominciando a presagire una mattinata del tutto diversa da quella che aveva previsto.
-E brava la mia schiavetta’.- ‘Come sarebbe MIA schiavetta’, pensò Grazia: ‘Questa stronza non ha nessun diritto’Su di me’..’.
Ricordò gl’ultimi meravigliosi giorni con il suo amore ed avrebbe voluto gridare contro quella donna, che apparteneva a Giovanni e non era più disponibile alle sue voglie.
Conosceva benissimo quella città e sarebbe stata capace di tornare a casa, ma al pensiero d’essere lasciata sola, si sentiva persa e smarrita.
Fece solo un timido cenno di divincolarsi dalla stretta, ma Annamaria la prese per la collottola, le abbassò la testa e la incenerì con lo sguardo:
-Dove credi d’andare, verme schifoso! SEI MIA, capito? E farai tutto quello che ti ordinerò! Vero? Rispondi stronza d’un verme schifoso!-
Come fosse stregata, Grazia precipitò nello sconforto più totale; era sconvolta dal suo stesso atteggiamento, sconvolta dalla sua passività, dall’impossibilità di ribellarsi come se quella stretta sul collo e quelle parole, l’avessero riportata da un bellissimo sogno alla cruda realtà:
-Si mia gentile Signora, sono Sua, mia gentile Signora’.Eseguirò tutto ciò che comanderà’- Rispose mesta, con la testa china e gl’occhi annebbiati dalle lacrime:
-Siediti su quella panchina?- Grazia guardò smarrita e si lasciò guidare nei movimenti priva di pensieri:
-Togliti le scarpe!- Eseguì come un automa, scalzandosi coi piedi mentre le braccia stringevano il pacco dei vestiti e lo sguardo era perso nel vuoto, pieno di tristezza e rabbia.
Annamaria si chinò, raccolse una manciata di sassolini e li mise nelle scarpe di Grazia; poi glie le ridiede:
-Forza, andiamo!’.Voglio presentarti una persona veramente interessante’Vedrai, ci divertiremo un mondo’Ah se non ci fossi io, te ne staresti sempre chiusa in casa, eh? Sarai contenta, vero?-
-Si, gentile signora- Fatti pochi passi, Grazia iniziò a camminare in modo scomposto e volgeva uno sguardo d’implorazione verso l’aguzzina, ma quest’ultima le intimò, apparentemente indifferente:
-Cammina bene, scema! Non vedi che ti guardano tutti? Sembri un’handicappata!- Le strinse il braccio accanto a sé e accelerò il passo, mentre quegl’intrusi nelle scarpe martoriavano le piante dei piedi di Grazia.
Giunti ad un portone, entrarono, e, saliti pochi scalini, si diressero verso uno studio medico. Annamaria suonò alla porta e venne ad aprire un giovane con un camice bianco:
-Ah, bene, vi stavo aspettando’.Venite di là’.Ecco’.- L’uomo era visibilmente emozionato e condusse le due verso una stanza con un lettino medico e degli armadietti a vetrina, pieni di farmaci, bende e cerotti.
-Posa quel pacco, scema!- Intimò Annamaria:
-Spogliati e stenditi sul quel lettino’.Su, cara, siamo da un medico, non ti vergognerai mica, no?-
Grazia non capiva le intenzioni dei due, ma presagiva qualcosa di terribile:
-Complimenti’E’ carina!- Il medico era stupito dalla bellezza della donna non più giovane, ma dal portamento signorile. S’aspettava forse una puttana sguaiata e volgare:
-Glie l’ho detto, no? Poi, per lei è un divertimento, vero, cara?-
Sì, sì’.- Rispose la schiava, sempre più persa, priva di pensieri, mentre si toglieva i vestiti e si sistemava sul lettino.
Il medico, nel frattempo, illustrò ad Annamaria come aveva predisposto tre videocamere e un monitor dal quale si potevano controllare le riprese, zoommare e scegliere le inquadrature.
Poi Annamaria si rivolse alla vittima ed iniziò ad accarezzarla mentre quella reagiva irrigidendo i muscoli, tesa come una corda di violino.
Le sistemò il corpo sul lettino; le tirò il viso fino all’orlo in modo che la testa fosse debordante ed inclinata verso il basso; prese due bende elastiche e le fissò i polsi lungo le gambe del mobile, poi, mentre il medico era intento ad estrarre da un armadietto delle attrezzature mediche che riponeva in ordine s’un tavolino, lei si mise cavalcioni sul viso della vittima in modo d’appoggiare la sua vagina sulla bocca di lei e diede due strette alle tette:
-Cerca di far la brava e non strillare come una gallina!- Le sussurrò, mentre strofinava quella parte sulla bocca di Grazia per farsela baciava:
-Se solo emetterai un grido te ne pentirai amaramente!-
-Tenga, s’infili anche lei questo camice e la mascherina: sembrerà tutto più professionale- Disse il medico.
Ad Annamaria quel dottorino piaceva molto e, senza pudore, ma con sapiente civetteria, si lasciò cadere il vestito di dosso e s’infilò il camice, tenendo i primi bottoni slacciati per far intravedere il suo petto generoso, trattenuto a mala pena da un reggiseno a balconcino:
-Procederemo con dei piccoli esperimenti sulla sua sensibilità- Proferì il medico con aria professionale, mentre alzava dei braccioli per sollevare le gambe di Grazia, fissandogliele con delle cinghiette come in una visita ginecologica.
Quest’ultima guardava con apparente indifferenza le manovre dei due, inducendo nel medico la convinzione che fosse effettivamente consenziente al gioco:
-Mettiamole questa, così poi possiamo esaminarle anche la bocca’.- S’avvicino a Grazia e le applicò un divaricatore dentale, allargandolo all’estremo. La schiava si lamentò debolmente per avvisare d’essere arrivata al limite dell’apertura, impaurita dallo sguardo severo di Annamaria che la fissava con severità:
-Io inizierei con la sensibilità periferica’.Ecco tenga-
-Come vuole dottore’-
-Prenda questo spolverino, io controllerò da dietro- Annamaria iniziò a strofinare leggermente il corpo di Grazia con disappunto, visibilmente delusa d’eseguire un rituale così leggero e innocuo rispetto alla sua bramosia di violenza sadica, mentre Grazia non si mosse, né fece cenno di sentire qualcosa:
-Sembra che non s’accorga di nulla, forse sarebbe il caso d’usare qualcosa di più forte’.-
-Le apparenze ingannano, guardi’.- Prese uno piccolo specchio e lo mise di fronte ai fori inferiori:
-‘.Osservi bene’.Vede il buchino?….-
-Ha ragione’- Esclamò la donna, continuando nell’operazione ed indugiando sulle tette e sui fianchi. Il foro dell’ano si restringeva e allargava alternativamente con piccoli movimenti e tradendo l’apparente indifferenza della schiava:
-Continui pure, mentre preparo il guanto’.Ecco ora faccia attenzione alle espressioni del viso’- Il medico s’infilò l’indumento, ricoperto nel palmo da una spugna per grattare le pentole e cominciò a strofinare sotto le piante dei piedi, ora sfiorandole appena, ora calcando maggiormente.
Grazia ebbe qualche fremito ed irrigidì le braccia, mentre muoveva a scatti il piede non toccato. Annamaria le ribadiva il comando di non fiatare mentre le accarezzava leggermente le tette, china a sufficienza perché il camice le scoprisse appena le natiche in quel gioco erotico col dottore che avrebbe voluto fare suo, prima donandogli il suo corpo per poi prenderne il comando, come aveva fatto con suo marito.
La vittima resisteva a quelle leggere stimolazioni senza pensare ad altro che all’ingiunzione della sua aguzzina, già persa e vinta in quel rito crudele che l’avrebbe portata a farsi serva d’ogni capriccio, a subire sevizie su sevizie, ad umiliare il suo corpo e la sua anima.
Il medico prese una vescicola con alcuni forellini piena d’olio al peperoncino, la mostrò ad Annamaria che annuì soddisfatta: finalmente qualcosa di più consono alla sua natura sadica.
Controllò il foro anale, appoggiò l’involucro e lo introducesse lentamente, assecondando quei piccoli movimenti, mentre gli stessi favorivano la fuoriuscita del liquido.
Ora Grazia cominciò a strizzare gl’occhi e girare la testa da destra a sinistra, fiatando rumorosamente, mentre la vescicola scompariva dentro:
-Resiste, eh?- Proferì il medico incredulo:
-‘Ma non per molto’Vuole sentirla urlare?- Chiese Annamaria eccitata dalla nuova piega degl’eventi:
-No, no’Per ora’Gli spasmi del suo corpo sono sufficienti e veramente stimolanti’-
Il bruciore nelle pareti dell’ano era sempre più intenso e la schiava schiumava dalla bocca in rantoli afoni, mentre il suo corpo era percorso da brividi incontrollabili; il corpo s’irrigidì gonfiando e contraendo i muscoli allo spasimo, ma ben presto quella stessa intensa stimolazione si trasformò in un unico grande calore quasi anestetizzante che pervase tutto il basso ventre della vittima.
Il medico notò la dilatazione istintiva ed automatica della vagina, affondò due dita dentro ed iniziò a strofinarle sulle pareti superiori, ungendo la clitoride d’umore:
-Sembra che stia godendo!-
-E’ una lurida puttana masochista! Non si merita le sue benevoli attenzioni!….- Esclamò Annamaria, attenta e preoccupata che la libido del dottore non si dirigesse verso la schiava:
-‘Io la punirei con questo’- Annamaria porse un dildo voluminoso al medico che lo prese con la mano libera e lo appoggiò sul lettino, mentre l’altra continuava la masturbazione:
-Aspetti, non c’è fretta! Abbiamo appena iniziato ad esaminarla’-
-Come vuole, dottore- Rispose la perfida con un sorriso, cercando d’assumere una postura e un tono di voce il più possibile accondiscendente e sexy, mentre le montava il tarlo in testa che quell’uomo non s’accorgesse di lei, ma fosse concentrato solo sulle grazie della vittima, per altro più carina e apparentemente disponibile:
-Prenda, intanto quel vassoio con le pinzette, per favore’.- Il medico sentiva fremere la carne della schiava sotto i tocchi sapienti delle sue dita, ma appena s’accorse del tentativo di socchiudere le cosce, indice d’un imminente orgasmo, estrasse le dita e sorrise soddisfatto verso Grazia che abbandonata la testa all’indietro, la scosse ripetutamente, esalò un fiato di disappunto, assumendo un’espressione disperata, mentre i muscoli delle cosce s’irrigidivano nel tentativo inutile di chiudere il pertugio eccitato:
-Bene, bene, qui abbiamo finito’.Passiamo ora al petto’Dunque’.Uhm’.Vediamo’- Disse il medico, fingendo d’essere assolutamente distaccato, serio e professionale, mentre attraverso la tasca, si massaggiava il pene visibilmente turgido.
Annamaria s’atteggiò a devota infermiera, pronta a passare gl’arnesi richiesti con le solite movenze accattivanti. Fece cadere qualche pinzetta per poi raccoglierla e sfiorare il basso ventre dell’uomo, ma lui, imperturbabile le indicò di porsi dalla parte opposta del lettino, suggerendole sottovoce di non impattare con le riprese delle videocamere.
L’aguzzina incassò l’ingiunzione sempre più nervosa e preoccupata per la piega che stava prendendo la situazione.
Aveva sottovalutato quel dottorino. Appena conosciuto non le sembrò affatto autorevole, ma ora dimostrava tutt’altro carattere: la estrometteva da ogni intervento sulla vittima, relegandola al ruolo di comparsa, il che le dava fastidio sia per l’impedimento ad operare direttamente sulla SUA schiava, sia sentiva sfuggirle di mano il comando, la sua strategia di conquista così ben congegnata.
Il medico massaggiò una tetta come in un pap test e pizzicò leggermente il capezzolo con le dita, reso rigido e svettante dalle stimolazioni precedenti:
-Mi passi la cinque, per favore’.Ecco, sì, quella’.Vede?- Prese una pinza piuttosto grossa e schiacciava l’aureola con quella:
-Osservi come il capezzolo s’allunghi quando premo- Fece due o tre volte quel gesto, mentre la schiava fiatava infastidita e nervosa:
-Ora prenda quel tubicino e quella siringa’Attenta! Quando premerò, infili subito il capezzolo nel tubo lo aspiri con la siringa’Pronta?…Bene, così’.Benissimo-
Il medico tolse la siringa e afferrò la punta del capezzolo con una sottile pinzetta:
-Prenda quell’ago’No, non quello’Ecco, sì, benissimo’Fatto! Cosa le sembra?-
-Bellissimo!- Fu il commento di Annamaria, stupita e contrariata dalla bravura di quell’uomo, così mal giudicato.
Cambiò strategia anche perché era visibilmente affascinata da delle pratiche sadiche per lei originali e alle quali non aveva mai pensato.
Il capezzolo era tirato all’inverosimile all’insù, trafitto e bloccato all’apice del tubicino per mezzo dell’ago:
-Ha fatto caso alle contrazioni del corpo della paziente e alle sue espressioni facciali, mentre eseguivo l’operazione?-
-Mi dispiace, dottore, ero completamente assorbita dalle sue sapienti manovre’.-
-Peccato’Beh! Procediamo con l’altro?-
-Volentieri dottore’- Rispose Annamaria, sempre più eccitata:
-Farò più attenzione’-
-Ah’Non importa’Potremo esaminare più tardi il comportamento della paziente guardando il risultato sul filmato’-
-Non so se ne avremo il tempo, dottore’-
-Lo dovremo fare prima o poi’Per realizzare un video interessante e così sapremo quali cure correggere per la prossima volta’-
-Uh’Già, già!-
Grazia, dal canto suo, si sentiva manipolata in tutt’altro modo che di solito, in una situazione assolutamente nuova, imprevedibile e molto stressamte.
All’inizio si rilassò per le carezze quasi piacevoli e del tutto inaspettate, poi fu disperata per quel bruciore insopportabile nell’ano che la predisponeva ad accettare qualsiasi sopruso umiliante, ma, poi, al contrario si ritrovò a dibattersi in un godimento quasi estatico verso un promettente orgasmo negato all’ultimo momento. Ora era in balia di fastidiosissime piccole sevizie che non sapeva mai quanto potessero essere dolorose o meno. Era sottoposta ad una forma di sadismo mai provata: una continua attesa sfibrante come furono le prime visite ginecologiche da adolescente. Il medico la manipolava come fosse un oggetto, una cavia da esperimenti, nei quali erano cancellate volontà e relazioni umane, ma solo reazioni istintive ed animalesche.
