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Racconti di Dominazione

Le Verità Nascoste

By 7 Dicembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Ciao amore!’
Anna mi venne incontro appena richiusi la porta dietro di me. Ero stravolta dalla giornata di lavoro e mi lasciai andare nel suo abbraccio, inspirando profondamente il profumo dei suoi capelli, della sua pelle. ‘Allora, gliel’hai detto?’. A quella domanda mi si strinse il cuore.
‘No, non ancora’. Come potevo intavolare il discorso? Non potevo andare da mia madre e dirle semplicemente: ehi, sai, sono bisessuale, in questo periodo sto con la mia coinquilina. ‘Dopo le feste gliene parlerò. Sai quanto ci tengono al natale, non posso rovinarglielo’.
‘Si, certo! Ma speravo di passare il capodanno insieme a te senza dover tenere nascosti i nostri sentimenti, Greta’ disse mentre tornava verso i fornelli dove stava preparando la cena. La seguì con lo sguardo mentre sistemavo il cappotto e la borsa nell’ingresso. Sapevo che Anna era paziente e avrebbe aspettato i miei tempi, ma non riuscivo a non sentirmi in colpa per quella situazione imbarazzante. D’altro canto non potevo nemmeno urlare al mondo di quel segreto che stavo custodendo tanto gelosamente. Mi sarei sentita un’emarginata più di quanto non fossi già.
Sospirai mentre ero immersa in questi confusi pensieri e andai ad aiutare Anna a preparare la tavola. Dopo cena andammo a coricarci insieme, abbracciandoci l’una all’altra come facevamo sempre da due mesi a questa parte. Provai inutilmente a prendere sonno per un paio d’ore, ma mi sentivo addosso un’inquietudine che non avrei saputo spiegare. Mi agitai nel letto. ‘Tesoro, cosa c’è che non va?’ bisbigliò Anna, risvegliata dalla mia agitazione, la voce impastata dal sonno.
‘Non riesco a dormire. Non volevo svegliarti, perdonami’.
‘Oh, non ti devi scusare, amore’ mi sorrise nel buio della stanza, passandomi una mano tra i capelli. ‘Forse dovrei aiutarti a dimenticare certe preoccupazioni’. Iniziò a baciarmi il viso, le labbra, mentre sentivo scorrere la sua mano sul mio seno, giù lungo il fianco, fino ad arrivare tra le gambe. Ricambiai i suoi baci, accarezzandole la schiena e mi voltai supina, lasciandola venire su di me, in modo che i suoi baci potessero scendere dal viso, al collo, ai seni. Ansimai quando la sua lingua esperta sfiorò le mie piccole labbra. Quando infine raggiunsi il piacere, Anna tornò ad abbracciarmi e si riaddormentò senza fatica. Mentre finalmente anche io stavo per cedere al sonno, notai un luccichio fuori dalla finestra. Che sciocca, mi ero dimenticata di chiudere le imposte. Pensai di andare a controllare, ma la stanchezza prese il sopravvento e poi chi poteva mai disturbarci nella quiete di campagna?

Mi svegliai alle prime luci dell’alba. Anna mugugnò qualche lamento tirandosi le coperte sul viso, intanto io accostavo le imposte, facendo ricadere la stanza nella penombra, poi tornai verso il letto e diedi un bacio sulla fronte di Anna. ‘Dormi ancora un po’, penso io alla colazione’.
Mentre preparavo il caffè e un paio di brioche ripensai allo strano luccichio che avevo notato durante la notte. Probabilmente si era trattato di un semplice gioco di luci con il vetro della finestra. Portai il caffè e un cornetto ad Anna, ancora rannicchiata nel letto e mi preparai per andare al lavoro.
Arrivata in ufficio notai un via-vai più caotico del solito. Sospirai quando vidi un discreto numero di facce nuove. Sarebbe stata una giornata pesante.
‘E’ arrivata un po’ di carne fresca, Greta’. Mi voltai nel sentire la voce alle mie spalle.
