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Racconti di DominazioneTrio

Lisa o del piacer d’essere schiava

By 12 Marzo 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

 

>>”…bianco come la luna è il suo cappello

come l’amore rosso il suo mantello,

tu lo seguisti senza una ragione

come un ragazzo insegue un aquilone…”<<

 

Talvolta la realtà ci offre improbabili quanto inattesi incontri, dai travolgenti esiti. Quel pomeriggio, evidentemente, la realtà sentiva di dover offrire un giro di giostra a Lisa e ai suoi reconditi desideri.

 

Lisa era seduta su un basso divanetto rosso e attraverso le ampie vetrate dell’ufficio osservava distrattamente l’anonima periferia milanese, che si perdeva nel grigiore di un cielo plumbeo e in tono con il suo umore. Purtroppo non era stata una giornata esaltante e non sembrava potersi concludere meglio, pertanto sorseggiava malinconicamente un tè quando la sua attenzione fu attirata dalla discussione tra due giovani che, all’angolo opposto del divanetto, si lanciavano in salaci commenti su un sito di oggettistica sadomaso. Le allusioni risvegliarono in lei sogni e pulsioni mai espressi, ma costantemente presenti. Si rimise a pensare al profondo desiderio di sottomissione che l’accompagnava da tempo e alla tentazione di lasciarsi plasmare da mani forti e autoritarie. Come negare quel bisogno di abbandono e trasgressione, che le catene delle consuetudini e dell’educazione ricevuta le impedivano di soddisfare? Eppure avrebbe potuto realizzare i propri intimi desideri, se solo non fosse stata così debole ed insicura.

Mentre la sua mente si perdeva in queste considerazioni, i due colleghi si destreggiavano in rappresentazioni verbali di situazioni imbarazzanti, ma per lei anche un po’ eccitanti e quando uno dei due esclamò divertito: “E potrebbe essere chiunque qui attorno a noi!” si mise ad annuire lentamente, gettando uno sguardo furtivo verso chi aveva pronunciato quelle azzeccate parole. Peccato che dopo alcuni secondi si rese conto di essere osservata dall’altro giovane, che la fissava con uno sguardo penetrante e concentrato, come di chi stesse valutando qualcosa. Di scatto, la giovane rivolse gli occhi verso l’esterno, fingendo di interessarsi ai profili più o meno simili dei grattacieli antistanti, sperando in cuor suo di non aver rivelato le proprie emozioni. Però i suoi movimenti non erano sfuggiti a quel malizioso osservatore, che sotto l’anonima apparenza di un giovane professionista nascondeva una predilezione per i piaceri forti e sfrontati, che da alcuni anni riusciva a soddisfare frequentando il variopinto mondo del sadomaso. Non era ancora esperto e molto lo stava apprendendo, ma con la rapidità di una mente aperta, curiosa e sveglia. Il dialogo con il suo amico, inizialmente, non rappresentava altro che uno spensierato scherzo, ma la sensazione che quello splendore di ragazza li stesse ascoltando interessata, lo portò a calcare la mano sugli argomenti più pruriginosi, cercando di cogliere nell’espressione della giovane ogni possibile segnale che confermasse la sua sensazione. Effettivamente quel protendersi verso i due colleghi, quell’espressione concentrata, gli sguardi timidi e furtivi e il vago rossore delle guance sembravano tradire un certo interesse per i dialoghi piccanti che si svolgevano accanto a lei. Con questo dubbio il giovane uscì dalla sala break, chiedendosi immediatamente se non fosse il caso di abbordare la collega con una scusa.

Appena i due colleghi si alzarono allontanandosi dalla sala, Lisa trasse un sospiro di sollievo pensando di aver evitato un’imbarazzante gaffe però, non appena accennò a muoversi a sua volta, vide con la coda dell’occhio rientrare il collega che l’aveva soppesata con tanto interesse.

Lui, con in faccia un’espressione un poco corrucciata, si diresse con passo veloce verso di lei, come se avesse deciso d’istinto di gettare le carte sul tavolo senza sapere cosa ne sarebbe scaturito. Lesto si sedette accanto a lei ed esordì: “Ciao Lisa, abbi pazienza se te lo chiedo, ma mi sembravi interessata ai nostri discorsi, anzi più che interessata mi sembravi persa in un fiume di riflessioni o sbaglio?” “Eh, no, solo che erano cose così imbarazzanti”.

Maledizione ora gli ho fatto capire di aver ascoltato tutto pensò tra sé e lui riprese “Si dice che lo scandalo sia nell’occhio di chi guarda e in questo caso penso proprio che sia vero. Non ci vedo nulla di riprovevole, mi sembrano soltanto naturali e accattivanti desideri, perché non parlarne?” “No, no, infatti; lungi da me giudicare negativamente” e intanto iniziò a tormentare nervosamente il bicchierino del tè tra le sue mani; lui proseguì “Ne parleres…”, ma non riuscì a terminare la parola che lei rispose di scatto “Sì!”.

I due giovani si guardarono stupiti, lei a bocca aperta chiedendosi “Ma cosa cazzo ho appena detto” lui, con il sopracciglio inarcato, pensando “Questa è belle che andata”. Il primo a riprendersi fu il ragazzo che sentenziò: “Quanti dolci pensieri, quanto disio menò costoro al doloroso passo. Cosa ne diresti di vederci dopo, per un aperitivo? Dovrei liberarmi per le 19, 19 e 10; possiamo uscire insieme dall’ufficio o ci becchiamo fuori dalla reception, ok?” “Emh, ok, va bene” rispose lei, “Perfetto, credo che avremo molto da dirci, molto d’interessante”, concluse lui.

L’uomo ritornò alla sua scrivania un po’ stupito, chiedendosi chi fosse realmente quella ragazza, di solito così taciturna e solitaria, ed ora pronta a cedere a qualsiasi approccio ardito; che fosse davvero lo scabroso tema a vincerla?

Lisa si mosse poco dopo, ma per raggiungere gli ascensori; era troppo agitata per poter riprendere il lavoro e sentiva l’esigenza di una boccata d’aria.

Mentre discendeva rapidamente al piano terra, attraversando porte scorrevoli e tornelli, fu travolta da infinite domande senza risposta: …cosa diavolo mi ha preso? Perché quest’uscita? Mio dio non mi sarò mica cacciata in un guaio, ma io lo conosco appena, come faccio ora? Ci vado davvero? Cosa mi è preso? Lo desidero proprio? Che figura che avrò fatto….

Le parole si affollavano nella sua mente, che ribolliva di emozioni contrastanti, ma che non riusciva a trovare una soluzione ai tanti quesiti. Per circa dieci minuti camminò nello spiazzo antistante agli uffici e quando si decise a varcare l’altro ingresso della palazzina, per rientrare alla sua postazione, la battaglia interiore si era sostanzialmente placata. Tra il timore ed il desiderio aveva prevalso quest’ultimo, imponendo una tregua a lui favorevole, che la porterà ad attendere il suo collega, all’ora concordata, con un misto di ansia e impazienza.

Rientrata alla sua postazione cercò comunque di concentrarsi sul lavoro, mantenendo il consueto distacco da chi la circondava e quando si avvicinarono le sette si allontanò rapidamente cercando di celare la tensione che pervadeva il suo corpo; allontanandosi evitò di proposito di avvisare il suo cavaliere, preferendo attenderlo fuori dalla reception.