Era probabile che le cose non sarebbero cambiate neanche se non si fosse trattenuta dal rispondere con lamenti più spontanei ed immediati, visto l’impostazione che il medico aveva impresso alla situazione e per com’era costretta nella posizione, sia del corpo che della bocca, ma in quel momento non aveva il tempo di pensare; persistette ad obbedire all’ingiunzione dell’aguzzina: resistere e non gridare nel terrore di una punizione terribile.
L’operazione al secondo capezzolo fu altrettanto fastidiosa, ma meno preoccupante, dato che Grazia sapeva quello che l’aspettasse: fiatò leggermente e chiuse gl’occhi solo quando fu trafitta dall’ago, mentre cercava di mantenersi calma controllandosi con lunghi respiri:
-Ottimo lavoro, infermiera! Mi sembra che potremo formare un’equipe affiatata!-
-Grazie dottore’- Rispose Annamaria con occhi languidi, mentre s’umettava le labbra, sempre nell’intenzione di conquistare la sua preda:
-Prenda per favore quelle asticelle sul tavolino’ Bene’Ecco’Tenga ferma questa piatta tra i seni, mentre io monto l’estensore-
Il medico avvitò un’asta filettata di metallo lunga mezzo metro, perpendicolarmente a quella che Annamaria manteneva in posizione. In cima fece scorrere una rondella a farfalla fino alla base ed v’infilò un’altra asticella dalla quale pendevano due morsetti; l’abbassò fino alla sommità delle tette ed infine agganciò ad essa i tubicini dei capezzoli:
-Lasci pure’Vede? Sta in piedi da sola; ora giri la rondella’Ecco’Così’Bene, bene’-
Man mano che la farfalla risaliva l’asticella filettata, si tendevano i seni della vittima sempre più in alto, mentre il medico controllava, anche con una lente, la pelle sempre più tesa, le venuzze, le piccole protuberanze dell’aureola:
-Per ora basta così’Prenda queste e controlli l’elasticità’.Piano’Con delicatezza’Così, vede?- Il medico prese una pinza e con quella afferrò un salsicciotto d’un centimetro di pelle, lo tirò di lato, trattenendolo in quella posizione per una manciata di secondi e poi lo rilasciò; osservò il riposizionamento ‘naturale’ e la lenta scomparsa dei segni rossastri delle pinze:
-Proceda pure, mentre io preparo il secondo esperimento’Sia delicata, mi raccomando!-
Era una pratica veramente inusuale per Annamaria, abituata ad infierire con colpi brutali, ma s’accorse che quelle continue pinzature e rilasci erano molto più fastidiosi e forse dolorosi di quello che avesse pensato: sicuramente più umilianti ed oggettivanti di qualsiasi offesa degradante. Quel corpo inerme ed impotente si poteva torturare a piacimento: ora faceva attenzione alle espressioni della vittima, sorpresa, contrariata e che fiatava sempre più in apprensione.
Iniziava ad apprezzare quelle manipolazioni che le accrescevano un desiderio montante di soddisfarsi sessualmente, ma, nello stesso tempo, assaporava il gusto dell’attesa. Man mano che procedeva nell’operazione, sentiva la sua vagina bagnarsi e alcune gocce d’umore rigarle le cosce:
-Bene, ora batta con questo, mentre tiriamo su i seni ancora un poco’- Il medico continuava con tono apparentemente distaccato. Mostrò come procedere ad Annamaria e le porse un martelletto.
Ora la schiava emetteva dei piccoli lamenti mentre la pelle dei seni in estrema tensione era colpita con piccole e veloci martellate che via, via diventavano sempre più dolorose: la testa era reclinata completamente all’indietro, il respiro affannoso e la muscolatura contratta.
Comparvero dei piccoli ematomi rossi e viola sulle tette e il medico porse alla sua assistente un altro arnese simile ad un piccolo rastrello a lamelle lunghe e strette. Come il solito mostrò la procedura e diede ad Annamaria il compito di continuare.
Utilizzandolo come un pennello, l’aguzzina premeva leggermente sulla pelle e le lamelle s’insinuavano in quella parte delicata e già irritata, formando dei piccoli solchi alternativamente bianchi e rossi.
Ora la schiava sembrava nitrire mentre emetteva un leggero sibilo sul fiato corto e lacrimava abbondantemente, esasperata da quella sevizia che le sembrava durasse da ore.
Come all’inizio per la sua aguzzina, avrebbe voluto, desiderato mille frustate pur d’interrompere quella tortura snervante, mentre invece Annamaria era ormai così entusiasta e concentrata che procedeva senza pensieri, eseguendo gl’ordini del medico e assaporando il suo stato d’animo d’eccitazione sessuale che le faceva girare la testa; il movimento della mano torturante era sempre più lento, mentre stringeva e s’appoggiava impietosamente sull’altra tetta tesa:
-Bene, bene così’- Commentò il medico, soddisfatto dalle manovre di Annamaria e delle reazioni della paziente:
-Continui pure sull’altro seno’Osservi come la pelle si sia assottigliata’.Vede? Ora basta sfiorarla’- Indossato di nuovo il guanto con il palmo ruvido strofinò leggermente la parte e la schiava ebbe un sussulto che si ripercorse su tutto il corpo, accompagnato da un lamento più sonoro.
Annamaria s’interruppe ed aprì la bocca per lo stupore. Poi si rivolse all’uomo:
-Mi fa provare?-
-Ultimi la preparazione dell’altra tetta, poi le darò il guanto-
-Certo, dottore- Ora la schiava ansimava disperata, sapendo cosa l’aspettasse: se quel medico le aveva provocato tanto dolore solo a sfiorarla, l’aguzzina non sarebbe stata senz’altro più tenera.
Il medico osservò il viso della schiava che gemeva sonoramente per le attenzioni di Annamaria sulla tetta tesa e levigata:
-‘Ma bene, bene’Sono veramente stupito dalla resistenza di questa paziente…Complimenti! L’ha educata lei?-
-Certo, dottore- Mentì spudoratamente Annamaria, cogliendo al balzo l’occasione di farsi bella col medico e nella speranza d’impressionarlo ulteriormente a suo favore, strinse la mano sulla tetta e la munse, ottenendo un urlo sguaiato e disperato:
-Piano, piano! Non esageri!- Le scostò il braccio e le sfilò il guanto che rimase appiccicato al seno:
-Vede cosa succede? Bisogna agire leggermente!- La redarguì severo, mentre staccava l’indumento con delicatezza:
-Ora spruzzi questo unguento mentre esamino la bocca’-
-Mi scusi’Credevo’- Annamaria era costernata mentre osservava il danno che aveva provocato. Usò quel nebulizzatore con circospezione mentre la paziente si calmava per l’effetto benefico di quella sostanza fresca e corroborante.
Il medico afferrò la mascella della vittima, che fece un’istintiva resistenza. Era ormai giunta al limite della sopportazione per le continue sottili sevizie stressanti del tutto diverse da quelle ch’era abituata a subire. L’immobilità forzata di tutto il corpo la poneva in una condizione d’oggettivazione mai sperimentata. Le sue esperienze precedenti erano con degl’amanti che la costringevano ad agire contro se stessa, oppure a reagire alle frustate, ma era ‘libera’ di muoversi e manteneva una sorta di relazione col suo persecutore. Ora, invece, si sentiva inerme e manipolata come fosse un burattino senz’anima.
Il medico introdusse una paletta munita di una piccola torcia per schiacciare la lingua e guardare il palato e la gola:
-Un’ottima e sana dentatura!- Esclamò e batté con il martelletto sui denti:
-Bene, bene’Sono solidi, mi sembra’- Posò l’arnese, prese una pinza ed afferrò la lingua dall’anello incastonato sulla sua punta:
-Mi porge quella catenella, per favore?- Annamaria eseguì l’ordine ed ancora scossa dall’errore precedente, osservò l’uomo che estraeva la lingua e l’appendeva all’estensore delle tette. Prese poi una benda e, annodata al nastro dei capelli, la fissò ai bordi del lettino, in modo da immobilizzare la testa della schiava:
-Ora venga qui dietro’Osservi i buchi’- Il medico introdusse l’indice nell’ano e il pollice nella vagina della schiava, trovandola appena umida:
-Beh!? Sono come il solito’Quelli d’una puttana masochista!-
-Esatto’Ora resti qui, faccia attenzione alla loro dimensione e stia pronta con i dildi’.Mi raccomando, glie li introduca prima uno e poi l’altro, quando glie lo dico io-
-‘Come devo metterglieli?-
-A sua scelta’Sono sicuro che saprà come fare’.-
A quelle parole, Grazia iniziò ad ansimare preoccupata e sentì un rivolo d’umori prodursi automaticamente nella vagina: era contrariata e rabbiosa contro quell’istinto innegabilmente masochista che non riusciva a controllare e mostrava la sua perversione ai persecutori di turno, giustificando qualsiasi sopruso contro il suo corpo.
Il medico prese dal tavolino un barattolo di vetro e lo mise sopra il viso della schiava, la quale fu presa da un tremore di paura ancestrale, con la conseguenza di rimpicciolire i suoi due buchi inferiori e disseccare le pareti vaginali.
Conteneva delle cose nere che si muovevano: sembravano insetti, forse scarafaggi; il terrore le si dipinse sul volto.
Come la maggior parte delle donne, anche Grazia aveva paura degl’insetti e solo l’amore profondo per Roberto le aveva consentito di girare nuda, sedersi e sdraiarsi sull’erba quella volta in montagna, oppure con Giovanni pochi giorni prima nel bosco appena fuori città: si sentiva protetta e sicura. Solitamente, invece, era presa da un panico incontrollabile anche per una formica o una lucertola vista a distanza.
Lo scoperchiò e con una pinzetta estrasse un insetto che si contorceva e muoveva le sue zampette: sembrava una forbicina, tipo quelle che si trovano nella frutta.
Grazia emise un urlo di terrore, mentre il medico avvicinava l’animale verso la sua bocca forzatamente spalancata ed immobilizzata:
-Credo proprio che sia il momento dei dildi’- Esclamò il dottore verso Annamaria che già ne brandiva uno e premeva contro la vagina della schiava: non l’aveva mai vista più piccola e stretta di così.
Un urlo lacerò la stanza quando quel membro artificiale fu ficcato a forza nel minuscolo pertugio asciutto e mentre la schiava continuava a gridare dal dolore, Annamaria lo spingeva fino in fondo, per poi simulare una copula.
L’indole masochista e l’uso dell’arnese ebbe il sopravvento sul terrore e presto la vagina ricominciò a dilatarsi e produrre i suoi succhi:
-Lo lasci ben dentro ora!- Ingiunse il medico all’infermiera, che lo guardò con aria interrogativa.
Lasciò cadere la forbicina nella bocca di Grazia ed appoggiò il bordo del barattolo alle labbra, colpendolo dal fondo: una manciata d’altri insetti caddero dentro, finendo direttamente in gola.
Altre grida di terrore uscirono, ma un urlo, forse più potente del primo s’udì quando il secondo dildo si fece strada nell’ano talmente stretto che non si poteva vederne l’entrata, mentre anche la vagina s’era nuovamente disseccata e premeva sull’involucro voluminoso che l’ingombrava.
Il corpo di Grazia era percorso da spasmi ed emetteva dei rantoli misti a colpi di tosse che le acuivano i dolori all’inguine per i contraccolpi ricevuti.
Annamaria era estasiata dalla scena e non s’accorse che il medico l’era passato dietro.
In un attimo fu piegata verso il lettino ed infilata nell’ano dal dottore, che iniziò a stantuffarla con violente penetrazioni. Anche lei emise un urlo, annaspando con le braccia nell’aria, mentre una mano le masturbava la vagina bagnata e l’altra le teneva ferma la testa reclinata all’indietro.
Altro che conquistarsi il medico e giostrarlo: Annamaria aveva trovato chi la mettesse sotto!
Pur sorpresa dalla piega non prevista degl’avvenimenti, anche la donna godette la breve scopata, soprattutto per la lunga preparazione che l’aveva predisposta ad un orgasmo immediato e provocato dalle dita del medico sulla clitoride, il quale in pochi minuti venne a sua volta e le riempì di sperma le viscere.
Subito dopo l’uomo si sfilò e, senza pronunciare parola, se ne andò verso un lavandino a lavarsi le mani, mentre Annamaria rimase accasciata e dolorante, a massaggiarsi l’ano con una mano e riaversi dalla sorpresa e dal torpore post orgasmico:
-Mi aiuti a recuperare gl’insetti, per favore- Ordinò il medico subito dopo e si diresse verso il viso di Grazia ancora piangente dal dolore e dal ribrezzo di sentirsi camminare in bocca ed in gola miriadi d’insetti.
Il dottore iniziò da solo estraendo con una pinzetta gl’animaletti e ributtandoli nel barattolo. Passato qualche minuto, fu raggiunto da Annamaria che non riusciva a mantenere lo sguardo del medico, come se quella copula subita l’avesse cambiata e la sua baldanza iniziale fosse del tutto scomparsa:
-Finisca lei il lavoro, mentre io metto in ordine lo studio- Con la testa china l’aguzzina eseguì l’ordine e ne approfittò per pizzicare la gola e l’interno delle guance di Grazia, sfogando su di lei l’affronto subito:
-Quando ha finito metta il barattolo sul tavolo-
-Ancora un attimo- Annamaria si divertì ancora qualche minuto ad introdurre la pinzetta e tormentare l’ugola della vittima che ormai urlava fuori controllo, inebetita dal dolore, sconvolta ed in preda allo shock provocato dall’orrore per quella tortura terrificante.
