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Racconti di Dominazione

La notte di Patrizia

By 14 Aprile 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Accidenti! Era saltata di nuovo la luce del garage condominiale.
Patrizia aveva aperto la porta tagliafuoco e si era trovata, davanti agli occhi, il parcheggio sotterraneo quasi completamente al buio, visto che erano accese solo le luci di emergenza.
Era una faccenda fastidiosa e spiacevole, più che altro per il suo ritorno, visto che dopo la prima al Teatro dell’Opera, aveva in programma una cena con una sua amica, e sarebbe tornata molto tardi, più o meno per le due.
Diverse volte, in queste occasioni, la sua amica le aveva proposto di restare a dormire da lei, perché diceva che non era prudente, per una donna sola, tornare a quell’ora, ma Patrizia aveva sempre rifiutato.
Il giorno dopo doveva andare al lavoro ed avrebbe perso tempo, e poi non le sarebbe successo niente.
Tante volte aveva letto sui giornali di donne sole aggredite di notte, violentate, a volte anche uccise, ma quando una cosa del genere la leggi o la vedi in televisione è lontana ed irreale.
Queste cose succedono sempre ad altre persone, mica a te.
E poi lei stava attenta, sapeva badare a se stessa.
Certo, quando rientrava con la macchina ed era molto tardi, un attimo di apprensione lo aveva.
Il garage era un luogo deserto. Se avesse incontrato qualche male intenzionato, nessuno l’avrebbe sentita gridare.
Anche quel pomeriggio, mentre aveva iniziato ad attraversare il garage per raggiungere la sua auto, ci aveva pensato, ma solo per un attimo.
Che sciocchezza! E poi un brutto incontro era altamente improbabile alle sette di sera.
Si era appena chiusa alle sue spalle la porta di ferro, accompagnata dal solito cigolio, quando avvertì un leggero rumore e vide di sfuggita una figura scura che usciva da dietro un pilastro.
Era un uomo, alto e robusto, completamente vestito di nero, anzi sembrava avere anche la faccia nera.
Forse si sbagliava, ma nella sua mente si affacciarono tre concetti: uomo nero, passamontagna, pericolo.
Sì, certo, sicuramente si sbagliava, era una sua suggestione, ma preferiva non verificarlo.
L’uomo stava tra la lei e la porta, tagliandole di fatto la possibilità di fuga, dalla parte da cui era venuta.
Aveva due strade da seguire: raggiungere la macchina o provare ad arrivare all’altra uscita, in corrispondenza della seconda palazzina.
Pensò che non avrebbe fatto in tempo ad entrare in macchina, visto che doveva anche cercare le chiavi nella borsetta, e quindi decise per la seconda uscita.
Così partì velocemente, dirigendosi verso la parete di sinistra, dove sapeva esserci l’altra porta.
Aveva qualche metro di vantaggio sull’uomo nero e lei conosceva perfettamente il garage, se fosse riuscita a varcare quella porta e risalire almeno fino al piano terra avrebbe potuto gridare, chiedere aiuto, suonare i campanelli degli appartamenti.
Patrizia aveva passato da poco i quarantacinque, ma aveva sempre tenuto in forma il suo fisico: alta, slanciata e magra, non aveva mai smesso di fare attività sportiva.
Solo pochi metri la separavano dalla salvezza: la porta tagliafuoco grigia che portava alle scale della palazzina ‘B’.
Maledetti tacchi. Quella sera aveva messo le scarpe con il tacco alto. Non lo faceva volentieri, perché non era molto brava a camminare sui trampoli, però, quella volta, c’era la prima all’Opera, ed erano le scarpe più eleganti che possedeva.
Se avesse avuto i soliti mocassini di gomma sarebbe andata più veloce.
La stava inseguendo? Non poteva saperlo e se si fosse voltata avrebbe perso tempo.
Mancava un metro, le sue braccia erano protese in avanti per spingere il maniglione della porta.
Uno spintone, da dietro, la fece deviare dalla giusta traiettoria, spostandola di lato.
Allargò la gamba sinistra per non cadere ma il tacco, alto e sottile, cedette di schianto, trascinandola nella caduta.
Le mani protese in avanti l’aiutarono a limitare i danni e riuscì soltanto a sbucciarsi il ginocchio destro contro la ruvida superficie di cemento grezzo del muro.
Accidenti, aveva rotto le calze. Un collant nuovo che aveva pagato un sacco di soldi.
Stupida. Era una stupida. Come poteva preoccuparsi, in un momento come quello, del suo collant?