Il giovane, nel frattempo, stava sacramentando contro un sistema IT che sembrava proprio aver deciso di frapporsi tra lui e la positiva conclusione dei test a cui si adoperava da giorni.

Stava quasi per posticipare l’appuntamento, quando il ricordo del grazioso viso della sua dama, così ben proporzionato nei tratti, lo convinse a soprassedere sul trouble shooting serale per precipitarsi fuori dall’ufficio.

Dopo i primi convenevoli piuttosto freddi, la conversazione prese una piega decisamente cordiale e lontana da qualsiasi accenno ad argomenti piccanti, ma quando giunsero nel locale in cui avevano scelto di trascorrere la serata, tra un sorso di birra e un boccone di hamburger, la luce delle passioni iniziò ad illuminare gli anfratti delle rispettive menti e soffusi lumi, nascosti nelle viuzze dell’animo, si accesero esponendo i reconditi desideri.

Lei mantenne fisso lo sguardo sul suo piatto, ma la sua mente correva per quelle praterie inesplorate. Le sembrava di sentire il freddo cuoio del collare stringere la sua gola mentre remissiva seguiva la sua guida, si immaginava lì esposta a quattro zampe godendo di quell’insensata umiliazione. Sognava la sua pelle vibrare al soffio crudele, ma seducente della frusta e brividi la scossero mentre pensava alle corde che inesorabili si chiudevano sui suoi polsi e alle sue caviglie, immobilizzandola ed esponendola ai capricci altrui. Sentiva crescere in lei il piacere per l’abbandono all’autorità di un padrone in grado di sostituirsi alla sua debole volontà e di guidarla verso il piacere.

Di questo fantasticava, solleticata dalle ampie e voluttuose parole del suo collega, il suo ventre incendiato le suggeriva di proseguire senza incertezze lungo quella misteriosa strada e il rossore sulle sue guance tradiva il fermento interiore.

Eppure, riprendendo le parole del Sommo, “fu un sol punto quel che li vinse” e cioè quando, d’improvviso, il giovane le chiese: “Ma sei mai stata te stessa?”

Come un’esplosione violenta che demolisce una diga, così quella domanda ruppe un lungo silenzio e diede il via ad un fiume di parole con cui la giovane ammise, al collega ed in parte a sé stessa, di aver costantemente represso i suoi intimi desideri per uniformarsi ad un modello rassicurante e consueto. Lei aveva tenacemente costruito un muro interiore per isolare le pulsioni comunemente giudicate perverse e nascondere le sue piccole fragilità; nel contempo aveva posto, verso l’esterno, delle barriere di diffidenza e distacco per impedire a chiunque di accedere ai segreti del suo animo, ma ormai era abbondantemente stufa di questo percorso e cercava da tempo un’occasione per svoltare.

L’occasione si era presentata nelle vesti di un collega vizioso e intraprendente, che non perse tempo per sprofondare in lussuriosi abissi.

Così il giovane continuò ad offrire un percorso di sottomissione, una fuga spensierata in cui lei poteva annullarsi. Immagini di ordini e controllo, di umiliazione e cieca fedeltà turbinarono nella mente della ragazza che, nervosamente, con la mano sinistra strinse quella del collega mentre la destra scivolava inconsapevolmente fra le sue cosce.

Il giovane colse quel movimento e avvicinandosi iniziò a sussurrarle di quanto sarebbe stato gratificante, per lei, far scorrere le dita lungo la sua figa e sopra le sue labbra così gonfie e già umide di piaceri. Sarebbe stato proprio un ottimo modo per suggellare il loro nascente patto. Quindi Lisa, dopo essersi parzialmente coperta con la giacca, allentò i jeans e lasciò che la sua mano solcasse il delta di Venere. Una follia dettata dai turpi desideri che affollavano la sua mente e agevolata dallo scorrere lento, ma copioso, della birra.

Così il dito medio iniziò a scorrere tra le sue grandi labbra e le altre dita esercitarono una delicata e suadente pressione. Confidando nella copertura fornita dalla giacca e dal tavolo, si fece più audace e incominciò, delicatamente, a stimolare il suo clitoride sempre più sensibile. I movimenti delle dita, la consapevolezza di compiere una trasgressione per lei inaudita come il masturbarsi in pubblico, l’ansia di poter essere scoperta e soprattutto i piccanti discorsi precedenti stavano appiccando il fuoco del piacere in lei; tanto che socchiuse gli occhi e appoggiatasi allo schienale della panca addossata al muro del locale, continuò con maggior intensità a stimolare la sua figa, cercando soltanto di controllare quelle tumultuose sensazioni.

Tuttavia bastarono alcune parole a gelarle il sangue: “Prego, ditemi”, era la cameriera evidentemente, “Due Leffe Royal grazie e se puoi aggiungere ancora due patatine”

“Come queste?”

“Si perfetto” e dopo diversi secondi la voce femminile commentò “Alla signorina fa un certo effetto la birra, piacevole sembra”; il giovane rispose con aria molto ingenua  “Evidentemente è una donna fortunata” e la cameriera, con sguardo insolente e divertito, aggiunse “Ahh non ne dubito, meglio una birra di un uomo”, “Concordo perfettamente!” rispose di rimando il ragazzo ridendo.

Lisa non rideva, anzi forse non respirava neppure. Era completamente immobile e sprofondava nella vergogna, stava giusto meditando se fosse più conveniente correre fuori dal locale oppure lasciarsi sprofondare sotto il tavolo e restare lì, in attesa. Alla fine scelse di restare perfettamente immobile sperando di confondersi con l’ambiente circostante, ma purtroppo la sua tecnica non si rivelò sufficientemente perfezionata. Al ritorno della cameriera, sollecitata dal giovane, accolse comunque la donna con una specie di sorriso, ma non riuscì a proferir parola. Ci pensò la cameriera ad informarsi su di lei chiedendole cosa trovasse di così piacevole nella serata, Lisa biascicò un: “Sto molto bene, è bello qui”, “Anche piccante a vedere certe reazioni” incalzò immediatamente la cameriera. Lisa si mosse nervosa sulla panca e cercò di guardare altrove, senza ribattere, ma la donna proseguì “Eddai non temere, ho notato cosa facevi” “Cosa? Io niente, mi rilassavo” rispose nervosamente Lisa lisciandosi senza motivo i capelli. “Ahahah , chiaro, un relax infuocato, piace moltissimo anche a me, ma non mi hai ancora spiegato dove sta il bello della serata, daiii; è forse il giovincello qui a fianco?”; “Sarebbe la prima volta” interloquì lui, aggiungendo subito dopo “Su Lisa vuoi dirci cosa sognavi di così attraente? Non vorrai tenere solo per te tutta questa gioia?”, “No, io, insomma, eh…” s’impappinò lei prima di lanciarsi nella tragica risposta: “a stare a quattro zampe nell’aiuola”. I suoi interlocutori semplicemente esplosero in una fragorosa risata, sorpresi dalla risposta; Lisa, invece, si coprì il viso con le mani angosciata. Stava quasi per mettersi a piangere ed era travolta da emozioni fortissime. In lei si alternavano e si mescolavano vergogna, ansia ed eccitazione. Era piuttosto confusa e non riusciva a capacitarsi della sua risposta tanto quanto del suo comportamento nelle ultime ore, eppure sentiva in cuor suo di non essere mai stata così sincera e libera di esprimersi e non poteva negare di essersi realmente eccitata per gli scandalosi pensieri che le suggerivano le parole del collega. Insomma, volteggiava tra l’angoscia per l’aver messo a nudo i suoi intimi desideri e la voglia matta di lasciarsi andare e sperimentare nuovi libidinosi giochi. In lei vergogna, paura e desiderio lottavano accanitamente come nemici inseparabili. Sprofondata in questo turbinio di sensazioni non si accorse neppure dell’allontanarsi della cameriera e percepì appena l’abbraccio delicato del suo cavaliere. Dovettero passare diversi minuti prima che un’uscita del giovane la scuotesse: “Perché sei schiava, sei uno splendido dono dell’animo umano. Come diceva Michelangelo, la statua è già presente nel blocco di marmo ed attende soltanto che lo scultore la liberi del materiale grezzo in eccesso. Ecco sarà tutta qui la mia parte”. Lisa lo guardò come se fosse la prima volta, toccata ed emozionata da quelle parole. A sentirle ritornò in lei la calma e il prepotente desiderio di abbandonarsi nelle sue mani. “Così sia” rispose a quel giovane ironico, gioviale, dall’aria sicura e che le ispirava un’istintiva fiducia. Non era il principe azzurro che si era sognata e probabilmente non rispondeva neppure ai canoni del principe nero dei perversi desideri, inoltre non aveva idea di quale fosse realmente la sua esperienza, ma in fondo non le importava. Sentiva di potersi fidare ed aveva voglia di scoprire, insieme a lui, un mondo di fate brutali. Terminarono le rispettive birre e si avviarono verso l’uscita. Sulla porta d’ingresso Lisa si voltò e rivolse un sorriso radioso alla cameriera, che contraccambiò con un ammiccante occhiolino.