Imperturbabile, il medico tornò verso la paziente, afferrò il barattolo e la pinzetta dalle mani di Annamaria, li posò sul tavolino e, mentre allentava il divaricatore, sganciava la lingua di Grazia, chiese:
-Crede che la paziente mi possa pulire il pene? Sa, non per offenderla, ma il suo didietro non era propriamente lindo’-
-Uh’Ma certo, dottore, è qui apposta e’Mi scusi, ma non sapevo che’.- Annamaria non credeva a se stessa. Mai avrebbe risposto così ad un uomo che, tra l’altro, l’aveva praticamente stuprata vergine:
-Non c’è problema’.Magari la prossima volta si potrà preparare…- E rivolto a Grazia:
-Su bella, puliscimi il biscotto e serra le labbra- La schiava mugolò col membro floscio in bocca ed il viso tenuto fermo dalle cosce pelose dell’uomo:
-La usi pure anche come un cesso’Posso metter via i dildi?-
-Aspetti che io abbia finito, non vorrei che la paziente sporcasse per terra’-
-Oh, non si preoccupi, è educata bene!- Annamaria tentò d’estrarre un membro dalla vagina, ma sembrava incastrato irrimediabilmente, mentre si sentì un mugolio disperato proveniente dall’inguine dell’uomo.
Grazia era precipitata in uno stato di sottomissione totale. Lo stress continuo che aveva subito e l’ultima sconvolgente esperienza, distrusse quel poco di dignità che l’era rimasta e che le faceva rifiutare rapporti sessuali con altre persone diverse dal suo amante, dal suo Padrone.
Il senso di colpa d’essere masochista, mai esplorato a fondo, né risolto, neanche in quel lontano periodo di psicoterapia, cacciato in fondo all’inconscio, improvvisamente riemerse con forza e le confermò quanto tutto ciò che l’era capitato era solo causato da se stessa e dalla sua depravazione.
Lo stupro di gruppo subito nell’adolescenza, il difficile rapporto con l’altro sesso, il tradimento bruciante di Roberto ed infine l’incontro con Annamaria, le sue imposizioni e le sue angherie erano la giusta condanna per un essere spregevole qual’era e meritevole dei peggiori soprusi.
La meravigliosa settimana trascorsa con Giovanni era stata una parentesi, un sogno impossibile ormai sbiadito, mentre la nuda e crudele realtà era quella che stava vivendo e che sarebbe stata il suo futuro: per sempre.
Per la prima volta Grazia si trovò un cazzo d’un estraneo in bocca e come una puttana, qual’era convinta d’essere, lo accolse serrando le labbra e lavorandolo con la lingua.
Per un riflesso condizionato ebbe una reazione benefica ed istintiva anche nei pertugi inferiori, consentendo l’estrazione dei dildi con più facilità e meno dolore.
Fu irrorata da un getto prorompente di piscio che inghiottì a sorsate, mentre il medico accennò ad un sorriso beato e soddisfatto: era la prima volta che usufruiva d’un servizio simile.
Le accarezzò le tette e la schiava mugolò grata per le sue attenzioni:
-Che ore sono?- Domandò Annamaria preoccupata di non tardare troppo, ma soprattutto stizzita e gelosa per sentirsi nuovamente esclusa e relegata a comparsa nel rapporto privilegiato che il medico intratteneva con Grazia:
-Mezzogiorno e un quarto’Si può fermare ancora qualche minuto?-
-Certo, certo’Sa, volevo farmi anch’io pulire’- L’aguzzina che aveva subito una specie di clistere sentiva un gran bisogno d’evacuare e voleva vendicarsi su Grazia, ritagliandosi un momento d’intimità con la schiava che rivoleva tutta per sé.
Aveva previsto di riportarla a casa all’una, ma anche se avesse ritardato una mezz’oretta, non ci sarebbe stato nulla di male.
La paziente fu slegata ed Annamaria la condusse verso il bagno, trascinata dai capelli. Si sedette sul viso, mentre quella accolse in bocca il liquame puzzolente che uscì dallo sfintere con fiotti e scoregge e seppur disgustata, lo ingurgitò con rassegnazione.
L’aguzzina era finalmente soddisfatta ed infieriva sulla sua vittima con delle strette alle tette, mentre proferiva parole terrificanti:
-Ti piace, eh? Per forza, è al gusto di sperma! Lo so che preferisci gli uomini, cosa credi, ma da ora in poi sarai mia e soltanto mia.
Credo proprio che Giovanni ti cederà definitivamente a me, dopo che avrà visto il video di stamattina nel quale lo tradisci con un altro uomo’ Eh, sì, cara, ho pensato a tutto’So già dove alloggiarti’Te ne starai chiusa in cantina in una gabbietta all’umido e al buio e m’implorerai ogni giorno di servirmi, eh, eh, eh ‘Ah, ma non ti preoccupare’Ti prometto cazzi a volontà, eh, eh, eh ‘-
Quelle parole confermarono a Grazia la sua definitiva condanna e mentre eseguiva con dedizione le procedure di prammatica della toilette completa, compresa la finale pulizia con la lingua che introdusse nello sfintere e nella vagina, s’immaginò la sua futura vita, come un breve incubo, un girone infernale dal quale non poteva che uscirne presto cadavere o pazza.
Riconobbe Annamaria come unica e vera Padrona, si consegnò anima e corpo, si prostrò con devozione ai suoi piedi, la ringraziò più volte, dopo aver ricevuto una serie d’insulti e calci per sollecitarla a sbrigarsi.
Uscì dal bagno carponi e s’accoccolò ai piedi di Annamaria, che si sedette al tavolo, insieme col medico a riguardare le scene salienti appena filmate:
-Per il montaggio me ne occupo io’- Disse il medico:
-Quando pensa che sia pronto?-
-Non ci vorrà molto, almeno per un video amatoriale’Diciamo’Beh, fra due giorni, tre al massimo-
-Ah, bene, benissimo’Perché…Ho una persona interessata e’Insomma, dalla prossima settimana, potremo disporre della schiava anche tutti i giorni-
-Ma non ha detto che alloggia da un amico?-
-Sì, sì’.Provvisoriamente’Però ho intenzione di portarla a casa mia, so già dove metterla-
-Ne parla come fosse un oggetto’-
-Ma che dice’E’ la mia migliore amica, vero, Grazia? Diglielo anche tu!- Si rivolse alla schiava, sollevandole la testa dai capelli fino al bordo del tavolo e la guardò fissa negl’occhi:
-Oh, sì’S-Siamo molto amiche’- Rispose quella con un tono il più possibile convincente. Il medico rimase perplesso, ma la proposta di Annamaria era veramente allettante e soprassedette ad indagare oltre, promettendosi di farlo più avanti.
Intanto aveva del materiale promozionale più che sufficiente per allettare sia possibili clienti, sia altri soggetti masochisti.
Il piano preliminare era di produrre con Grazia ed Annamaria una decina di brevi video da vendere s’un sito sadomaso, sia di tipo clinico, sia riguardanti altri luoghi comuni sull’argomento, tipo prigionia in un castello, cameriera tutto fare, cagnetta ubbidiente e fedele, pony-girl e così via.
Questi stessi, poi, potevano fungere da vetrina per reclutare altre ‘attrici’ o ‘attori’, oppure meglio, persone che pagassero per una seduta di sottomissione.
Gl’ambienti c’erano già: lo studio medico, la casa di Giovanni nei giorni feriali e una villa in campagna d’un amico del dottore.
In seguito, se gl’affari avessero decollato, non ci sarebbero stati problemi a noleggiare location apposite.
La schiava si rivestì ed uscì tenuta stretta sottobraccio da Annamaria, persa nel suo stato di sottomissione. Eseguiva ogni ordine della sua Padrona che per la strada le comandava come camminare, quando fermarsi, come fosse una bambina, oppure un cagnolino.
Annamaria era raggiante per il comportamento di Grazia, si divertì per tutto il percorso a correggerle la postura con epiteti umilianti e degradanti e quando furono davanti alla porta di Giovanni si fece promettere di non far parola di quello ch’era successo durante la mattinata e le ordinò come doveva comportarsi.
Una raccomandazione inutile: la schiava era ormai in sua completa balia, consapevole che il suo soggiorno con quell’uomo sarebbe stato di pochi giorni.
Una volta varcata la soglia, le donne cambiarono atteggiamento, recitando tutt’e due il copione stabilito: l’una, l’amica generosa e l’altra, sorridente ed entusiasta per l’uscita ed il giro in centro.
Giovanni invitò Annamaria a mangiare con loro e la conversazione sembrava brillante e normale, anche se Grazia rimaneva per lo più silente, mentre l’aguzzina s’incaricava di rispondere per lei, togliendola dall’imbarazzo di dover inventarsi nomi di negozi mai visti, o di strade mai percorse.
Finito il pasto, mentre la schiava s’incaricò di sparecchiare e lavare i piatti, Annamaria s’intrattenne con l’ospite in salotto, per indagare le sue intenzioni e convincerlo che forse era meglio disfarsi di una donna con seri problemi relazionali.
Al contrario dei discorsi a tavola, gli spiegò che Grazia s’era comportata in maniera equivoca e disdicevole tutta la mattina.
Vedeva il viso stupito del suo interlocutore e condì la descrizione con particolari raccapriccianti suggerendogli infine una soluzione che aveva pensato per risolvere i suoi problemi, ma soprattutto quelli di quella poveretta. Conosceva e s’era già interessata ad una clinica specializzata dove poterla ospitare e curare.
Giovanni si stupì di quella descrizione così anomala rispetto alla sua esperienza. Era tutto il contrario di quello che aveva osservato in Grazia, che se in casa pretendeva d’essere una schiava, fuori si comportava da persona assolutamente normale.
Non ribatté nulla talmente quel resoconto gli pareva inverosimile e ben presto la congedò, ringraziandola, ma ansioso di sentire la versione di Grazia.
La cercò in cucina, ma evidentemente aveva già finito di mettere tutto in ordine. Trovò i suoi vestiti piegati sulla sedia in camera, ma non lei. Pensò fosse in bagno e si diresse verso quel locale, ma non c’era neanche lì.
La chiamò senza ricevere risposta: iniziò a preoccuparsi. Possibile che fosse uscita senza dire niente a nessuno? Si sedette a pensare. Dal salotto si poteva controllare la porta e quindi non poteva essersene andata: doveva essere a casa.
Tornò in camera da letto e gli parve di sentire un mugolio proveniente dall’armadio. Aprì l’anta e scorse i piedi che spuntavano da sotto i suoi vestiti appesi:
-Che fai lì? Esci! Esci t’ho detto’- Le ripeté, cercando d’afferrare un braccio e, trovatolo, la trascinò fuori. Completamente nuda, aveva la testa china sul petto e le braccia stringevano le gambe verso il tronco:
-Che hai? Che ti è successo?- Non rispose e non si mosse altro che con un piccolo dondolio.
Giovanni le prese il viso fra le mani e lo alzò; era una maschera di pianto:
-Grazia, amore mio’- La baciò sulla guancia e sulla bocca e la circondò tra le sue braccia come fosse una bambina piccola:
-Povero amore mio’.Dimmi cos’hai, perché piangi’Lo sai’Io ti posso aiutare’.Sono qui’Non ti lascerò mai’.- Inframmezzava parole di conforto con carezze e baci, e dopo un po’, Grazia proruppe in un grido piangente:
-Va via e lasciami stare! Non sono degna del tuo amore. Sono solo un lurido verme schifoso, una troia masochista. Una puttana capace solo di mangiare e bere escrementi’Tu non sei il mio padrone’.Appartengo solo ad Annamaria’.- Continuò in un pianto disperato acuito dal terrore d’aver tradito l’orribile segreto che non doveva assolutamente confessare.
Giovanni rimase immobile, di sasso. La tenne stretta a sé e gli ci volle qualche secondo per afferrare il significato di quelle parole.
Per quanto fosse completamente all’oscuro di meccanismi psicologici, capì l’estremo stato di prostrazione della sua compagna e il fatto che in quel momento non fosse disponibile né all’ascolto, né tanto meno al ragionamento.
La tenne stretta e continuò a baciarla e cullarla, mentre mille pensieri gl’affollavano la mente.
Considerò tutte le volte nelle quali trovò Grazia in uno stato simile, dopo che faticosamente era riuscito ad ottenere da lei una relazione più umana, più normale e dedusse con raccapriccio che c’era sempre lo zampino di Annamaria: possibile che Grazia non glie l’avesse mai detto?
Giovanni non era uno stupido e riconsiderando anche il racconto di quella mattinata che contraddiceva ogni logica, d’un lampo gli fu tutto chiaro.
Grazia non poteva parlare perché era succube di Annamaria che forse l’aveva minacciata, oppure la ricattava con qualcosa d’inconfessabile.
Ora, però non sapeva come recuperare la fiducia di Grazia e se fosse stato in grado di riportarla almeno nello stato d’animo dei giorni precedenti, nei quali erano riusciti a trovare un’intesa abbastanza soddisfacente per entrambi.
Gli sembrava che Grazia fosse caduta in catalessi e forse a quel punto avrebbe avuto veramente bisogno d’una casa di cura, ma quello che gli premeva era come dimostrare il colpevole comportamento di Annamaria e fargliela pagare salata.
Decise di dedicare alla schiava tutto il suo tempo, almeno fino a domenica sera e la sollevò di peso, portandola sul letto.
La fece distendere si sdraiò accanto a lei, senza dire una parola. Continuò ad accarezzarla, sperando che desse dei segni di rinsavimento, dicesse qualcosa, o magari, si rimettesse a piangere: uno sfogo salutare con il quale stemperare la tensione e sciogliere il nodo che l’attanagliava.
Dopo una buona mezzora, Grazia iniziò a mormorare mezze frasi il cui significato ribadiva le stesse affermazioni di prima e Giovanni la guardò con comprensiva complicità.
L’atteggiamento e le parole di quella donna, invece d’allontanarlo, gli suscitarono una commozione profonda che si tradusse in un’improvvisa voglia di donarle tutto l’amore che potesse e nel modo più tenero.
Così, senza neanche rendersene conto, iniziò ad accarezzarle il viso, introducendo le dita nella sua bocca come se fosse una vagina, mentre Grazia serrava le labbra e mimava con queste un pompino.
L’altra mano dell’uomo si soffermò sul seno e poi pian piano, raggiunse la vagina che trovò già umida e dischiusa.
Stettero in quelle manovre per un bel po’ di tempo, mentre Grazia teneva gl’occhi chiusi e partecipava con trasporto, mugolando d’apparente piacere.
Poi Giovanni sostituì alle dita, la bocca, una mano si dedicò ad una tetta e al capezzolo, mentre l’altra continuava a masturbarla in basso.
