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Racconti di Dominazione

La superiora

By 2 Febbraio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

La Superiora
Ho sposato una donna molto devota. Abbiamo avuto due figli, ma il nostro matrimonio non &egrave stato certo felice.
Ad esempio nell’intimità: sono una persona molto fantasiosa in campo sessuale e mi sarei aspettato che mia moglie lo fosse altrettanto. Speravo che il nostro menage l’avesse avuto fatta cambiare, invece niente.
I nostri rapporti sessuali erano rari, condotti sempre allo stesso modo e non certo per colpa mia. Qualche volta che le avevo proposto una mia fantasia, s’era rifiutata.
Per quieto vivere, o per i figli, come ipocritamente si dice, ho lasciato correre.
Fino a quando non ho conosciuto Marisa.
E’ avvenuto due anni fa. Eccovi la storia.
Nel suo fervore religioso mia moglie raccoglieva abiti da inviare nei paesi del terzo mondo tramite le suore Consolatrici che hanno un convento nella nostra città.
Un giorno mi pregò di accompagnarla.
‘Conoscerai Suor Maria Devota, superiora del convento. E’ una suora molto pia, una santa direi. Inoltre &egrave molto efficiente, dirige quel convento come un capitano d’industria”mi disse.
Capirai quanto me ne frega, pensai.
Giunti al convento, fummo introdotti da una suora in un piccolo ufficio nell’attesa della madre.
Mi sarei aspettato una di quelle suore vecchie e brutte, invece n’entrò una che non mancò di attrarre la mia attenzione.
Non era vecchia, innanzitutto. E’ difficile stabilire l’età di una persona che indossa un abito particolare e non certo elegante, il volto rinchiuso nel soggolo; avrà avuto, suppongo, una quarantina d’anni, minuta e gracile.
Non era bella: naturalmente vale quanto ho detto a proposito dell’età, ma era interessante. Quel volto esprimeva un dilemma interiore. Era di un pallore quasi preoccupante e quelle bende che lo circondavano, bianche anch’esse, lo esaltavano. La bocca piccola, un naso affilato. Gli occhi di un marrone languido.
Una piccola ciocca di capelli ribelli usciva dal velo frontale; mi venne naturale l’accostamento alla monaca di Monza dei ‘Promessi Sposi’.
Le mani piccole, ossute, bianche, quasi diafane, lasciavano intravedere l’azzurrino dei capillari.
La fissai attentamente e la sentii imbarazzata.
‘Reverenda madre’cominciò mia moglie’la rivedo con tanto piacere. Le presento mio marito, dottor Alessio Guidi’
‘Molto contenta di conoscerla, dottore’la sua voce era sottile come lei, ma decisa’pregherò affinché il Signore vegli su di lei e sulla sua cara famiglia’
‘Grazie, reverenda madre”feci ossequioso.
Il nostro colloquio si limitò a questo. Forse la superiora era imbarazzata della mia presenza, forse non si aspettava la mia visita. Prese a parlare con mia moglie di questioni organizzative circa la spedizione degli indumenti raccolti.
Io frattanto osservai l’ufficio, molto spartano. Un tavolo pesante che fungeva da scrivania, quattro sedie probabilmente centenarie, un armadio addossato ad una parete. Sulla sua testa una mensola molto robusta, retta da staffe sproporzionate.
Un arredamento che poteva essere definito di stile gotico. L’ufficio era alquanto buio.
Non potei non avere fantasie di tipo sadico. Pensai ad una camera di tortura dove povere suore erano violentate e tormentate alla presenza di violenti inquisitori.
Ebbi un’imbarazzante erezione, mi affrettai quindi a togliermi dalla mente quei pensieri, sperando che non si notasse.
La superiore ci offrì un the annacquato, ma con biscotti fatti dalle consorelle, veramente buoni.
Sul finire del colloquio mia moglie chiese di un libro che la superiora le aveva promesso.
‘Mi perdoni, signora’si scusò la suora’non l’ho ancora. Può mandare qualcuno in settimana. Certamente glielo renderò disponibile’.
Ci alzammo, lei baciò mia moglie. Come accidenti si saluta una suora?
Le tesi la mano e qui vidi una cosa che mi turbò.
