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La trasformazione di Jennifer – Cap.19

By 8 Maggio 2020No Comments

Amilcare dopo essersi divertito con i due nuovi acquisti, li lasciò ai dipendenti perché li usassero per gli scopi per cui li aveva presi. Latrina e Cesso sarebbero stati usati da tutti come il nome che portavano e sarebbero stati anche usati per sfogare tutti gli istinti animali che potessero avere. Inoltre aveva deciso per Latrina una bella dieta per renderla ancor più appetibile. Avrebbe poi sfruttato le sue tette per divertirsi. Voleva prenderle a calci, ma non era ancora il momento. Il pomeriggio sarebbe stato dedicato a Jennifer. Aveva promesso alla sua cricca di portarla in modo che tutti potessero divertirsi. Alcuni erano peggio di lui. Sogghignò fra sé.

Prese quindi Jennifer e lasciò Carla con Dingo che poverino doveva divertirsi un po’, e i due nuovi acquisti ai dipendenti. Michele e Giovanni erano di riposo. Marco tornò al lavoro.

La fece salire nel baule posteriore del suo SUV e si avviò verso la meta, che era un vecchio capannone che lui e i suoi amici avevano riadattato, facendone una specie di arena dove al centro ogni volta c’era una schiava o uno schiavo con cui ognuno si poteva divertire. Il primo che si era prenotato era stato un vecchio amico di Amilcare, un medico, molto sadico. Amilcare pregustava già i dolori che avrebbe subito quella cagna che aveva dietro.

Arrivati scesero, con lei bellissima, con quegli occhioni turchesi e i capelli neri raccolti a coda di cavallo, che camminava carponi con il suo bel sedere tondo e tornito come la Pietà di Michelangelo. Il suo bellissimo e prorompente seno di 23enne sodo incorniciava quel fisico che faceva fischiare ogni maschio. Entrarono in quel posto buio, Jennifer non capiva dove fossero, era solo freddo. Camminarono un po’ ancora e si accesero i fari. Vide una specie di arena con lei e Amilcare al centro e una ventina di uomini ad attendere. Tutti con il viso coperto come da un passamontagna. Anche Amilcare lo aveva indossato, ma poi parlò e disse:

          Eccovi la preda. Eccovi la schiava. Divertiamoci. Il primo sei tu Medico.