L’uomo aspettò che lei si dibattesse in un orgasmo prorompente, prima di penetrarla col suo membro eccitatissimo e poi restò dentro di lei immobile, mentre continuava con le carezze sui seni e i baci sulla bocca.
Lei allacciò le gambe sulle sue, basculando il bacino, per quello che le consentiva la posizione e prolungando quella bellissima sensazione d’essere come una sola persona.
Ad un certo punto, Giovanni sollevò il viso e si permise di dirle:
-Sei stupenda, amore mio- Grazia aprì gl’occhi e gli sorrise, illuminandosi nel volto come mai era successo.
Forse lui aveva trovato la chiave giusta per scardinare quel suo stato d’animo, forse era proprio attraverso il linguaggio del corpo e della sua espressione più immediata e sensuale che poteva recuperare un rapporto più umano e normale, invece di mille ragionamenti, parole consolatorie, ordini o rimproveri.
Decise di non entrare nell’argomento in modo diretto e specifico ed aspettare che fosse lei a pronunciarsi in tal senso e si convinse che doveva prendersi un periodo di ferie per restare accanto a quella donna notte e giorno, per aiutarla e controllare che non incontrasse più Annamaria per nessuna ragione.
Iniziò ad accompagnare il basculaggio di Grazia con lenti movimenti del bacino e in poco tempo arrivò all’orgasmo, ma le rimase dentro e continuò a baciarla ed accarezzarla senza dire una parola, finché s’assopì sopra di lei.

Confessione e liberazione

Giovanni si svegliò ancora abbracciato a Grazia col membro floscio appena dentro.
La baciò e la leccò sul viso per capire se stava dormendo e lei gli sorrise di nuovo:
-Vieni, andiamo a farci una doccia, così laveremo via tutti i dispiaceri’.-
-‘Ma’-
-Ssst!’.Vieni’- Le mise un dito sulla bocca, la prese in braccio, si diresse verso il bagno e lei si sostenne con le braccia al collo, riempiendolo di baci sul petto.
Giovanni aprì il rubinetto, la insaponò lentamente, percorrendole tutto il corpo, si soffermò sulle tette e le introdusse delicatamente le dita nei pertugi inferiori, mentre lei gemeva leggermente con la testa appoggiata s’una sua spalla.
La strinse a sé e si strofino su e giù, poi aspettò che l’acqua scrosciante li sciacquasse a tutt’e due.
Usciti dalla doccia, afferrò un asciugamano e la coprì dalle spalle fino alle gambe, accarezzandola e poi fece la stessa cosa per il dorso davanti, mentre Grazia si lasciava manipolare in silenzio e con aria beata, la testa reclinata all’indietro e le mani dietro, fra i capelli di lui.
Si stupì piacevolmente quando sentì la voce di lei sussurrargli:
-Aspetta amore’- Le prime parole dolci e normali che le uscirono dalla bocca.
La vide prendere un altro piccolo asciugamano per rendergli il servizio; scese pian piano sul corpo di Giovanni e quando fu all’altezza dell’inguine, prosegui ad asciugargli le gambe, tuffando la sua bocca sul suo membro che si eresse in un attimo.
Lui barcollò all’indietro, trovando la sponda della vasca da bagno come appoggio e si sedette.
Non la fermò in quel servizio che evidentemente gli donava con gratitudine e le accarezzò i capelli, pronunciandole parole d’amore.
Giovanni capì che Grazia aveva il suo membro in bocca come una bambina un ciuccio.
Non lo pompava, ma se lo rigirava in bocca, succhiandolo e leccandolo, forse per rassicurarsi, forse per prolungare quel loro rapporto così piacevole e senza parole, senza spiegazioni sul suo comportamento e stato d’animo precedente.
Si convinse che la tattica era giusta e che produceva gl’effetti desiderati. Doveva solo continuare ad offrirle il suo amore, in silenzio e senza pretendere nulla.
Dopo una buona mezzora di sensazioni paradisiache, senza raggiungere l’orgasmo, le propose una merenda.
L’alzò in piedi, le prese la mano e la condusse in camera da letto. La vestì con una sua camicia e le annodò il corto asciugamano, a mo’ di gonnellino, poi indossò la giacca da casa e si diressero in cucina.
La fece sedere s’una sedia e mise sul fuoco una pentola piena d’acqua. Preparò la teiera e mise due tazze sul tavolo, la zuccheriera e un piatto con i biscotti.
Grazia lo seguiva con gl’occhi, le mani in grembo e il viso estatico.
Senza pensieri, avvolta da uno stato di benessere assoluto, percepiva ondate d’amore provenirle da quell’uomo, come fosse un dio che la proteggeva dall’esterno e da se stessa.
Avrebbe voluto prolungare quelle sensazioni per sempre, anche se in fondo al suo animo un tarlo le suggeriva di scagliarsi contro Giovanni, rompere l’incantesimo, confessargli quanto lei fosse una puttana depravata e che s’era macchiata del peggiore dei tradimenti con un altro uomo. Aspettava solo un pretesto, una mossa, una parola sbagliata e sarebbe successo, ma non riuscì a trovare nessun appiglio.
Giovanni le versò il te nella tazza e le porse un biscotto, in silenzio e accarezzandole il viso.
Successivamente lei si vide prendere le tazze e lavarle nel lavandino, istintivamente come una consuetudine di una compagna normale, mentre Giovanni, dietro di lei le baciava il collo e l’abbracciava, con le mani che sfioravano le tette.
Andarono in soggiorno e Grazia si sedette in braccio a lui, sulla poltrona.
Giovanni accese la televisione e si guardarono un film: una commedia romantica e a lieto fine, durante la quale Grazia pianse calde lacrime, mentre Giovanni, anch’esso commosso dalla scena, ma anche dalla reazione di lei, l’accarezzava teneramente.
Rimasero in silenzio anche durante la preparazione della cena e mentre mangiarono.
Giovanni riuscì a far esprimere Grazia su cose assolutamente concrete ed immediate, quali chiederle di prendere qualcosa nel frigo, oppure se gradiva del pollo o una frittata e poi, pian piano, anche su quello che avevano provato insieme nel pomeriggio, sulla stupidità del commuoversi per delle scene in un film.
Risero come due bambini e lei si scordò momentaneamente dell’angoscia che l’attanagliava.
Finito di mangiare, tornarono in salotto: lui la spogliò, la mise seduta s’una sedia, la imbavagliò con un fazzoletto sulla bocca aperta in modo che potesse lamentarsi e tentare d’esprimersi, le impose un collare, fissò i suoi polsi dietro il collo, le caviglie legate alle gambe del mobile.
Grazia guardò prima con stupore e poi con apprensione le manovre di Giovanni.
Ora respirava affannosamente e non era per niente a suo agio; tentò di protestare, doveva comunicargli che non era più quella donna che aveva conosciuto ed amato fino al giorno prima; che non era più disponibile per quelle sevizie concordate, piene di godimento d’amore e che era ormai una lurida puttana, appartenente ad una spietata Padrona, ma era impedita dal bavaglio e Giovanni non faceva nulla per tentare di comprendere le parole smozzicate che cercava di pronunciare.
Lui, invece, sapeva benissimo quello che stava facendo. Avendo intuito quello che Grazia aveva subito, voleva esorcizzarle, una volta per tutte, quella sua falsa personalità indotta da vicende sfortunate, da persone che l’avevano sempre sfruttata per i loro sporchi giochi.
Era convinto che fosse, invece, una donna meravigliosa, la più sensibile ed affettuosa che avesse mai conosciuto e voleva che anche lei lo riconoscesse.
La bendò, la lasciò sola ed andò a prendere la borsa con gli strumenti di tortura, ma quando tornò, la spiò per qualche minuto, senza farsi vedere.
Si muoveva per quel che poteva, infastidita dagli impedimenti alle membra e girava la testa per percepire il minimo rumore, capire dove fosse Giovanni e quello che stava facendo.
Lui s’avvicinò senza farsi sentire ed usando un piumino iniziò a farle del solletico sotto le ascelle.
Ebbe uno scatto di sorpresa per poi divincolarsi in modo sconnesso; fiatava rumorosamente, priva del suo solito controllo, nella più totale disperazione. Quella sevizia le causava la più terribile delle sofferenze che mai avesse provato: non la voleva, non in quel momento e non in quel modo.
Le stava montando tutto il rancore che nutriva contro se stessa, contro quella natura che credeva caratterizzasse il suo animo più profondo e per la sua stupidità di non essersi espressa sulla sua nuova situazione e sul suo stato d’animo quando ne aveva avuto occasione.
Ora Giovanni, la sbendò e di fronte, continuava a solleticarla sia sotto le ascelle sia sui fianchi e sulla pancia, sorridendo delle sue sofferenze.
Voleva vederla scoppiare, piangere e disperarsi, sentirla gridare; che la sua rabbia si scagliasse contro di lui, che arrivasse ad odiarlo: solo così si sarebbe finalmente liberata.
Continuò imperterrito con la stessa espressione, una maschera ironica e compiaciuta, mentre alternava quelle stimolazioni, a palpate brutali sul petto e penetrazioni improvvise nella vagina.
Ora Grazia aveva tutt’altro atteggiamento rispetto alla devota schiavetta che subiva in silenzio le attenzioni d’un padrone; non aveva davanti un compagno amorevole e neppure un uomo sadico tipo Roberto, il medico o la perfida Annamaria, ma un violentatore, uno stupratore e come fosse una vera donna, iniziò a gridare contro Giovanni degl’improperi, degl’insulti, mentre cercava inutilmente di difendersi da quelle intrusioni e malversazioni sul suo corpo.
Lui lasciò che quel gioco crudele continuasse fino a quando Grazia proruppe in un pianto disperato e liberatorio.
La slegò e la prese fra le braccia e mentre la cullava, si mise anche lui a piangere commosso e sfibrato dalla scena e dal ruolo che s’era obbligato ad interpretare.
Grazia lo guardò attonita e meravigliata: gli lecco le lacrime. Si guardarono, si parlarono con gl’occhi, con piccole movenze del viso e mentre lui le sorrideva nuovamente con aria canzonatoria, lei iniziò a sferrargli dei pugni sul petto, via, via meno forti.
Giovanni le fermò le mani e la trascinò per terra. Si misero a fare una lotta come bambini, rotolandosi, così per gioco, senza farsi del male e senza intenti morbosi.
Lui incassò qualche schiaffo senza reagire. Lasciò che Grazia si divertisse a metterlo sotto; la spinse a credere che anche lei possedesse una forza fisica da esprimere senza remore.
Si fece immobilizzare e scopare per finta: lei sopra, mimò una copula, come se possedesse un cazzo e lo stesse penetrando, mentre lui ansimava come una donna in orgasmo, con la testa abbandonata all’indietro.
S’abbracciarono e si rotolarono ancora: ora era lui sopra di lei. Si baciarono a lungo, poi Giovanni le prese il viso tra le mani e le disse:
-Caro amore bellissimo, ti voglio tanto bene, ti amo alla follia’.Ma mi devi dire quello che è successo con Annamaria: glie la voglio far pagare!-
Grazia si fece seria in volto:
-No, amore, non voglio pensarci, non voglio’Sei uno stronzo’Perché vuoi rovinare tutto!-
-Hai ascoltato quello che hai detto?-
-‘.Ma’-
-M’hai dato dello stronzo’-
-Io’Tu’No’Non volevo’-
-Però l’hai detto!- Giovanni le prese in mano le tette, pronto a stringergliele con forza. Voleva provocarla, verificare quanto si fosse liberata dal ruolo di schiava e quanto avesse riconquistato una minima autonomia. Tenendola stretta per quella parte la rigirò sopra di lui, la tenne ferma con le gambe sopra le sue e le sorrise:
-Ma’Ahia’Sei’Un figlio di puttana’-
-E cosa ancora, eh, eh, eh’.-
-‘Va fa’n culo’Ahi’Mi fai male’- Grazia tentò di morsicarlo sul viso, mentre le sue mani cercavano di lenire la stretta sulle tette:
-Allora? Confessi, oppure ti devo torturare, eh, eh, eh’-
-No, no’.Non così, ti prego’Amore’- Giovanni lasciò la presa e le disse con calma, mentre si alzò sui gomiti:
-Guarda che non mi devi dire quello che ti ha fatto per filo e per segno’Non m’interessa e non voglio saperlo. Vorrei solo capire come punirla o solo eliminarla per sempre dalla tua vita-
-Oh’Amore mio, ti amo, ti amo’.Sì, sì’Ti racconto, ma’Ho paura che’Che tu’Poi’Mi’Non mi voglia più’.-
-Qualsiasi cosa sia successa, non m’importa’Voglio amarti per quella che sei e per come sei’.Adesso’Il passato è passato!-
Si alzarono ed andarono a sedersi sul divano:
-O ti metti qualcosa addosso, oppure mi spoglio anch’io’- Le disse teneramente Giovanni:
-Allora ti spoglio’-Fece lei, ridendo e gli sbottonò i pantaloni, prendendo in mano il suo membro:
-Non cercare di distrarmi, puttana!-
-‘Ma che stronzo’- Ribatté lei apparentemente offesa da un epiteto che ora assumeva tutt’altro significato, mentre gli stringeva il pene e glie lo strattonava in avanti:
-Beh?-
-‘Non so da che parte cominciare’-
-Io so solo che dopo ogni volta che ti sei vista con Annamaria, regredivi in uno stato irriconoscibile e che oggi ti ho trovata in catalessi dentro l’armadio’Vorrei sapere perché! Che ti ha fatto quella dannata donna?-
-Le cose peggiori’Non riesco neanche a descrivertele’Non ce la faccio’- E Grazia si mise a piagnucolare:
-‘Su, su, amore’Non piangere’- La baciò:
-Sa qualcosa sul tuo conto che io ignoro? Ti ricatta?-
-No, no’Cioè, sì’Non proprio’-
-Spiegati, dai’A qualsiasi problema si può trovare un rimedio’-
-‘Beh’Oggi sono stata costretta a girare un video nel quale’.Io’Mi sento così scema’Così’.Oddio, se t’avessi raccontato tutto il primo giorno’.-
-Quando?-
-Quella sera’Del tuo compleanno’-
-‘Ma Grazia! Come potevi! Non ti ricordi in che stato eri?-
-Si, ma’Sono proprio una stupida’-
-Piantala e dimmi che cosa c’è in quel video!- Grazia assunse un’espressione grave ed affermò:
-C’è che io mi faccio torturare, scopare e spompino un uomo! Ecco, te l’ho detto! Sono una lurida puttana! Ora hai tutti i diritti di lasciarmi!- Giovanni rimase in silenzio qualche secondo, ma poi:
-‘Ma che dici’Amore’- L’accarezzò sul viso:
-Sicuramente t’avranno costretta’Ti conosco’La so un po’ la tua storia’-
-Se non mi cederai ad Annamaria, te lo farà vedere e poi’.Tu mi lascerai’Ho goduto’Si vede che mi piace’-
-Sentimi, Grazia, conosco molto bene la tua condotta sotto tortura e non ti farò delle colpe per come reagisci: è così! E’ stato così anche con me’E non credere che non mi sia stupito la prima volta’Se a te piace farti seviziare per raggiungere un orgasmo, mi sta bene’Io ti amo per quello che sei’Se ti sei trovata in una situazione di costrizione e di tortura, avrai reagito secondo le tue possibilità’E non sarà un video a scandalizzarmi’-
-Dici sul serio? Oh, amore’Stringimi’Dimmi ch’è vero’- Giovanni l’abbracciò e la baciò con trasporto:
-‘Solo questo, o c’è dell’altro?-
-No, amore, solo questo’Ma’Annamaria m’ha stregato’Io’Io non so resisterle’Mi basta un suo sguardo per’Per’- E le scese una lacrima:
-Amore’Non ti preoccupare’Ho deciso di prendermi un po’ di ferie e staremo insieme sempre, finché riconquisterai la tua vita, imparerai ad essere autonoma, a scegliere cosa vuoi fare’-
-‘Non so se riuscirò’Ho paura’Di non farcela’Di non esserne più capace’.-
-Non ci pensare adesso! Staremo insieme notte e giorno’.Faremo un sacco di cose’Vedrai. Per oggi mi basta così e non parleremo più di cose brutte. Andiamo a letto?-
-A quest’ora? E’ presto!-
-Beh, proponi qualcosa’- Grazia guardò Giovanni intensamente, come per scrutargli le intenzioni e lui scosse la testa affermativamente, come se stessero comunicando con la mente.
