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Racconti di Dominazione

Non la cercherò mai più

By 5 Agosto 2006Dicembre 16th, 2019No Comments

Una foto scambiata in chat e una dozzina di telefonate intercorse. Lei &egrave una proto-slave, o almeno così mi asseriva. Io non sono un master. Anche se poi non si arriva alla mia età senza aver provato anche questo. E a lei stuzzicava il conoscere Red Blank. Le ho detto di venire da me, per farsi scopare,. Solo una volta. E senza intimo’.. Si, ci gioco, a volte e se &egrave il caso, ad atteggiarmi a padroncino. (e a volte mi sembra ridicolo)
Ed &egrave venuta. L’altro giorno.
Dopo che aprii la porta la trascinai dentro ‘benvenuta a mia disposizione’ e tirai su la sua gonna e spinsi un dito nel suo sesso asciutto. Poi, con l’altra mano le afferrai i polsi.
Tendendola così ferma, la toccavo pizzicandole le labbra della vulva con le mie dita. Volevo farla soffrire, doveva e voleva sentire dolore, per questo era venuta. Era lei responsabile di quanto stava accadendo.
Bagnata. ‘fica rotta’ le dissi a bassa voce ‘dì che sei la mia troia’, mi guardò e ripet&egrave a bassa voce ‘io sono la tua troia’.
La girai con il petto rivolto alla parete ‘tu non volevi che questo’ dissi, e ho estratto il cazzo dai pantaloni. Per me era come prendere tra le mani un coltello.
Le alzai la gonna e sentii il mio cazzo scivolare in lei sulla parte interna della sua coscia umida e appiccicosa.
L’ho scopata così impetuosamente che ad ogni spinta lei colpiva la parete con piena forza. Ho spinto di sbieco, dal basso verso l’alto come a squarciarla, le spinsi duramente il volto contro la parete e misi il pollice della mano sx nel buco del culo., a separare le sue natiche per poterla penetrare ancora di più.
L’ho colpita sul viso, me ne era grata anche se mi disse ‘ti prego non farmi troppo male’ La colpii nuovamente e lei lo accettò.

E poi ho iniziato a colpirla sul culo con la mano aperta.
Mi spogliai, via anche i suoi abiti, niente più doveva esserci tra me e lei. La gettai sul pavimento e mi buttai su di lei.
Mi sono dedicato ai suoi capezzoli. Il suo sguardo era affettuoso, e io la scopai di nuovo finche lei non si &egrave lamentata dal dolore.
Avrei voluto durare in eterno’.ma non mi &egrave dato!
Si &egrave fermata poi, la sera, a cenare e farsi sbattere di nuovo e dormire e da me. Attenta, comprensiva, affettuosa. Troppo!

Alla mattina, quando mi sono svegliato, e lei dormiva ancora, i polsi legati, mi ha preso un onda di tenerezza. Le ho toccato le spalle e inspirato l’odore della sua pelle. Lei si lamentò lievemente, ancora immersa nei suoi sogni, forse, col suo sedere morbido e ancora caldo di sonno disteso verso di me.
Le ho allargato le natiche e ho messo il mio cazzo nel mezzo del suo appiccicoso, umido e strtto buco caldo. La sua figa sussultante e pulsante mi avvolgeva. Biascicò ‘mi piace se semplicemente mi usi’.
Rimase tranquilla, quasi senza muoversi. Mentre l’ho scopata. E sono venuto duramente, senza preamboli, quasi dolorosamente.
Quando ho finito le ho detto ‘voglio che tu sparisca’ così erano i patti. Lei si &egrave alzata, le ho sciolto i nodi ai polsi, si &egrave vestita e se ne andò.

Mi sono chiesto, per qualche minuto, se fosse stata la cosa migliore. E poi un sentimento particolare, bello, di liberazione mi ha preso: avrei scritto tutto, come faccio spesso ‘ ma non la cercherò mai più. E così lei.

seidelman@hotmail.it
E’ una storia, in parte, reale.
Certo, romanzata e “colorita” ma la filigrana del quotidiano &egrave stata questa.
Mi stavo fottendo da solo ‘. E non potevo permetterglielo.