Si ritrovarono quindi per strada a parlottare e mentre si avviavano lungo il controviale per raggiungere il tram, il giovane la prese per mano e la portò in mezzo agli alberi che costeggiavano le rotaie, lì si fermò e le disse: “Considerala la nostra aiuola”.

Lei capì e senza dire nulla s’inginocchiò e dopo un secondo di incertezza poggiò anche le mani sul terreno ancora umido e fangoso, restando immobile, a quattro zampe, di fronte al suo padrone. Le auto scorrevano rapide illuminando ed esponendo alla vista quella ragazza prostrata di fronte a un giovane in giacca nera e mentre lei sentiva il cuore rimbombarle nel petto, lui si chinò e le accarezzò delicatamente una guancia, dicendole sommessamente: “Benvenuta mia cagnetta e così sia”. Lasciò infine scorrere un dito sulle sue labbra, come a suggellare una promessa di fedeltà e quando ritrasse la mano, Lisa si slanciò in avanti baciandola. “Forza che da domani dobbiamo costruire il nostro futuro insieme. Domani sera tieniti libera, usciremo insieme, sempre che esca vivo dalla business simulation”, “Si padrone”, rispose lei tutto d’un fiato. Quindi il ragazzo si allontanò rapidamente mentre Lisa restò un poco seduta a rimuginare sulla giornata. Finalmente si scosse e si alzò dalla sua improbabile poltrona di fango; guardò un poco desolata i suoi pantaloni e la giacca sporchi ed umidi, ma non se ne curò particolarmente perché era troppo emozionata e soddisfatta di quell’imprevista avventura. Si sentiva così libera con le sue nuove catene, da non poter fare a meno di sorridere al mondo.

 

 

L’indomani, il mondo, accolse una Lisa ancora molto eccitata per le conturbanti esperienze della sera precedente e nel contempo un po’ ansiosa e timorosa di aver commesso una leggerezza insensata. Tuttavia, non trovava motivi per dubitare del collega e in fondo voleva, per una volta, assecondare la propria intima natura abbandonandosi a quel nuovo gioco.

All’ingresso dell’ufficio si fermò un secondo, agitata e indecisa su come comportarsi con il suo novello padrone nell’ambiente lavorativo, ma preferì mantenere il consueto distacco in attesa di sue indicazioni.

Giunta alla sua postazione trovò il giovane già impegnato in interminabili call, tanto che poterono scambiarsi solamente un fugace buongiorno rimandando a dopo ogni dialogo.

Purtroppo il lavoro li divise per tutta la giornata e solo a sera poterono finalmente dedicarsi uno all’altra. Il giovin padrone iniziò subito ad indagare sui sentimenti e le emozioni che la sua schiava aveva provato la sera precedente e proseguì scavando accuratamente nei suoi trascorsi personali e negli intimi desideri. Lisa parlò apertamente, ma con imbarazzo, delle sue pulsioni, delle sue esperienze sessuali precedenti (piuttosto banali ad esser sinceri) e delle sue recenti emozioni. Lui non mancò di fornire informazioni sulla propria vita privata, ma senza mai scendere nel dettaglio delle sue esperienze.

Finalmente il giovane iniziò ad intavolare il discorso su come avrebbe voluto condurre la loro relazione. Precisò subito di voler mantenere le consuete apparenze, in particolare sul lavoro, senza lasciar trapelare alcunchè della loro relazione. Garantì e richiese la massima fiducia reciproca e riservatezza, promettendo una presenza e un sostegno costante alla sua serva.

“Mi avrai sempre al tuo fianco e ciò che ti chiedo ora in cambio non è esattamente sottomissione e obbedienza, ma di trovare il coraggio per abbandonarti a me e seguirmi in un viaggio verso mete ancora sconosciute. Supera le tue paure, liberati dei tuoi freni inibitori e potremo scoprire insieme il nostro nuovo mondo. Ti plasmerò e insieme libereremo la tua splendida figura dal materiale grezzo che la opprime e mentre ti farò mia sarò tuo, perché non credo possa esistere un rapporto sadomaso senza la fusione di due anime, senza che il padrone si appropri dello schiavo e viceversa”.

Lungamente il giovane sproloquiò con la sua retorica immaginifica e forbita, sincero nei contenuti e traboccante nelle forme.

Tuttavia a Lisa non dispiacque quel lungo periodare, perché erano le parole che voleva sentire, erano le parole capaci di dipingere la realtà che sognava; si abbandonò completamente a quelle proposte, un po’ affascinata e un po’ trasognata. Ormai non sarebbe tornata indietro e anzi si sentiva determinata a spendersi senza requie per soddisfare il suo padrone e raggiungere i comuni obiettivi.

Finalmente il giovane capì di dover mettere un freno alla sua oratoria e incominciare ad essere più concreto. Iniziò quindi ad elencare le disponibilità di tempo richieste alla dolce Lisa che si ritrovò a dover dedicare sere e week-end, a discrezione del suo padrone. Avrebbe inoltre dovuto chiedere il permesso per compiere un qualsiasi atto sessuale, anzi per essere precisi avrebbe dovuto cedere ogni diritto sul proprio corpo rendendolo disponibile ai capricci sessuali del suo padrone, senza altri limiti che la reciproca sicurezza ed il buonsenso. Lisa avrebbe dovuto destreggiarsi tra gli ordini e gli altri impegni quotidiani, cercando di dare precedenza alle richieste del padrone. Inoltre, avrebbero condiviso la scelta dell’abbigliamento. Tutto questo fu richiesto a Lisa, che acconsenti con animo leggero.