Nel tendermi la sua quasi tutto il sottile avambraccio fuoriuscì dal saio. Un po’ più sopra del polso c’era un oggetto metallico a forma di bracciale con delle punte che le entravano nella carne.
Sopra e sotto il bracciale la carne era rossa, infiammata.
Rimasi bloccato a quella vista. Lei se n’avvide ed immediatamente si coprì il braccio.
Tornando a casa ne parlai con mia moglie, la quale mi diede conferma di quanto supponevo.
‘Si’disse’era proprio un cilicio, anche io l’ho notato’
‘Poverette, ma non si usavano nel medioevo queste cose?’
‘Molti cattolici, suore o no, lo usano come strumento di penitenza’
‘Pensa te, nel duemila”
‘Nella tua miscredenza’si arrabbiò mia moglie’certe cose non le puoi comprendere. Cercano l’espiazione dei peccati e così come Cristo ha sofferto per noi”
‘Va bene, va bene, ho capito, risparmiami il sermone e quello che sta scritto nei tuoi libri sacri’
Mia moglie non si risentì delle ultime parole perché stava per chiedermi un favore.
‘A proposito di libri. Ti andrebbe di passare venerdì dalla superiora a ritirare quello promessomi? Mi faresti un gran favore’
In una situazione normale avrei accettato di malavoglia, ma stavolta sentivo in me un’attrazione verso quella suora e verso quel convento. Non era, come avrete capito, un interesse di tipo sessuale, la suora mancava decisamente d’ogni sex appeal, era qualcos’altro. Forse un desiderio che sconfinava nel sadismo, una curiosità morbosa, un volere violare la sacralità di un luogo e di una persona.
Per cui risposi affermativamente alla richiesta.
Nel corso della settimana ripensai più volte alla suora, eccitandomi.
Fantasticai sulla minutezza del suo corpo, su quel pallore che se per la suora poteva costituire un baluardo, una difesa, in me invece aumentavano il desiderio di trasgressione fino al parossismo.
Il venerdì rivarcai quella soglia con tanta emozione dentro.
Fui riammesso in quella sala e di lì a poco entrò suor Maria Devota.
Il saluto fu molto cordiale.
‘La rivedo volentieri dottore’sorrise la suora’che il Signore vegli su lei’
‘La ringrazio, madre molto reverenda. Mia moglie mi ha pregato”
‘Certo, certo’ho capito. Le prendo subito il libro, ma prima le posso offrire un the?’
Accettai. Desideravo stare in quel posto e con quella donna il più a lungo possibile.
Mentre veniva preparato il the parlammo della mia famiglia, del papa e d’altri argomenti.
Lei sorrideva, ma mi accorsi che quel sorriso talvolta era sprezzante, talvolta ironico oppure camuffava una rabbia. Era nervosa, questo si, non abituata a parlare con uomini che non fossero dei religiosi, pensai.
Mi guadava a volte le mani che avevo grosse ed irsute e che confrontate colle sue sembravano enormi.
In fondo, pensai, anche lei &egrave una femmina. Chissà che non stia scacciando, con tutte le sue forze, qualche tentazione..
Prendemmo il the con i biscotti come l’altra volta, poi lei aprì quel grosso armadio dove erano alcuni libri.
Essendo collocati in alto si allungo ed inavvertitamente fece cadere una cosa a forma di fune.
Mi piegai a raccoglierlo, ma lei molto prontamente, quasi con sgarbo mi anticipò, riponendolo subito nell’armadio che chiuse dopo aver preso il libro.
La guardai interrogativamente e lei arrossì.
‘Questo &egrave il libro per sua moglie”’disse imbarazzata.
La ringraziai e lei con molta risolutezza mi congedò non senza prima di aver invocato la benedizione di Dio ecc.ecc.
Uscendo feci il punto della situazione su quello che era accaduto in quella mezz’ora.
Innanzi tutto quell’oggetto: non l’avevo ben visto perché la suora si era precipitata a raccoglierlo. A me era sembrata una sorta di frusta. Quindi cilici e fruste in quel convento. C’era di che far lavorare la fantasia.
Ed infatti nei giorni seguenti essa galoppò.