Comunque le sue speranze di fuga e di salvezza si erano infrante ad un metro dalla meta, contro un grigio muro di cemento.
L’uomo nero le fu subito addosso. La rimise in piedi a la strinse forte da dietro, premendole un braccio contro il petto.
Patrizia cominciò ad urlare ed a dibattersi.
‘Se non la pianti ti taglio la gola’.
La sua voce era come soffocata, ma aveva un tono decisamente inquietante.
Contemporaneamente alle parole, sentì qualcosa di freddo contro il collo.
Non poteva vedere se si trattasse proprio di un coltello, ma non aveva nessuna voglia di scoprirlo e si immobilizzò immediatamente.
‘Andiamo!’
La scostò dal muro e la costrinse a ripercorrere a ritroso tutto il percorso, fino alla porta della sua palazzina.
Entrarono nell’atrio. Sulla destra c’erano le scale e di fronte l’ascensore. Era fermo al quarto piano.
Lui pigiò il bottone di chiamata.
Quando si aprirono le porte automatiche la spinse dentro, bruscamente, poi le chiese.
‘Che piano, bella moretta?’.
Lei rimase in silenzio. Stava pensando cosa fare. Forse poteva dirgli un piano sbagliato, sperando che lui cercasse di entrare in un altro appartamento. Ci sarebbe stato un po’ di trambusto, sarebbe uscito fuori il proprietario ‘
Lo vide riflesso nello specchio dell’ascensore. Era molto alto e decisamente robusto, ma non grasso.
Indossava pantaloni e maglione a collo alto, entrambi neri. La faccia era coperta da un passamontagna, sempre nero, da cui si potevano vedere solo gli occhi e la bocca.
Aveva un lungo coltello dalla lama robusta, tipo quelli usati dai sub, tenuto contro la sua gola.
‘Che piano?’. Ripeté spazientito.
‘Secondo’. Aveva detto il piano giusto, è difficile dire bugie quando si ha un coltello puntato alla gola.
Le prese la borsetta ed estrasse le chiavi di casa.
Sceso dall’ascensore, dopo aver osservato il mazzo di chiavi, si guardò intorno e si diresse, a colpo sicuro, verso la porta giusta, tenendo sempre la donna bene stretta.
Quando furono dentro, richiuse la porta dall’interno a doppia mandata e si mise le chiavi in tasca.
Patrizia era seduta sul divano, terrorizzata e senza fiato.
Si tolse la scarpa con il tacco rotto ed anche l’altra, ormai inutile.
Indossava un cappotto grigio con il collo di pelliccia e sotto un vestito nero, corto ed elegante.
Si guardò le gambe lunghe fasciate dal collant grigio semi trasparente.
Era strappato in corrispondenza del ginocchio destro. Un rivoletto di sangue colava da una ferita piccola ma profonda.
L’uomo nero le stava di fronte, in piedi, giocherellando con il suo coltello.
Cosa sarebbe successo ora?
‘Hai fatto tardi questa sera. Ti ho aspettato a lungo. Dovrai uscire di nuovo, ma sarà necessario che ti cambi d’abito’.
Doveva essere pazzo. Parlava come se si conoscessero e si frequentassero da tempo.
Non voleva andare con lui da nessuna parte, voleva soltanto che sparisse, che la lasciasse sola.
Desiderava soltanto medicarsi il ginocchio ferito che le bruciava.
Le cominciava anche a far male la caviglia, probabilmente, quando si era rotto il tacco, aveva preso una storta.
‘Ho detto che ti devi cambiare, andiamo nella tua stanza’.
La rimise in piedi, un po’ brutalmente, tirandola per un braccio e, dopo averle sfilato il cappotto, la spinse nella camera da letto.
Lei rimase ad osservarlo, seduta sul letto. Solo in quel momento si accorse che l’uomo aveva con sé uno zaino grigio.
Lo aprì e ne rovesciò il contenuto sul letto.
Si trattava di vestiti femminili ed un paio di scarpe rosse, con i tacchi altissimi.
‘Dai sbrigati, che dobbiamo andare’.
‘No, non verrò con lei da nessuna parte’.
Per tutta risposta la prese per un braccio, la tirò su dal letto e, rapidamente, con il coltello recise le spalline del suo vestito.
Lei cercò con le mani di prendere al volo il vestito che scendeva lungo il suo corpo, ma lui fu più veloce e le immobilizzò entrambe le braccia con la mano libera dal coltello.
