Skip to main content
Racconti di Dominazione

Oggi è arrivata la cucina nuova

By 23 Dicembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi sono resa conto che i nuovi mobili della cucina sarebbero arrivati oggi, proprio nel momento in cui suonava il citofono.
Attimo di panico: mi sono appena alzata e sono ancora mezza addormentata, dovrò aprire la porta di casa spettinata e senza trucco, anzi, per fortuna che mi sono guardata allo specchio, perché, assonnata come sono, stavo per andare ad aprire con indosso soltanto le mutandine.
Alla fine ho preso la prima cosa che mi capitava, un vestito nero corto e scollato, che ormai uso solo per casa. Ho aperto alla terza scampanellata, dopo aver cercato di sistemare alla meno peggio, con le mani, la gran massa dei miei capelli neri ed ondulati, ma temo con scarsi risultati.
Sono in tre, un facchino e due montatori. Il primo, una volta sistemati i colli più pesanti nella cucina vuota, se ne è andato. Con gli altri due dovrò passarci gran parte della giornata.
Come dovrebbe regolarsi una donna sulla quarantina, di bell’aspetto (scusate se me lo dico da sola, ma è la verità), se deve trovarsi sola in casa in compagnia di un paio di operai, possibilmente giovani ed aitanti?
Sicuramente il contrario di quello che ho fatto io.
Provo a riepilogare. Quando ho aperto la porta, hanno capito immediatamente che un minuto prima ero a letto, sì, ve beh, direte voi, ma stavi a dormire, però, a qualcuno, trovarsi davanti una donna ancora calda di letto, può far venire in mente certe fantasie.
Sicuramente, una quarantenne prudente ed avveduta, non apre la porta scalza con indosso soltanto un vestitino che le arriva a metà coscia, discretamente scollato e, quello che è peggio, senza reggiseno.
Se ne sono accorti? Certo che se ne sono accorti, visto che dentro al vestito le mie tette si muovono liberamente e poi è anche un po’ stretto (infatti mi sono ingrassata e per questo lo uso solo in casa), così i capezzoli, attraverso la stoffa sottile, traspaiono visibilmente.
E poi sono anche scalza. Ho visto come quello più giovane dei due ha osservato attentamente i miei piedi piccoli e curati.
Insomma, una volta accompagnati in cucina, li avrei dovuti lasciar soli un minuto, il tempo per mettermi il reggiseno, una bella tuta comoda ed un paio di ciabatte.
Invece sono rimasta lì ad osservare il loro lavoro, non solo, perché ho cominciato a chiedere, poi a dar loro indicazioni, poi a lamentarmi dei particolari che mi sembra non stessero montando a dovere. Insomma, a quei due devo aver rotto per bene le palle.
Se voglio, riesco ad essere arrogante e prepotente, e con loro mi sono superata, si devono essere sentiti due poveracci in balia di una donna bella, ricca e bisbetica.
Così, quando hanno fatto una pausa verso mezzogiorno, credo che siano stati contentissimi di staccarsi per un po’ da me.
‘Signora, andiamo a mangiare un pezzo di pizza, ci vediamo alle due.’
Nel frattempo, mi sono sistemata. No, non mi sono cambiata, ho solo provveduto a pettinarmi e truccarmi, ma ho lasciato lo stesso vestito. Ai piedi non ho messo le solite ciabatte, ma un paio di pantofoline con il tacco, molto sexy a mio avviso.
Quando sono rientrati dalla pausa pranzo hanno notato subito i miei cambiamenti e, dagli sguardi, immagino che devono aver apprezzato.
Io ho continuato a ronzare intorno a loro, e si vedeva che specialmente quello anziano, un omone sulla cinquantina, era abbastanza scocciato delle mie intromissioni. L’altro, un tipo alto e magro, sulla trentina, non sembrava infastidito e quando poteva, lasciava spaziare lo sguardo dalle mie tette libere dentro al vestito, ai miei piedi, passando accuratamente per le mie lunghe gambe (poco) coperte dal vestitino nero e la cosa, devo ammettere, mi lusingava parecchio.