‘Ciao Max’ salutai il mio coordinatore con la solita finta allegria. Ero una brava attrice, in fondo. Mascheravo bene la tristezza di quel periodo. ‘Ho notato. Oggi ci sarà parecchio lavoro’.
‘Spero non ti dispiaccia fermarti dopo la fine del turno. Ci sono degli argomenti da discutere’.
Dentro di me sperai si trattasse del ruolo da formatrice che si era liberato. Avrei avuto turni stabili e un carico di lavoro meno pressante. ‘Non c’è problema’ risposi.
Come avevo previsto le otto ore che passarono con i nuovi ragazzi da aiutare sembrarono interminabili. Quando finalmente scattarono le 18, salutai tutti, rimanendo ad aspettare Max, che nel frattempo stava discutendo di alcune pratiche con un altro dei miei superiori. Quando si congedarono, il coordinatore si rivolse a me: ‘Precedimi in sala riunioni, io finisco di inviare i dati e spengo il PC’.
‘Nessun problema, ti aspetto nella saletta piccola o in quella grande?’
‘Quella piccola va benissimo, siamo solo noi due’
Entrai nella stanzetta e rimasi immobile con un groppo alla gola, dimenticando quasi di respirare mentre vedevo il video proiettato sulla parete opposta. Qualcuno aveva ripreso me e Anna, ieri sera. Mi sentì spingere da dietro e Max entrò a sua volta, richiudendo la porta a chiave dietro di sé. Mi voltai, portandomi le mani davanti al volto in fiamme per la vergogna. ‘Che sbadato, l’ho dimenticato acceso! Per fortuna siamo gli unici ad aver usato questa sala oggi! Non credi?’ così dicendo, mi afferrò per le braccia, voltandomi di nuovo verso il video. ‘Guarda!’ ordinò. Alzai lo sguardo, cercando nel frattempo di riordinare i pensieri, capire quello che stava succedendo.
‘Da non credere come possa essere diversa un persona quando la conosci fuori da qui, vero?’
Deglutì. ‘Max, ti prego… perché mi stai facendo questo?’ Ero sull’orlo delle lacrime. Se altri in ufficio avessero visto quelle riprese… le voci sarebbero potute arrivare fino ai miei genitori, senza contare tutte le reazioni che avrebbero potuto avere i colleghi stessi.
Max si mise a ridere prima di rispondere ‘Ma come perché, non te lo immagini? Sono tre anni che fai la misteriosa e introversa ragazza santarellina, tutti gli uomini qui dentro ti vorrebbero saltare addosso per scoprire cosa nascondono le tue gonne lunghe e i maglioni larghi’. Mi fece voltare di nuovo verso di lui, passando un braccio dietro la schiena, bloccandomi le braccia, mentre con l’altra mano mi afferrò il mento, alzandomi il viso e obbligandomi a guardarlo. ‘Adesso ascoltami bene, non mi ripeterò. So che vuoi il posto da formatrice e ti prometto che sarà tuo, in fondo te lo meriti. In cambio però dovrai assecondare ogni mio desiderio ed eseguire ogni mio ordine. A garanzia della tua obbedienza io terrò questo video. Nel malaugurato caso in cui tu ti rifiutassi di obbedirmi… avrò un buon film da proiettare a tutti i tuoi colleghi. Ovviamente lo vedranno anche nel caso in cui tu ora non dovessi accettare questa innocente proposta. Sono stato chiaro?’
Sentivo quasi cedermi le gambe. Come potevo essere caduta in una situazione del genere? ‘S..si. Chiaro’. Abbassai lo sguardo nel rispondergli. Mi sentivo totalmente impotente. Mi sentivo ancora di più in colpa verso Anna. Se il video fosse girato, anche lei avrebbe fatto la figura della sgualdrina.