Il vestito scivolò fino a terra.
Sentiva gli occhi dell’uomo che la fissavano con interesse.
Osservò le sue spalle magre, forse un po’ troppo ampie per una donna della sua corporatura, i suoi piccoli seni, appena nascosti da un minuscolo reggiseno nero senza spalline.
Giocherellò un po’ con le ciocche dei suoi lunghi capelli corvini, appena un po’ ondulati, che le ricadevano sulle spalle, le fece una carezza sulla guancia, poi passò con delicatezza l’indice della mano che non impugnava il coltello sul suo naso, infine scese più giù e le carezzò le labbra.
‘Sei bellissima’.
Guardò più in basso, la sua pancia piatta e senza una smagliatura, le mutandine dello stesso colore del reggiseno, molto piccole, che trasparivano sotto il collant grigio.
La fece girare di centottanta gradi. Lei ora non lo poteva vedere ma era sicura che stava guardando la sua vita stretta ed il suo culetto rotondo e sodo.
Aveva sempre saputo di avere un bel sedere. Era rotondo, carnoso ed abbastanza sporgente da essere notato. Infatti tutti gli uomini si soffermavano a guardarlo. Chissà se anche a lui …
Ma che le veniva in mente: si preoccupava se a quest’uomo, che l’aveva aggredita ed ora la stava minacciando con un coltello, piacesse o meno il suo sedere.
‘Ora devi cambiarti per forza, l’altro vestito non è più buono’.
‘Non ci penso per niente, non mi metterò nessun vestito, perché non andrò con lei da nessuna parte.’
L’uomo tirò fuori dalla tasca una piccola foto e la buttò sul letto.
Patrizia vide che c’era raffigurata una ragazza con i capelli biondi. Aveva un’espressione sofferente e spaventata ed aveva il collo e la spalla destra sporchi di sangue.
Guardando con più attenzione si accorse che aveva i capelli tirati dietro l’orecchio destro ed era proprio da lì che partiva il sangue.
‘Questa l’ho scattata ad un’altra principessina come te. Anche lei diceva che non voleva cambiarsi d’abito, poi, dopo, ha cambiato idea.
Peccato che ora non si possa più mettere gli orecchini. Fa parecchio male quando ti recidono il lobo dell’orecchio con un coltello, ed esce anche molto sangue.
Preferisci che inizio con il sinistro o con il destro?’
Patrizia era rimasta senza fiato. In un attimo aveva capito che non poteva assolutamente permettersi di scherzare con quel tipo.
‘Va bene, metterò questi vestiti, ma prima devo andare in bagno.’
‘Dovrò venire con te, mi dispiace, dovrai fare pipi davanti a me, non mi fido a lasciarti sola, e poi bisogna medicare quella ferita’.
Patrizia, sempre più spaventata, si tolse il collant rotto, si abbassò gli slip e si sedette davanti all’uomo nero che la fissava interessato.
Della ferita si occupò lui. Prima la fece sedere sul panchetto del bagno, poi la ripulì tamponandola leggermente con un asciugamano inumidito con l’acqua tiepida.
Un sassetto di cemento si era conficcato nella carne. Lo estrasse con delicatezza ed il sangue riprese a sgorgare, allora ci applicò un altro asciugamano bagnato con l’acqua fredda e lo tenne premuto forte per diversi minuti. L’emorragia sembrava essersi fermata.
Aprì l’armadietto dei medicinali e prese disinfettante e cerotti.
Disinfettò la ferita e ci applicò un grande cerotto quadrato, facendolo aderire bene al ginocchio.
Patrizia era perplessa, se non fosse stato per il passamontagna, il coltello e la brutale aggressione di poco prima, avrebbe potuto pensare di trovarsi di fronte ad un giovane dai modi gentili ed educati.
Prima di farla alzare dal panchetto, le sfilò del tutto lo slip finito all’altezza delle sue caviglie, poi le tolse anche il reggiseno e gettò entrambi nella vasca da bagno.
Quando Patrizia tornò in camera da letto, ormai completamente nuda, si precipitò subito sui vestiti che lui aveva lasciato sul letto.
Consistevano soltanto in una canottiera bianca con le spalline sottilissime, una microgonna dello stesso colore, corredata da una vistosa cintura rossa, un paio di autoreggenti a rete, volgari e vistose, e le scarpe rosse che lei già aveva visto.
‘Tutto qui?’
‘Per quello che dovrai fare è più che sufficiente.’