Sognavo d’inquisizione, suore violentate e torturate, tutte fantasie sadiche.
Quella superiora mi conturbava. Era come se in una certa misura lei volesse evidenziare quest’aspetto del dolore fisico e trasportarlo in una sfera sessuale. Forse in questo modo realizzava la sua sessualità col vantaggio di esprimerla senza il sospetto del peccato, anzi come una cosa meritoria. Insomma il tipico atteggiamento del masochista. Il fatto era che ad ogni masochista deve corrispondere un sadico, ed in quella circostanza fantasticavo d’essere io il suo carnefice.
Io stesso mi facevo delle colpe; sapevo di aver avuto sempre questo genere di fantasie, ma ora che mi si presentava un caso reale queste mi preoccupavano.
Mi capitò nei giorni successivi di fare delle passeggiate e, come guidato dall’istinto, mi ritrovavo nei pressi del convento senza neanche sapere come c’ero capitato.
Circa una settimana dopo avvenne l’episodio che cambiò la mia vita.
Era di giovedì ed io ero appena arrivato dal lavoro. Avevo il pomeriggio libero. Non so a quale funzione fosse andata mia moglie e così decisi di uscire.
Il tempo era nuvoloso, presi l’ombrello. Andai compulsivamente verso il convento, anche se non sapevo a fare cosa. Presi un caff&egrave in un bar a cento metri da questo. Quando uscii scoppiò il temporale. Ritornai dentro; nonostante avessi l’ombrello sarebbe stato sciocco affrontare quel diluvio.
Guardai fuori della vetrina, quando la vidi.
Arrivava da piazza Roma rasentando i muri per non bagnarsi, ma pensai che oramai fosse fradicia di pioggia. I piedi, in sandali aperti e senza calze, guazzavano nelle pozzanghere.
Uscii di corsa con l’ombrello per andarle incontro. La raggiunsi, mi riconobbe.
‘Benedetta Madre’dissi’con questo tempo! Vuole buscarsi una bronchite? Venga, ripariamoci in quest’androne’.
La spinsi attraverso il portone di un palazzo antico.
‘La ringrazio, dottore’disse’effettivamente non avevo pensato al tempo. In ogni modo cosa vuole che sia un po’ di pioggia! E’ un dono di Dio, no? Se penso alle nostre missionarie che affrontano altri pericoli”
‘Lasci stare le missionarie e pensi a ripararsi. Vede? Sembra che la pioggia stia scemando d’intensità’
‘E’ vero. Allora sarà meglio che vada’
‘Dove vuole andare ?’.Aspetti che l’accompagno’
Aprii l’ombrello e la accompagnai al convento.
Dopo essere arrivati stavo per salutarla, ma avevo notato, ora che eravamo al riparo, che la suora aveva un’aria più grave del solito.
‘Qualcosa non va, Madre?’
‘Lei non potrebbe capirmi, ma, visto che &egrave stato così gentile, venga le offrirò un qualcosa di caldo’
Mi ritrovai cosi per la terza volta in quello stanzone gotico, in quell’immaginata camera di tortura.
La superiora mi chiese licenza per cambiarsi il saio e tornò dopo cinque minuti indossando una tonaca asciutta.
Era molto seria, per cui, forse con un po’ di faccia tosta, le chiesi di nuovo cosa fosse che non andasse.
‘Sono andata in vescovado oggi’rispose con gravità’ha letto di quel gruppo di cristiani massacrati a Timor? Poverette..quelle donne’prima stuprate poi seviziate, uccise. Che Dio abbia pietà di loro. Quello che mi consola &egrave che adesso staranno a fianco a lui in paradiso’
‘Si, ho letto’risposi’&egrave davvero atroce. Solo che lei, madre, lo ha sentito più intensamente di me’
‘Non si tratta solo di questo.Soffro al pensiero che io non sarei capace di affrontare i tormenti che hanno sofferto loro. Non sono degna di loro. Sa, noi abbiamo un gruppo di consorelle missionarie da quando &egrave stato fondato l’ordine nel 1765, io non sono mai stata capace di andare in missione, anche se lo desidero tanto’.
Mentre diceva queste parole s’incupiva sempre di più.
Provai a consolarla con frasi di circostanza.
