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Racconti di Dominazione

M’s story. Capitolo 23. Cena e teatro

By 10 Novembre 2022No Comments

È martedì e mi han lasciata dormire. Mi sveglio tardi, dovevo recuperare dalle fatiche degli ultimi giorni, molto intensi e pieni di emozioni per me. Mi sistemo un attimo, poi scendo per far colazione, ma sento rumori di operai che lavorano. Marta esce da quello che fino a pochi giorni fa era lo studio: dire che ha l’aria felice è poco. È radiosa, sorride felice come non mai. “Stellina, vai via da qui, di la’ nel salottino. Ci sono 8 operai in casa e se ti vedono così, ti stuprano!”. Ride, io divento rossa ma sorrido e trotterello sui tacchi alti verso il salottino riservato del pianterreno.

Arriva dopo poco, chiude la porta e depone vicino al divano la mia ciotola con latte, caffè e cacao. Chiedo subito: “Come stai? avete fatto pace?”, poi mi in ginocchio mangiare. Lei:
“Abbiamo fatto pace e anche… i fuochi d’artificio!” ride gioiosa. Io muoio di curiosità, ma non ho un carattere tanto forte da chiedere di più. Lei ormai sa come sono insicura e mi dice qualcosa. “Max dorme ancora… io dovevo svegliarmi perché oggi finiscono i lavori, altrimenti avrei dormito tutto il giorno” e ride di nuovo, sprizzando gioia da tutti i pori.

Poi mi esamina le parti intime; siamo sole in casa (operai a parte) ed Ercole vuole sapere come sto appena possibile. Marta sentenzia: “Hai una muscolatura eccellente, ti sei rimessa a nuovo sia davanti sia dietro, è incredibile come sei di nuovo strettina. Ma non cantiamo vittoria: oggi pomeriggio hai 6 ore di lezione. Ercole ha scelto personalmente le materie: è molto preoccupato per giovedì, mi ha detto di dirti che il proprietario terriero lo chiama ogni mattina e sera per avere conferme e chiedergli varie cose. Dobbiamo trovare il tempo perché tu vada dalla parrucchiera, per il resto mi sembri perfetta e ti aiuterò io. Ora torna su a dormire, ti chiamerò io quando avrò bisogno”.

Sono le 12 e io dormo, nuda, per terra sullo scendiletto. La voce allegra di Marta mi scuote: “Sveglia! C’è una novità… e tra mezz’ora hai lezione di galateo!”. Mi rialzo… ho dormito benissimo: una ventina di minuti in bagno a sistemarmi alla bell’e meglio e scendo.
Marta: “E’ arrivata una macchina della Ponce Internacional, ma la può usare anche Max. È grande ed elegantissima! Qualcuno ti pensa, hi hi hi” Non capisco, ma rido anche io.

È arrivato anche Claudio che è corso a cambiarsi e togliersi i vestiti da uomo.
La lezione di galateo si svolge in sala da pranzo: posso sedere a tavola. Intuisco che qualcuno ha chiesto all’insegnante di prepararmi per una cena non come cameriera, ma come signora. Non c’è molto tempo.
Segue un’ora di yoga. Mi rilasso, vado nel Nirvana, non penso a nulla. Claudio, invece, si guarda le gambe allo specchio e se le accarezza, ormai lo fa ogni volta.
Ginnastica artistica: il prof ci vuole nude anche oggi. Mi impegno al massimo, mi sembra di riuscire. Claudio fa più fatica. Quando manca poco alla fine dell’ora, Naspisi mi fa inginocchiare ai suoi piedi: anche stavolta devo fargli un bocchino.

Due ore di ballo: per me solo valzer e tango… e mi sembra un altro indizio del fatto che mi stanno preparando per sabato sera. Invece, due ore di sodomizzazione per Claudio che, oggi, sembra molto più docile e sottomesso nei confronti dei due maestri.
Cucina: oggi si tratta di preparare una cena. Al termine rimane poco tempo e il cuoco non mi penetra come di solito, ma nemmeno mi punisce: meno male!

Il mercoledì trascorre senza niente di rilevante: aiuto Marta nel pulire e sistemare gli uffici.
È giovedì, è il giorno del teatro. Devo andare 4 ore al Centro Estetico, ma ho paura di sbagliare qualcosa se vado sola in bici. Il caro Max, mi porta e mi riporta.
Alle 18:30 mi vestono: ci sono tutti ed è arrivato un altro misterioso regalo per me. Scarto un paio di elegantissime Caovilla, color argento, sobrie ed essenziali, tacco a spillo di 9 cm. Queste so da sola che costano una follia e so anche che è difficile trovare un 36,5. Calzano subito benissimo, morbide, difficile mi venga mal di piedi. Non posso non pensare a chi me le abbia regalate… forse è stato lui? comincio a esser preda delle emozioni… ma c’è Marta che mi scuote: “Smettila! non pensare a lui. Calmati e pensa all’uomo che conoscerai!”.