‘Ma morirò di freddo …’
‘… non ti preoccupare, vedrai che ti scalderai a sufficienza.’
Patrizia, sempre più spaventata, indossò la canottiera e la microgonna. Quando si infilò le autoreggenti si accorse che la gonna era così corta da lasciar vedere l’elastico con cui terminavano le calze.
La canottiera poi, molto scollata, di stoffa leggerissima e semi trasparente, le lasciava scoperta gran parte dei seni.
Patrizia fece per prendere il cappotto, rimasto sul divano nel soggiorno.
‘Che fai? Se ti metti addosso quello è inutile che ti faccio vestire per bene.’
Prima di uscire prese dal mobile del soggiorno un bicchiere e lo riempì di whisky.
‘Apri la bocca, principessina.’
Patrizia ubbidì e lui le mise due pillole colorate sulla lingua, poi la costrinse a bere tutto il contenuto del bicchiere.
Cominciò subito a tossire, perché non era abituata a bere alcolici. Le bruciava forte la gola e chissà che cosa erano quelle pillole che aveva appena inghiottito.
‘Non ti preoccupare, servono solo a rendere più emozionante la serata.’
Lentamente, nella sua mente, si stava facendo strada un pensiero orribile: l’aveva fatta vestire come una prostituta e, sicuramente, l’aveva anche drogata.
‘No!’
‘No cosa?’
‘Non voglio ‘ ho paura ‘ che cosa erano quelle pillole?’
Si sentiva strana e confusa. Forse era il liquore ingurgitato, forse la droga che già faceva effetto, o forse era soltanto la suggestione.
‘Non aver paura, principessina, sarà una serata divertente ed indimenticabile.
Fidati di me.
Anzi ‘ voglio farti provare un assaggio.’
Mentre diceva così, la spinse contro la spalliera del divano, costringendola a piegare il busto a novanta gradi.
La gonna era così corta che fu sufficiente quel piegamento per scoprirle completamente il sedere.
Patrizia cominciò a gridare quando sentì il rumore della lampo dei pantaloni di lui che si apriva, ma fu sufficiente che l’uomo le prendesse con studiata delicatezza, tra due dita, il lobo di un orecchio, perché lei tacesse immediatamente.
Lasciò stare l’orecchio e prese ad allargarle le chiappe con le mani.
Patrizia si dimenava, ormai aveva capito cosa stava per succedere ed era terrorizzata, perché non aveva mai subito una cosa del genere.
Riprese a gridare quando sentì il pene dell’uomo, duro ed eretto, incunearsi in mezzo alle natiche.
Questa volta lui la lasciò fare e si limitò ad allargarle vigorosamente le cosce.
Quando lo spinse dentro Patrizia rimase senza fiato, per la sorpresa ed il dolore.
‘Ma non mi dire, principessina, sei, anzi, ormai posso dire, eri, vergine di culo.’
Patrizia piangeva sommessamente mentre l’uomo finiva di impalarla.
‘E’ mai possibile che fino ad ora a nessuno sia venuto in mente di sfondare questo culetto delizioso?’
Ormai era entrato tutto, fino in fondo. Lei si sentiva strana, perché, al dolore lancinante, causato dalla violenza che stava subendo, si stavano aggiungendo delle sensazioni strane, ma non spiacevoli.
L’uomo aveva iniziato a muoversi e sentiva il suo pene che entrava ed usciva dentro di lei.
Contemporaneamente il suo sesso cominciava ad aprirsi, come quando le capitava di masturbarsi, la notte, sola, nel suo letto.
Improvvisamente sentì come una scossa elettrica, piccola e piacevole. Poi altre, sempre più forti. Le sembrava quasi di volare, infilzata nel grande cazzo di questo uomo sconosciuto.
‘Bene, bene. Le pilloline cominciano a fare effetto. Vero principessina?
Pensa un po’, per tanti anni ti sei persa il piacere di prenderlo nel culo. Vedrai che questa notte ti rimetterai in pari.’
Patrizia si accorse che stava gemendo ad alta voce. Si sentiva completamente bagnata, con il clitoride gonfio che le pulsava ogni volta che il pene dell’uomo si spingeva in profondità dentro di lei.
Si stupì nel sentire la sua voce, ansimante ed alterata, gridare: ‘sì ‘ ancora ‘ ancora! Più dentro, di più!’
Poi fu sopraffatta dall’orgasmo, proprio mentre l’uomo la inondava di sperma.
