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Racconti di Dominazione

Puttana di guerra

By 14 Marzo 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Aveva preso dall’armadio il completo più bello che aveva.
Era una cosa importante, doveva assolutamente cercare di convincere il proprietario del locale ad darle quel posto.
Così Elena era uscita con quell’abito elegante, forse anche troppo, ed aderente, e questo non guastava, che metteva in mostra le sue forme procaci.
Le scarpe con il tacco alto facevano un rumore inconfondibile, mentre mentre lei a passi lunghi e misurati, attraversava le vie della città, ancheggiando leggermente.
Qualcuno si voltava a guardarla, bene, pensò lei, anche se ho 42 anni non sono da buttar via.
Si specchiò in una vetrina, mettendosi di profilo, ho ancora un bel culo, si disse.
Si aggiustò i capelli, lunghi neri, e ricci che le ricadevano sulle spalle, e, istintivamente, sporse in avanti il busto.
Si sentì più tranquilla, pensando alla concorrenza per quel lavoro.
Il Diavolo Rosso era un locale grande, situato in uno scantinato. Una volta c’era una sala da ballo, ma ora era diventato praticamente una birreria economica frequentata dai militari.
A quell’ora del mattino era chiuso, ma quel giorno, il proprietario aveva dato appuntamento a diverse aspiranti cameriere.
Certo non era il massimo, per una come lei che aveva studiato ed aveva esperienze di lavoro in società importanti, ma doveva pur campare.
Un tipo alto e con una grande pancia, che sicuramente doveva essere un buttafuori, le indicò di prendere una scala che, dalla grande sala all’interrato, portava ad una specie di soppalco.
C’erano altre cinque donne ad attendere e guardarono la nuova arrivata con ostilità, che lei ricambiò.
Erano sicuramente parecchio più giovani di lei, ma non certo più belle, se questa è la concorrenza ce la posso fare, pensò.
Il proprietario del Diavolo Rosso era sulla sessantina, ed aveva l’aria distinta ed annoiata, di chi fa un lavoro che non ama.
Fu un colloquio rapido e professionale, si informò sulle sue precedenti esperienze lavorative, sulla sua disponibilità e le chiese se conosceva la lingua degli occupanti.
Stava per dire nemici, ma poi si era trattenuto, meglio essere prudenti.
‘No, conosco solo poche parole della loro lingua, ma parlo bene Inglese e Francese’. Rispose Elena.
‘Bene, il linea di massima lei, anche se un po’ anziana può andare, per questo lavoro.
Una cosa importante, la paga, come le ho detto, non è un granché, ma di questi tempi non posso fare meglio, però, potrà contare sulle mance, che potrebbero essere molto generose.
Poi, se, senza trascurare il suo lavoro, si mostra gentile con i nostri clienti, io non ho nulla in contrario e, infine, quello che farà lei, fuori di qui, una volta che il locale ha chiuso, non è certo affar mio.’
In termini più diretti, era come se avesse detto: se dopo aver servito tutti i tavoli, ti apparti nel cesso o in un angolo con un soldato e gli fai un pompino, per me va bene e, se quando esci da qui, ti porti a casa qualche soldato, meglio ancora, perché i soldati vengono qui per questo, io gli vendo la birra e voi fate il resto.
Elena sapeva bene come funzionava al diavolo Rosa, ma ormai aveva preso la decisione.
Il proprietario la fece alzare e la guardò con attenzione.
‘Quarantasei, suppongo.’
‘Cosa?’
‘La sua taglia, per la divisa. E le scarpe?’
‘Sì, quarantasei, per le scarpe il trentotto.’
‘Vada in bagno e si provi la divisa’. Le disse porgendole una busta di carta ed un sacchetto di plastica.
La divisa era poca, nel senso era stata utilizzata la minima quantità possibile di tessuto, e rappresentava un indicatore inequivocabile della disponibilità delle cameriere del locale.
Un top scollatissimo ed una microgonna a pieghe, entrambi rosso fuoco, autoreggenti nere, scarpe sempre rosse, con il tacco altissimo, ed un minuscolo grembiulino bianco a quadretti rossi, in questo consisteva ciò che l’uomo aveva chiamato divisa.
Elena cercò di sistemare le sue tettone dentro al top, evitando che saltassero fuori i capezzoli, la gonna le tirava un po’ sul culo, ma nell’insieme poteva andare.
‘Niente male, signora, non posso assicurarle che il posto sia suo, però le dico che può ben sperare. Mi farò vivo nei prossimi giorni.’
Dopo esseri rimessa i suoi vestiti, Elena uscì dal locale e riprese la strada di casa.
Da quando era iniziata la guerra tutto era andata storto e questo era il primo spiraglio di luce che vedeva.
Cosa ne avrebbe pensato suo marito?
Nella migliore delle ipotesi era in un campo di prigionia, nella peggiore, il suo cadavere stava marcendo al sole, semisepolto nel cratere di una bomba.ù
doveva pensare solo a sé stessa.
La presero quando era quasi arrivata a casa.
Sono secoli, anzi millenni, che gli uomini fanno la guerra.