Questi scese, arrivò. Era forse un metro e sessantacinque, tarchiato, anziano, sui settanta anni. Occhi cattivi. Mani nodose e forti. Da medico. Ma di quelli che aggiustano le ossa. Si avvicinò ai due, guardò Jennifer e le diede un bello schiaffo di benvenuto. Lei sentì la guancia arrossarsi e bruciare, ma non disse niente, anche se una lacrima comparve negli occhi. Quelle mani nodose la presero da sotto le ascelle e la sollevarono appoggiandola sulla schiena a una tavola di marmo dura e fredda. Poi le mani di Amilcare e dell’altro la legarono in modo tale che non potesse muovere né le braccia né le gambe che erano aperte. Il Medico si avvicinò, la guardò e sorrise in modo cattivo, prese uno strofinaccio e glielo mise in bocca che chiuse con del nastro. Poi prese da una borsa degli anelli e degli aghi, si avvicinò al suo capezzolo destro, lo prese, lo strinse e con un colpo secco entrò con l’ago. Jennifer urlò ma il suono rimase dentro di lei. Piangeva a dirotto, ma quello senza pietà inserì l’anello. Fece lo stesso con il capezzolo sinistro. Poi guardò le labbra vaginali, con le sue dita le manipolò, scelse il punto e operò di nuovo così che Jennifer a questo punto aveva due anelli ai capezzoli e due anelli alle labbra vaginali. Amilcare gongolava nel vedere il dolore e la sofferenza sul viso di Jennifer. Il medico la liberò dalle corde, e le tolse il nastro e lo strofinaccio, ma lei non si muoveva, paralizzata dal dolore. Senza dire nulla, la prese per la coda di cavallo, la tirò con forza finchè lei non si mise in piedi. Prese la corda, la fece passare negli anelli dei capezzoli e legò la stessa a degli anelli al pavimento in modo che lei dovesse stare piegata a novanta gradi. Prese un’altra corda e fece la stessa cosa con le labbra vaginali. La posizione della poveretta era oscena, il dolore era acuto e le penetrava i gangli cerebrali. A questo punto fece scorrere una tavola sotto la pancia di Jennifer e tirò ancora un po’ le corde in modo tale da arcuare la schiena così che se avesse abbassato il bacino, avrebbe tirato i capezzoli e se avesse abbassato il busto avrebbe tirato le labbra. Il dolore era acutissimo. Non riusciva neanche ad urlare per il dolore, si sentiva soffocare dalle lacrime e dalla disperazione. Il medico, non contento, prese un bastone di legno che usava sulle sue prede, e cominciò a colpirla scientificamente in punti del corpo che la obbligavano a muoversi e quindi a tirare gli anelli in modo da provocarle ancora più dolore. La tortura proseguì per un tempo infinito per la povera Jennifer. Alla fine da dietro entrò nel suo bell’orifizio posteriore e la pompò per un buon tempo. Ogni colpo del Medico era un movimento di Jennifer e una sofferenza. Quell’uomo era brutale. Poi le venne dentro e uscì lasciandola sull’asse legata. Il secondo che scese, il CowBoy, non meno sadico, tirò fuori una bella frusta e si divertì a colpire i seni di Jennifer obbligandola a muoversi e a tirare sempre più la corda. I seni erano viola per le violenze subite, non sentiva neanche le grandi labbra. Soddisfatto del dolore che le aveva provocato, anche lui si orientò al suo bel didietro e la penetrò dando colpi duri d’anca facendola muovere e soffrire. Gli anelli le provocavano un dolore sempre acuto. Il terzo che scese, forse il peggiore nella sua memoria, fu l’Idraulico. Avvicinò al suo viso un catino d’acqua. Le si mise davanti, le prese la testa e l’abbassò dentro l’acqua. Si sentiva soffocare. Non respirava e gli anelli vaginali tiravano, il dolore, la paura e l’angoscia erano enormi. Poi la tirò fuori e respirò, ma con gran dolore al seno. Poi la ributtò dentro. Soffocava. Dolore. Respirava. Sono viva. Dolore. Soffocava. Angoscia. Dolore. Respirava. Sono viva. Soffocava. Dolore. Respirava. Sono viva. Dolore. Soffocava. Angoscia. Dolore. Respirava. Sono viva. Soffocava. Dolore. Respirava. Sono viva. Dolore. Soffocava. Angoscia. Dolore. Respirava. Sono viva. Soffocava. Dolore. Respirava. Sono viva. Dolore. Soffocava. Angoscia. Dolore. Respirava. Sono viva. Finalmente smise, si accomodò al posteriore e si soddisfò anche lui.

Tutti si divertirono a darle dolore. L’ultimo fu Amilcare. Che non le fece nulla, se non incularla tenendola per la coda di cavallo e tirando verso l’alto il busto, in modo che le tette fossero tirate al massimo e il dolore inferto fosse il peggiore possibile. Aveva finito le lacrime e la voce. Anche lui come gli altri si scaricò.

Non soddisfatti però la slegarono e lei cadde per terra. Il Medico arrivò davanti a lei le fece aprire la bocca e gliela scopò duramente. Ma mentre faceva dentro e fuori fino alla gola, le dava dei begli schiaffoni. Le venne in gola e lei dovette ingoiare. Tutti le scoparono la bocca. Tutti mentre la scopavano la prendevano a sberle. Gli altri ridevano delle sue lacrime. Le vennero in bocca, in faccia, nei capelli…ovunque. Era una maschera di sperma traslucido. Ma finì. Vide Amilcare con la coda dell’occhio che riceveva il pagamento per il divertimento dei suoi amici. Riempì una borsa di soldi. Poi andò a prenderla, la prese per la coda di cavallo e la trascinò all’auto. Aprì il bagagliaio, la sollevò e buttò dentro come si fa con un sacco di patate. Non sentiva più niente. Né dolore, né angoscia, si sentiva svuotata.