Un minuto dopo erano già in ascensore, mentre lei cercava di pulirsi, con un fazzolettino, dal sangue misto a sperma che le usciva dall’ano.
Quando entrarono nel garage, dove poco prima lui l’aveva catturata, l’aria fredda che si insinuava tra le gambe ed arrivava fino all’inguine nudo, per un attimo le diede una scossa.
Sentì il beep beep dell’antifurto della sua macchina. Lui aveva azionato il telecomando ed ora si stava dirigendo verso la piccola auto di Patrizia, di quello strano colore giallo verdino, con le quattro frecce che ancora lampeggiavano.
La fece accomodare di dietro e le legò polsi e caviglie, prima di mettere in moto.
Aveva imboccato la strada che portava al mare. Anche se stordita e confusa, Patrizia era sicura, perché conosceva benissimo quei posti.
Tra un po’ avrebbero attraversato la pineta e poi la strada sarebbe finita contro la litoranea, che costeggiava gli stabilimenti balneari.
La pineta era molto grande, con alberi di dimensioni enormi. Era un posto decisamente mal frequentato di notte e ‘
L’auto, all’improvviso, era uscita dalla strada principale ed aveva preso, sobbalzando sulle buche e sulle radici, un viottolo sterrato che si inoltrava nella pineta.
Sapeva che quel posto era frequentato da drogati, sbandati, malviventi e prostitute.
Finalmente le era tutto chiaro.
L’aveva fatta vestire come una puttana che batte il marciapiede, l’aveva violentemente sodomizzata, per sottometterla, ed ora l’avrebbe fatta prostituire nella pineta.
L’avrebbe costretta per tutta la notte ad accoppiarsi con la peggiore feccia umana.
Costretta?
Forse era l’effetto di quelle maledette pillole, oppure ‘ possibile?
Si rese conto che se da un lato era spaventata per quello che le sarebbe capitato, dall’altro era stranamente eccitata per l’esperienza nuova che si apprestava a fare.
Patrizia, ma sei impazzita?
Stai per essere scopata da un mucchio di uomini sconosciuti, rischi di prenderti chissà quali malattie, forse anche l’AIDS ‘
L’auto si era fermata in una piccola radura.
Lui la fece scendere e la liberò delle corde con cui l’aveva legata.
Si era anche tolto il passamontagna. Aveva gli occhi grigio ferro ed una lunga cicatrice sulla guancia sinistra, dall’orecchio fino alla base del naso.
La prese per una mano e la costrinse a camminare lungo uno stretto sentiero, che passava rasente a dei grandi cespugli spinosi.
Più avanti, seminascoste dalla boscaglia, c’erano delle baracche fatte con i materiali più disparati: pezzi di tettoie in plastica ondulata, lamiere, cartelloni pubblicitari.
Fuori di una di quelle baracche, in piedi, intento a fumare una sigaretta, c’era un uomo, alto e magro, con i capelli biondi tagliati cortissimi.
‘Ciao Goran. Che mi hai portato?’
‘Una bella principessina, che questa notte lavorerà per te.’
Non aveva detto altro.
Lo sconosciuto, dopo aver schiacciato il mozzicone di sigaretta con il tacco, l’aveva presa per un braccio e l’aveva trascinata dentro la baracca.
Era un ambiente piccolo e puzzolente, vagamente illuminato da una lampada a gas da campeggio.
Non disse nulla. Si limitò, dopo averle passato le mani sotto le ascelle, a metterla a sedere su un tavolo sporco e zoppicante.
Patrizia era spaventata ma, allo stesso tempo, eccitata.
L’uomo le divaricò a forza le gambe facendole passare le caviglie dietro le zampe del tavolo.
Ora Patrizia aveva assunto una posa oscena, con le cosce completamente aperte.
L’uomo le alzò la gonna, finendo di scoprirle la vagina ed infilò la stoffa dentro la cintura.
Quando cominciò a strofinarle il pene sul sesso, lei gridò.
Si sentiva strana. Aveva in bocca il sapore forte ed aromatico del whisky ed era confusa ma, allo stesso tempo leggera, come se stesse volando in mezzo ad una nebbia sottile e variopinta.
Guardò in basso, sotto la cintura rossa della gonna. Le labbra del suo sesso, appena dischiuse a causa della posizione che lui l’aveva costretta ad assumere, si stavano spalancando completamente.
Riusciva a vedere, nonostante la luce fioca della lampada a gas, il luccicare degli umori che iniziavano ad uscire dalla sua vagina.