‘Da adesso devi chiamarmi Padrone. Ti concedo come eccezione l’orario lavorativo, di fronte ai colleghi e ai nuovi ingressi da formare. Ora spogliati’. Con un brusco gesto mi allontanò ad un passo da lui, che incrociò le braccia e rimase ad osservarmi, in attesa.
Lo guardai implorante, mordendomi il labbro e scuotendo involontariamente il capo. Erano ormai due anni che non mi facevo vedere nuda da un uomo e provavo un profondo senso di vergogna e di umiliazione per il modo in cui tutto stava per succedere. Un violento schiaffo mi raggiunse la guancia durante il mio gesto. ‘Non hai nessun diritto di rifiutarti, a meno che tu non voglia rendere il video di dominio pubblico’ mi ringhiò contro Max. Alla minaccia mi rassegnai, sperando che si accontentasse di quello spettacolo, almeno per oggi. Avrei pensato poi a cosa fare. Lentamente sfilai il maglione, la gonna e gli stivali, rimanendo con addosso solo l’intimo, composto da un reggiseno, un tanga e dei collant coprenti. Alzai di nuovo lo sguardo su di lui, chiedendomi se così bastasse. Vidi nei suoi un bagliore di desiderio, ma non si mosse di un millimetro. ‘Sto aspettando’ esortò. Tornai a fissare il pavimento mentre mi slacciavo il reggiseno e toglievo il resto dei pochi indumenti ancora indossati. Appena finito, rimasi in attesa, senza più il coraggio di guardarlo negli occhi. L’umiliazione che provavo era accentuata dalla consapevolezza di non avere nemmeno un corpo perfetto. Un seno della terza, braccia troppo magre e gambe e glutei un po’ abbondanti. Mi sentivo ridicolmente goffa, ma soprattutto mi sentivo usata, come uno di quei soprammobili regalati e troppo brutti per essere trattati con riguardo e messi in vetrina e vengono degradati a fermacarte.
‘Mmmh, mi aspettavo qualcosa di meglio da te, Greta. Dovrai andare in palestra per sistemare quelle gambe. Ma sei lo stesso un buon bocconcino. Inginocchiati adesso’. Si avvicinò a me, mentre eseguivo il suo ordine, rassegnata. Con una mano si slacciò i pantaloni, tirando fuori il suo arnese, mentre con l’altra mi sciolse la coda, afferrandomi rudemente per i capelli. Gemetti per il dolore alla nuca. Non mi diede nemmeno il tempo di riprendermi che mi premette il viso contro il suo pube.
‘Inizia dal basso troietta. Vediamo se quella lingua si è allenata bene nel leccarla ad altre donne!’
Iniziai a piangere mentre iniziai a leccargli le palle, per poi risalire lungo l’asta del membro. Quando arrivai alla punta, con un movimento del bacino mi infilò la cappella in bocca. Emisi un gemito di disappunto, ma lo assecondai, ancora terrorizzata dalla minaccia. Mossi la testa avanti e indietro, lentamente. Forse troppo lentamente, perché lui mi prese il capo anche con l’altra mano, immobilizzandolo e iniziò a muovere il bacino, scopandomi letteralmente la bocca, mentre io lottavo contro i conati di vomito che mi assalivano ogni volta che lo spingeva fino in fondo.
‘Devi andare più veloce, razza di troietta incapace. Così! E adesso voglio che tu beva tutto, fino all’ultima goccia’ così dicendo diede un ultimo colpo riversandomi fiotti di sperma direttamente nella gola. Appena si sfilò cominciai a tossire facendo cadere a terra quella parte di liquido che non avevo ancora ingoiato.
‘Puttana, guarda cosa hai combinato. Ora ripulisci tutto, altrimenti…’ lasciò aleggiare il resto della frase. Mi chinai, incurvata nelle spalle, fissando lo sporco sul pavimento. A quel punto sentì il suo piedi appoggiarsi sulla mia nuca, spingendosi a forza la faccia a pochi centimetri dai residui dello sperma. ‘Devi farlo con la lingua se non l’hai capito. Chiaro, adesso?’
