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Racconti di Dominazione

La perdizione di Honey

By 19 Settembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Lei era di fronte alla porta della sua abitazione, puntuale, con le valige pronte pronte per essere svuotate da lui, come le era stato ordinato. Anche i vestiti erano esattamente quelli che lui le aveva richiesto, la camicia bianca legata in vita e la gonna scozzese corta che copriva a malapena la curva dei glutei, ovviamente senza intimo. In realtà non gli interessava poi molto quello che avrebbe indossato, il punto era far sentire la propria potenza su di lei, schiacciarla fin dal principio, far capire chi comanda.

Quello e iniziare fin da subito ad umiliarla. Infatti, l’orario scelto per il suo arrivo coincideva perfettamente con l’inizio della pausa pranzo dei chiassosi muratori che stavano lavorando al palazzo a fronte. Lui non avrebbe mai saputo gli epiteti che le avevano lanciato, ma li poteva immaginare e, poco prima che lei suonasse il campanello era convinto di aver sentito un brusio indistinto oltrepassare i doppi vetri delle finestre, accompagnato da dei fischi acuti. Aveva però già imparato ad essere paziente e scrupoloso e, quindi, non si era affacciato preventivamente, in modo da non rischiare di incrinare la sua entrata in scena, perfettamente studiata. Voleva essere al meglio, voleva risultare il perfetto boia della sua vittima sacrificale.

Il modo in cui era riuscito al incastrarla era risultato tanto semplice quanto efficace. Non era stato difficile infatti, farle credere che una delle sue più intime fantasia fosse quella di trovarsi di fronte una bella taccheggiatrice che, colta sul fatto, avrebbe mostrato il seno, prima di andarsene via impunita. Mentiva, quella non era affatto una sua fantasia, ma un ottimo modo di riprenderla mentre compiva qualcosa di illegale el suo negozio di giocattoli erotici, il modo da lui prescelto per sottometterla al suo volere. Eppure se avesse voluto, quell’uomo avrebbe potuto avere tutte le donne che desiderava con il minimo sforzo: bello, affascinante e anche messo bene economicamente. Forse è stata proprio quella facilità a traviarlo, il suo desiderio di avere di più, il controllo totale su qualcun altro. Lei l’aveva inquadrata subito come potenziale vittima. Sembrava spaesata nel suo negozio, come un cerbiatto in mezzo ad un branco ti lupi. Si era mostrato simpatico e accomodante con lei, l’aveva invogliata a tornare, si era finto suo amico e confidente, qualcuno di cui potersi fidare, una semplice facciata. Ottenuto quello che voleva non ha esitato a mettere in atto il suo oscuro volere.