Se a guardarli ci fosse stato un osservatore esperto e malizioso, probabilmente avrebbe sorriso della loro foga ed emozione; sarebbero risultati a tratti intraprendenti e maturi e a tratti incerti e ingenui, generando, in fin dei conti, un sentimento di perversa tenerezza.

 

 

Un sabato novembrino vegliava sul giovin padrone, che si trascinava assonnato sui mezzi pubblici urbani. Le giornate precedenti erano state massacranti e piuttosto fastidiose. Il suo umore era passato dall’incazzoso andante, allo sconforto ed infine alla rassegnazione e le ore di sonno si erano tragicamente ridotte. Tuttavia aveva dato appuntamento alla sua cagnetta e questa motivazione era sufficiente a mantenerlo attivo e a riportargli un minimo di buonumore.    

Il giorno vegliava anche sulla cagnetta bipede eccitatissima di poter trascorrere finalmente una giornata, o quasi, con il suo padrone. L’attesa del sabato l’aveva resa decisamente ansiosa e curiosa di poter dare nuovamente un seguito concreto alle affascinanti parole dei giorni scorsi. Si era preparata con maggior cura rispetto al solito e il trucco leggero, ma ben studiato, esaltava la grazia dei suoi lineamenti. Maggior attenzione aveva posto anche al suo abbigliamento che tuttavia era improntato ad una sobria eleganza. Non volendo mancare di rispetto al suo padrone si recò sul luogo dell’appuntamento con un incredibile anticipo, tanto da dover attendere per decine di minuti prima di veder uscire il suo amato dalle scale della metro.

Il giovane emerse dalla scalinata e si guardò intorno, scorgendo dopo pochi secondi il volto radioso della sua novella schiava, che semplicemente lo abbagliava di grazia e dolcezza. Restò un momento fermo a contemplare quello splendore: l’ovale perfetto del volto, i lineamenti delicati e perfettamente proporzionati, la carnagione leggermente olivastra e senza imperfezioni, le curve suadenti delle labbra carnose, il nasino leggermente all’insù e gli occhi scuri, grandi, profondi e in quel momento radiosi. Era bella, cazzo se era bella, pensò tra sè.

Quindi la raggiunse porgendole la mano che lei, di sua iniziativa, baciò. Camminarono una decina di minuti parlando tra loro come due innamorati al primo appuntamento, benchè la meta del loro peregrinare non fosse esattamente consona ai casti albori di un tenero amore; si trattava infatti di un elegante sexy shop in cui li accolse calorosamente la proprietaria o meglio, in cui la proprietaria accolse calorosamente il giovane. I due si scambiarono affettuosi saluti e il giovane porse alla donna un libricino di storia dell’arte, suscitando vivo apprezzamento e soltanto dopo diversi minuti di conversazione si rivolsero verso Lisa, che aveva atteso in disparte e un poco indispettita dalla confidenza manifestata dai due. Il giovane la presentò con grande delicatezza, ossia definendola “la sua nuova cagnolina da ammaestrare”; definizione che la proprietaria del locale accolse con naturalezza e senza stupore, ma che per Lisa fu ugualmente imbarazzante. L’imbarazzo crebbe ulteriormente quando il giovane le intimò, con tono deciso, di spogliarsi integralmente per provare dei nuovi capi di abbigliamento. Non era propriamente comune spogliarsi al centro di un locale con il rischio che uno o più sconosciuti vi entrassero, tuttavia Lisa non voleva scontentare il suo padrone perciò, pur con qualche incertezza, iniziò a sfilarsi i pantaloni, quindi la maglia e la camicetta ed infine il reggiseno e gli slip. Restò così perfettamente nuda di fronte ad uno specchio, in cui la vanità la portò ad osservarsi compiaciuta e in cui, ancora più compiaciuti, l’ammirarono il giovane e la proprietaria del locale. Fu il padrone a rompere quell’atmosfera di silenziosa contemplazione affermando: “Quando madre natura s’impegna il risultato è impareggiabile!”, “Già” rispose di rimando la donna che prese quindi l’iniziativa di presentare a Lisa e al suo padrone i provocanti capi che aveva già selezionato. Si alternarono quindi i ricami delle provocanti autoreggenti ai pizzi e merletti dei body che fasciarono il corpo di Lisa, esaltandone ed esponendone le forme suadenti. Un bustino nero con bordature bordeaux si aggiunse infine alla schiera dei capi provati. Il modello fasciava strettamente il ventre della ragazza sostenendone ed esaltandone i seni e lasciando scoperti il sedere e la figa perfettamente depilata. Lisa, con un esibizionismo che spontaneamente emergeva, si pavoneggiò di fronte allo specchio anche con quell’osceno vestito e avrebbe continuato a rimirarsi se l’idillio non fosse stato interrotto dall’ingresso di uno sconosciuto nel negozio. Si trattava di un uomo di media statura, decisamente robusto e probabilmente sulla quarantina, che rimase folgorato alla vista della ragazza seminuda. Lisa, invece, rimase pietrificata dall’imbarazzo e se non si nascose, fu solo per la sorpresa.

Fu la proprietaria a sbloccare la situazione, coinvolgendo l’uomo e presentandolo al padrone di Lisa, che con grande cordialità e sornione divertimento gli chiese un commento sulla sua cagnolina. “La sua cagnolina? E sti cazzi, mi permetta il francesismo! Ad avercene di animali così, ma dove l’ha trovata?” “La sorte me l’ha portato, io ho solo colto il fiore che sbocciava” rispose senza rinunciare alla sua poetica da quattro da soldi. “Fortunato lei, a me non è mai capitato” proseguì l’uomo ridendosela. “Le piacerebbe saggiare quel corpo? Gradirei un suo parere…” aggiunse il padrone. L’uomo più maturo, dopo aver guardato in faccia il giovane e la donna, si convinse a provare quello splendore esposto al suo personale ludibrio. Si avvicinò quindi alla ragazza iniziando ad accarezzarla lentamente mentre lei, con il volto in fiamme per la vergogna, si irrigidiva e probabilmente avrebbe anche allontanato l’uomo se il suo sguardo non avesse incontrato quello sereno e concentrato del suo padrone. Restò quindi lì, ferma, facendosi oggetto delle carnali attenzioni dello sconosciuto, che incominciò lentamente a carezzarle i seni, giocando con i suoi capezzoli fin troppo turgidi per una mite e composta ragazza di buona famiglia. Lisa rimaneva rigida ed immobile, ma, mentre la mano sinistra dell’uomo continuava a stimolarle i seni e la destra iniziava a scorrere lungo la curva dei fianchi e a strizzare rudemente il suo sedere così tondo e tonico, un perverso e sottile piacere iniziò a farsi strada nel suo animo sempre più coinvolto da quell’inattesa situazione. L’uomo, anch’egli sempre più eccitato, si spinse oltre e incominciò a strofinare la patta dei pantaloni sulla gamba sinistra di Lisa, che poteva così percepire il membro prepotentemente eretto del suo lascivo compagno di giochi. Iniziò anche a baciarla lungo il collo e sulla guancia, mentre lei lentamente si rilassava, lasciandosi vincere dall’eccitazione. Infine, la mano sinistra dell’uomo discese sul basso ventre della giovane scorrendo lentamente sulle grandi labbra sempre più gonfie e sensibili. Le dita si lanciarono in un graduale e armonioso arpeggio in cui le corde da suonare erano il clitoride e le piccole labbra della ragazza e più l’uomo sapeva suonare con maestria lo strumento più Lisa si abbandonava al piacere e al lascivo abbraccio dello sconosciuto, mentre un’esplosione di suoni e colori sembrava travolgere la sua mente ormai incapace di riprendere il controllo di un corpo infiammato dalla voglia e dal piacere.  L’uomo proseguì l’attento lavorio di dita, interrompendosi di tanto in tanto per gustarsi il sapore degli umori di Lisa, che iniziavano a lubrificare il suo basso ventre. Poi, preso da improvvisa foga, l’uomo ne penetrò rudemente la figa, affondando le dita voraci e ritraendole con un moto continuo, rapido e deciso. Lisa si piegò su sé stessa ed iniziò a gemere rumorosamente per il piacere provato, gli occhi socchiusi e le membra vibranti pronti ad esplodere in un desiderato orgasmo.