Lei scivolò verso il basso, gli baciò il pene, si mise carponi e si diresse verso il tavolo, alzò una mano, prese la borsa con le attrezzature sadomaso e la tirò giu. Tuffò la testa dentro, prese una frusta nella bocca e ritornò da Giovanni. Si prostrò col viso vicino ai suoi piedi e piegata la schiena, eresse il bacino in alto con movenze sensuali.
Giovanni non se l’aspettava, non disse niente e pensò che Grazia avesse bisogno di riconoscersi nell’unico ruolo nel quale si sentiva perfettamente a suo agio: una sorta di nuovo inizio, una base per ricominciare il loro rapporto.
Lui fece buon viso a cattivo gioco e l’assecondò.
Le mise la testa fra le sue caviglie ed iniziò a frustarla sulle natiche, con colpi, via, via più forti.
Grazia, al contrario delle altre volte, gridò quasi da subito, mentre assecondava quelle prime frustate, con basculate e rigidità muscolare in modo da renderle più dolorose.
Giovanni s’alzò per imprimere più forza e continuò a sferzarla fino a quando lei abbassò la parte e scoppio in un pianto a dirotto, accucciandosi in posizione fetale.
Lui posò la frusta e la coprì col suo corpo, infilandola nell’ano, che trovò largo ed accogliente, mentre una mano si fece spazio fra le gambe, affondando nella vagina fradicia d’umori.
Urlò e mugolò ancora, lasciandosi scopare con penetrazioni violente, mentre reclinava la testa all’indietro per cercare la bocca del suo amante.
Giovanni le venne dentro e s’accasciò su di lei.
Stettero un po’ in silenzio ed immobili, poi Grazia mormorò, piagnucolando:
-Lo vedi che sono solo una schiavetta depravata’-
-‘Oh, amore’Non dire così’Non è giusto’Tu sei stupenda, meravigliosa’Lo so’-
-Non illudermi, non prendermi in giro’-
-Non mi permetterei mai’Amore mio bello’Guardami!- Le girò forzatamente il busto e la mise seduta di fronte a lui. Le prese una mano, glie la baciò e la costrinse ad accarezzarsi il viso:
-Devi imparare a volerti bene quanto io te ne voglio. Sei la persona più sensibile che io abbia mai incontrato. Ogni relazione è diversa e può cambiare nel tempo. Non ci sono ricette normali o deviate: quando ci si ama veramente, tutto è lecito e fare l’amore con te è bellissimo. Siamo fortunati perché abbiamo molte più possibilità di altre coppie’
E t’assicuro che non c’è bisogno d’essere una schiava a tempo pieno per vivere quello che vuoi’Ma questo lo sai già, me l’hai dimostrato oggi pomeriggio’-
-‘Sì, sì’E’ vero’Oddio, amore, ti amo da morire’- S’abbracciarono e si baciarono, accarezzandosi vicendevolmente.
Poi lui la prese per mano e si diresse verso la camera da letto. Scostò le lenzuola e si coricarono abbracciati. Le ultime parole di Giovanni furono:
-Bisognerà comprare un letto più grande’Buonanotte, tesoro-
-Buonanotte, amore-
Domenica

All’indomani Giovanni s’alzò presto e senza la sveglia, come se non fosse domenica e dovesse andare al lavoro.
Fece piano per non destare Grazia che sembrava dormisse come un angioletto.
Mentre preparava la colazione continuava a pensare come vendicarsi contro Annamaria e quello che aveva fatto a Grazia e di riflesso anche a lui.
La faccenda era difficile, intricata.
Pensò che non ci fossero prove sufficienti per denunciarla: la parola di Grazia, nello stato nel quale si trovava non valeva nulla rispetto a quella di Annamaria.
Gli venne in mente d’organizzare una trappola a casa sua, un ultimo incontro tra le due e documentare con un video il tutto, ma scartò subito l’idea. Sarebbe stato troppo crudele per Grazia e non voleva assolutamente che soffrisse ancora, per quanto lei si sarebbe sottoposta di buon grado alla faccenda. E poi come avrebbe giustificato il fatto che si svolgesse a casa sua? Le soluzioni erano troppo complesse e macchinose.
Forse il video che possedeva Annamaria poteva essere una prova sufficiente, ma più immaginava il coinvolgimento delle forze dell’ordine e dell’assistenza sociale, psicologi e quant’altro, più temeva di perdere definitivamente il rapporto con Grazia e d’essere coinvolto nell’inchiesta come imputato. Grazia era troppo fragile in questo momento e avrebbe confessato qualunque cosa di fronte alle autorità. Forse sarebbe stata internata in una clinica per malati mentali, tanto risulterebbe compromessa la sua personalità agl’occhi di estranei benpensanti.
Eppure una soluzione per salvare capra e cavoli doveva esserci, doveva trovarla.
Gli balenò l’idea di chiedere consiglio a Roberto: in fondo tutto era partito dalla sua iniziativa di regalargli Grazia per il suo compleanno.
Due cervelli erano meglio di uno ed era un amico del quale ci si poteva fidare, se non altro per il suo coinvolgimento in prima persona.
Mise la colazione s’un vassoio e si diresse in camera: Grazia dormiva ancora. Lo posò sul cassettone, si chinò, la baciò sulla bocca e come nelle favole, si destò, ma ebbe una reazione diversa, da schiava. S’alzò sui gomiti e fece per scivolare giù dal letto per strisciare ai piedi del padrone.
Giovanni dovette afferrarla dalle spalle, costringerla sdraiata nel letto ed ordinarle di stare immobile con voce ferma e decisa.
Prese il vassoio e glie lo mise davanti:
-Perché padrone, perché’- Piagnucolò come se la cortesia di Giovanni fosse una sevizia insopportabile.
Lui, questa volta la capì al volo; ormai conosceva le sue razioni inconsuete e, per quanto contrariato, l’assecondò senza stupirsi e senza cambiare il suo proposito:
-Ora la mia troietta mangerà a letto! E non far storie!- Il tono perentorio ed autoritario ebbe l’effetto desiderato.
Grazia chinò la testa e come una bambina, eseguì l’ordine, mentre Giovanni le preparava le tartine con la marmellata e controllava che mangiasse e bevesse.
Non c’era nulla da fare e non ci si poteva illudere di saltare delle tappe. Grazia richiedeva d’essere di nuovo contenuta strettamente, rieducata piano, piano.
Il trauma del giorno prima era stato troppo forte per aspettarsi un atteggiamento diverso, ma ora Giovanni sapeva come comportarsi, la conosceva meglio e soprattutto era consapevole di come calibrare i suoi impulsi in modo d’accontentarla senza farle del male, né fisico, né psicologico.
Ci teneva troppo a lei, al suo amore e alla sua persona.
Finita la colazione, le tolse il vassoio di dosso e le ordinò di scendere carponi dal letto.
La condusse in bagno, prendendola dai capelli e le ordinò con precisione tutto ciò che doveva fare, sia per quanto riguardava la pulizia personale, sia l’atteggiamento nei suoi confronti.
Escluse di proposito e non senza sofferenza, qualsiasi smanceria d’amante, concedendole solo qualche leccata ai piedi e un bacio al pene.
Poi le ordinò di lavare le tazze ed ogni volta che lei gli volgeva uno sguardo languido, la reprimeva con ingiunzioni perentorie, epiteti degradanti e minaccia di frustate.
Non dimostrò di commuoversi neanche quando qualche lacrima comparve sul viso di Grazia, malgrado dentro di lui fosse angosciato. Aveva in mente un disegno preciso, simile a quello attuato il giorno prima. Era Grazia che si sarebbe dovuta ribellare e non lui concederle magnanimamente qualche libertà.
Doveva resistere all’impulso di buttarle le braccia al collo, abbracciarla e baciarla. Sperava che con poche ore d’intransigente indifferenza, riuscisse ad ottenere di ricondurla sulla strada della consapevolezza:
-Ora te ne starai buona e in silenzio! Ho da fare’- Le disse freddo, mentre la trascinava verso l’attaccapanni in anticamera.
Le mise il bavaglio a pallina e l’appese con una corda che circondava le tette alla loro base e le piego una gamba in modo da fissare la caviglia alla vita.
Le impose le braccia piegate ed appese sulle mani una giacca e un cappotto. Sul ginocchio piegato mise un impermeabile e sulla testa tre cappelli.
Poi, mentre fissava alle cosce un arnese per stimolare la sua clitoride le ingiunse:
-Sta’ ferma e zitta! Guai a te se fari cadere qualche indumento, o te ne pentirai!- Accese l’apparecchio e le diede una frustata sul petto, a mo’ d’esempio. Poi fece qualche passo indietro e la contemplò.
Si sentiva malissimo in quel ruolo di padrone spietato, ma Grazia, per quanto stupita d’essere trattata in quel modo da Giovanni, non dimostrava il minimo atto di ribellione.
Ansimava col respiro corto e qualche lacrima le rigava il viso, ma teneva gl’occhi bassi e le tremava leggermente il mento in un accenno di pianto trattenuto.
Giovanni si voltò e se ne andò verso camera sua, commosso e piangente, a sfogare la tensione. Si sedette sul letto con la testa fra le mani, mentre si ripeteva quanto fosse giusto il suo atteggiamento.
Dopo qualche minuto telefonò a Roberto:
-Scusa t’ho svegliato?- Sentì una voce assonnata:
-No, no’Come stai Giò?- Sentì una voce di donna che gli chiedeva chi fosse e la risposta di Roberto sottovoce:
-E’ un amico’-
-Bene, benissimo e tu? Ma non ti disturbo?-
-No, no, dimmi’-
-Scusa se ti telefono solo ora’.Volevo ringraziarti per Grazia’E’ meravigliosa’.-
-Chi…? Allora t’è piaciuto il regalino’Lo usi?-
-Sì, sì’E’ una donna fantastica’Sensibile’Affettuosa’-
-Chi’La troia? Forse non parliamo della stessa persona’-
-Ma’Forse’Non so che dirti’Con me’Beh’Senti vorrei qualche consiglio per una faccenda complessa’-
-Riguardo alla cagnetta? Dimmi pure’Ti sei stufato anche tu’Non vorrai restituirmela’?-
-No, no, figurati’Senti, non mi va di parlartene al telefono’E poi, mi sembra che tu sia occupato’-
-Allora è una faccenda seria’Vediamo’T’andrebbe di vederci domani a pranzo? Un po’ sul tardi’Alle due’dai ‘Due ladroni’? Ma aspetta, tu lavori, no?-
-No, no, va bene!-
-Cos’è? T’hanno licenziato?
-No, mi sono preso un po’ di ferie’Sei un vero amico’-
-Allora, d’accordo’Spero che non sia un problema grave’-
-Dipende da’Beh ne parleremo’-
-Ma non mi puoi accennare qualcosa?-
-‘Riguarda Grazia’Ma non quello che pensi tu’-
-Non coinvolgermi in storie strane’.Non la voglio più vedere quella lì’-
-Guarda che sei tu’.Ne sei coinvolto per forza’-
-‘Ma ora sono cazzi tuoi’Non vorrai mica portartela dietro!-
-‘Vedi che non capisci?…Voglio solo qualche consiglio’Sono sicuro che mi potrai aiutare’Con la tua esperienza’-
-Di cosa?…Va beh’Se ti posso aiutare a’Usarla meglio’-
-Non si tratta di questo’Stiamo benissimo insieme’-
-E allora?!-
-Te lo detto, non ho voglia di parlarne al telefono’.
-Va bene’A domani, allora’-
-Ciao’E grazie’-
-Figurati, ciao Giò-
Giovanni rimase perplesso. Forse aveva sopravvalutato Roberto. Chissà come prenderà la faccenda. Però era un uomo con molte risorse e l’aveva messo lui in questo pasticcio. Doveva aiutarlo, se non altro per la loro decennale amicizia.
Alzò la tapparella e mise un po’ in ordine la camera. Stava temporeggiando prima di tornare da Grazia e ricominciare quel gioco impegnativo e spietato, assumere un ruolo che lo poneva in contraddizione con la sua indole e il sentimento che provava per lei.