Trascorse una settimana. Tutto sommato tranquilla, riuscivo a celare il mio abisso a me stesso e i pensieri non erano dei più duri. Il lavoro procedeva a ritmi serrati, come sempre, ed era un bene!.
Un pomeriggio stavo guardando dalla finestra quando il cellulare abbandonato sul pavimento suonò. Era lei, la sua voce sembrava ubriaca
– Ho scopato con un altro uomo- , disse.
– E quindi?- volli sapere. E mi sentivo nascere un glaciale cumulo di incredulità e paura.
– Perché ti odio. Perché mi hai mandata via –
– Non &egrave un buon motivo per chiamarmi – replicai asciutto.
La sua voce era stridula, quasi da eccitazione infoiata.
– Non vuol dire nulla. Tu non sei un vero uomo ‘ poi ti odio perché tu guardi dalla finestra mentre io sono qui. Mi hai voluto mandare via da te! Allora va tu! Io posso avere chiunque voglio’ – staccò il telefono.
Era quindi in strada e mi vedeva alla finestra. Combattei con me stesso per non affacciarmi.
Dovevo di nuovo trovare l’uscita dal mio abisso ‘. Cazzo! Non adesso.
Quando si fece tardi decisi di trascorrere la notte accompagnato dalle gauloises e dalla Menabrea.
Il giorno dopo telefonò di nuovo. Non aveva scopato con nessun altro, voleva solo ferirmi, mi disse.
Folle! Risposi che non sarei tornato più (mentivo?), lei mi insultò e io semplicemente riattaccai.
Dovevo aspettare nella stanza, finche la nebbia non fosse finita.
Nei giorni seguenti telefonò di nuovo, si lamentava, piangeva, diceva di voler andare a letto con me.
Restavo di pietra. Le sue telefonate divennero sempre più lamentose, finché compresi che stava prendendo potere su di me. Provavo compassione per lei. Conoscevo la sua situazione. Pensavo alla sua pelle, al suo odore. Credevo di sentire la sua carne e il suo sesso, e nello stesso tempo mi sentivo rabbioso. Perché vivo un abisso, ed &egrave tutto mio.
Volevo vendetta, all’idea di scoparla di nuovo mi eccitavo.
Quando mi telefonò per l’ennesima volta le dissi di indossare la stessa gonna corta della prima volta e di non riportare gl slip. Doveva anche mettere le sue scarpe con i tacchi alti.
– Voglio che tu sia la mia troia ancora per questa volta, poi me vado. E tu te ne vai!-
– Per te io sono tutto quello che tu vuoi e faccio tutto quello che vuoi. Ma vieni. – mi prego lei.
Nascosi la mia scatolina dove tengo il mio abisso e le diedi appuntamento alla sera al Gabrio.
Mi stavo fottendo da solo. Mi stava fottendo.
Gabrio. I nostri occhi si sono incontrati e ci siamo detti tutto con uno sguardo.
Lei uscì per prima. Vidi che lei, con la coda dell’occhio controllava se la seguissi.
Abbiamo camminato senza dire una parola, uno dietro l’altro, per un tratto di strada che sembrava lunghissimo.
All’ improvviso afferrai con forza il suo polso.
La trascinai attraverso un portone aperto che richiusi subito alle nostre spalle. Senza dire una parola tirai fuori i suoi seni e cominciai a strizzarli e baciarli avidamente come frutti maturi durante un pomeriggio estivo.
– Fica merdosa! Perché me lo hai fatto? Ti odio, sei un pezzo di merda! –
– Si. Ti voglio. Sono una stronza. Ti prego Red, prendimi.- implorò.
– Puttana! Fammi vedere il tuo bel culo –
Le mie mani hanno iniziato a giocare avidamente con le sue parti intime.
– E adesso me lo succhi! –
Quella sua lingua mi faceva impazzire. Succhiava e succhiava con tutte le sue forze ma il meglio doveva ancora arrivare ‘ e arrivò quando la girai e la presi da dietro.
Il suo buchino era già bello fradicioo. Penetrai dentro di lei come un coltello rovente nel burro.
Mi tirava, mi tirava, mi tirava. Cercai di dare il meglio di me. Per rabbia e per riconvincerla che ci sapevo fare. E per darle piacere ‘ alla fine rimase soddisfatta.
Quando venni mi pulii il pene con la sua bocca e i suoi capelli. Li tirai sino a che non pianse.
L’ho lasciata lì, per terra e me ne andai, senza dirle nulla.
Mi recai a casa, aprii la sporta sperando che mi portasse nel mio mondo interiore.
La scatolina col mio abisso era ancora dove l’avevo riposta, meno male.
Cazzo!