‘Brava principessina. La tua bella fichetta si sta svegliando. Vedrai che ‘sta notte avrà da divertirsi.’
Ormai era pronto.
Quando lo infilò dentro, di colpo, fino in fondo, Patrizia gridò di nuovo, ma di gioia.
Non riusciva a capire se quello che provava era dovuto al cocktail di alcol e droga che era stata costretta ad assumere, oppure se ‘
No! Non era possibile, aveva sempre considerato una cosa schifosa avere rapporti sessuali con sconosciuti.
In passato aveva rotto con una sua amica che spesso rimorchiava ragazzotti rozzi, muscolosi e squattrinati.
Le aveva detto che era una lurida puttana, che non voleva più avere a che fare con una persona così sporca dentro.
I suoi pensieri furono interrotti da una serie di fitte fortissime ma niente affatto dolorose.
Stava venendo. Stava avendo un orgasmo fortissimo ed assolutamente incontrollato e non glie ne fregava nulla di essere scopata da un protettore croato, romeno o da dove cavolo venisse mai quel tizio, su un tavolo lurido e traballante, in una sudicia baracca, di notte, in mezzo ad una pineta frequentata dalla peggiore gente che potesse girare nella sua città.
Sicuramente voleva provarla personalmente, prima di farla lavorare.
Quella notte avrebbe lavorato.
Avrebbe fatto la puttana.
Si sarebbe fatta scopare da chiunque fosse stato disposto a pagare.
Quanti clienti avrebbe dovuto soddisfare?
Cinque, dieci, forse cento?
Esagerata! Non ci sarebbe stato neanche il tempo.
L’uomo stava venendo dentro di lei.
L’aveva abbrancata per il sedere e la stava scuotendo fortemente.
La tirò giù dal tavolo, rimettendola in piedi.
‘Ora devi dargli una bella pulita.’
La costrinse ad inginocchiarsi e glie lo mise davanti alla bocca.
Patrizia ebbe un moto di ribrezzo.
‘Che belle orecchie principessina.
Il mio amico Goran ti ha detto che ti succede se ‘?’
Patrizia rivide la ragazza bionda con l’orecchio mozzato ed aprì prontamente le labbra.
Naturalmente non si limitò a farselo ripulire.
Patrizia non aveva mai amato molto fare pompini e, in ogni caso, si era sempre rifiutata di arrivare fino in fondo, ma questa volta capì che l’uomo non sarebbe stato disposto a tirarlo fuori dalla sua bocca, sul più bello.
Le stava per succedere una cosa orribile e schifosa ma, stranamente, non si sentiva preoccupata, anzi era addirittura eccitata.
Quando lui, improvvisamente, la inondò con il suo seme, Patrizia pensò che il sapore dello sperma, mischiato all’aroma del whisky che ancora aveva in bocca, non era spiacevole e così, inghiottì tutto.
‘Bene, principessina. Mi pare che te la cavi bene.
Adesso ti porto dalle altre ragazze.
Stammi bene a sentire.
In questa borsetta ci sono i preservativi. Il cliente lo deve mettere sempre, sia quando te lo ficca nella fica, sia quando te lo mette nel culo.

Niente pompini, perché può essere pericoloso, ed io non voglio guai.
Al massimo, se il cliente proprio insiste, puoi fargli una sega.
I soldi te li deve dare prima, ricorda bene, PRIMA.
Le tariffe te le fai dire dalle altre ragazze.
Io passerò a prenderti verso l’alba.
Buon lavoro, principessina.’
Cinque minuti dopo Patrizia, con una borsetta di plastica rossa stretta tra le mani, piena di profilattici e fazzolettini di carta, si trovava davanti ad un piccolo falò, insieme ad una nigeriana dal sedere enorme ed una biondina, romena o forse albanese.
La prima sembrava allo stesso tempo fiera della sua forza fisica e rassegnata alla sua sorte, mentre l’altra, con quegli occhi celesti pieni di paura, almeno a Patrizia appariva così, doveva essere una creatura fragile ed indifesa.
A pochi metri da loro, passava una strada interna alla pineta.
Le macchine rallentavano, guardavano la merce esposta vicino ai fuochi e poi, ripartivano.
Si fermò una grande macchina scura e ne uscì fuori un uomo grasso, vestito di scuro.
Parlò un po’ con la biondina e poi i due se ne andarono insieme.
La ragazza non sembrava più così spaurita ed indifesa.
Ma cosa ci sto a fare qui?
Patrizia, ma sei impazzita?