Si poteva raggiungere l’anticamera anche passando attraverso il salotto, raggiunto dalla camera da letto, oltre che percorrere un corridoio, così decise di spiare Grazia senza essere visto.
Era percorsa da tremori in tutto il corpo e mugolava sommessamente per il godimento obbligato di quell’apparecchio stimolatore posto sulla clitoride.
L’unica gamba di sostegno era un poco piegata, mentre i seni erano arrossati e tesi dalle corde tirate. Le braccia stanche tremavano anch’esse per lo sforzo di sostenere gl’indumenti appesi e la pila di cappelli in testa stava per crollare.
Grazia continuava a resistere con abnegazione riconoscendosi acriticamente nel ruolo assegnatole, come se il rapporto diverso con Giovanni ed i suoi discorsi non fossero mai esistiti, cancellati da una notte e da ricordi, evidentemente più forti ed impressi nell’animo di quella disgraziata.
Lui le passò accanto e le disse con tono perfido:
-Ti diverti, eh?-
Lei mugolo più forte e disperata, ma Giovanni le impose silenzio:
-Gl’attaccapanni non parlano, imbecille!- Le risistemò i cappelli ben calcati sulla testa, le alzò le braccia com’erano all’inizio e le accarezzò le tette con le strisce di cuoio della frusta, con la minaccia silente di punirla se avesse trasgredito i suoi ordini.
Grazia ammutolì di colpo, lo sguardo sorpreso; sporse leggermente la testa, ma la rimise dritta, sentendo la pila di cappelli muoversi e vacillare.
Giovanni si diresse in salotto, facendo finta di disinteressarsene e scomparendo alla sua vista.
Aspettò seduto in poltrona e con un libro in mano che Grazia desse segni d’insofferenza. Ogni tanto sporgeva lo sguardo per controllarla, ma lei continuava imperterrita a comportarsi come una schiava, in quel gioco di sfida perdente che l’avrebbe portata, prima o poi, a trasgredire gl’ordini del Padrone: far cadere gl’indumenti o urlare, oppure tutt’e due le cose.
Conosceva la sua resistenza e si mise il cuore in pace, convinto che sarebbe restata in quella posizione ancora un bel po’.
Gli sarebbe piaciuto che crollasse subito come il giorno prima, ma evidentemente con la lunga dormita s’era riposata e al contrario d’ogni logica normale, invece di ricordare la sua evoluzione, s’era rafforzato in lei il ruolo di schiava, l’ultima esperienza prima d’andare a dormire, come un’ancora alla quale aggrapparsi per riconoscersi, per sapere chi era.
Finalmente e dopo più d’un ora, sentì il rumore d’indumenti cadere per terra e dei mugolii disperati e inequivocabili d’un orgasmo non più rimandabile.
S’alzò e la raggiunse senza affrettare il passo.
Le tolse il bavaglio per capire il suo stato d’animo, ma lei non pronunciò sillaba. Inghiottì un po’ di saliva, si nettò le labbra e lo guardava implorante, ma da schiava sottomessa. Non un accenno di ribellione, né rabbia nei suoi confronti.
Le prese il busto e la risistemò ben dritta. Con un sospiro di falsa pazienza, raccolse gl’indumenti caduti e costrinse le sue braccia piegate, ma larghe rispetto al corpo, sui quali riappese il cappotto e la giacca.
Le scostò l’apparecchio che le stimolava la clitoride, con una mano, mentre l’altra, tirava fuori il suo pene e glie lo ficcava nella vagina fradicia.
Le stampò un bacio sulla bocca, mentre la scopava vigorosamente.
Grazia rispose al bacio e basculò il bacino, mugolò come una puttana, ma quando, Giovanni, dopo pochi minuti arrivò all’orgasmo, non gli disse nulla, abbassando gl’occhi.
Lui la guardò ed aspettò una qualche reazione umana, ma non venne.
Raccolse i cappelli che nel frattempo erano caduti e glie li rimise in testa. Prese dell’olio e unse la rotella dello stimolatore e glie lo risistemò in posizione:
-Come attaccapanni non vali un granché, ma come puttana ci sai sempre fare!- Le disse con disprezzo e presa la frusta, iniziò a farla roteare vicino ai seni.
Grazia alzò lo sguardo e lo fissò sempre più smarrita, mentre l’apparecchio stimolatore ricominciava a sollecitarla in quella parte sensibile e incontrollabile.
I muscoli delle cosce si contrassero e cominciarono a tremare, mentre aumentava il fastidio sulla clitoride, rossa ed irritata, non più disposta al godimento.
La frusta ora sfiorava le tette producendo una sorta di solletico su quella pelle tesa e sensibile.
Grazia aprì la bocca e fiatò più volte, ma Giovanni le fece segno di tacere con l’indice, mentre i colpi di frusta s’abbattevano con più forza.
Resistette ancora per poco e, dapprima emise dei sibili appoggiati sul fiato, poi delle grida appena soffocate che si trasformarono presto in urla, mentre gl’indumenti cadevano per terra.
Giovanni continuò a colpirla con forza, anche sulla pancia e sulla vagina, finché finalmente, Grazia cercò d’intercettare la frusta con le mani libere e con grida piangenti, implorò di smetterla, utilizzando prima la parola ‘Padrone’ e poi ripetendo ‘Amore, amore, amore’.
La slegò, se la mise in braccio e si sedette sul divano.
L’accarezzò, stringendosela vicino, mentre lei intrufolò le mani sotto la sua camicia e lo accarezzava leggermente. La testa appoggiata al petto, lo riempiva di piccoli baci sulla spalla.
Giovanni la baciava sui capelli e la cullava.
Non aveva ottenuto ciò che voleva, ma si riprometteva di provare ancora con delle provocazioni appena possibile.
Stettero in quella posizione per una buona mezz’ora e fu Grazia, con grande sorpresa di Giovanni a rompere il ghiaccio e prendere l’iniziativa:
-Amore’Tu’Tu mi ami, non è vero?- Lui la baciò sulla guancia, sorridendole:
-Ho capito, sai?…Devi scusarmi’Non so cosa m’abbia preso’Ti chiedo perdono’-
-‘Di cosa’Tesoro’Sta’ tranquilla’E’ passato’.-
-No’Non è passato’- Disse lei con voce piagnucolante:
-Voglio spiegarti’Amore’Sei troppo buono’Ho capito che’.Che’Insomma non sei sadico’Io’Non posso’Io non riesco ad essere la donna che vorresti’-
-Ma tu sei la donna che voglio’Lo so’Amore mio’Ricordati ciò che t’ho detto ieri!-
-Che cosa’?-
-Te lo sei scordato?-
-‘Sì’Credo’Dimmelo, ti prego’-
-Che siamo la coppia più fortunata del mondo’Che non ha importanza come ci si ama’E che non devi essere per forza una schiava a tempo pieno per vivere ciò che desideri’-
-N-Non mi ricordavo’Oh, amore’Ripetilo ancora’Spiegami’-
-Sei così sensibile che’Abbiamo infinite possibilità per amarci’Molte più che altre coppie’E poi hai una forza d’animo favolosa’-
-‘Come’Mi prendi in giro’-
-‘No, Grazia’Se tu fossi debole, a quest’ora saresti pazza, chiusa in manicomio’Invece di parlare con me del’Tuo futuro’E poi hai un’intelligenza fuori dal comune’-
-‘Ma’Non è vero’Non vedi come sono ridotta’Schiava’.Mi basta’Una frustata per sottomettermi alle umiliazioni peggiori’-
-Ma perché lo vuoi! Adesso non fare la vittima, per favore!- Giovanni la guardò con severità:
-‘Sei cattivo’Non sei giusto’Io’Tu’-
-Non m’hai detto tu stessa che godi a farti legare? A farti frustare? A farti fottere con violenza?-
-Sì, sì’Sono una puttana masochista depravata’-
-E’ qui che ti sbagli!-
-‘?!-
-Quelle parole sono solo degl’insulti che hai sempre ricevuto, ma non sono la verità. Sei una persona meravigliosa! Devi solo prenderne coscienza, vivere la tua sessualità libera con serenità e con chi ti ama veramente-
-Con te?-
-Se vuoi’-
-Oh, sì amore, lo voglio’Ma aiutami, ti prego’Quindi se io mi faccio frustare non sono’Una depravata?-
-No’Depravato è chi frusta, chi sevizia e tortura contro la volontà d’una persona. Chi stupra, violenta e prevarica, come Annamaria, o qualunque altro abbia sfruttato la tua fragilità per i suoi capricci-
-‘Ma tu’Credi d’accettarmi così come sono?-
-Io t’ho già accettato’Amore’E poi le persone cambiano’Tu m’hai già insegnato un sacco di cose’-
-E quali?-
-A scoprire aspetti della mia sessualità che non volevo riconoscere, per esempio. A capire chi sono’Parlare con te è bello e interessante’Ogni persona è un universo da esplorare’-
-Che bello’! Tu’Mi dai delle speranze’-
-Grazia, ascoltami: se tu non avessi in fondo al tuo cuore le risorse per cambiare, non mi staresti neanche ad ascoltare. La speranza è dentro di te e devi solo imparare a coltivarla.
L’amore ci aiuterà a crescere. Sono felice d’averti incontrato’Non mi sono sentito mai così bene in vita mia’-
-Anch’io, amore, anch’io- S’abbracciarono e si baciarono.
La domenica trascorse serena. Grazia non si vestì e continuò a muoversi con quelle piccole provocazioni sensuali che tanto facevano arrapare Giovanni, che dal canto suo, alternava finti rimproveri, anche a base di colpi di frusta ed ordini perentori, ad abbracci affettuosi e scopate memorabili.
Alla fine della giornata, stanchi e sfibrati se ne andarono a letto, addormentandosi subito.

L’indomani si svegliarono abbastanza presto. Erano così stanchi la notte prima, che si scordarono d’abbassare la tapparella.
In quel letto stavano veramente stretti e Grazia, stesa s’un fianco accarezzò la testa di Giovanni:
-Amore, sei sveglio?-
-Quasi’-
-Ho voglia di prenderlo in bocca’Posso?-
-‘Va bene’Giusto perché oggi non vado a lavorare’-
-Perché, se no?- Rispose Grazia, mentre s’accucciava sotto le coperte per raggiungere il pene di Giovanni:
-Perché tu’Mi esaurisci’- Senza rispondere a tono, la donna esclamò, trovando il pene nell’erezione mattutina:
-Che bello che sei!- E se lo mise in bocca per tutta la sua lunghezza, mentre le mani raggiungevano il petto di lui.
Non glie lo succhiò e aspettò che le si afflosciasse in bocca:
-Che fai? No, amore, dai’- Si sentì un mugolio, mentre le mani di lei lo accarezzavano.
Giovanni desistette dal farle cambiare idea. Già era felice che Grazia lo avesse chiamato amore e non Padrone. Si rassegnò ad accontentarla in quel servizio che gli faceva ribrezzo e che invece evidentemente per Grazia rappresentava una conferma del suo amore per lui:
-Ma come fa a piacerti?-
-Mhm’Oggi era dolce, buona’-
-Sarà per il miele di ieri sera? Vorrà dire che lo mangerò sempre’Se tu vuoi continuare in questa abitudine’-
-Amore’Scusami’E’ più forte di me’Perdonami’-
-Vieni su, porcellina’Ho detto che t’accettavo per come eri fatta’Dai, fatti baciare-
-Ma, no, puzzo di piscio’-
-E’ il mio, no?- E si baciarono con trasporto:
-Dai, ora tocca a me! Alzati come una persona e vieni a lavarti!-
-Sì amore’-
Così nel proseguo della giornata e nei giorni seguenti, stabilirono la regola non scritta, d’accettarsi l’un l’altra nelle rispettive esigenze.
Mentre lei stava scopando per terra, si chinò con il bacino in bella vista che muoveva sensualmente; a Giovanni venne in mente un’idea che le propose:
-Se vuoi essere sottomessa, basta che tu mi dia del lei e che mi chiami Padrone: così saprò come comportarmi- Grazia annuì, giusto per compiacere il suo amore, ma non era convinta che potesse funzionare.
Lei non separava i vari aspetti della sua personalità e avrebbe voluto una relazione più fluida, nella quale amore e sottomissione si compenetrassero in modo più naturale. Avrebbe desiderato degl’approcci amorosi in quel frangente, oppure anche qualche frustata, ogni tanto, per sentirsi desiderata o essere rassicurata, invece di stabilire dei tempi e dei modi precisi.
Verso le nove suonò il telefono e rispose Grazia, che era più vicino all’apparecchio.
Giovanni la vide impallidire e capì subito chi era.
Strappò la cornetta dalle mani della sua compagna e si mise ad ascoltare:
-‘Per cui, caro il mio verme schifoso, oggi ti verrò a trovare insieme col medico’Sei contenta verme schifoso? Rispondimi!…..Beh? Che hai’Ti s’è mozzata la lingua? Guarda che se non mi rispondi, te la mozzo per davvero, eh?- Giovanni chiuse il telefono. Corse a prendere un registratore, mentre il telefono squillava di nuovo.
Grazia era accovacciata in un cantuccio e tremava dalla paura. Lui le diede un bacio e le accarezzò la testa, mise il microfono a contatto con la cornetta e l’alzò:
-Pronto’Sei lì, caro vermiciattolo?…Non dici niente, eh? Ho qui un bel dildo ricoperto di carta vetrata apposta per te e non vedo l’ora di scoparti con questo’Sei rimasta senza parole, eh? Tanto lo so che sei lì’Sento il tuo respiro!…Arriveremo alle dieci’Fatti trovare già pronta, magari appesa per le tette, eh? E già che ci sei, frustati per bene il sederino’Guarda che controlleremo, eh’Verme schifoso’-
-Sarà fatto, Annamaria, contaci!- Rispose Giovanni:
-‘.Ma’Oh scusa’Credevo fossi al lavoro’Non mi fraintendere’Era uno scherzo’-
-E’ inutile che t’arrampichi sugli specchi, Annamaria’Ho registrato la telefonata! Hai finito di perseguitare Grazia’Io ti denuncio!-
-‘Ma’Che ti ha detto quella disgraziata?’Guarda che non è vero’.-
-Cosa non sarebbe vero?-
-‘Beh’Che’Comunque sono tutte balle’-
-E perché Grazia le avrebbe inventate?-
-Ah, non so’E’ un’ingrata, è pazza completa’-
-Guarda, Annamaria, ti do un consiglio spassionato’Trovati un buon avvocato’Con questa telefonata, i vestiti che hai portato, la mia testimonianza e quella di Grazia è difficile che ti diano meno di vent’anni di carcere! Ci vediamo Annamaria- E mise giù la cornetta.