Mi riprendo, mi vestono per distrarmi, il vestito cade perfetto: Ercole e Max mi guardano basiti… e noto che hanno il sesso eretto sotto ai calzoni. Persino Ercole, che è gay!
Per fortuna Marta guida il gruppo, umile ma sicura: “No, il reggiseno non ci va perché il vestito scopre un po’ le tettine. Mutandine? Il davanti dell’ex vestito di Britney lascia intravedere la parte sinistra, dai piedini fino a oltre i fianchi; la parte destra è più coperta… la parte dietro è molto trasparente. Pertanto, potrebbe starci bene uno string, a filo… Claudio vai su e lo cerchi? Colore tenue mi raccomando”.
Il tocco finale: una pochette rosa cipria e… la giacchina di cashmere bianco! Penso all’uomo che mi ha invitata stasera… spero tanto sia gentile.
Max fingerà di essere un autista, in abito scuro e cravatta regimental: in realtà starà a portata d’occhio finché finirà la presentazione al teatro.

Siamo vicino a Imola alle 20, puntualissimi. Fuori c’è scritto “Agriturismo”, ma in realtà è tutt’altro: Restaurant, Hotel, SPA, lusso… che immagino costosissimi.
Max mi apre la porta: scendo con le gambe unite, compostissima. Mi conduce camminando piano. Giunti alla fine delle scale mi sussurra. “Eccolo, deve essere quello… sembra che stia per avere un infarto” e ride sotto i bassi. Io abbasso gli occhi, aspetto.
Il dott. Helio Vigneti mi sta fissando sbigottito, fa un passo verso di me. Max torna all’auto.
H.: “La… la signorina M.?”. Io, con la mia vocina da bimba buona:
M.: “Buonasera dottor Vigneti” una pausa “So… sono sposata ora”, sorrido timida.
Il viso gli si illumina, sorride da orecchio a orecchio!
H.: “Signora… non ero sicuro, lei è tutta diversa dal concorso per miss ragioneria e da quel triste pomeriggio… lei è la stella più brillante del Cielo”.

Galante, educatissimo… mi rassereno. Mi porge la mano, poso la mia, mi guida piano all’interno del Palazzo. Alto, non altissimo, sui 55, moro, ha tutti i capelli e ha le mani forti e callose. Forse è uno che si è fatto strada da solo e ancora oggi lavora le sue proprietà. Lo smoking non nasconde due spalle larghe e un collo taurino. Insomma, è molto attraente: un altro film rispetto a suo figlio, il ragazzino che mi fatto sesso in gruppo quando andavo a scuola (vedere cap. 6).

Entriamo, subito si avvicinano il caposala, il sommelier, due camerieri e un quinto signore anche lui in smoking, che parla per primo: “Buonasera dottore, le ho tenuto il tavolo sulla veranda, con vista collina… può andare?”.
Helio: “Sì, è perfetto. Però, chiedo una cortesia: Se potesse seguirci Eugenio… solo lui, grazie”. Tutti si allontanano, solo il caposala ci fa strada. Non sono molto intelligente, ma mi sembra che qui comandi Helio … facile immaginare il perché.

Tutto questo lusso mi confonde, ho paura di sbagliare e fargli fare brutta figura con i suoi dipendenti. Mi aiutano a togliere la giacchina: ho la schiena nuda fino alle fossette sopra il sedere. Quando sediamo al tavolo, mi faccio forza e sussurro: “Dottore, io… io non sono del vostro ceto sociale, sono povera. Grazie per aver mandato via tutti, ma ho paura di sbagliare qualcosa e farle fare brutta figura. Mi… mi aiuti, anche se non so come”.
Si alza subito, sposta la sedia accanto a me. Poi: “Eugenio, per piacere mi apparecchi qui? La signora non vuole apparire troppo”. Il caposala esegue, accosta qualche tenda ricamata e bellissima, lascia aperta solo la vista sulle verdi colline sottostanti.