‘Si… padrone’. Con la lingua raccolsi tutto quello che avevo rovesciato. Quando il lavoro fu finito la pressione del piede si allentò, permettendomi di raddrizzare di nuovo il busto.
‘Brava, così va meglio. Adesso rivestiti, per oggi abbiamo finito. Domani voglio che tu venga con delle autoreggenti e degli stivali con tacchi alti’. Si voltò, riaprì la porta e se ne andò, senza nemmeno guardarmi e lasciandomi sola.
Mi rivestì e mi incamminai verso casa, piena di paura per la giornata successiva.

Per commenti e suggerimenti: silenzio87@gmail.com Questo è il secondo capitolo del racconto Le Verità Nascoste. Ringrazio tutti per i commenti e vi invito ad inviarne sempre di nuovi, anche con critiche o desideri su cosa potrebbe succedere.

Fissavo l’immagine riflessa nello specchio con disgusto. Avevo fatto una doccia bollente appena rincasata, lavato i denti già tre volte quella sera, ma non era bastato a cancellare il sapore amaro di quell’umiliazione. Come se non bastasse, non riuscivo a capacitarmi di tanto accanimento da parte di Max. Com’era possibile che avessi attirato la sua attenzione in quel modo, da portarlo al punto di spiarmi nella mia intimità? Non avevo mai indossato abiti provocanti sul lavoro, non mi truccavo, ero sempre stata schiva e parlavo solo quando era necessario farlo per il mio ruolo e mai di argomenti sulla mia vita privata. Inoltre c’erano molte altre donne e ragazze con molta più classe, più avvenenti e disponibili di me. Mi lasciai sfuggire una lacrima nel momento in cui realizzai che in fondo era proprio il mio atteggiamento passivo che aveva stuzzicato le fantasie di Max. Voleva sottomettere qualcuno, io ero stata una preda facile.
‘Amore! Tesoro, sono rientrata! Scusami tanto, tantissimo, lo so che è tardi!’. Appena sentì il grido di Anna alla porta mi asciugai le lacrime, dandomi silenziosamente della stupida persona fragile e cercai di riprendermi dalla rabbia e dalla malinconia.
‘Sono in bagno, Anna. Ora arrivo’. Richiusi l’anta sopra al lavandino, nascondendo l’immagine di quell’esserino piagnucolante e mi avviai verso la cucina, dove Anna mi stava già aspettando. L’abbracciai, stringendomi a lei come se fosse l’ultima ancora di salvezza, l’unica persona nel mondo che potesse darmi ancora conforto.
‘Ehi, che entusiasmo!’ sorrise, mentre ricambiava l’abbraccio, poggiando la testa sulla mia, passando le dita tra i miei capelli, ancora umidi. ‘Greta, va tutto bene? Stai tremando, mica ti starà venendo l’influenza?’ mi portò una mano sulla fronte, cercando di capire se avessi la fronte. Mi misi a ridere, scostandomi dall’abbraccio.
‘Non ti preoccupare. Mi mancavi. E poi ho una buona notizia, il lavoro da formatrice sarà mio con ogni probabilità’. La guardai mentre le davo la ‘buona’ notizia, omettendo i dettagli sul colloquio con Max. Cielo, come potevo meritare una persona come Anna? Potevo annegare in quegli occhi verdi, perdermi nel profumo dei suoi capelli fiammeggianti. La amavo come non avevo mai amato nessun uomo e adesso ero obbligata a mentirle e per giunta, per colpa mia, rischiava di finire invischiata in un deplorevole ricatto.
‘Magnifico. Così la smetterai almeno tu di fare tardi la sera, riusciremo a stare di più insieme’. Zompettò verso la cucina con il suo solito portamento frizzante e allegro. La cena passò serenamente mentre mi raccontava di quello che era successo durante la giornata al ristorante. Si divertiva nel vedere gli sguardi che le lanciavano gli uomini a cui serviva le ordinazioni e che, puntualmente, restavano a bocca asciutta.
