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Racconti di Dominazione

Lo sconosciuto in treno

By 1 Giugno 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Sara osservava il paesaggio dal finestrino. Era l’ultima volta che lo vedeva, non avrebbe più fatto quei viaggi lunghi la metà dell’Italia per incontrare lui. L’amore di sempre, dai tempi del liceo. Poi la vita allontana, sceglie per ognuno strade differenti. Era finito il tempo delle promesse, del ‘per sempre’ dei ‘qualsiasi cosa accada’ L’ultimo incontro aveva importo a Sara una scelta alla quelle non era pronta. Un matrimonio, lasciare tutto e tutti e fermarsi in quel paesino in mezzo al nulla. Per lui, con lui. Forse il suo amore non era abbastanza forte, forse &egrave soltanto egoista. Domande, supposizioni, sensi di colpa. Intanto sul vetro del finestrino, accompagnata dal dondolio lieve del treno, oramai vede soprattutto la propria immagine riflessa. Non ha mai viaggiato la notte. Lui non l’ha mai premesso. Una ragazza sola’ Ma quella notte non l’avrebbe trascorsa ancora con lui, non dopo quell’addio burrascoso.
‘Problemi di cuore?’
Quella voce la richiama al presente, la strappa di soprassalto dai suoi pensieri. Lo aveva notato, di sfuggita, salito una stazione o due dopo la propria. Distinto, elegante, mezza età. Si era messo a leggere qualcosa e lei aveva potuto tornare ai suoi pensieri.
‘Più o meno”
No, non se la sentiva proprio di parlarne, con uno sconosciuto poi’
‘Una bella ragazza come te con il broncio”
Ma che accidenti vuole? Non potrebbe semplicemente continuare a leggere per i fatti suoi? Ma domandarlo va oltre la sua sfacciataggine. Eppure lui sembra leggerlo nel suo sguardo e ne ride, irritandola ancora di più. Si alza, lui, composto, quasi rigido in quel completo elegante. Occhio croce avrà circa quarantacinque anni. Un vecchio agli occhi di una ventenne. Siede accanto a lei e da quel momento il suo sguardo non l’abbandona un attimo.
‘Sfacciata! Non puoi guardarmi a quel modo’
La sua voce non si scompone. Ma &egrave così ferma e determinata che se per un momento ha pensato ad uno scherzo o qualcosa a cui poter rispondere per le rime alla fine si ritrova solo ad abbassare lo sguardo.
‘Ecco, brava, lo sapevo che eri una brava bambina’
Lui allunga una mano e va a stringere le dita sulla sua gamba, le sente quelle dita forti, di una mano grande, attraverso il tessuto sottile di quel vestitino a fiori. E’ luglio, il caldo &egrave soffocante anche a quell’ora e solo l’aria che dal finestrino arriva ad accarezzarla riesce a dare un minimo di sollievo.
Ma non certo da quella mano che la stringe e che cattura il suo sguardo. E’ impietrita. Quello &egrave un maniaco o peggio. Deve chiamare qualcuno, deve assolutamente chiamare qualcuno. Ma la voce di lui la distrae ancora.
‘Alzati e tira la tendina. Non voglio essere disturbato. Poi vieni qui. In piedi. Di fronte a me’
Non ci crede, non riesce a credere soprattutto al fatto che lo stia facendo davvero. Quella voce ha un che di ipnotico al quale non riesce a resistere, o più semplicemente non vuole.
‘Sfilati le mutandine’
Breve, conciso, incontestabile. Continua a non guardarlo in faccia, ma si sente le guance infiammate dall’imbarazzo. Eppure ancora una volta esegue. Sollevando il vestitino il meno possibile sfila le mutandine abbassandole lungo le gambe fino sfilarle del tutto. Se le sente strappare di mano. Ed ora lo guarda. Lo osserva portarsele al volto. Annusarle. Un uomo dai tratti decisi, lievemente brizzolato. La sua voce, ancora, bassa, roca da buon fumatore, profonda.
‘Alza quel vestito, fammi vedere adesso’
E lei &egrave oramai una risposta meccanica alle sue richieste. Deve averle fatto qualcosa. Quella non &egrave lei. Non sono le sue mani quelle che sollevano l’orlo del vestito e lo raccolgono in vita. Che mostrano a quello sconosciuto, a quel maiale, il fiore della sua femminilità.
Lui si sporge abbandonando lo schienale. La stessa mano che le aveva stretto la gamba ora le accarezza rudemente il pube, la sottile peluria che lo ricopre. Spinge le dita a frugarla, la allarga rudemente.
‘Che troietta che sei. Già bagnata’
Ma no, non &egrave vero. Non può essere. Lo sta subendo come si subirebbe uno stupro e figuriamoci se si eccita per le mani e le volgarità di un maniaco. Eppure le sente quelle dita frugarla con troppa facilità. Scivolare lungo il solco aperto della figa. Strofinarle il clitoride fino a farle cedere le gambe.
‘In ginocchio adesso’
E lei si ritrova quasi stordita. Ancora in piedi, ancora con l’abito sollevato, orfana di quella mano e desiderandola ancora.
‘In ginocchio ho detto. Accucciati come la cagnetta che sei e saluta il tuo Padrone’