Sono secoli che si ammazzano e, in tutte le guerre, c’è chi vince e c’è chi perde.
I vincitori invadono e si prendono ogni cosa, i perdenti devono sottostare a tutto ciò.
I soldati, una volta finito di combattere, saccheggiano le case e violentano le donne.
Lo hanno sempre fatto, e i generali lo hanno sempre tollerato, perché ad uno che potrebbe morire il giorno dopo, devi lasciare qualche sfogo.
Tre mesi prima avevano preso la sua vicina di casa, una trentenne mingherlina ed insignificante, ma i soldati non vanno mai molto per il sottile.
Erano in sei, l’avevano prelevata per strada, in mezzo ai passanti, senza che nessuno osasse intervenire in sua difesa, e l’avevano trascinata in un negozio abbandonato.
Sono secoli, anzi millenni, che le donne, quando vengono violentate, gridano e si dibattono.
Non serve a nulla, perché comunque questo non evita loro lo stupro, ma ottengono il risultato di far infuriare o eccitare maggiormente gli assalitori.
La vicina di Elena, quando aveva capito le loro intenzioni, cioè quando le avevano iniziato a strappare di dosso le calze e le mutandine, aveva avuto questo tipo di reazione ed aveva cominciato a dimenarsi furiosamente.
Quello che sembrava il capo branco aveva ordinato agli altri di immobilizzarla, poi si era avvicinato.
Le aveva poggiato una baionetta sotto al petto e l’aveva spinta con forza verso l’alto.
Lei aveva visto, con orrore, la lama, rossa di sangue, sbucare dalla parte superiore del suo seno destro.
Il soldato, rapidamente, aveva puntato la baionetta sotto l’altro seno e le aveva chiesto se doveva continuare.
Non aveva più opposto resistenza, si era fatta finire di spogliare e poi erano cominciate le danze.
L’avevano penetrata ripetutamente, avanti e dietro, sempre in contemporanea, poi, quando si erano stancati, si erano disposti in circolo intorno a lei, che inginocchiata, aveva dovuto succhiare i loro cazzi.
Quando, dopo diverse ore, la lasciarono andare, fuori era buio e per strada non passava più nessuno.
Ricordava ancora quando la poveretta aveva suonato al suo campanello.
Era in uno stato pietoso, con i vestiti strappati e macchiati di sperma e la camicetta piena di sangue.
Nonostante le insistenze di Elena, non volle andare in ospedale, e dovette medicarla lei, alla meno peggio.
Da quel giorno non era più uscita di casa.
Ora tocca a me, pensò Elena.
Era stata questione di un attimo: un camion militare, con il telone verde, era salito sul marciapiede, tagliandole la strada. Delle braccia si erano sporte dal cassone e l’avevano issata a bordo, poi il mezzo era ripartito a tutto gas.
No, io non farò resistenza, non voglio farmi trapassare le tette con una baionetta, o peggio ancora, tanto non servirebbe a nulla.
Però era spaventata, l’idea di essere assalita da un branco di uomini assatanati, non la faceva stare tranquilla.
La sua vicina era uscita dall’aggressione molto malconcia, non solo psichicamente.
Insomma, la prospettiva di farsi sfondare, avanti e dietro, non era certo allettante.
Il camion si fermò davanti ad una palazzo di lusso del centro, che aveva l’aria di essere disabitato.
L’aiutarono a scendere ed uno di loro ne approfittò per infilarle una mano in mezzo alle cosce, ma lei, sempre pensando alla baionetta, non reagì.
Uno aprì il protone con la chiave e due di loro lo portarono dentro, facendola salire fino al primo piano.
L’appartamento, prima del saccheggio, doveva essere stato abitato da gente ricca, a giudicare dai mobili e dalle dimensioni delle stanze.
L’avevano lasciata in una grande camera da letto e poi avevano chiuso la porta da fuori.
Ecco, ora si aprirà quella porta e cominceranno.
Quanti saranno?
Non aveva mai fatto sesso con più uomini contemporaneamente, e la cosa la spaventava, ma, allo stesso tempo, la eccitava.
Si sedette sul letto, mezzo disfatto, e pensò che poteva solo aspettare.
Sentì la chiave girare nella toppa e, di istinto, si alzò in piedi.
Quanti? Di nuovo quella domanda nella testa.
Entrò un soldato e richiuse la porta dietro di sé.
Puntò dritto verso Elena, che era rimasta paralizzata dalla sorpresa.
Le poggiò le mani sulle spalle e, con fermezza, la costrinse a sedersi di nuovo sul letto.
La spinse indietro e lei si trovò sdraiata.
Non c’era violenza nei gesti del soldato, ma solo forza e decisione.
Era giovane, molto giovane, pensò che avrebbe potuto essere suo figlio, ma lei di figli non ne aveva, e poi non sembrava che vedesse in lei la mamma.
Beh, pensò, mi è andata bene, giovane, bello, atletico e non sembra neanche cattivo.
Le infilò le mani sotto la gonna e lei per un attimo si irrigidì, cercando di chiudere le cosce.