Verso le cinque hanno finito. Ad essere sincera hanno fatto un bel lavoro, lasciando anche la cucina abbastanza pulita, ma io non ho saputo resistere e mi sono lamentata di un pezzo di imballaggio che avevano dimenticato vicino al frigorifero.
Quello grosso lo ha raccolto sbuffando, ha guardato l’altro e poi si è diretto verso la porta, almeno mi è sembrato.
Invece mi ha presa alla spalle, di sorpresa, e mi ha sollevata di peso, mentre l’altro si dirigeva verso il tavolo.
è molto bello il tavolo nuovo della mia cucina, il piano è fatto di quei materiali a base di resine, che sembrano marmo.
Insomma, sul tavolo nuovo ci sono atterrata bruscamente, di culo.
Ho fatto giusto in tempo a dire ‘ahi!’, che loro mi erano già addosso.
Te la sei cercata. Forse sì, forse no. Diciamo che volevo un po’ giocare con loro ed il gioco mi è sfuggito di mano.
Mentre quello più giovane mi teneva per le spalle, l’altro ha preso due di quelle fascette di plastica bianca che si usano per serrare i fili. Prima che potessi capire cosa stava accadendo, mi sono trovata con le caviglie legate alle zampe del tavolo, una di qua e l’altra di là.
Ho cercato di tirarmi su, di mettermi almeno a sedere sul tavolo, ma quello più giovane mi ha costretta a rimanere sdraiata.
Ho cominciato ad avere paura: ora questi due mi danno una di quelle ripassate che non me la scordo più, ho pensato, ed io non posso farci niente.
Però mi sono anche accorta che la cosa un po’ mi spaventava, ma un po’ mi eccitava.
Il tipo grosso mi ha sollevato il vestito, scoprendo il minuscolo slip rosso e mi sono convinta ancora di più delle loro intenzioni, ma mi sbagliavo.
‘Tranquilla’, mi ha sussurrato l’altro nell’orecchio, ‘non è quello che pensi. Vedrai che lo troverai molto istruttivo, e magari ti piacerà pure.’
Quando ho visto l’altro che si toglieva la cintura dei pantaloni, tutta la mia arroganza si è smontata in un baleno ed ho cominciato a piagnucolare, cercando di impietosirli.
La prima cinghiata si è abbattuta sul mio ventre all’improvviso e se l’altro non mi avesse tenuta stretta, sarei scattata in piedi sul tavolo, compatibilmente con i legacci alle caviglie.
Una striscia rossa, leggermente in rilievo, attraversa ora la mia pancia, proprio sotto l’ombelico.
La cinghia si alza e si riabbassa subito, colpendomi di nuovo ed io mi contorco per il dolore, ma le fascette alle caviglie e la robusta presa sulle spalle, mi permettono solo un piccolo movimento. Continua con la cinghia, un ritmo lento e preciso, ogni colpo arriva in un punto diverso, ed in breve, la parte del mio corpo che va dalla fine delle costole al bordo superiore dello slip, è coperta di strisciate rosse e violacee.
Mi brucia da morire, ho gli occhi pieni di lacrime e non ho neanche il fiato per lamentarmi, spero solo che si accontentino della dura punizione inflittami.
Comincio ad agitarmi quando quello grosso mi abbassa in parte le mutandine, arrotolandole.
Si ferma giusto prima di scoprirmi la fica, lasciandomi in vista, completamente, i peli pubici.
Si allontana, rimango sola con l’altro, ma è questione di pochi secondi, perché torna subito tenendo tra le dita uno dei miei rasoietti usa e getta che deve aver trovato in bagno.
Mi lascio depilare senza fiatare e senza muovermi, perché sono troppo spaventata.
Fa un lavoro accurato, infatti, dopo una prima passata, fa scorrere leggermente il dito sulla mia pelle, poi ci torna di nuovo, evidentemente non soddisfatto. Alla fine effettua una nuova ispezione con il dito e mi dice che ora va bene.