Grazia era corsa ai piedi di Giovanni e gl’abbracciava le gambe baciandolo, ma lui la prese dalle ascelle e l’alzò in piedi:
-Purtroppo non è così semplice quanto sembri, tesoro’Non si potrà denunciare Annamaria’-
-Non importa, amore, non importa’.Sei stato fantastico’- Grazia continuò a riempirlo di baci:
-In qualsiasi caso non dovrai più temere Annamaria’Spero che si sia abbastanza spaventata da non venire a casa di nascosto, o farti telefonate minacciose’Ma chi è questo medico?- Domandò a Grazia, mentre si sedevano sul divano:
-E”E’ stato sabato mattina’E’ lui l’uomo col quale t’ho tradito’- Gli rispose Grazia piangendo:
-Ce la fai a raccontarmi cosa è successo? Ma senza piangere’Dai, più ne so di questa faccenda e meglio sarà’Ti amo Grazia e non voglio segreti fra noi’Specialmente di questo tipo’Tieni, asciugati le lacrime, dai’- Le diede un fazzoletto e la baciò:
Grazia raccontò per sommi capi la vicenda che dovette subire due giorni prima, inframmezzando singhiozzi alle parole, mentre Giovanni l’accarezzava e la baciava, rassicurandola del suo amore e della sua protezione. Alla fine le disse:
-E’ peggio di quanto pensassi’Quella donna è diabolicamente perfida, anzi, perfidamente diabolica’Sarebbe lei da internare in una clinica’In qualsiasi caso non la deve passar liscia’Ti ricordi il nome di quel medico?-
-‘Oh, sì, sì’Mi sembra Luigi Bergamotti’Li vuoi denunciare?-
-No, non credo che abbiamo elementi sufficienti’Ma oggi, a pranzo, ho appuntamento con una amico, per chiedergli consiglio’-
-‘.Non lasciarmi sola, te ne prego’Ho troppa paura, amore, ti prego’-
-A questo punto, credo proprio di no’Però non potrò portarti con me al ristorante’Uhm’Te la senti d’uscire?-
-Con te?-
-Certo’-
-Sì, sì’-
-Bene’Allora non c’è problema’Ora puoi continuare le faccende di casa, oppure vuoi qualche frustata sul culetto?-
-‘Che stronzo’-
-‘Mi piace quando rispondi così, bravo, amore!-
Verso mezzogiorno fece vestire Grazia e uscirono con l’auto. Durante il tragitto Giovanni spiegò alla compagna che non poteva proprio portarla con lui, ma che avrebbe dovuto aspettarlo in macchina:
-Parcheggerò in un silos e tu starai dietro, sotto una coperta’-
-Perché?-
-Perché è meglio che nessuno ti veda’-
-Allora legami e imbavagliami’Sarà più divertente, eh, eh, eh’Dai, amore’E’ un gioco’-
-Va bene, se ci tieni’-
-Oh amore’Quanto ti amo’- E lo baciò sulla patta:
-Ferma, stai ferma, vuoi che andiamo a sbattere?-
-Mi scusi, Padrone’-
-Adesso non ricominciare, eh?-
-Dai, scherzavo’-
Fecero esattamente come Grazia aveva richiesto e come Giovanni aveva deciso. La legò con un ragno, dato che non aveva corde o manette, le mise uno straccio per pulire il vetro in bocca e del nastro per fissarglielo, poi, visto che era un poco in anticipo, si diverti a masturbarla, introducendo le dita nella vagina resa umida dall’emozione d’essere in quella situazione così sadomaso e per giunta in un luogo sconosciuto.
Lei si mise subito a mugolare, mentre Giovanni le sussurrava una storia inventata:
-Ora ti verrà a prendere un mercante che tratta le bianche per uno sceicco arabo e domani sarai nell’harem ad imparare la danza del ventre’Ssst, sta zitta puttanella’- Grazia sapeva che erano tutte storie, ma s’abbandonò alla tensione erotica e le manipolazioni del suo amore. Arrivò all’orgasmo in pochi minuti, trattenendosi dal gemere sonoramente e limitandosi a lunghi respiri, mentre scuoteva la testa:
-Ci vediamo troiettina’Fa la brava, mi raccomando- Disse Giovanni congedandosi, mentre si nettava le dita umide sul viso di Grazia. Chiuse il portellone dell’auto e s’avviò verso il ristorante.
Roberto era già seduto al tavolo e l’accolse con:
-Ah, eccoti qui!’Temevo ti fossi dimenticato’Allora, come va? Ti vedo in gran forma!-
-Direi che la compagnia della troiettina mi fa bene’-
-Ah’Bene, bene’Sai, al telefono, m’era parso’-
-Non fraintendermi’Mi sono innamorato di lei, ma’Ciò non toglie che sia una gran troia’-
-Sta’ attento, Giò’E’ pericoloso! Ne so qualcosa io’Beh, cosa prendi? Mi sono permesso d’ordinare già degl’antipasti, va bene?
-Benissimo’Cameriere!-
Ordinarono il primo ed il secondo e poi Giovanni spiegò a Roberto la faccenda di Annamaria. All’inizio sorrideva interessato e compiaciuto, commentando con epiteti non troppo lusinghieri il comportamento di Grazia, ma quando Giovanni sottolineò la prostrazione estrema della schiava, fu fortemente impressionato e s’indignò. Per quanto fosse un maschilista incallito, poneva l’amore sempre al centro delle sue relazioni e non la prevaricazione atta alla distruzione della personalità altrui:
-Ma guarda che stronza quella! Ma chi si crede d’essere! Povera troietta, mi fa veramente pena’Bisogna assolutamente fargliela pagare’Però’Uhm’Hai ragione, è una faccenda rognosa’E’troppo pericoloso mettersi nelle mani della polizia’Ne nascerebbe un putiferio pauroso’Senti’Tu non ti preoccupare’Sistemerò io la faccenda’M’è venuto in mente chi potrebbe fare il nostro caso’-
-Chi sarebbe’?-
-Ti ricordi di Baffo?- Era un vecchio loro compagno di giochi nel quartiere, con quel soprannome perché sua madre per merenda gli dava la cioccolata e lui spesso usciva con i baffi marroni sopra le labbra:
-Ma’E’ una vita che non lo vedo’Non fa il pappone in un localaccio?-
-Esatto! Ogni tanto c’incontriamo e ci facciamo delle scorpacciate su alla Crosaccia’-
-‘Ma guarda’Me l’immagino proprio!-
-Perché non vieni anche tu la prossima volta’- Gli si fa più vicino e sotto voce:
-Certe volte porta certe sventole che fanno resuscitare i morti!-
-‘Beh, sì’Ma sai che con quelle lì non me mai piaciuto’-
-Te la danno anche senza guanto’!-
-‘Allora’-
-Ma che cazzo! Sempre a fare il moralista! Però quando ti servo’Eh?-
-Se devo venire per quella faccenda’Verrò!-
-Ma no, ma, no’Dai, che scherzo’-
-‘Beh, potremmo fare una rimpatriata tra amici, magari nella villetta di Luigi’-
-Eh, magari’L’ha venduta! Senti, ti terrò al corrente, ok? Annamaria avrà quel che si merita’E anche quel medico del cazzo! Ma che figlia di puttana! L’avevo detto io che quella non era una donna!-
-Sicuramente non è di quelle che piacciono a te!-
-Ma che dici’Lo sai, a me basta che respirino! Ma quella è un caporale’E lesbica, da quel che dici’- In quel momento entra una bellissima bionda e s’avvicina al loro tavolo:
-Ciao, amore, ti presento Giò, un caro amico-
-Piacere-
-Piacere’Ma sei quello che ha telefonato ieri’Che mano forte’- La donna se la trattiene e squadra Giovanni da capo a piedi:
-Ehi, vacci piano’Sbarbata’E’ già occupato’-
-Ma che cazzo vuoi, latin lover di periferia’Mica m’hai comprata!-
-Ci sediamo o devo reggervi il moccolo’- Fa Roberto:
-E tu sta’ brava, che Giò è un amico vero’-
-Scusa, scusa’Io che ne so’- Giovanni non capiva bene quello che stava succedendo e di cosa s’occupasse Roberto. Sapeva fosse un imprenditore, o un mediatore, non aveva mai capito. E che era sempre pieno di soldi e belle donne:
-Ci facciamo un bel dolce, eh? Magari con il liquorino della casa’-
-Ottimo’- Rispose Giovanni, che aveva un po’ di premura di tornare da Grazia, chiusa in macchina e al freddo:
-Allora alla riuscita del nostro piano e all’inferno le lesbiche!- Roberto propose un brindisi al quale aderì anche la sua accompagnatrice, senza sapere un bel niente. Ma non importava: l’importante era festeggiare e bere, cosa che Roberto amava sempre fare:
-Io devo proprio scappare, mi spiace perché me ne starei con voi volentieri’-
-Ma siedi, ancora un giro, tanto pago io’-
-Mi rincresce, veramente’-
-Tieni, bevi! Porca schifosa, bevi, no?-
-Ok, l’ultimo,’-
-Sai, Giò s’è innamorato d’una troia’- Disse Roberto alla bionda:
-E allora? Senti chi parla’Pensa ai cazzi tuoi, eh Roby? Eh, eh, eh’-
-Ma, taci, zoccola’!-
-Ehi, non permetterti!-
-Perché non è vero?-
-Ma va fa’culo’Scusa Giò’Mi faccio sentire io’Non ti preoccupare’-
-Ciao, Roby, Signora’-
-Ah, ah, ah’T’ha chiamato signora, non ti conosce proprio!-
-Ma che stronzo! Non lo stia a sentire’-
Giovanni se ne va, scuotendo la testa. Roby era proprio un bel tipo. Corse verso l’auto, ma non aprì subito il portellone. Salì al posto di guida e lanciò un grido:
-Ci sei Grazia?- S’udì un mugolio:
-Ok, andiamo a casa!- Ancora un mugolio, un po’ più sonoro. ‘Lasciamola soffrire’ Pensò Giovanni, ‘In fondo è una masochista e quando la porterò su, se avrà fame, mi farò fare un bel pompino’Oddio, mi sto trasformando in un sadico perverso’
Fermò l’auto e scavalcò i sedili anteriori; poi tolse il telo che copriva il portabagagli, tirò su Grazia come un pacco e facendo leva sui sedili posteriori, spinse il corpo verso il basso.
Le tolse il bavaglio e Grazia, senza tanti preamboli gli disse:
-Mi scappa la pipì’-
-Non riesci a trattenerla fino a casa?-
-N-Non credo- Rispose tremante:
-‘Ho f-freddo’-
-Puoi aspettare due minuti?- Lei annuì-
Giovanni afferrò una bottiglia di plastica e con un coltello la tagliò a tre quarti, poi alzò la gonna di Grazia e collocandola ai margini del sedile, pose il contenitore in corrispondenza della vagina, mantenendolo in posizione:
-G-Grazie, Pa-dron-ne- Balbettò Grazia, scossa da tremiti:
-Padrone? Bene, bene’-
Lui non sapeva se si fosse comportata così per distrazione, oppure solo per la sua condizione d’urgenza, ma prese la palla al balzò, dato che i discorsi con Roberto l’avevano solleticato in senso sadico e quando Grazia si liberò la vescica, proruppe:
-Ha freddo la povera schiavetta, vero?- Lei annuì accostandosi al suo corpo:
-Dai, bevi qualcosa di caldo!- E le accostò quel contenitore tiepido con la piscia appena fatta. Lei lo guardò sorpresa e con le labbra serrate, ma lui le tappò il naso e forzandole il bordo sulle labbra dischiuse, le versò il contenuto in bocca:
-Dai, bevila tutta, vedrai che ti scalderà il pancino, eh, eh, eh’.- Grazia, con aria rassegnata e gl’occhi lucidi, eseguì l’ordine. Non se l’aspettava proprio: non dal suo amore e non in quel momento:
-Stai meglio, schiavettina mia?- Non rispose e con aria disgustata e attonita, chinò la testa per non mostrare delle lacrime. Giovanni le alzò il mento:
-Che ti succede? Sei tu che m’hai chiamato Padrone! Come cavolo ti devo trattare? Spiegamelo!- Lei lo guardava triste e non sapeva che rispondere. Si rese conto d’aver sbagliato a chiamarlo così. Era stato solo per deferenza, come quando gli beveva l’orina alla mattina nel letto, non la richiesta di una prevaricazione sadica e senza trasporto:
-Vuoi essere slegata?- Grazia annuì e appena ebbe le mani libere, lo abbracciò, nascondendo il viso sul corpo di Giovanni e riempiendolo di piccoli baci:
-Grazia, amore mio, scusami’Non avevo capito’E’ difficile’- Le accarezzò i capelli e stettero qualche minuto in silenzio, poi lui le alzò il mento:
-Pace?- Lei annuì:
-Vuoi che ci facciamo un giretto fuori città? Oppure torniamo a casa subito?-
-Amore, scusami anche tu’Io’Io non so che m’abbia preso’Sono una stupida’Era buona la bevanda che m’hai offerto’-Gli disse, baciandolo sulla patta e mordendo il pene attraverso la stoffa:
-Andiamo dove vuoi tu, amore’-
-Uff’Grazia’- Le afferrò i capelli e la tirò su di peso:
-Mettiti sul sedile davanti e sta zitta! Siediti come una schiava!- Intendeva, alzando la gonna dietro e col bacino a contatto col sedile’Va bene così?- Grazia eseguì e lo guardava con aria interrogativa.
Lui accese il motore e s’avviò:
-Che ho fatto di sbagliato’- Gli disse quasi sottovoce:
-Niente, niente’- Le mise una mano sul grembo e le diede due pacche leggere:
-Passiamo dalla rosticceria: cosa vorresti mangiare?-
-‘Non so’Fai tu’-
-Io ho già mangiato!- Gli rispose brusco:
-‘.-
-Allora che cazzo vuoi?- Insistette, ma Grazia rispose piangendo:
-Niente, niente’Non ho fame’- Rimasero in silenzio per tutto il tragitto fino a casa e quando varcarono la porta, Giovanni si mise davanti alla tv imbronciato, mentre Grazia se ne andò in camera e si stese sul letto.