Peccato che il sogno s’infranse davanti all’intervento del padrone che, con il caritatevole proposito di prolungare il piacere della schiava, interruppe l’uomo poco prima dell’agognata meta. Lisa si piegò sulle ginocchia evidentemente contrariata e senza riflettere portò la mano destra sul clitoride per completare l’opera, ma un sonoro ceffone la ribaltò letteralmente di lato, lasciandola stupita e dolorante. Capita l’antifona evitò ogni altro movimento attendendo istruzioni.

“Mi sembra carino dar piacere al nostro ospite, non trovi?”  l’apostrofò il padrone facendo evidente riferimento al quarantenne in piedi al suo fianco. Non servirono altre parole perché ciascuno comprendesse la sua parte nella commedia; con movimento rapido l’uomo si sfilò i pantaloni e abbassò le mutande mostrando alla giovane il membro eretto a lei dedito e dedicato. Probabilmente Lisa non colse la galanteria insita nell’erezione e restò profondamente interdetta da quell’esplicita offerta, tuttavia, per piacere al suo padrone, per piacere proprio o forse per orgoglioso puntiglio avvicinò le sue labbra carnose al cazzo dell’uomo avvolgendolo e succhiandolo lentamente. Mentre la sua bocca avvolgeva e la sua lingua solleticava il membro eretto dell’uomo, un graditissimo vibrare di sex toy colse la sua figa bagnata. Incominciò un rincorrersi di sordidi piaceri, tra l’umido della sua bocca profanata ed usata senza ritegno dal cazzo dell’uomo e l’umido della sua figa che implorava, con concrete secrezioni, gli stimoli goduriosi del vibratore, sapientemente manovrato della proprietaria del locale. Quel perverso trittico sembrava una sublime rappresentazione sacra del piacere al giovin padrone che, composto ed affascinato, contemplava il reciproco scambio di piaceri. Peccato che, mentre Lisa accoglieva ogni sollecitazione dell’uomo per dargli il desiderato lieto fine, la proprietaria del locale, con perfidia squisitamente femminile, negava alla giovane ogni orgasmo. Il padrone potè così gustarsi la sua Lisa usata e abusata dall’uomo, che senza rispetto ne penetrava la bocca sbattendole in gola e sul viso il suo membro, mentre lei, sottomessa, cercava affannosamente di accogliere quell’esuberanza sessuale. Poteva inoltre vedere il volto della sua schiava congestionato sia dalla violenza dell’uomo sia dal piacere provocatole dalle sapienti mosse della donna, che però le impediva di poter giungere all’agognato orgasmo.

Così proseguì la ballata del piacere, finchè l’uomo non esplose letteralmente nella gola di Lisa, inondandola di calda e non gradevole sborra. Lisa, poco lucida per le forti emozioni provate, ingoiò la colata di sborra dell’uomo, ma con evidenti espressioni di disgusto, che di certo non piacquero al suo padrone. Purtroppo per lei, anche la provetta negoziante ritenne concluso il suo compito lasciandola profondamente insoddisfatta.

“Piccola mia, dovresti esercitarti un bel po’ con quella boccuccia, ma ora è giunto il tuo momento. Cosa ne diresti di darti piacere qui di fronte a noi?” le disse il padrone. “Come volete, posso?” “Certo, dolcezza”; così Lisa, sdraiatasi sul pavimento del locale, aprì oscenamente le gambe offrendosi agli sguardi libidinosi e compiaciuti. Fiduciosa, la giovane iniziò a lasciar scorrere le sue dite fameliche dentro la sua calda vagina, provocandosi, con istintive mosse, un feroce piacere. I suoi occhi si chiusero in un’estatica concentrazione di lascivia e piacere, accompagnati dal sottofondo di sommessi gemiti.

Bello, bellissimo, perfetto quel corpo sinuoso ed accogliente che si agitava sotto il soffio del godimento, così bello e perfetto da attirare le feroci attenzioni della frusta che, con schiocco secco e deciso, marcò violentemente la mano della giovane. Lisa sentì un bruciore fortissimo sulla mano e sull’avambraccio e urlò, in parte per la sofferenza e in parte per la sorpresa. Sorpresa che la immobilizzò fino a quando un secondo sibilo segnò la carne del suo interno coscia con una pregevole striatura rossa. La seconda frustata fece serrare le gambe a Lisa che, nel frattempo, rivolse uno sguardo stupito e sofferente al suo padrone, esprimendo la muta richiesta di una spiegazione per quel dolore. Il padrone sembrò cogliere all’istante la domanda insita in quello sguardo stupito e si rivolse a lei con poco parole: “Impara a conoscere i piaceri”. A Lisa non parve chiarissimo il nesso tra le frustate ed il piacere, ma non sentì neppure nel suo animo il desiderio di sfuggire a quel saettante strumento di pelle. Preferiva piuttosto abbandonarsi remissiva alla volontà del suo padrone, godendo sottilmente della sottomissione alla volontà altrui e della trasgressione alle consuetudini. Così, incitata a voce, allargò nuovamente le gambe e ricominciò ad affondare le dita dentro la sua figa umida e colante di piaceri. Bastarono pochi minuti perché il suo corpo e la sua mente fossero nuovamente travolti dall’ebbrezza del piacere fisico che costrinse la schiena ad inarcarsi lasciando svettare i capezzoli turgidi, ma proprio in quel momento, per la terza volta, la frusta volle assaporare quel corpo incendiato dalla passione. Calò con due colpi secchi che segnarono brutalmente la mano e la coscia della giovane, costringendola, seppur controvoglia, ad interrompere la piacevole stimolazione. Eppure il suo padrone non sembrò contento, perché con poche mosse repentine colpì più volte quel prezioso delta di Venere, costringendo la schiava a serrare e piegare di lato le gambe per ripararsi dai dolorosi colpi. Poteva bastare? No, anzi, con ancora maggiore ferocia la frusta sibilò sulla coscia e sul braccio teso a proteggerla, segnandoli di striature rosse e gonfiandone sottilmente la pelle. Lisa gemeva, piagnucolava, eppure non riusciva a divincolarsi, affascinata e travolta dalla scabrosa situazione. In parte era stupita e confusa dagli eventi, in parte sentiva il desiderio di dimostrarsi all’altezza delle aspettative del suo padrone, in parte era soggiogata da quell’abbandono ai capricci altrui e in parte si scopriva desiderosa di esibirsi di fronte a spregiudicati estranei. Incominciava ad assaporare la confusione di sensazioni apparentemente contrastanti, ma che finivano per risolversi in un unico dirompente piacere, al contempo fisico e mentale.