Lo ringrazio con un sorriso dolce, lui si fa coraggio.
H.: “Signora so di esser vecchio, ma proprio per questo le chiedo se posso darle del tu”.
Io.: “Non mi ero accorta che lei fosse vecchio. Accetto il suo tu, posso darglielo anche io?”.
H.: “E’ perfetto. Vedo che sei un po’ a disagio, ma non aver timore: sei al sicuro con me. E ora… ti sarai chiesta come mai questo invito a una serata assieme”.
Annuisco, lui continua: “Vedi, tutti noi cinque papà di quei deficienti dei nostri figli volevamo rivederti. Il tuo tutore legale lo ha permesso solo a me, credo per questa ragione: mi sento in colpa. Quella faccenda poteva finire malissimo per te… e io non credo di aver fatto abbastanza per aiutarti… quindi, se posso fare qualcosa, dimmelo tu”.
Lascio passare qualche secondo, non so se aprirmi. Poi: “Helio, come sai io sono una insicura. Sono stata educata in campagna e non sono abituata a decidere o a contraddire. Perciò, la verità è che quanto è successo quella volta è… è solo colpa mia. Colpa del mio carattere di popo’. Perciò tutti voi cinque papà siete stati tanto buoni con me: proseguo gli studi anche se non posso più entrare una scuola statale. Ho fin troppo per le mie spese. Mamma ora è curata. Insomma… sono io in debito con tutti voi”.

Riflette in silenzio, poi: “Sì, tutti abbiamo visto come è il tuo carattere. E il tuo tutore me lo ha confermato in 100 modi diversi. Ma qualcosa devo fare, ci penso da allora… e ci penserò [fa una pausa, i pensieri gli van via e mi sorride]. Quindi dovrò ordinare io per te, è giusto?”. Io annuisco con la testa. Prosegue:
H. “Va bene, allora faremo un gioco… e tu prometti di lasciarmelo fare, vuoi?” Non aspetta risposta, ha un carattere forte, si vede benissimo che è abituato a comandare ed essere ubbidito. Chiama: “Eugenio, per favore”. Indica col ditone tre cose del menù aggiungendo: “Per una sola persona”. Eugenio va a portare la comanda.

Quando ci servono dà corso al “gioco” e mi imbocca dalla sua forchetta, come una bambina. Sorrido divertita e accetto il gioco, si informa su di me e … gioca un’altra carta: “Ma cosa dice tuo marito di questa uscita con un altro uomo? Che ora hai di rientro?”.
Capisco a cosa punta, cerco le parole per dire-non-dire: “E’ contento, esco pochissimo perché ha paura mi succeda qualcosa. Anche il tutore legale è contento, sa che ho un carattere debole”. Per vergogna non riesco a dirgli che non ho ora di rientro. Lui fa finta di nulla, mi sorride, mi accarezza il viso, passa il dito sul mio nasino… finché: “Resta la frutta, poi dobbiamo correre. Sono fragole da impianto, le faccio io, sono dolcissime ma… ho paura di sporcarti questo bellissimo abito da sera. Vieni più vicina, vuoi?”.

Non aspetta la mia risposta… mi fa alzare con tanto garbo e mi fa sedere sulle sue gambe. Seduta su di lui mi sento proprio piccina, mentre mi accorgo di qualcosa di durissimo sotto al mio sedere. Non faccio in tempo a dir nulla che prende una fragola tra le labbra, me la passa, bocca a bocca. Remissiva, arrossisco e lascio fare. Seconda fragola… terza: stavolta non si stacca, mi bacia, a lungo e non mi lascia dire niente. Mi arrendo, porto una mano ai capelli della sua nuca, glieli accarezzo… tremo, ma non di paura.

Capisce di avermi vinta, mi fa alzare: “Dobbiamo correre. Ho finanziato la ristrutturazione dell’antico teatro di Comacchio e devo essere presente, ma… porto qualche fragola, ah ah ah!”.
Ha l’autista: era ovvio. Soli e seduti dietro, continua darmi fragole con la bocca… è educato, gentile e ci sa fare un casino con le insicure come me. Riesco a sussurrargli con la mia vocina: “Helio, ti prego, non pensare male di me… non sono una che ci sta, te lo giuro”.
Lui: “Lo so che non sei una ragazza facile e non ti giudico male, è solo che…” mi imbocca un’altra fragola… con lingua. Poi si fa audace, una manona scende, mi solleva il vestito “così, non si spiegazza”. Tanto son forti e grandi le sue mani, quanto lievi sono le carezze lungo tutte le mie gambe. E, io purtroppo gemo, sottovoce, nascondendo il viso contro la sua spalla. Continuando a baciarmi, piano piano dirige la mano al centro del suo obiettivo e mi scopre bagnatissima. Mi sussurra. “Grazie per desiderarmi e non aver paura: sarà solo quello che vorrai tu”.