‘Madre, anche qui la sua presenza &egrave preziosa..’.
Lei ebbe uno scatto d’ira appena contenuto. Mi guardo con rabbia, anche se immediatamente mutò lo sguardo in qualcosa di più ironico.
‘No, non sono degna di indossare quest’abito. Devo affrontare il sacrificio e, se del caso, morire per nostro Signore’
Cominciavo a dubitare della sanità mentale di quella suora, quando lei, come per sfida, si diresse verso quell’armadio che aprì traendone un librone che mi sembrò antico.
Lo mise sul tavolo di fronte a me in modo che potessi leggerne il titolo:
‘Reverendo ordine delle Suore Consolatrici. Atti dalle missioni’.
‘Lo sfogli pure e capirà”mi disse
Lo cominciai a sfogliare; dapprima pagine scritte molto fittamente, talvolta in latino, poi degli elenchi di nomi, infine cominciarono delle figure disegnate a mano con stile gotico e didascalie.
Erano figure in cui veniva illustrato il tormento a cui erano state sottoposte alcune suore in modo molto realistico.
C’era una certa sorella Clelia impalata e lasciata agonizzante, una suor Clotilde che subiva una violenza sessuale dove gli organi erano bene in vista, due suore crocifisse nude, una arsa viva ecc.
‘Questi disegni sono stati eseguiti dal padre Ignacio De la Sura che ha assistito nel 1780 ad una persecuzione nell’isola di Giava e ha riportato i supplizi a cui le povere consorelle sono state sottoposte”disse la superiora quasi in lacrime.
Quello che mi aveva colpito di quei disegni, più che il fatto in se, erano il realismo e l’esibizione di organi sessuali e delle nudità. Era come se il disegnatore, partendo da un massacro di per se orripilante, volesse sfruttarlo, evidenziandolo ed ingigantendolo non per fini propagandistici pro-fide ma a scopi sessuali, forse inavvertitamente.
In altri termini quelle figure, lungi dal suscitare l’esecrazione per quelle violenze, parevano invece destinate a cultori del sado masochismo.
Infatti, la sensazione che mi lasciarono fu di piena, totale eccitazione.
La suora ebbe uno scoppio di pianto, invocando quelle sorelle e presentando ancora una volta il fatto che lei non era capace ecc.ecc.
Non mi trattenni più. Non so cosa mi successe, ma fu più forte di me.
Afferrai per un braccio la suora e, spostando il saio le scoprii l’avambraccio dove c’era il cilicio.
Lei smise quello sguardo ironico che era una sua caratteristica, diventando umile e timorosa.
‘Cosa..cosa’mugolò’vuole fare?’
‘Vuol soffrire?’risposi arrogantemente’ora la sistemo io’
Mentre andavo verso la porta di quella stanza per chiuderla a chiave, ero fuori di me. Il mio lato sadico aveva preso il pieno possesso di me stesso.
La suora era rimasta sul posto, nell’atteggiamento di un pulcino che ha perso la chioccia.
Quando la afferrai sentii tutta la sua magrezza. Quella fragilità mi eccitò ulteriormente.
Le strappai la tonaca dalle spalle, scoprendo la pelle bianca e sottilissima. Notai delle striature rosse, come se essa stessa si fosse inflitta qualche fustigazione, probabilmente con quella frusta che aveva nell’armadio. Una fascia bianca trasversale fungeva da reggiseno. Le strappai pure quella.
La suora era incapace di parlare o di reagire. Mi lasciava fare, passivamente. Inconsciamente, supposi, desiderava quella violenza.
Le abbassai la tonaca anche sul busto, scoprendo due piccoli seni come il latte ai lati di uno sterno scheletrico. I capezzoli erano di un tenue marrone.
Le sciolsi la corda che le cingeva il fianco e che era una caratteristica dell’ordine. Con quella le legai le mani.
Ebbe un gesto doloroso ed un fremito quando tesi la corda su quei polsi flebili che si arrossarono all’istante.
Mi guardava con aria interrogativa, mentre facevo passare quel tratto di corda che avanzava, in un foro di quella mensola sopra la sua testa.