Adesso, alla prima persona che passa, gli dici che non sei una prostituta, che ti hanno rapita, violentata e costretta a prostituirti.
Sicuramente ti aiuterà a fuggire.
I clienti sono persone normali, non ci dovrebbero essere problemi.
Si fermò una vecchia auto, grigia e malmessa.
Ne scese un uomo sulla quarantina, basso, pelato e con gli occhiali.
Aveva l’aria di un impiegato, triste e solo.
Magari era insoddisfatto della moglie, o forse, chissà, neanche era sposato.
Si accordarono per una bella inculata, le disse proprio così, guardandole voglioso il sedere, attraverso le spesse lenti.
Poi aggiunse: ‘lo facciamo fuori perché non voglio sporcare i sedili della macchina.’
Si allontanarono con l’auto e lui prese una via laterale sterrata.
Bene, adesso gli avrebbe detto tutto. Le sembrava un tipo innocuo e comprensivo. Si sarebbe fatta portare via, fuori della pineta, fino al primo commissariato di polizia, e così sarebbe tornata a casa sana e salva.
‘Ecco, qui andrà benissimo. Appoggiati a quell’albero.’
La fece scendere e le fece abbracciare il tronco di un grande pino.
Ora glie lo dico, basta!
Le fece allargare le gambe.
Patrizia sentiva la corteccia ruvida che le premeva contro le cosce.
Maledizione, mi sto eccitando di nuovo.
‘Hai un gran bel culo. Dai, su, dammi il preservativo.’
Ora gli dico che non gli darò nessun preservativo, perché non sono una puttana e la faccenda finisce qui.
Invece aprì la borsetta e gli porse un profilattico.
Si sentì schiacciare contro il tronco mentre, contemporaneamente lui le allargava le chiappe.
Non le fece male come prima a casa sua. Probabilmente ce l’aveva più piccolo, oppure era il suo ano, precedentemente violato da Goran, che si era fatto più accogliente.
L’uomo ansimava, dietro di lei, facendola strusciare violentemente contro il tronco dell’albero.
Si accorse di essere completamente bagnata.
Lui la staccò dal tronco e, per allargarle meglio le cosce, le piazzò le dita di una mano nel suo sesso dilatato.
A quel contatto Patrizia si sentì esplodere.
Raggiunse l’orgasmo proprio mentre lui le pizzicava il clitoride, gonfio e duro, poi lo sentì venire dentro di lei.
Non gli aveva detto nulla e non avrebbe detto nulla né a lui né a tutti gli altri che sarebbero seguiti, quella notte.
Si asciugò gli umori che le stavano scolando in mezzo alle gambe. Lui nel frattempo aveva buttato via il preservativo.
Le chiese un fazzolettino per ripulirselo e Patrizia, per un attimo, pensò che avrebbe voluto farlo lei con le labbra e con la lingua.
Gli passò il fazzolettino e risalirono in macchina.
Tornata al suo posto guardò l’orologio: in tutto era passato solo un quarto d’ora. Se fossero passate molte macchine e se l’avessero trovata di loro gusto, avrebbe avuto un mucchio di clienti.
Significava scopata ed inculata da un sacco di gente.
La biondina, che aveva ripreso il suo posto, le fece un piccolo sorriso.
L’altra, se ne era andata via con un uomo anziano, alto e curvo, proprio mentre lei si rimetteva vicino al fuoco.
Il cliente successivo fu un tipo palestrato, con il cranio completamente rasato e dei vistosi tatuaggi sui bicipiti.
Aveva una vecchia Volvo station wagon già preparata, nel senso che aveva completamente reclinato il divano posteriore e ricoperto il piano di carico con una vecchia coperta.
Il suo arnese era perfettamente adeguato al fisico e la scopò con grande energia.
Patrizia si rese conto che più passava il tempo e più si eccitava. Erano le pillole di droga che Goran le aveva fatto inghiottire, oppure era la sua vera personalità che stava venendo fuori?
Aveva sempre desiderato fare la puttana?
La sua massima aspirazione era farsi scopare da sconosciuti, in situazioni scomode e precarie?
Le sue riflessioni furono interrotte dall’uomo che, dopo aver buttato il profilattico dal finestrino, la fece girare e la mise in ginocchio contro lo schienale dei sedili anteriori.
‘Mamma mia che culo che hai. Ti voglio proprio sfondare.’
Fu di parola, perché il lavoro preparatorio compiuto da Goran non si rivelò sufficiente a garantire l’ingresso indolore del suo arnese.