Nel letto la cercai con un insistente bisogno. Avevo voglia di lei, del suo corpo. Volevo sentire il suo calore, sentire che mi amava, sentire che mi desiderava come io desideravo lei. La baciai, premetti le mie labbra sulle sue, assaggiandole con la lingua, mordicchiandole con i denti. Chiusi gli occhi mentre la sua bocca si posava sull’incavo della spalla, mentre le nostre mani esploravano reciprocamente i nostri corpi. Discesi ad assaporare il suo fiore, lo sfiorai con le dita e intanto continuavo a massaggiarlo con la lingua. Gridai piano quando lei ricambiò e raggiunsi l’apice di quelle meravigliose sensazioni. Quella notte ci addormentammo entrambe esauste.

Il risveglio non fu altrettanto piacevole. Continuavano a rimbalzarmi nella mente le richieste di Max. Mi chiedevo se fosse il caso di assecondarle. Forse era meglio rivolgersi alle autorità… ma così sarebbe venuto lo stesso tutto a galla e nel peggiore dei modi. Non avrei più potuto guardare Anna negli occhi.
Misi un paio di calze autoreggenti, coperte dalla solita gonna invernale che arrivava alle caviglie. Indossai un paio di stivali in pelle che usavo di solito per uscire la sera, insieme ad Anna, con un tacco di sette centimetri.
Lasciai un biglietto sul frigorifero con su scritto ‘ti amo’ per Anna, che avevo lasciato dormire, e uscì di casa per andare ad affrontare la giornata di lavoro, l’ufficio, Max.
Appena varcata la soglia non potei fare a meno di abbassare lo sguardo, sentendomi come se già tutti conoscessero il mio segreto. Mi rilassai solo un po’ quando accettai che ogni cosa stava andando con il solito ritmo, senza sguardi maliziosi o sussurri alle spalle. A metà giornata mi diedero la conferma del nuovo posto che sarei andata ad occupare dalla settimana a venire. In tutta la giornata vidi Max solo di sfuggita, mentre vagavo tra una postazione e l’altra per dare supporto ai nuovi ingressi.
Alla fine del turno, corsi a timbrare, sperando di sfuggire ad un incontro diretto con Max dopo che tutti avessero lasciato l’ufficio. Ovviamente fu tutto inutile. Sentì una mano sulla spalla che mi obbligava a voltarmi e mi trovai faccia a faccia con lui. ‘Complimenti per la promozione, sapevo che ce l’avresti fatta’. Avrei voluto prenderlo a schiaffi, proprio lì, in quel momento. E che importava delle conseguenze! Gliel’avrei fatta pagare a quel criminale.
‘Grazie’ replicai, abbassando lo sguardo.
‘Che ne dici di festeggiare, eh, Greta? A casa mia ho dell’ottimo spumante, sono certo che ti piacerà. Ti farà bene poi staccare dalla solita routine, no? Sempre lavoro e a casa da sola… dev’essere così noioso’.
Guardai gli ultimi colleghi uscire. Il braccio di Max che aveva stretto il mio. Non aspettò nemmeno una mia reazione che mi sospinse avanti, fuori dalla porta, in una angosciante parodia di due amici di vecchia data che se ne vanno a spasso a braccetto.

La casa si Max era abbastanza vicina all’ufficio, bastarono una decina di minuti per arrivare. Mentre scendevo dall’auto, allungò la mano, in un gesto di galanteria. Lo fissai dubbiosa, ma preferivo assecondarlo così allungai a mia volta il braccio. In quell’istante mi afferrò il polso, stringendo dolorosamente la presa. Mi morsi il labbro, chinando il capo, rimpiangendo la mia noncuranza che mi aveva condotta in questa spirale. Mi strattonò fino all’ingresso della villetta, aprì la porta e quasi mi gettò dentro di forza, prima di voltarsi a chiudere.