Adesso, finalmente, tutto era pronto. Un’intera stanza della casa era stata adibita a sua personale sala giochi e lui stava andando ad aprire la porta alla sua vittima. “Entra” si limita a dire alla ragazza, facendosi seguire fino alla sala delle torture e dell’umiliazione di quest’ultima “sai già che non voglio obbiezioni, altrimenti finisci in carcere” dice, mentre la sistema, come una bambolina, su un tavolaccio di legno, a quattro zampe. Ci sono solo tre cose visibili nella stanza: il suddetto tavolaccio, con quattro grossi anelli metallici fissati agli angoli, un televisore e un altro tavolo. Se il tavolaccio non è amichevole gli altri due lo sono ancora meno. Il primo, infatti, trasmette un mosaico di immagini della stanza, in tempo reale, prese da ogni angolazione, con una terrificante scritta rec in un angolo. Il secondo, invece, è ricoperto degli stessi oggetti che lui vende per vivere, con una attenzione particolare per i dispositivi di dilatazione anale. Mani e piedi della ragazza vengono legati saldamente agli anelli di metallo, in modo da limitare quasi completamente i movimenti di lei, per precauzione, le sussurra con un sorriso rassicurante da carnefice. Lentamente va quindi al tavolino, dove sono disposti i suoi strumenti quasi fosse un chirurgo pronto ad operare. L’oggetto prescelto è il plug a pompa, che viene lubrificato con perizia, lentamente, con attenzione maniacale. Lei, dallo schermo può vedere tutto, ma ogni sua domanda non riceve risposta. Lentamente lui torna da lei e le infila, senza troppa fatica, l’oggetto ancora piccolo nell’ano. Solo allora lui inizia a eccitarsi. Non per la ragazza che si è presentata da lui senza mutande, o per la visione del culo nudo o della vulva alla sua completa mercè. No, lo eccita il tremore di lei, il misto di paura e dolore che lei prova assieme alle calde lacrime di umiliazione che le scendono dalle guance. Quelle sopratutto, contribuiscono alla sua erezione e, dopo lunghi momenti in cui lui ha atteso allora, e solo allora, inizia ad attivare quell’infernale pompetta. Nessuna risposta viene mai data alla ragazza, non gli interessa trattarla come se fosse un essere umano, una creatura dotata di sentimenti, l’unica cosa che ama è l’adrenalina di lei data dalla paura. Si mette comodo dietro la ragazza, seduto, aspettando che il retto si abitui al corpo estraneo, godendosi quell’attesa come se fosse parte del suo stesso piacere. Allora, e solo allora, la mano va a stringere la pompetta, in un movimento che gli esce naturale, morbido e fluido. L’operazione si ripete ancora e ancora, mentre l’oggetto di gomma inizia a gonfiarsi dentro di lei, forzando i muscoli a distendersi, a dilatarsi. Lui inclina la testa da un lato, osserva, controlla. Si ferma infine, quando le lamentele di lei diventano dei veri e propri urli; sa bene che sta esagerando, lo vede, ancora non c’è nulla di estremo. Si alza, con calma, posato e con metodo, la va ad esaminare, tocca la pelle tesa dell’ano, la accarezza. Un altro oggetto viene quindi prescelto fra quelli presenti sul tavolo: una ball-gag. Si avvicina al volto di lei, le sorride per una frazione di secondo, tanto che la ragazza non può non chiedersi se sia vero o se quel sorriso bonario se lo sia solo immaginato. Ciò non toglie che lei possa poi vedere solo severità nel suo volto “Urla in silenzio” commenta, con ironica contraddizione, prima di ficcarle quella grossa palla rossa in bocca, legandola stretta dietro la testa, senza preoccuparsi di strapparle, nel mentre, qualche capello. Tira un profondo respiro quindi, posizionandosi di nuovo dietro alla ragazza. Lei non può, ne lo saprà mai, che lui adora il silenzio, adora potersi godere queste cose senza urla assordanti ma allietato, in sottofondo dal mugolio di un urlo strozzato. Inoltre non poter urlare facilita lo sgorgare delle lacrime, e quelle, si, invece, eccitano il carnefice che, potesse, le berrebbe come se fossero acqua di fonte. Rilascia lentamente la valvola che tiene l’aria imprigionata nel plug a pompa, lasciando che il sollievo si riversi sulla ragazza, per qualche istante mentre lui tranquillo si muove in un’altra stanza. A nulla servono i lamenti strozzati della donna, non le risponde, la lascia nel limbo, le logora i nervi ne distrugge il senso del tempo. Lui, intanto, è andato semplicemente a prendere dell’acqua ma lei non lo sa ne lo saprà mai. Si prende il suo tempo, sorseggia con calma, prima di tornare nell’altra stanza, dove nulla è cambiato, lui esce e nulla può mutare lì dentro, tutto resta ad attenderlo. E nuovamente l’aria va a riempire il plug nel retto, dilatandosi stavolta di più, prendendosi altro spazio dentro di lei, contenendo almeno due o tre pompate extra. In un rituale quasi ossessivo torna a controllare quanto sia realmente tesa la muscolatura di lei, quale sia il suo limite, quanto possa andare avanti. L’indice si muove attorno allo sfintere, saggia quanto sia elastico, e poi ancora una volta la piccola pompa viene stretta. Stavolta il sollievo per la ragazza può venire solo dall’abitudine, stavolta il plug non viene sgonfiato ma, anzi, lasciato fermo a compiere la sua coercizione. L’uomo esce