Cagnetta? Padrone? Parole che fanno eco nella sua mente confusa. Poggia le ginocchia sul pavimento lurido di quello scompartimento. Si accuccia davanti a lui che le lascia il posto allargando le ginocchia. Ma non sembra disposto a ripetersi ancora ed alluna di nuovo la mano verso di lei. Le dita si stringono sui suoi capelli e la attirano fino a portare il suo viso a contatto con la patta gonfia dei suoi pantaloni. La spinge a strofinarvi il viso prima di liberarla. Ora ha capito cosa vuole e ci si dedica con attenzione. Per quanto ancora rifiuti razionalmente quella situazione una parte di lei gode dell’eccitazione e dell’interesse che mostra un uomo come lui, gode di quella situazione umiliante. Potrebbe continuare all’infinito, ma &egrave ancora lui che guida il gioco, che lo modifica a suo piacimento. La scosta quanto basta per aprire la patta dei pantaloni. Il cazzo che si ritrova di fronte &egrave notevole, nerboruto. Lui le afferra ancora i capelli, la trattiene e con l’altra mano guida quella verga di carne al suo volto.
‘Questo per la tua poca prontezza nell’eseguire. Questo perché non ti impegni a sufficienza. Questo per”
E continua con un elenco di mancanze che la riguardano. E per ognuna di queste la schiaffeggia dolorosamente al volto, sulle labbra, le guance. E’ duro da far male eppure le sue orecchie si ascoltano mugolare davvero come una cagna, anche a quelle’ percosse.
Ha oramai gli occhi chiusi, Persa in quelle sensazioni che non comprende, ma che sembrano arrivare da una parte di lei sconosciuta fino a quel momento. Messa a nudo da lui, da quello sconosciuto, e che ora cerca con prepotenza la sua parte. Lo sente solo cambiare ancora, guidarla sadicamente anche mentre con il glande le forza le labbra fino a costringerlo ad ingoiare il suo cazzo quasi per intero. Solo allora la libera nuovamente e lei si ritrova a spompinarlo con una naturalezza che la sorprende. Con una disinvoltura che non conosce imbarazzo e con l’ingordigia che avrebbe sempre associato ad una troia da strada. Eppure &egrave lì, accovacciata tra le gambe di quell’uomo, a succhiarlo come se da questo dipendesse la sua vita. Lo sente fremere tra le sue labbra, lo sente vibrare prossimo all’orgasmo. La desidera quella sborra, se l’&egrave guadagnata, le appartiene. Ma ancora una volta deve solo prendere coscienza che nulla dipende da lei.
Lui si alza ed al contempo fa alzare anche lei. La fa piegare poggiandola al finestrino, quello stesso finestrino dal quale osservava poco prima.
‘Guardati adesso, guarda come gode una troia come te. Avanti, Voglio sentirtelo dire’
Le raccoglie il vestito in vita scoprendole il culo. Punta quel cazzo enorme tra le labbra viscide della sua figa ed &egrave un attimo. Si spinge dentro di lei con un unico, vigoroso, colpo di reni. Le strappa un urlo, piacere e dolore che si mescolano in una melodia armoniosa. Si sente aperta, dilatata da quella carne che cerca altra carne, che la scava a fondo, che la pompa vigorosamente.
‘Si’ si.. sono una troia, una troia”
E monta rapido l’orgasmo. L’anticipo di un piacere violento e travolgente la irrigidisce. Lui, sapiente, sembra leggerla come un libro, comprendere quell’istante e privarla del piacere che anelava. Scivola via da lei disperdendo piuttosto il suo seme a terra.
‘Pulisci tutto per bene. Lecca cagnetta. Io sono arrivato’
E’ un attimo. E già lo vede sistemarsi, raccogliere le sue cose e lasciare lo scompartimento.
Il treno si sta fermando. Milano. Deve scendere anche lei.
Il resto sembra viverlo in un sogno. Tutto &egrave ovattato, distante. La stazione, la colazione frettolosa al bar, la telefonata all’amica per annunciarle il suo arrivo, confermare il pomeriggio.
Il pensiero costante di quell’uomo e quel languore persistente di un piacere non appagato.
Casa, finalmente. Ci arriva ad ora di pranzo. Conosce i riti abitudinari della propria famiglia e sa che a quell’ora li troverà tutti seduti a tavola.
‘Sono a casa’
Si annuncia fin dal corridoio dove abbandona i suoi pochi bagagli prima di affacciarsi alla sala da pranzo. L’intenzione &egrave quella di dire loro che non ha fame, che &egrave stanca, che vuole solo riposare un po’. E’ da quando &egrave scesa da quel treno che non vede l’ora di ritrovarsi sola, sul suo letto, nella sua camera. Darsi quel piacere che le &egrave stato negato.
Ma la voce di suo padre la precede.
‘Vieni. Ti presento un amico di zio Michele. Si fermerà da noi per qualche giorno. E’ a Milano per lavoro’
Si sente gelare sulla soglia della sala da pranzo quando vede quell’uomo, lo stesso uomo, alzarsi e salutarla.
‘Ciao Sara. Fatto buon viaggio?’

Sperando abbiate gradito.
Bluette

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