Siamo al teatro, è piccolo. Max si avvicina con altro bestione come lui. Mi parla, ma guarda Helio: “Signora M, le presento un mio commilitone: Rodolfo. Fa il mio stesso lavoro per il dottor Vigneti. Io andrei, ma la lascio in buone mani, mi creda. La riaccompagna lui quando vorrà. Ho dato già l’indirizzo”.
In teatro mi fan sedere in prima fila, a pochi passi sta Rodolfo per mia sicurezza. Parla il Sindaco, parla Helio… e alle 22:00 siamo fuori. Fa fresco, mi mette la giacchina, mi prende per mano e… gioca la sua ultima carta: “Ti piace il mare? ho un villino carino a pochi minuti da qui… potremmo vedere l’alba se ti va”. Non faccio in tempo a risponder: ha già deciso lui per me, come per il menù: posso solo abbassare gli occhi e stringermi nel mio caldo cashmere.

Congeda l’autista, guida lui: si volta spesso a guardarmi, mi accarezza il viso, mi dice parole dolci: “Non avere paura, su…”
Io: “Non ho paura con te… sto bene e mi sento protetta tanto. È solo che… chissà cosa penserai di me”.
Ride, allegro e sicuro di sé: “Penso che tuo marito è un uomo fortunato e provo tanta invidia, ah ah ah!”.

Passiamo il cartello “Lido delle Nazioni” e dopo pochi minuti apre un altissimo cancello con il telecomando. Villino? Sono in una super villa! Tre piani, con circa dieci finestre ciascuno. Piscina, piccolo parco e le onde del mare che si infrangono a pochi metri di distanza. Scendiamo, mi solleva, mi tiene stretta a lui, bocca nella bocca, lingua a giocare con la mia. Quando entriamo realizzo che aveva pianificato tutto: rose rosse profumatissime dappertutto, camino acceso, un dolce tepore in tutto il salone. Divano grande come un letto a due piazze, aperto davanti al fuoco.

In piedi, uno davanti all’altra mi spoglia, lento: mi valuta tutta. Sono nuda davanti a lui, a capo chino, rossa in viso: mi ha lasciate le Caovilla ai piedi, mi copro il seno con una mano e la passerina con l’altra. “Sei la dea dell’amore…” Si spoglia anche lui: non è un orso come il mio Leòn, ma è villoso parecchio. Non è dolce come Daniele, ma sono serena e senza paure. Non è tonico come Max, ma ha muscoli dappertutto, due cosce come colonne e un sedere da… graffiare! E laggiù non è lungo e grosso quanto Giovanni, ma ha una virilità notevole.

Si sdraia sul divano, mi porta piano sopra di lui. Il mio viso ha il suo membro a pochi centimetri: il suo respiro riscalda la mia patatina. Mi accorgo che ha dei testicoli affascinanti, mi viene spontaneo accarezzarglieli e dare un bacino alla sua puntona paonazza. Ma quando mi bacia laggiù sento come una scossa nel cervello. Il bacio nella fessurina è una cosa che mi fanno poche volte e mi fa impazzire… il mio corpo reagisce contorcendosi, spingo il suo uccello in bocca e, contemporaneamente schiaccio la mia patatina contro il suo viso come una svergognata. E lo chiamo, miagolo a lungo, come una gattina disperatamente in calore.
Capisce cosa mi sta per succedere e mi blocca contro la sua bocca, spinge la lingua dentro, fuori, sulle grandi labbra… impazzisco e, come sempre godo quasi subito.

Non ha nessuna fretta, mi cuoce a fuoco lento. E anche questo me lo fanno di rado. Mi fa sua dopo avermi fatta venire non so quante volte. È una penetrazione molto attenta ma sicura di quel che fa: mi è chiarissimo chi comanda e chi deve lasciarsi fare. È grande, grosso, pesante… mi sento posseduta nel profondo. Non vuole farmi male, ma mi sembra che voglia farmi ricordare questa notte per sempre. I pelacci del suo torace pizzicano i miei capezzoli… mi sembra che quasi prendano fuoco. Usa il mio corpo come un violino. Godo mille volte, perdo la cognizione del tempo, del luogo, dello spazio.

Riapro gli occhi non so dopo quanto: gli sono in braccio, mi sono accoccolata nel tepore del suo corpo. È sveglissimo, sorride felice: sa che non dimenticherò nulla. Mi bacia la punta del nasino, mentre dalla porta finestra ci sorride la luce di un’alba dolcissima.

Continua

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