quindi ancora dalla stanza, andando a prendere qualcos’altro che non si trova, a quanto pare, nella stanza. Stavolta la ragazza può sentire dei rumori metallici, simili a quelli che possono essere fatti da delle pentole e il suo aguzzino non tarda poi molto a tornare. Porta con se una ciotola d’acqua di quelle adatte a dei cani di grossa taglia, che viene posta di fronte alla ragazza. Le toglie la ball gag quindi, con un movimento talmente repentino e preciso che sembra abbia compiuto questo gesto decine di migliaia di volte. ‘Bevi’ le dice quindi, con un tono che non ammetterebbe repliche di alcun tipo in nessun caso ‘devi essere ben idratata per il prossimo livello’ aggiunge criptico, allontanandosi, stavolta verso il suo banchetto degli strumenti. Il modo in cui l’acqua è posizionata di fronte alla ragazza è un’ulteriore umiliazione. Può bere, certo, anzi deve, ma solo a costo di farlo come fanno i cani. E lei lo fa, perché può solo immaginare cosa le può succedere se disobbedisce. Ovviamente le azioni dell’aguzzino hanno suscitato domande nella mente della perseguitata ma, come sempre, le domande poste non trovano alcuna risposta, scivolando addosso a quella persona dall’apparenza tanto nobile e dalla mente tanto corrotta. Forse, un giorno, verrà scritto cosa lo ha portato al disprezzo più totale per le donne, ma non oggi: oggi, verrà ancora raccontato quello che successe quel primo giorno e come successe. ‘Ti conviene bere’ ripete, mentre si porta nuovamente al tavolaccio, preparando la sua nuova tortura. Un nuovo rumore di liquido proviene dalle spalle della ragazza adesso mentre lui, con dei movimenti tanto precisi da sembrare innaturali, prepara il necessario per quello che ha definito come livello successivo. Nuovamente il plug a pompa viene sgonfiato, prima di essere rimosso da dentro di lei, in un sollievo che però non è destinato a durata alcuna. Infatti, subito della plastica fredda prende il posto di quel lattice elastico che, quantomeno, ormai aveva raggiunto una temperatura gradevole. Lentamente le interiora di lei vengono irrorare di liquido anche esso freddo, un clistere che non viene in alcun modo reso confortevole. Anzi, la pressione dentro di lei continua ad aumentare, violenta, e allo stesso modo inizia, leggermente a gonfiarsi la pancia della ragazza. ‘Non ti azzardare a emettere niente fino a che non ti avrò detto che puoi farlo’ ordina, con un tono tanto piatto e normale da risultare disarmante. A nulla valgono le richieste di pietà della ragazza, lei ancora non ha capito chi abbia realmente di fronte, di cosa sia capace quella persona e che questo è solo l’inizio, l’umiliazione e il dolore servono a piegarla, a distruggerne lo spirito, così che ella sia pronta poi ad accettare tutto quello che seguirà, meno doloroso, ma non per questo più semplice da accettare, anzi. Il plug a pompa viene posizionato in maniera da essere facilmente raggiungibile. Lo scambio viene effettuato in un attimo, e la perdita di liquido è pressoché nulla. Il plug riprende quindi il suo posto e viene pompato un paio di volte, giusto per assicurarsi che resti li, come una guarnizione a pressione, trattenendo tutto dentro la ragazza, aumentandone il fastidio il dolore e l’umiliazione. Lui a questo punto, lascia la stanza. Non ha altro da fare con lei per almeno un’ora. Sorride, sa che sta soffrendo e chiude dietro di se la porta, a chiave; le corde sono sicure, ma non si sa mai, meglio essere pronti a tutto. Questo, lo sa, è il momento più pericoloso. Se lei mai dovesse liberarsi e arrivare, che so, a prendere un coltello dalla cucina, lo aprirebbe dal pube al collo, lo sa. Nulla è lasciato al caso, ogni stanza è chiusa a chiave e le chiavi sono tutte a dosso a lui. Nel suo studio, una stanza arredata finemente, si mette a sedere di fronte al computer. Non molti ci pensano, ma gli aguzzini hanno di che studiare, e molto. Le ricerche che sta facendo sono per la ragazza chiusa nell’altra stanza, vuole trovare qualcosa di nuovo e creativo ma che, in nessuno modo, possa essere invasivo. In generale non ama rovinare le ragazze, non subito almeno, anche perché per loro ha progetti pubblici e non possono avere segni fisici a dosso. Quello di quello che fa ne parleremo poi. La ragazza intanto è rimasta sola, a crogiolarsi nel dolore e nel fastidio di dover espletare senza avere alcuna possibilità di farlo. E nulla valgono gli urli, del resto non le ha rimesso la ball gag e nemmeno gli strattoni dati alle corde. Si tratta di funi spesse, di quelle usate in mare, e tutto quello che può ottenere sono bruciature e abrasioni nei punti in cui è legata. Può vedersi, lei, riflessa nel mosaico delle telecamere, da tutte le possibili angolazioni, può vedere come la vedono da fuori, come sia umiliante la posizione e quello che le stanno facendo, come sia patetica nel modo in cui si contorce. Anche lui la può vedere dallo schermo del pc, anche senza essere nella stanza lui la controlla. In sua assenza sorride lieto di quello che vede, potendo lasciarsi andare un po’ quando lei non lo vede ed è sicuro che sia così. E nella sua mente prepara il resto.

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