Il padrone, posata la frusta, si inginocchiò accanto alla sua schiava e dopo averla aiutata a sollevarsi da terra, iniziò a carezzarne dolcemente la nuca e la schiena, mentre lei affondava il viso nell’incavo della sua spalla.

 

 

Mentre erano uno nelle braccia dell’altra, con lentezza, una mano del giovane discese su quella figa umidissima e congestionata di piacere costantemente negato. Ne solleticò il clitoride per poi iniziare a farsi largo tra le piccole labbra in cui penetrò prima un dito e poi le altre a seguire. Le dita si mossero sempre più invadenti lungo quelle pareti umide, calde e pronte a contrarsi ad ogni sollecitazione. Ne esplorarono l’interno, lo dilatarono e lo profanarono senza sosta, mentre l’altra mano si avvicinava e freneticamente si muoveva sul clitoride infiammato. Lisa ritrovò il piacere tanto desiderato e vi si abbandonò nuovamente. Si aggrappò letteralmente al suo padrone, ritrovandosi, quasi senza accorgersene, a morderne il maglione, in un inconsulto tentativo di soffocare i suadenti gemiti che testimoniavano il suo piacere. Il padrone si beava di quel corpo a sua disposizione, che poteva far vibrare a piacimento, eppure non poteva sentirsi soddisfatto senza un’altra bizzarria di perversione. Così, quando Lisa inarcò la schiena allontanandosi da lui, ne strizzò con brutalità il clitoride, chiudendolo in una ferrea morsa. Per reazione, Lisa scattò in avanti come una molla, afferrando affannosamente l’avambraccio del suo padrone, mentre un grido di dolore si levava nel locale. Tuttavia il padrone continuò a strizzare le labbra della figa di Lisa, con crudeltà. Tanto che la giovane iniziò ad implorarlo perché il suo tormento finisse: “Ti prego, ti prego, ti prego, basta, pietà, ahiiiiiiiiiiaaa, perché? Basta padrone, per favoreeee”. Lui la liberò di scatto lasciandola raggomitolata su sé stessa e singhiozzante; alzatosi le premette la testa sul pavimento con un piede, giusto per ricordarle il suo ruolo. Poi, dopo aver fugacemente osservato gli altri due spettatori di quel perverso spettacolo, si rivolse all’uomo, che si stava spudoratamente masturbando totalmente rapito da quella scena che gli aveva restituito repentinamente una vigorosa erezione, chiedendogli: “La vuoi ancora?”. Vedendo il cenno di assenso si limitò a dirgli: “Prendila. Sborrargli in gola o sborragli in gola, chiaro?”.

 

L’uomo, come una bestia famelica, si slanciò con forza su Lisa e la sollevò di peso sbattendola sullo schienale di un divanetto, come uno straccio rudemente riposto. Con un braccio le cinse il petto, iniziando a strizzare rudemente i seni, pieni e sodi, mentre l’altro braccio afferrava e immobilizzava il collo della giovane; poi, con un colpo deciso, affondò il suo membro in quella figa stretta, ma incredibilmente lubrificata ed iniziò a penetrarla senza ritegno. Con forza brutale penetrò Lisa, sbattendola e sfondandola come un sordido buco da riempire e Lisa vi si abbandonò, ormai inerme. Qualcosa si era rotto nel suo animo ed ora il folle e più sfrontato piacere dilagava dentro di lei, trasportandola in una dimensione allucinata in cui il dolore, l’umiliazione ed il piacere si fondevano perfettamente. Un ludibrio fiammeggiante mai provato prima, che spingeva Lisa in una dimensione nuova, completamente dimentica del mondo circostante e solamente consapevole del proprio corpo abusato e del proprio orgasmo interiore. Così la bestia umana strapazzò quello straccio, mentre il suo padrone, senza neppure osservarli, si avvicinava alla proprietaria del locale, serafica e dolcemente appoggiata alla parete.

 

“Visto? Alla fine ti ho portato una Madonna con il Cardellino”, le disse; lei rise rispondendo: “Taci, cretino, non venire qui ad importunare il mio Raffaello”, “È troppo perfetto, almeno quel Raffaello! Non mi adatto a quella grazia” aggiunse il giovane, “Ti ribelli a quella grazia, ma la ricerchi, proprio come quel cardellino là con il piacere” disse la donna indicando Lisa. Il giovin padrone si voltò un istante, per tornare subito dopo a guardare negli occhi la donna, come a cercarvi chissà quale risposta. “Ma soprattutto, perché stiamo parlando di Raffaello?” chiese la donna; “Ma lo sai che siamo fatti male allo stesso modo. Dopo un po’, un certo sesso ci appare disgustosamente saporito e dobbiamo sbattere la testa su qualcosa di delicato e grazioso. Abbiamo bisogno di questi contrasti e dove trovi la più pura e lieve grazia se non nell’arte? In Te?” “Ah ah ah ah! Sei per metà un poeta romantico e per metà un monello strafottente, ma ti voglio bene.” “Anch’io” concluse il giovane, baciandola.

 

Intanto, alle loro spalle, l’uomo continuava a sfondare Lisa, ormai travolta da folli e agognati orgasmi. Ad un certo punto l’uomo la ributtò a terra e dopo averle assestato due ceffoni le infilò il cazzo fino in gola, rovesciandovi un getto di sborra che, più o meno, ingoiò.

 

Oplà, che soave delicatezza.

 

Passarono tanti minuti e tanti baci, prima che il padrone si girasse a controllare i due corpi ansanti distesi sul pavimento. L’uomo aveva un’espressione decisamente beata sulla faccia, anche se il suo respiro era paurosamente affannoso. Lisa invece era rannicchiata ai piedi del divanetto, sembrava svenuta, ma in realtà era semplicemente persa in un delinquio di piacere e follia. Le diede qualche calcetto per farla riprendere, ma ottenne solo dei mugolii, perciò si sedette al suo fianco abbracciandola.

 

Mentre la proprietaria del locale, con discrezione, allontanava il quarantenne, il giovane si fermò a rimuginare sulla sua cagnolina, guardandola un po’ stupito. Perché, in realtà, non riusciva ancora a capacitarsi che qualcuno potesse godere di quei trattamenti e avrebbe voluto indagare a lungo in quell’animo che per lui rappresentava un affascinante mistero.

 

Lo colpì in particolare quell’espressione così serena e compiaciuta che si palesava sul volto di Lisa, un volto arrossato e imbrattato dal trucco sfatto e mescolato a lacrime, saliva e probabilmente sperma. Per la carità, la vista di quell’impiastro non era propriamente affascinante, eppure non potè non notare la grazia dei lineamenti che traspariva indomita sotto i resti delle folli ore precedenti.