seidelman@hotmail.it
Era ormai inevitabile. L’avrei vista, scopata e goduta di nuovo.
Desideravo di nuovo sborrare sui suoi seni, erano la sua parte più espressiva, dritti e vicini, con le aureole dei capezzoli che sembravano un bersaglio per il mio seme o due caramelle scure da morsicare.
La volevo. E la odiavo per questo.
Volevo, e dovevo sodomizzarla e farle sanguinare a morsi i lobi delle orecchie.
Cuba libre e Tavor non riuscivano a lenire la mia sofferenza, a farmi scordare, sia pure per pochi attimi, il mio abisso. Ma almeno la scatolina era ancora lì, religiosamente chiusa.
Volevo tenerla legata per 72 ore consecutive. Perch&egrave mi piace ed &egrave bellissimo stuprare la propria donna legata. E frustarla di tanto in tanto, ma darle un educazione non mi interessava. Capivo, lo sapevo, che lei lo avrebbe desiderato, ma io no. Per me era e doveva restare solo e solamente una puttana. Una puttana inutile.
E quella volta, maledicendomi e giurando che sarebbe stata l’ultima, andai io sotto casa sua. Composi il suo numero al cellulare:
– Scendi puttana.
Obbedì subito.
Incrociai il suo sguardo appena la vidi uscire dal portone. Io ero dall’altra parte del viale. La osservai di nuovo a distanza, per essere certo che lei avesse sentito e letto il mio sguardo. Sorrise.
– Seguimi!. Ho quanto ti serve.
Vicino all’auto c’era un aiuola circondata da siepi.
– Sei fin troppo vestita, senza niente addosso sei più casta.
Sorrise di nuovo, un sorriso anonimo come la fellatio con cui mi ricambiò.
Venni nella sua bocca senza alcun piacere. Senza toccarla, perché volevo tenere il meglio per il dopo. Le misi solo una mano sulla bocca e tenendole l’altra dietro la nuca le spinsi la testa all’indietro perché fosse chiaro che doveva inghiottire.
– I preliminari sono terminati- le dissi in macchina, era così che doveva andare. E lei, per la prima volta, ebbe timore di me. Bene!
A casa.
Ho voglia di indulgere nella punizione che mi spetta quanto più mi aggrada ‘ a costo di farla sanguinare.
– Spogliati!
– Mi farai male?
– Male? Non so cosa sia!
Scosto rapidamente le grandi labbra rosse del suo sesso con l’indice della mano sinistra. Lei chiude gli occhi, geme senza partecipazione.
– Lasciati le calze, troia.
Alle sue spalle inizio a mordicchiarle i lobi delle orecchie. Lei nuda, con solo le calze nere addosso, oscilla per l’eccitazione.
– Non farmi troppo male – ripet&egrave insensatamente.
Un ceffone!
– Smettila di dire sciocchezze. Farò ciò che devo. E tu sarai mia complice.
L’afferro con forza e frugandola la schiaccio contro il muro. E inizio a colpire, sulle natiche, sulla schiena, sui seni, sulla sua pelle bianca, con le mani prima e con la cintura dopo.
Ed &egrave respiro affannoso ‘ gemito di dolore ‘ rantolo di piacere ‘ parole smozzicate che potrebbero essere ‘pietà’ e ‘basta’ , ‘ti supplico’, se volessi ascoltare. Poi ancora gemiti e un piccolo pianto sommesso che alla fine si spegne.
Ad un tratto mi fermo, prendo dallo scaffale davanti il barattolino di balsamo di tigre, ci infilo due dita dentro. E poi le passo sul suo sesso gonfio e aperto che colava, cerco le labbra nascoste, il piccolo monte umido. Il balsamo di tigre sprigionò subito tutto il suo calore, il suo sesso si incendia. Arde e pulsa, pulsa e arde. L’artiglio infuocato della tigre che lacera il suo ventre. Un urlo, un invocazione, il mio nome!
Quando tutto &egrave finito, lei &egrave per terra, i capelli opachi di sudore, gli occhi incantati, i seni striati di rosso, piccole macchie di sangue sul pavimento. Le chiedo:
– Sei una puttana. Sei solo una puttana inutile! Come va adesso, tutto bene? –
Lei fa di si con la testa, mi guarda seria:
– Tu sei buono con me – sussurra. Una mano si aggrappa alla mia vita, l’altra mi sbottona lentamente, con serietà. Sento piano piano il cervello sciogliersi e scendere al cazzo, e lì esplodere fino ad annullare qualunque pensiero. E rimango a prendermi il premio che mi tocca per aver fatto bene il mio compito.
Stringo i suoi seni, ci soffio sopra, li lecco, li levigo col palmo delle mani, li comprimo contro il busto di lei, li morsico, hanno un gusto piacevole.
E allora decisi di sodomizzarla. Fece male e piacque ad entrambi. Mentre spingevo per farle male, lei gemeva di piacere.
– Chiavami – disse lei – Chiavami. Chiavami. Chiavami. – ripet&egrave con la voce che calava di tono perdendosi in un nulla.
Nessuno dei due venne. Continuammo a ripetere gli stessi gesti per ore, sino a ch&egrave, esausti, non scivolammo nel sonno.
Al risveglio non dicemmo nulla, ci rivestimmo in silenzio.
E lei se ne andò.
Questa volta per sempre.
Per sempre?

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