Quando ricomincia con la cinghia, non riesco a non gridare, perché lì, data la vicinanza con la mia fica, fa molto più male.
Si accanisce a lungo su quella striscia di pelle non abbronzata, a differenza della mia pancia che ha un bel colore bronzato, e ad ogni colpo temo che sbagli la mira e colpisca più in basso.
Tremo, piango, sono completamente nel panico e l’altro, che però non ha mai lasciato la presa, costringendomi a rimanere sdraiata, cerca di consolarmi. Mi fa pure una carezza su una guancia e così alla fine mi calmo.
Il panico mi riprende quando quello grosso posa la cinghia e si avvicina a me con un taglierino.
Invece lo usa solo per tagliare le mie mutandine.
Cerco di ragionare, di capire le sue intenzioni. Faccio due ipotesi, la prima, quella migliore, è che si appresti a scoparmi, l’altra, non ho quasi il coraggio di pensarla, è che vuole prendermi a cinghiate sulla fica.
Per ora nessuna delle due, perché si limita a passarmela di taglio in mezzo alle labbra.
Mi accorgo di essere eccitata e deve averlo capito anche lui, perché raddoppia gli sforzi.
Io comincio a muovermi, a gemere, sono bagnata e ‘
La cinghia mi colpisce proprio lì. Mi ha colpita più piano delle altre volte, ma fa un male terribile su una parte così sensibile.
Mi colpisce ancora ed io mi contorco, lo supplico di smettere, ma lui continua, finché non finisce con un colpo dato preciso in mezzo, come se quasi volesse spaccarmela.
Mi accorgo che sto per venire, non me lo sarei mai aspettato. Riprende a passarmi la cinghia in mezzo, praticamente mi sta masturbando con lo stesso strumento che usa per torturarmi.
Sono letteralmente in fiamme, i segni delle cinghiate si sono fatti più scuri, in rilievo e la pelle della cinghia mi entra sempre più in profondità.
La toglie di nuovo ed io chiudo gli occhi. So che mi colpirà ancora.
Arrivano i colpi, leggeri ma precisi, che colpiscono il mio sesso aperto proprio in mezzo.
Per la tensione inarco la schiena e proprio in quel momento raggiungo l’orgasmo.
‘Brava, stai andando benissimo’, è quello giovane che mi parla.
Il piacere si placa e rimane solo il dolore, forte, quasi insopportabile.
Sono stanca, sto per assopirmi, ma mi risveglio quando mi rendo conto che mi stanno arrotolando il vestito.
Il mio vestitino nero, che probabilmente è in parte responsabile delle mie disavventure, mi è arrivato fin sotto le ascelle, lasciandomi completamente scoperti i seni.
Vedo quello grosso che ha di nuovo la cinghia in mano e capisco.
‘Oddio, no, per favore, no!’
Cerco di proteggere le tette con le mani, ma l’altro me le scansa e mi costringe a tenerle sotto la nuca.
Rimango ferma, con le mani bloccate dal peso della mia testa ed i gomiti larghi.
La prima cinghiata è come uno schiaffo, le mie povere tette oscillano e poi tornano a posto. Un solco rosso ora le attraversa da parte a parte.
Questa volta ha colpito più duro e mi accorgo che la cinghia, invece che dal lato interno, liscio, ora la sta utilizzando dall’altro, decorato con delle piccole borchie di metallo in rilievo.
Io piango, singhiozzo, ho rinunciato a dibattermi e ormai subisco la punizione senza reagire.
Tengo gli occhi chiusi perché ho paura a guardare.
Li riapro solo verso la fine, quando capisco che ha finito.
Sbircio attraverso le lacrime e la tenda creata dai miei capelli finiti davanti agli occhi.
Ho i seni pieni di strisce violacee, in rilievo, e qua e la si notano svariate escoriazioni.
Colpo dopo colpo, la sicurezza in me e l’arroganza che mi hanno sempre contraddistinto, lentamente svaniscono, offuscate dal dolore e dalla vergogna per quello che sono costretta a subire.