 

Lisa, invece, stava ripercorrendo le ultime ore come una fanciulla che non vuole svegliarsi e prova a rivivere le gioie appena sognate; perché quello che aveva appena affrontato le sembrava un folle e allucinato sogno. Eppure, sapeva di aver realmente vissuto esperienze impensabili fino a solo una decina di giorni prima, ma a cui non voleva più rinunciare. Folle, folle desiderio di quella commistione celestiale e infernale di emozioni e sensazioni così forti e contrastanti, che letteralmente l’avevano fatta impazzire di un piacere intensissimo e mai provato prima. Tutto in lei aveva vibrato ed ogni corda del suo animo sembrava essere stata magnificamente solleticata. Il dolore pienamente fuso con il piacere fisico e la sottomissione psicologica, che sembrava annullarla, ma che in realtà le aveva dato nuova vita, lasciandola finalmente libera di conoscersi ed esprimersi. Era follemente desiderosa di proseguire su quella strada, ora che aveva iniziato a conoscere “i piaceri” di cui parlava il suo padrone ed era altrettanto follemente grata a lui, grazie al quale tutto ciò era stato possibile.

 

Quando riaprì gli occhi scorse il volto disteso del suo padrone che la osservava serenamente. Gli sorrise e d’istinto lo abbracciò, rivolgendogli un sommesso, ma convinto: “Grazie”. “Visto mia cara?”, “Sì, promettimi che sia per sempre” aggiunse lei, “Oh, impegni da niente per oggi. Ma forse sarà davvero per sempre, non puoi scindere certi legami, certe emozioni” e proseguì “Forza, rimettiti in sesto, che dobbiamo andare”, “Certo padrone!” rispose la giovane alzandosi lentamente e dirigendosi verso il bagno, mentre lui, con grande signorilità, evitava di commentare lo stato in cui si trovava il suo maglione, dopo che Lisa vi aveva affondato il viso. Vabbè, un maglione poteva ben essere sacrificato.

 

Forse ancora più calorosi ed entusiastici furono i commenti dell’uomo, che si congedò con aria euforica e promettendo di ricambiare la voluttuosa accoglienza con una futura serata conviviale. Dopo un veloce scambio di opinioni con la proprietaria, il ragazzo fu propenso ad accettare, demandando alla donna ogni contatto con il libidinoso quarantenne. Intanto i pacchetti con i provocanti vestiti di Lisa, due frustini, qualche dildo e due cavigliere, si ammonticchiarono sulla cassa, in attesa del ritorno della cagnetta. La scodinzolante Lisa tardò un bel po’ prima di presentarsi alla cassa, ma il suo padrone si concentrò troppo sulla sua bellezza per potersi ricordare della lunga attesa. La ragazza si mise quindi a sbirciare, eccitatissima, nei pacchetti e volle a tutti i costi saldare lei il conto, nonostante la ritrosia del giovane. Dopo aver scambiato dei saluti sinceramente affettuosi con la proprietaria del locale, i due uscirono e Lisa, così fottutamente felice ed eccitata, iniziò a piroettare su sé stessa, illuminando la grigia Milano con il suo radioso sorriso.

Lisa aveva trovato un confidente ed un consigliere a cui appoggiarsi nei momenti di incertezza e questo appiglio sicuro l’aveva convinta progressivamente a sottomettersi e cercare di gratificare il suo padrone che, dal canto suo, s’impegnava con gradualità a stringere i bulloni che saldavano la giovane alla servitù.

Per lo spirito di riverenza che provava e per le delicate sollecitazioni del suo mentore, la giovane aveva preso l’abitudine di viziare il suo padrone con tanti piccoli servigi e delicatezze, che passavano dalla disponibilità a commissioni e servizi domestici (i quali, diciamoci la verità, rivestivano un’importanza enorme per il padrone, totalmente incapace nelle faccende di casa) alla concessione, con limiti sempre meno stringenti, del proprio corpo per soddisfare le voglie del suo signore. Voglie che si esprimevano soprattutto in gaudenti sevizie e solo marginalmente in classici rapporti sessuali, anzi potremmo dire che il sesso tra i due si risolveva solamente in un saltuario abuso della bocca della giovane.

Quella sera Lisa, come talvolta le capitava, era uscita un poco prima dal lavoro per andare a casa del suo padrone e attenderlo come si conviene, cioè in decollete con tacco a spillo, autoreggenti fini, minigonna leggera e provocante, camicetta con gustosa scollatura e niente biancheria intima. Nell’attesa si dedicò a rassettare la casa e intavolare la cena, da servizievole cameriera. Quando il padrone annunciò il suo arrivo, lei si pose diligentemente in ginocchio, accanto alla porta e non appena questa si aprì, s’inchinò a baciare le scarpe del suo signore, ricevendo una carezza come ringraziamento. Dopo essersi cambiato e aver divorato la cena, il giovane andò a frugare nella sua personalissima cassetta degli attrezzi, estraendone una corda e un mucchietto di pinze e mollette. Lisa, essendo voltata di spalle, non aveva potuto vedere cosa stesse maneggiando il padrone, ma soltanto il pensiero di un nuovo perverso gioco bastò ad accendere in lei l’eccitazione che le sembrò propagarsi fisicamente attraverso il calore montante dal suo ventre che raggiunse i suoi seni e in ultimo incendiò il suo cervello, sempre pronto a buttarsi tra le fiamme della passione. Lui la invitò ad inginocchiarsi e lentamente le sbottonò la camicetta che volò sul tavolo; iniziò quindi a strizzarle i seni, così sodi e pieni tra le sue mani fameliche. Quindi, incrociate le braccia della schiava dietro la schiena, le legò saldamente tra loro unendole in un’unica morsa alle caviglie. Lisa si trovò così bloccata in ginocchio e nella posizione ottimale per esporre i suoi seni alle torture pensate dal suo padrone. Il giovane, infatti, iniziò con lentezza esasperante a strizzare e torcere i capezzoli della giovane, che però reagirono in modo consono allo stato mentale di profonda eccitazione che l’animava; perché Lisa, pur non amando il dolore, non sapeva resistere all’eccitazione che le provocava l’essere legata e in balìa del suo padrone. Così quel corpo si bagnava di piacere, mentre il padrone iniziava a tormentarlo con tante mollette di legno, disposte a raggera attorno ai seni. La pelle era tesa e segnata dalle mollette, che, ogni tanto, il giovane si divertiva a strappare rudemente provocando gridolini di dolore. Venne quindi il turno delle pinzette di ferro che strinsero in una dolorosissima morsa i capezzoli turgidi della schiava. Il giovane allentò e aumentò la pressione infinite volte, logorando la resistenza al dolore della sua creatura, per poi stringere definitivamente la morsa ed iniziare a torcere i capezzoli con crudeltà. La pressione sui seni, la pelle tirata, i capezzoli ipersensibili e crudelmente strizzati, provocavano un dolore martellante che colpiva la mente di Lisa e beava l’animo del padrone. Dopo un po’ liberò i capezzoli e iniziò una piacevole stimolazione della figa che fu profanata da due dita saettanti. Purtroppo per Lisa (o per fortuna) era solo il preludio di un’ulteriore tortura, infatti, sollevata la minigonna, le mollette iniziarono a mordere le grandi labbra, già bagnate da inequivocabili umori. Il padrone continuò per un po’ a giocare con quelle mollette, facendole sobbalzare da parte a parte, per poi tirarle fino a che non si strappavano dalla figa della giovane. Per lei era un’escalation continua di dolore che raggiungeva il suo culmine ogni qualvolta la pelle era brutalmente e drasticamente liberata dalla presa della molletta. Quindi, per un improvviso capriccio dell’animo, il padrone decise di rimettere le pinze metalliche ai capezzoli unendole con una corta catenina, Lisa sospirò avvilita, ma non protestò oltre, poi un’altra pinzetta morse con cattiveria il suo clitoride spingendo la ragazza ad urlare il suo dolore e a contorcersi. Il giovane attese pazientemente che la schiava si ricomponesse e accettasse immobile le fitte di dolore, poi, con la solita calma, unì, tramite un’altra catenella, le pinze ai capezzoli a quella posta sul clitoride; tirò quindi la catenella di metallo, costringendo la giovane a piegarsi su sè stessa, per evitare che i suoi capezzoli ed il suo clitoride fossero tirati in modo insostenibile. Soddisfatto, la lasciò lì, a lamentarsi, mentre accedeva al suo PC per gustarsi un po’ di musica…