Arrivarono e li aspettava Marco. Amilcare scese dal SUV aprì il bagagliaio, e trascinò fuori il corpo di Jennifer martoriato che cadde sul terreno freddo. Marco accorse. Amilcare lo guardò:

          Questi sono i soldi per te e la tua cagna. Ci siamo divertiti.

E senza altre parole salì in auto e se ne andò. Marco prese con le sue braccia forti la povera Jennifer e la borsa, la portò all’auto sua e poi a casa. A casa la curò con pomate e antidolorifici. Vide gli anelli, ma li aveva visti anche sul DarkWeb, perché quello spettacolo era andato in onda su una piattaforma online. Avevano guadagnato un sacco di soldi. Lui e lei. I venti animali avevano pagato molto per usarla. I mille animali sul darkweb avevano pagato abbastanza per vederla usata. Li chiamava animali, ma lui era come loro, forse. Quando si fu addormentata chiamò un suo amico medico, gliela fece vedere e gli chiese se si potevano togliere gli anelli. Il medico le fece una puntura di anestetizzante e glieli tolse. Era libera da quelle oscenità. Cominciava a tenerci a Jennifer, forse.

Intanto il vecchio sadico era tornato a casa e aveva trovato i suoi tre schiavi in ginocchio ad attenderlo. Questi erano stati abusati tutto il pomeriggio dai dipendenti. Carla era stata sfondata da Dingo per ore e il suo didietro era ormai logorato. Li guardò e chiese se avevano fame. I due nuovi dissero di si. Allora andò con loro in cucina, tirò fuori due ciotole le mise a scaldare nel forno a microonde. Poi prese dei pezzi di pane, li buttò dentro. Mise l’intruglio per terra e ordinò loro di lappare come i cani. Appena appoggiarono la lingua al liquido si accorsero che era piscio caldo. Schifoso. Ma dovettero berlo tutto. Quando ebbero finito, Amilcare si rivolse a Latrina:

          Adesso dobbiamo fare qualcosa per il tuo corpo. Sei sovrappeso come una vacca. Per cui dieta e ginnastica. Ma prima ti pesiamo così sappiamo quanto pesi oggi.

La portò alla bilancia e la pesò. Settantaquattrochili.

          Latrina sei grassa come una vacca, ma adesso ti metto a posto io!

A quegli insulti vide lei arrossire e Paolo eccitarsi. Pensò a quel punto con piacere come divertirsi con quei due. Chiese ai tre schiavi di seguirlo in palestra, e si avvicinò a una cyclette speciale. Era senza sellino, e al suo posto c’era un fallo di gomma che sarebbe entrato nel povero ano e nella fessura davanti. Paolo e Carla dovettero aiutare Marcella a mettersi sul sellino, posizionarono bene i due falli e li aiutarono a entrare. Era seduta su quei falli, ma piangeva per il male e l’umiliazione a cui era sottoposta. Amilcare si avvicinò:

          Adesso faccio partire il contatore elettronico. Tu farai un’ora continuata di cui 30 minuti in pianura e 30 minuti con una pendenza del 7%. Dovrai andare a 40 kmh sempre senza scendere al di sotto. Appena scendi ti frusterò e continuerò fino a quando non tornerai a 40. Voi due -rivolto a Carla e Paolo- invece me lo succhierete e tu Carla gli farai una bella sega. Tu Cesso non dovrai venire, se dovesse succedere sarai severamente punito. Bene cominciamo. Tu pedala Latrina