Quando infine si ferma e posa la cinghia, mi sento un agnellino, debole e sottomesso. Mi sorprendo a pensare che ora farei per loro qualsiasi cosa, e forse è proprio quello che si aspettano da me: ora dopo avermi punita, mi scoperanno.
La cosa mi eccita? Siiiì!
Sento come un solletico strano. Con la cinghia mi sta stuzzicando in mezzo alle cosce. La punta di quello che finora è stato per me uno strumento di tortura, si infila nella mia fica aperta e dolorante e mi carezza leggermente.
Io prima sospiro, poi inizio a gemere.
Ora la tiene tesa con le mani e, di taglio, me la infila dentro per lungo. Il bordo spigoloso di pelle incontra il mio clitoride gonfio ed io sussulto, mentre l’altro inizia a massaggiarmi delicatamente i capezzoli con il palmo delle mani.
Vanno avanti così per un po’ e mi portano quasi ad un nuovo orgasmo.
Sto perdendo la ragione, sopraffatta dal dolore e dal piacere, li supplico di scoparmi, di ficcarmelo dentro e loro invece di ascoltarmi, si fermano.
‘Penso che possa bastare’, dice quello grosso all’altro.
Improvvisamente sento che le mie caviglie sono libere, poi qualcuno mi afferra e mi mette giù dal tavolo.
è finita, sono libera e in quel momento preciso mi calano addosso tutta la stanchezza e la tensione accumulate.
I miei piedi nudi toccano terra e immediatamente le ginocchia mi cedono.
Poiché mi tenevo stretti nelle mani i seni doloranti per le cinghiate, sarei finita a terra, magari sbattendo la faccia sul pavimento, ma per fortuna quello più giovane mi prende al volo.
Mi ritrovo aggrappata a lui, il mio corpo nudo e dolorante contro i suoi jeans e la sua maglietta. Istintivamente le mie mani si aggrappano al suo collo, mentre poggio il viso sulla sua spalla ed inizio a singhiozzare.
Sento la voce dell’altro che gli dice di lasciarmi stare, perché è tardi e devono rientrare in sede.
‘Ti prego, aspetta, non andare. Scopami, mettimelo dentro, per favore.’
E’ la mia voce che ha parlato, non mi era mai capitato di supplicare un uomo per una cosa simile, devo essere proprio impazzita.
Ma lui non mi ascolta, mi lascia andare ed io, lentamente, scivolo verso il pavimento. I miei seni nudi strusciano contro i suoi vestiti, finché le mie ginocchia non toccano terra.
Ha i pantaloni umidi, deve essere venuto mentre l’altro mi riempiva di cinghiate, sì, dev’essere andata così, l’odore del suo sperma mi arriva al naso e torno ad eccitarmi, così mi aggrappo ai suoi pantaloni e gli apro la lampo.
L’odore ora mi giunge fortissimo, ha le mutande fradicie e fatico ad abbassarle per tirargli fuori il cazzo, mentre l’altro lo esorta ancora a lasciarmi stare perché è tardi.
Lo devo convincere, sono sicura che se gli faccio un buon lavoro acconsentirà a fermarsi un po’.
è grande, sporco di sperma e decisamente moscio, devo farlo resuscitare al più presto.
La mia lingua e le mie labbra si muovono febbrilmente, dai fallo drizzare, dopo non avrà il coraggio di dirti di no, eccolo, diventa duro, dai, insisti.
‘Mi dispiace, ma ora devo proprio andare.’
Lo tira fuori dalla mia bocca e lo rimette dentro i pantaloni, lasciandomi in ginocchio e disperata.
‘Per favore, solo cinque minuti, ti prego scopami.’
‘Magari un’altra volta.’
Prende la cassetta degli attrezzi e se ne va.
L’ultima cosa che sento è il rumore della porta di casa che si chiude, poi resto sola, piena di dolori e con il mio orgasmo a metà.

Leave a Reply