La stanza era ben ammobiliata, al centro c’era un tavolino basso in vetro, posato su un tappeto color porpora. Ai lati del tavolo erano disposti due divanetti dello stesso colore del tappeto e due poltrone chiudevo il quadro ai lati rimanenti. Sopra al tavolino erano posati un secchiello di ghiaccio con all’interno una bottiglia di champagne e un calice. Mi stavo chiedendo come mai ci fosse un solo bicchiere, visto che evidentemente non c’era nulla di improvvisato, quando sentì il suo braccio cingermi il fianco.
‘Prego, mia cara, accomodati’. Mi guidò fino ad uno dei divanetti e mi fece sedere, sistemandosi poi accanto a me. ‘So che non reggi molto l’alcool, ma non avrai nulla in contrario a bere un paio di bicchieri’ sorrise mentre versava lo champagne e mi porgeva il calice.
‘Non ho molta sete’ cercai di rifiutare. Ero astemia da parecchi mesi ormai, un solo bicchiere sarebbe stato più che sufficiente a darmi i primi sentori dell’ebbrezza. Non avevo intenzione di ridurmi in quello stato. Se le cose avessero iniziato a mettersi troppo male volevo la lucidità per chiamare aiuto in qualche modo.
‘La mia non è un’offerta’. Il suo tono si fece più duro e perentorio. ‘Se non bevi, se non fai qualsiasi cosa io ti dica di fare, sai già cosa accadrà’.
Mi alzai di scatto, voltandomi in cerca della porta con lo sguardo. Al mio movimento, Max posò il bicchiere, mi prese con un braccio, scaraventandomi sul divano, sdraiata, mentre con la mano libera iniziò a rovistare in una borsa che non avevo notato, posata accanto al tavolino. ‘Ah, sei una cagnolina fin troppo disubbidiente, adesso è ora di iniziare a farti capire chi comanda, tra noi due’. Tirò fuori un paio di manette. Iniziai a gridare, agitandomi nel tentativo di liberarmi dalla sua presa. Fu tutto inutile, lui era troppo forte, e al grido aveva lasciato cadere le manette sul divano per schiaffeggiarmi appena dopo, talmente forte da farmi girare la testa. Approfittò di quell’attimo di quiete e mi ammanettò i polsi dietro la schiena. Dalla borsa estrasse poi una corda che usò per legarmi le caviglie. Quando mi ripresi del tutto mi aveva rimessa seduta e stava allungando il bicchiere ancora pieno di champagne verso le mie labbra.
‘Adesso apri la bocca e bevi se non vuoi una bella ripassata’.
Obbedì, con le lacrime agli occhi. Al primo bicchiere ne seguì un secondo. Temevo che avesse intenzione di farmi finire l’intera bottiglia, ma per fortuna non ci fu nessun terzo calice.
‘Bene, vedo che inizi a capire come ci si comporta. Adesso ti devo spogliare, è un vero peccato che tu sia stata una cattiva bambina così presto. Le manette dovevano arrivare dopo… ma non importa, ci sappiamo ingegnare, vero?’. Uscì dalla stanza. Quando tornò aveva in mano una forbice.
‘Max, per carità, cosa vuoi fare?!’. Non potevo credere che mi stesse davvero facendo tutto questo. Ero ammanettata e legata e lui aveva davvero intenzione di tagliarmi via il maglione? Lui aggrottò la fronte, guardandomi irato.
‘Stupida cagna, come ti ho detto che devi chiamarmi, quando siamo soli?’. Un dolore bruciante si accese sulla guancia all’ennesimo schiaffo.
‘Perdonami… padrone’. Dovetti impiegare tutta la mia volontà per piegarmi a quell’umiliazione.
‘Perdonarti? Non si perdonano le cagne, si puniscono’.
In quel momento lo guardai disperata e vidi nei suoi occhi una determinazione spregevole. Iniziai ad avere davvero paura per quello che poteva farmi mentre ero in sua totale balia.

Per commenti e suggerimenti: silenzio87@gmail.com

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