Marcella cominciò a pedalare e ricevette le frustate fino a quando non raggiunse i 40 all’ora. Era senza fiato, era faticosissimo e appena rallentava riceveva frustate dolorose che si sommavano al dolore continuo che i due falli le davano, poiché erano ben dentro di lei a causa dello sforzo che stava facendo. Nel frattempo vedeva il marito che faceva un pompino ad Amilcare con Carla, mentre quest’ultima lo masturbava ed era eccitatissimo. Lo odiava. Paolo invece vedeva la moglie usata in quel modo osceno, frustata e ripiena di membri seppur di gomma e non resisteva alle sapienti mani di Carla. Passò la prima mezz’ora e cominciò la salita. Marcella era stremata e piena di segni di frustate. Paolo era al limite e infatti pochi secondi dopo riempì il pavimento di schizzi ma dovette finire la pompa a Amilcare. Carla invece pulì il pavimento dagli schizzi con la lingua e Marcella ormai riceveva solo frustate perché non riusciva a mantenere la velocità. Amilcare riempì finalmente la bocca di Paolo che deglutì tutto senza fiatare. Era ancora eccitato e ben si vedeva vista l’erezione del suo piccolo e insignificante membro. Amilcare lo vedeva come uno sfigato. Gli disse di sedersi a gambe aperte. Carla pensò che ora lo avrebbe preso a calci, ma invece lui continuò a frustare Latrina e salì sul pene eretto di Paolo e schiacciò sotto il tacco di cuoio della scarpa i sui testicoli. Lanciò un urlo di dolore e le lacrime sgorgarono. Ma più urlava più quel sadico appoggiava il proprio peso e schiacciava i testicoli dell’uomo. In quel momento la scena era questa:

1)       Latrina pedalava ansimando come un treno degli anni 20, mentre riceveva frustate su tutto il corpo senza badare al dove

2)       Paolo era seduto per terra con sopra i testicoli una scarpa del sadico frustatore che si divertiva ad appoggiare il proprio peso su quella gamba per dare forza alla frustata.

3)       Carla era indaffarata a leccare l’ano di Amilcare, che si stava veramente godendo il momento

Finalmente l’ora finì e Latrina potè interrompere la pedalata. Era esausta e sudata. Aveva sete e fame. Ma il vecchio la prese per i capelli, la fece scendere a forza strappandola dai due falli, la mise in ginocchio e le ordinò:

          Succhiamelo – e con la coda dell’occhio vide ancora in Paolo un barlume di eccitazione, gli piaceva veramente vedere la moglie usata e abusata da quell’aguzzino – tu Carla invece devi dargli un po’ di calci nei testicoli, vedo che gli piace

Carla lo prese, lo portò al palo, lo legò e cominciò a prenderlo a calci. Amilcare disse a Marcella:

          Prima mi fai venire prima smetteremo di prenderlo a calci…vedi tu

Marcella cominciò a fargli un pompino, ma quello era troppo esperto e aduso a quelle pratiche e ci mise tanto tempo prima di riuscire a farlo godere. Quando fu vide il marito che penzolava semisvenuto. Carla aveva fatto un buon lavoro. Paolo fu lasciato legato al palo tutta la notte. Marcella dormì per terra legata con un guinzaglio al muro e un fallo di gomma dietro e uno davanti, con le mani legate dietro la schiena dalle manette. Amilcare si dilettò ancora un po’ con Carla, a cui propinò un po’ di frustate sempre meritate e poi dormì.

La mattina Jennifer si risvegliò su una soffice branda di fianco al letto del suo padrone. Non era nella solita cuccia. Era piena di dolori, ma notò che non aveva più gli anelli. Come un riflesso condizionato, andò a svegliare il suo padrone con il pompino del buongiorno e con la coda dell’occhio vide la valigetta piena di soldi e capì che li aveva guadagnati la sera prima. Fu fiera di sè stessa. Sapeva che il suo padrone era fiero di lei. Lo succhiò con tutta la sua passione e Marco la ricambiò con un piacere esplosivo. Il piacere di Marco si trasmise a lei che ebbe un orgasmo pieno ed assoluto. Tremò di piacere e sorrise felice. Lui la prese e la strinse a sè. Senza parole.

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