Patrizia cominciò a gridare disperatamente, mentre lui lo spingeva dentro.
Sembrava non finire più, poi, piano piano, si abituò.
Ora che era dentro, si muoveva con decisione ma senza la rudezza con cui l’aveva penetrata.
Il dolore lancinante si mescolava con il piacere che stava montando nel suo sesso sempre più bagnato e nella sua mente frastornata e confusa, da mille pensieri contrastanti.
Quando la riportò al falò, Patrizia si sentì improvvisamente stanchissima.
Dovette usare un paio di fazzolettini per asciugare il sangue che aveva ripreso ad uscirle.
Il terzo cliente fu di tutto riposo: un omino piccolo ed anziano, che faticò parecchio a farlo drizzare.
Lei dovette anche un po’ aiutarlo con le mani. Poi per fortuna riuscì a terminare abbastanza agevolmente.

Solo alle prime luci dell’alba Goran ed il suo amico si rifecero vivi. L’altro recuperò la borsetta con i soldi, mentre il suo rapitore la fece salire in macchina.
Patrizia, durante il viaggio di ritorno si addormentò. Era stanca, frastornata, eccitata, confusa, piena di dolori. Mille sensazioni contrastanti si mescolavano nella sua mente e così, non potendo comprenderle, giustificarle ed organizzarle, aveva deciso di staccare i contatti.
Si svegliò solo quando Goran aprì lo sportello e la tirò fuori dall’auto.
Per un attimo pensò che era tutto a posto: era andata alla prima al Teatro dell’Opera, poi a cena con la sua amica, aveva solo fatto un po’ più tardi del solito, ed era stata riaccompagnata a casa da un vecchio amico.
Le fitte lancinanti che avvertiva dietro, in mezzo al suo bel culetto, quello che gli uomini avevano sempre guardato con piacere, le tolsero ogni dubbio.
Aveva passato tutta la notte nella pineta a fare la puttana.
Era stata scopata da tanti uomini sconosciuti, che l’avevano scelta tra tante altre puttane.
Erano entrati nel suo sesso caldo e bagnato, facendole provare sensazioni indescrivibili.
Ancora adesso sentiva dei brividi percorrere la sua vagina che continuava a sprigionare i suoi umori, che le colavano lungo le gambe, imbrattandole le calze a rete che Goran le aveva fatto indossare.
E poi le erano entrati di dietro.
Avevano violato il suo bel culetto, di cui andava tanto orgogliosa.
Fin da quando era un’adolescente ricca e bella, gli sguardi degli uomini si erano spesso posati su quelle deliziose rotondità. Lei aveva sempre giocato con il desiderio di tanti maschi, che la guardavano con bramosia, impossibilitati a soddisfare i loro desideri.
Quella notte invece il suo gioco malizioso era stato sconfitto.
Aveva iniziato Goran, a casa sua, quando l’aveva sbattuta contro il divano.
Avevano poi proseguito i vari clienti: l’impiegato triste che l’aveva scelta proprio per il bel culo, il tizio palestrato che aveva finito di sfondarle l’ano, e poi tutti gli altri.
Quanti erano? Aveva perso il conto.
Come se le avesse letto nel pensiero, Goran le aveva parlato.
‘E brava la mia principessina. Per essere una principiante sei andata alla grande.
Ventisette.
Ventisette clienti ti sei fatta. Ed erano tutti soddisfatti.
Adesso ti riporto a casa e ti metti a nanna. Che è meglio.’
Tutta la stanchezza della notte trascorsa in quella maniera, le piombò addosso in un attimo.
‘Su con la vita, bellezza, non ti posso mica prendere in braccio.’
Patrizia si era appoggiata alla spalla dell’uomo che fu costretto quasi a trascinarla fino dentro l’ascensore.
Entrati in casa lei si poggiò contro lo schienale del divano.
Non si reggeva letteralmente in piedi.
Goran la guardò e ripensò all’inizio della serata.
‘Non mi dire, principessina. Ti sei rimessa in posizione. Ma non ti basta mai?
Davanti ad un culetto così non si può certo dire di no.’
Prima che Patrizia potesse dire qualcosa, L’uomo le aveva già allargato le gambe e stava armeggiando con la lampo dei pantaloni.
Questa volta non fece nessuna resistenza.
Rimase in attesa che il suo pene la penetrasse, rinnovando, per l’ennesima volta le sensazioni incredibili di quella strana notte.
Poi sarebbe andata a dormire, perché era veramente stanca.

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