Tirai la corda, quelle braccine si tesero allo spasimo, il petto ed il seno si ersero. Lei si era abbandonata, era solo la corda che la reggeva.
Adesso era in mia completa merc&egrave, appesa, in una posizione di piena acquiescenza.
Le avevo tolto il cappuccio, lasciandole solo il soggolo che le bendava la gola, la faccia, la fronte.
Andai all’armadio e presi quella frusta. La soppesai. In realtà era quasi una frusta giocattolo buona più che altro da usare come finzione.
Scelsi allora la cinghia dei miei pantaloni, di cuoio nero.
Le diedi un primo colpo su quella schiena bianca. Un colpo d’assaggio. Lei mugolò, la schiena si fece rossa.
Il secondo colpo fu più forte, lei emise quasi un grido.
Presi allora quella fascia che le aveva cinto il seno e con quella la imbavagliai.
Il terzo ed il quarto colpo furono ancora più forti. Lei gridò, ma il bavaglio soffocò le grida.
Mi guardava implorante con gli occhi da fuori, ma io continuai. Altri tre colpi.
Ad ogni colpo oltre che gridare si contorceva, cercando di ripararsi. La schiena era in fiamme. Le mani si stringevano a pugno sopra i legami.
Volli verificare una mia ipotesi. Le abbassai la parte inferiore della tonaca.
Le gambe erano infilate il calze di lana grezza, legate con due fettucce nere sulla coscia.
Sopra quei legacci la coscia era nuda e parimenti bianca.
Le mutandine erano bianche, grosse, di cotone grezzo. Le spostai e scoprii un pube minuscolo con peli neri e ricci.
Introdussi un dito ed ebbi conferma: la sgualdrina era bagnatissima.
Andai su e giù col dito e lei gemette, di piacere. Gli occhi avevano cambiato espressione, adesso mostravano piacere.
‘Sgualdrina’oramai ero fuori di me dall’eccitazione’cagna..ti piace eh? ..eccome se ti piace..’
Ripresi la cinghia e le assestai altri tre colpi forti. Non gridava più tanto.
Alternai frustate a carezze sulla vagina.
Quando mi accorsi che stava per venire le tolsi il bavaglio. Continuando a tenerle il dito dentro. Venne con un orgasmo spaventoso, torcendo il bacino, le mani e braccia che pendevano legate dalla mensola, emettendo grida inarticolate che attutii tenendole la mia mano libera sulla bocca.
Quindi la slegai e la adagiai sul tavolo.
Adesso dovevo pensare a me, alla mia erezione spaventosa.
La feci scivolare dal tavolo, il seno appoggiato su esso, i piedi per terra ed il deretano verso di me.
La presi da dietro, in quella vagina fradicia di umori, dandole morsi sul collo e sussurrandole oscenità nell’orecchio.
La penetrazione non fu proprio immediata, la suora penso fosse vergine. La vagina comunque era ben lubrificata. Lei ebbe un sussulto solo quando la deflorai.
Mi lasciava fare, ma partecipava dimenandosi. Oramai era completamente succube mia.
Venni trattenendo le grida di piacere con la bocca sul suo collo.
Non posso giurarlo ma penso che anche lei riebbe l’orgasmo.
Mi ricomposi, l’aiutai a ricomporsi non prima di farle degli impacchi con acqua tiepida sulle cinghiate, quasi amorevolmente.
Lei non diceva niente, sembrava diversa, come se le si fosse rivelato qualcosa.
Me n’andai, non so cosa fece, ma in quel convento ci ritornai e per fare sempre la stessa cosa.
Dopo un mese, con molta coerenza, lasciò l’ordine. Nel frattempo eravamo entrati in confidenza. Disse di chiamarsi Marisa e mi raccontò tanto sulla sua vita.
Andammo a vivere assieme, in una casetta non distante dal convento. Avemmo un’ottima intesa sessuale. Lei aveva orgasmi a ripetizione ogni qualvolta la torturavo.
Comprammo fruste, collari, cinghie. Lei stessa li sceglieva e, subito a casa, voleva provarli.
Orgogliosamente si offriva, mentre la legavo pesantemente, la sospendevo o la frustavo.
Cominciammo anche a pubblicare foto che giornali S/M ci pagano a peso d’oro.

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