 

…Mentre cercava un pezzo che gli garbasse, chiese alla sua cagnetta se fosse eccitata: “Sì, padrone” fu la risposta, realmente convinta e sincera.

 

“Sei contenta di questo dolore?”

 

“Certo, padrone”

 

“Ne gradiresti altro?”

 

“Come volete, padrone”, rispose molto meno convinta,

 

“Doneresti un po’ del tuo dolore per soddisfare i capricci del tuo padrone?”

 

“Farei di tutto per voi”, fu la risposta definitiva e decisa, accompagnata da uno sguardo adorante, ma sofferente. Il giovane sembrò soddisfatto e impietosito, la liberò dalle pinzette e slegò le braccia doloranti, lasciandola distesa sul pavimento a massaggiarsi i polsi e i seni.

 

 

 

“…Lola e’ un fiore viola viola Lola, Lola vola
solo un’ora di gioia, solo un’ora poi Lola scappa
Lola è droga vera, chimica pura Lola Lola
Lola gode sola, Lola si tocca e sola vola
Lola è un fiore viola, Lola è droga Lola vera…”

 

 

 

Forse ispirato dalle note, forse per capriccio, fece rialzare la giovane e la posizionò con precisione a novanta gradi, in piedi e con il busto e le braccia distese sul tavolo della sala da pranzo. Lisa, con commovente ingenuità, pensò fosse giunto il momento del suo meritato piacere e non si pose troppe domande neppure quando la ball-gag riempì la sua bocca, impedendole di parlare. Peccato che in quel momento lo strumento di piacere in mano al padrone fosse un frustino relativamente corto e rigido che, in virtù di un certo disallineamento nel concetto di “Piacere” tra i due, vibrò sulle natiche di Lisa.

 

“Contenta la mia cagnetta?”, mugolii incomprensibili, “Umh, direi proprio di sì, bene bene”.

 

Il frustino riprese a segnare la carne arrossandola e irritandola, mentre la povera schiavetta si contorceva e gemeva, ma cercando comunque di mantenere la posizione. Purtroppo al diciottesimo colpo non riuscì più a resistere e si coprì il sedere con le mani; peccato davvero perché il padrone aggiunse: “Ah, mi ero dimenticato di dirti che per ogni interruzione non gradita raddoppierò il numero di colpi; ora fanno sessanta”. Lisa colpì con una mano il tavolo, in un moto di frustrazione, ma ripresa lesta la sua posizione per evitare conseguenze peggiori.

 

I colpi ripresero, lenti, implacabili e ben distribuiti su quel bel sedere. La carne si arrossava diffusamente e le note di rosso si facevano sempre più intense, accompagnate dalle prime vivide escoriazioni. La sventurata si muoveva scomposta, scalciava, piangeva e continuamente, ma in modo incomprensibile, si lamentava. Solo le mani restavano disperatamente aggrappate ai bordi del tavolo, per resistere alla tentazione di ripararsi dai colpi.

 

 

 

“…Di tanto in tanto Senja tenta di finirla

 

 dice risparmio e parto parto per l’India

 

 ma poi l’unico viaggio che Senja farà

 

 è quello con il trip che il suo angelo le da’…”

 

 

 

Scorreva la canzone quando, giunti a circa cinquanta colpi, Lisa cedette al dolore, coprendosi i fianchi con le mani e cadendo in ginocchio davanti al suo padrone; le lacrime rigavano il suo tenero viso e il suo sguardo implorava quella benevolenza che a parole non poteva richiedere.

 

Il padrone non sembrò impietosirsi e chinatosi sul suo volto si limitò a dirle: “Ora fanno centoventi, ma che tenera debolezza”. Lisa scosse rapidamente la testa, ma rimase impietrita di fronte allo sguardo penetrante del suo padrone e alla sua smorfia di fastidio; “No, nel senso che 120 sono poche?”, soggiogata rispose con evidenti cenni di assenso chiedendosi come avrebbe mai potuto giungere alla fine del supplizio, ma non ebbe coraggio di fare altro che rimettersi, dolorosamente, in posizione. I colpi calarono nuovamente, ma leggeri e ben cadenzati, perché il giovane non aveva nessuna intenzione di infierire, però, ogni carezza del frustino rappresentava comunque una stilettata di dolore in quel bruciore uniforme che arroventava il suo culo arrossato. Dopo un’altra ventina di colpi, Lisa si accasciò nuovamente a terra, chinandosi ai piedi del padrone per implorarvi pietà. Era sfibrata.

 

Il padrone comprese, posò il frustino, la liberò dalla ball-gag e teneramente l’abbracciò. Restarono lì a cullarsi, entrambi rapiti dai rispettivi pensieri, mentre il dolore, che attanagliava le parti intime di Lisa, sembrava trasfigurare in uno stato di profondo benessere.

 

Le melodie dei Prozac+ accompagnarono quello strano abbraccio d’amore finchè il giovane non invitò la sua cagnetta a congedarsi. Lei ubbidiente si rivestì, regalando smorfie di dolore ogni qualvolta i vestiti toccavano le sue carni segnate dal frustino e dopo riverenze e promesse di fedeltà, si ritrovò a ridiscendere i pochi piani di scale che la dividevano dal portone d’ingresso. Solo quando fu sulla strada, avvolta dal freddo umido di Milano, iniziò a ricomporre e ricostruire la serata appena trascorsa. Inizialmente le sembrò tutto folle e assurdo, il dolore che ancora percepiva nelle sue carni la infastidiva ed era persino un poco angosciata al pensiero della naturalezza con cui si era lasciata abusare. Eppure, anche quelle spiacevoli sensazioni sembravano ora trovare il loro posto, giusto e necessario, nel mosaico di emozioni che affollavano la sua mente. Perché esaltavano e si sposavano con la profonda eccitazione che la pervadeva ogni volta che ripensava alle corde che immobilizzavano le sue mani e le sue gambe, alle dita del suo padrone che si muovevano dentro la sua figa e all’ineluttabilità degli ordini e delle punizioni. Era proprio il tripudio degli eccessi e dei contrasti, che la dominavano e le provocavano, in definitiva, uno stato di euforico benessere e poi … quanto era bello poter essere sé stessi.

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