Non fu facile riuscire a trovare un equilibrio fra le rispettive esigenze, ma l’amore che nutrivano reciprocamente li aiutò a conoscersi meglio.
In fondo succede ad ogni coppia di scontrarsi anche duramente e l’unica differenza tra loro e le unioni ‘normali’ era che la ricerca di coscienza delle spinte alla prevaricazione reciproca erano esplicitate molto più concretamente con pratiche di palese sadomasochismo, invece d’essere mascherate da pretesti ideologici, o caratteriali.
Le sessioni di sevizie serali, piano, piano scomparvero, così come le richieste d’un comportamento più responsabile ed autonomo da parte di Giovanni verso Grazia con grande soddisfazione per entrambi.
Dopo una quindicina di giorni, Roberto telefonò a Giovanni, invitandolo al locale di Baffo:
-Abbiamo preparato una trappola per quella stronza! Vuoi venire?-
-Di che si tratta’?-
-Abbiamo pensato ad un modo per farle passare la voglia di torturare la gente’-
-‘E come?-
-Rendendole pan per focaccia! Allora vieni? E’ per sabato sera’-
-Guarda’Non è per tirarmi indietro’Se proprio devo’Ma non ho voglia di rivede Annamaria e’Poi vorrei andare via per questo week-end’L’ho promesso a Grazia’-
-Peccato! Perché ci sarà da divertirsi, te l’assicuro’Pensaci’Potresti portare anche la troia’Sarebbe una bella soddisfazione da parte sua, una vera vendetta. In questo le donne ci danno dei punti’Sai, sono riuscito ad entrare in possesso del video nel quale Annamaria e quel cazzo di dottore seviziano la troia: sono dei bastardi nati. L’ho fatto vedere alle mie amiche e tutte sono concordi a fargliela pagare cara. Allora che mi dici, vieni?-
-Ci penso e ti darò una risposta’-
-Va bene, ho capito che non verrai’Sei il solito fifone moralista’Almeno ti farai vivo per sapere com’è andata?-
-Ah, questo senz’altro’Senti’Se devo contribuire in qualche modo’Avrai avuto delle spese’-
-Ma, no, figurati’Lascia stare’Mi sono interessato perché certe cose m’indignano’E per la serata Baffo ha pensato a tutto e’Ci guadagnerà lui fior di quattrini’-
-‘Ma non sarà pericoloso’? La polizia’-
-Ah, è per quello che non vieni! Sei proprio’Va beh, ci sentiamo’Ciao Giò e salutami la troia da parte mia-
-Ciao, Roby e’Grazie-
Grazia era concorde a non partecipare alla serata e fu contenta che anche Giovanni preferisse una gita fuori città.
S’era scordata di Annamaria e non voleva sentirla più nominare, ma lui rimaneva curioso su quale sorte Roberto le avesse riservato e quando tornarono, la prima cosa che fece fu di guardare il giornale, nelle pagine di cronaca nera. Voleva essere sicuro che non fosse successo qualcosa.
Il giorno seguente telefonò e Roberto invitò sia lui che Grazia a casa sua.
Giovanni non se la sentì di rifiutare, ma la sua compagna era restia a rivedere quell’uomo che l’aveva scaricata in una maniera orribile, come fosse stata un oggetto usato e da buttare:
-Amore, hai ragione’-Gli disse Giovanni:
-Ma,credimi, Roberto malgrado tutti i suoi difetti ti è stato di grande aiuto. Ha eliminato Annamaria dalla tua vita e se non fosse stato per lui, non ci saremmo mai incontrati. Gli dobbiamo riconoscenza’E poi tu sei cambiata! Non sei più quella schiavetta senza personalità’Forse’Anzi Roberto s’è comportato male, ma anche tu eri’Insomma’Lo sai com’eri!-
-Sì, sì, hai ragione’Ma ho paura’Non sono pronta’E se lui pretendesse’-
-Non hai fiducia in me? Non credo che Roberto si comporterà male e comunque se la serata prenderà una brutta piega, ce ne andremo subito. Basterà un tuo cenno!-
Alla fine, Grazia accettò, più per far piacere a Giovanni, che perché convinta.
Ad ogni buon conto, lei si vestì in maniera castigata, onde evitare qualunque equivoco, con dei pantaloni larghi, un maglione informe, scarpe basse e i capelli sciolti sulle spalle, ma malgrado il tentativo di non apparire sexy, per Giovanni era sempre desiderabile e bella.
Roberto abitava in una villetta unifamiliare, in una zona abbastanza centrale della città, che Grazia conosceva bene.
Indicò a Giovanni dove parcheggiare l’auto e lo guidò per quelle stradine silenziose, in un quartiere esclusivo e di lusso.
L’accoglienza fu calorosa, come una rimpatriata d’amici di vecchia data. C’era anche la biondona che faceva maldestramente gl’onori di casa: si notava il contrasto tra il tentativo di comportarsi da signora e l’ordinarietà del vestito appariscente e l’espressioni verbali volgari, ma l’ironia di Roberto e le sue battute mantennero la serata in un’atmosfera allegra, malgrado l’argomento centrale.
Fu Mati, la biondona ad affrontare per prima il discorso, così, diretta, com’era nel suo personaggio. Mentre Roberto sistemava il pc e lo schermo proruppe:
-L’abbiamo sistemata per benino, quella stronza, eh, amore? Dovevate vedere la sua faccia di merda, quando si rese conto d’essere lei la protagonista della serata, vero amore?-
-Che cosa è successo’Noi non sappiamo niente’- Fece Giovanni:
-Beh, è stato un lavoro di squadra e Mati ha avuto la sua parte di gloria’-
-Ci siamo divertiti un casino, vero amore?-
-Vestita da dark lady facevi un figurane’Dovresti usarlo più spesso quel costume, eh?-
-Vuoi che me lo metta?-
-Dai, sì, fatti vedere’- E mentre Mati andò a cambiarsi, Roberto proseguì:
-Quel medico e Annamaria erano dei veri dilettanti’Li abbiamo intortati alla grande e senza fatica’Baffo s’è presentato allo studio medico, accusando dei dolori lancinanti e parlando di sé ha fatto credere d’essere un produttore di film porno. Quello stupido del dottore ci cascò subito, pensando ad un segno del destino e combinò d’incontrarlo al locale, dove convocammo tutte le puttanelle che conoscevamo.
Fu subito impressionato ed ideammo una trama per un film sadomaso: solo che non sapevano che i protagonisti sarebbero stati lui e Annamaria. Così lo lasciammo ideare una sequenza di torture che poi sottoponemmo a loro: uno spasso! Vedrete: c’è da sganasciarsi!-
Grazia e Giovanni si guardarono con apprensione:
-Non sarà un po’ troppo’Cruento?-
-Ma, va! Ecco guardatela com’è bella!- Mati entrò con un completo in lattice nero e una lunga frusta che fece saettare nell’aria. Era un body nel quale la minigonna copriva appena le terga e il reggipetto a balconcino tratteneva appena le sue tette d’una quarta abbondante. Il costume era completato da delle scarpe nere col tacco di venti centimetri.
La donna fece un giro su se stessa:
-Sono bella?-
-Impressionante, direi’- Fece Giovanni, con un po’ di timore. Lei sorrise e si sedette accanto a Roberto, accavallando subito le gambe, per non mostrare l’inguine scoperto:
-Dai, vediamoci ‘sto film’Ormai è il più scaricato dai siti sadomaso più famosi, eh, eh, eh’Ecco, qui siamo al locale- Era tutto scuro e si scorgevano a mala pena delle figure che s’assiepavano:
-Eccoli lì! Guardate come s’aggirano soddisfatti. Li avevamo convinti a vestirsi così, promettendo loro scopate indimenticabili. Sotto i mantelli sono nudi, eh, eh, eh’- Era inquadrata una stanza addobbata come fosse una segreta d’un castello medievale, con finti muri in pietra e attrezzature sadomaso tipo una croce di sant’Andrea, ganci e catene pendenti dal soffitto, gogne di vario tipo e uno scaffale colmo di fruste e dildi di diverse forme e misura, manette, ceri e così via.
Poi si vide entrare una gabbia con dentro una ragazza nuda, legata ed imbavagliata che s’agitava, apparentemente disperata.
Grazia si strinse a Giovanni, che l’abbracciò accarezzandola teneramente. Probabilmente s’identificò subito con la prigioniera, mentre vedeva quelle espressioni di Annamaria che lei ben conosceva.
Annamaria e il medico si guardarono l’un l’altra e s’accinsero a tirare fuori la malcapitata dalla gabbia per iniziare la sessione di sevizie programmata, quando entrarono una mezza dozzina di donne seminude, con l’aria inferocita che bloccarono i due, li spogliarono e li incatenarono, lui alla croce e lei ad una gogna.
Seguirono innumerevoli sevizie, d’ogni sorta, sia di tipo coercitivo, sia sequenze interminabili di colpi di frusta, bacchette di bambù e d’altri materiali costituiti anche da oggetti d’uso comune, quali, mestoli, padelle, battipanni, righe e così via.
Ogni qual volta che svenivano o erano intontiti, erano irrorati da piscio o acqua putrida.
Grazia, a quel punto, si sedette con la schiena dritta e sembrava partecipare alla vendetta, come fosse lei una di quelle donne. Con occhi spiritati e ghigno selvaggio, teneva le braccia conserte, ma le mani, ora erano strette a pugno, ora seguivano quei movimenti, come se fosse un direttore d’orchestra.
Giovanni, più che guardare le vicende sullo schermo, a lungo andare stucchevoli e quasi fastidiose, osservava la sua compagna con soddisfazione: aveva fatto bene a convincerla a venire da Roberto.
Sembrava stesse godendo d’una rivincita che andava al di là dei soggetti coinvolti. Era come se esorcizzasse e sublimasse in quelle scene, tutte le sue angosce, i ricordi di vicende subite: le urla dei due erano le sue, i patimenti erano i suoi, ma il fatto che fossero Annamaria e il medico le vittime, la giustificava a non aver pietà e partecipare come aguzzina.
Nella scena successiva i due furono slegati e, ormai completamente in balia delle persecutrici, costretti a subire le peggiori umiliazioni, condite da penetrazioni con tutti gl’oggetti a disposizione.
Infine li costrinsero ad uscire di scena, strisciando sulla schiena, mentre le aguzzine erano comodamente sedute sui loro corpi:
-Beh, che ve ne pare?- Chiese Roberto, con fare indifferente, che nel frattempo aveva preso in braccio la sua compagna e l’aveva infilata. Le mani erano sulle tette nude di Mati, la quale era piegata in avanti con le cosce aperte e le braccia a coprire la vagina occupata:
-Veramente incredibile’- Fece Giovanni, visibilmente eccitato, mentre abbracciava la vita di Grazia, che gli si fece vicino e nascondeva il viso sul petto di lui, quasi vergognandosi d’aver assistito a quelle scene:
-E per te, Grazia, com’è stato vedere quella stronza subire quello che t’aveva fatto?- Lei alzò la testa, rossa in viso e farfugliò:
-Bene, bene’Cioè, volevo dire’Bello’Interessante’-
Giovanni si rese conto dell’imbarazzo di Grazia e soprattutto di Mati, quasi nuda. Sospettava che Roberto non si sarebbe fatto scrupoli ad esibire sia le grazie della sua compagna, né di mostrarsi col pene di fuori e disse.
-Sentite, noi andiamo un momento in bagno’-
-Andate, andate’Rispose Roberto con un sorriso complice, mentre Mati gli lanciava un’espressione grata.
Giovanni prese Grazia per mano e raggiunsero il bagno. Lei lo abbracciò con trasporto:
-Amore, è stato’Non riesco ad esprimermi’-
-Non ce n’è bisogno, tesoro’T’ho osservato’Credo t’abbia fatto bene’-
-M’hai visto? Che vergogna’Che vergogna’-
-Ma perché’? Amore, dai’Non c’è nulla da vergognarsi’-
-E invece sì’.Io non sapevo’Non credevo’-
-Grazia, amore mio’Hai solo scoperto che anche tu sei come gli altri’-
-Come gli altri? In che senso’-
-L’hai detto tu’Che non credevi d’essere capace di provare dei sentimenti aggressivi, vendicativi’E quello che intendevi?-
-Sì, sì’-
-Mica devi vergognartene’Non sarebbe normale il contrario’!
-Sì, sì’.Ma non ci sono abituata’-
-Ti abituerai, amore, io sono qui, al tuo fianco’-
-Allora permettimi una cosa’- Gli tirò giù la lampo e si mise in bocca il pene di Giovanni, succhiandolo vigorosamente e quando fu ben eretto, si tirò giù i pantaloni e se lo sistemò nella vagina, circondandogli la vita con le gambe, sostenendosi con le braccia sul collo di lui e scopandosi da sola, come se il suo compagno fosse un oggetto.
Ci mise così impeto che lui venne quasi subito, mentre Grazia era solo all’inizio dell’eccitazione, ma era raggiante e soddisfatta d’aver preso quell’iniziativa e lo baciò con trasporto.
Da quel giorno tutto cambiò. Sia lui, che lei, impararono che alcune pratiche estreme non erano degradanti in assoluto, ma dipendevano dal modo con le quali si attuavano, o con quale spirito si proponevano.
Non c’era bisogno di comandare o subire, essere intransigenti, o disperarsi, prevaricatori o succubi. Riuscirono a godere una relazione ricca di creatività, ogni giorno nuova e piena di scoperte.
Scomparvero le scorpacciate d’escrementi di Grazia in favore d’intrusioni reciproche, anche con oggetti diversi da lingue o peni; lei smise di farsi distruggere con sessioni infinite di sevizie, apprezzando invece maratone di sesso tantrico, mentre rimasero le pratiche di bondage, ma spesso reciproche o anche contemporanee, come l’essere costretti a far l’amore con le membra ammanettate e solo i corpi a ricercare il piacere.
Grazia riguadagnò la fiducia in se stessa, non ebbe più paura dei propri pensieri.
In seguito, riuscì a trovare un lavoro e rendersi economicamente autonoma.
Dopo un anno circa Giovanni e Grazia si sposarono.

Leave a Reply