No, non farlo, meglio di no.
Si rilassò e lui le allargò le gambe con le mani.
Risalì fino all’elastico del collant e cominciò a sfilarlo.
Procedeva con studiata lentezza e si fermò alle ginocchia.
Le sue mani presero a carezzarle le cosce ormai nude ed Elena si rilassò completamente.
Continuò a sfilarle alle calze e, arrivato alle caviglie, fu costretto ad interrompersi di nuovo.
Fece scivolare verso il basso, il cinturino che le bloccava dietro al tallone, e le sue scarpe finirono a terra, facendo un rumore sordo sul parquet.
Ora il collant di Elena era nelle mani di quel giovane soldato sconosciuto. Lo lasciò cadere delicatamente sul letto, ed infilò di nuovo le mani sotto la gonna.
Elena chiuse gli occhi e sentì che le stava togliendo le mutandine.
Li riaprì solo quando lo sentì salire sul letto.
Era completamente nudo e si teneva tra le mani un pene di ragguardevoli dimensioni.
Fu lei stessa a sollevarsi la gonna ed a scoprire il suo sesso, come a fargli capire che non ci sarebbero stati problemi.
Pensò che era un mucchio di tempo che non faceva una sana scopata, da quando suo marito era partito per la guerra e non aveva più fatto ritorno.
Il giovane soldato la cavalcò furiosamente e venne troppo presto per i suoi gusti.
Dallo sguardo sembrò quasi scusarsi, ma una robusta bussata alla porta, le fece capire il motivo di tanta fretta: gli altri aspettavano.
Il secondo non fu altrettanto gentile, oltre a risultare meno gradevole fisicamente.
Un uomo di mezza età, basso, grasso e pelato, che, appena entrato, l’afferrò brutalmente.
Le prese la camicia per il colletto e tirò, facendo saltare il primo bottone, poi il secondo, poi il terzo.
Si fermò solo quando la sua camicia fu completamente aperta.
A questo punto estrasse un coltello dalla tasca dei pantaloni e lo avvicinò al suo petto, ricoperto solo dal reggiseno.
Oddio! La baionetta, come alla mia vicina.
Invece si limitò a tagliarle il reggiseno.
‘Belle tette’, disse con un forte accento straniero, mentre iniziava a palpeggiarla.
Quando si fu stancato di questo gioco, si aprì i pantaloni e le allargò completamente le cosce.
Anche lui le venne dentro, e se ne andò fischiettando allegramente, mentre si riabbottonava i pantaloni.
Il terzo fu molto peggio.
Un sergente alto e robusto, col il cranio rasato e la faccia cattiva.
La fece alzare in piedi e la squadrò a lungo.
La gonna di Elena era completamente macchiata di sperma sul davanti, ma lui sembrava molto interessato all’altro lato.
Mise due cuscini in mezzo al letto, uno sopra l’altro, e le ordinò di sdraiarcisi sopra, con la pancia.
Era chiaro cosa volesse fare.
Elena sentì che le sollevava la gonna dietro e aspettò.
Invece prese a sculacciarla, neanche fosse una bambina.
Erano colpi forti, che bruciavano terribilmente, lei gridava, ma non osava reagire.
Quando si fu convinto di avergliene date abbastanza, si mise sul letto a fianco a lei.
Le premette il pollice in mezzo alle chiappe.
Lei sentì lo sfintere che cedeva, sotto la pressione costante.
‘Ahi!’
Si mise a ridere.
Tolse il dito e poi lo infilò di nuovo.
Ad ogni tentativo, lei sentiva che il pollice scendeva più in profondità ed il suo ano si apriva maggiormente.
Il rumore di una chiusura lampo, poi di nuovo la pressione.
Non era il dito questa volta.
Elena gridò forte, quando lo infilò dentro per un pezzo.
Lo sfilò e lo infilò di nuovo, più volte.
Quando Elena smise di gridare, lo infilò nuovamente, dopo aver cambiato posizione.
Si sentì afferrare i seni con le mani, poi il sergente spinse forte, e la penetrò completamente.
Rimase senza fiato, per il dolore, poi l’uomo cominciò a muoversi ed Elena si rese conto che la cosa, anche se fastidiosa, non le dispiaceva poi così tanto.
Dominata, completamente dominata, da un uomo forte e brutale, chissà, forse era quello che aveva sempre desiderato.
Venne, con un’ultima spinta, più forte delle altre, lo sentì uscire dal suo corpo, poi i passi lenti e la porta che si apriva e si richiudeva.
Il quarto la trovò sdraiata sul letto, con il culo arrossato dalle sculacciate e l’ano ancora bello dilatato dal sergente e pensò bene di seguire la stessa strada.
Dopo il quarto Elena smise di contarli.
Non aveva idea di quante volte quella porta si fosse aperta e quante volte fossero entrati nel suo corpo.
Era stanca morta, indolenzita, ma allo stesso tempo eccitata, al punto che aveva raggiunto l’orgasmo più di una volta.
Non aveva mai pensato seriamente a quante possibilità ci fossero per dare piacere ad un uomo.
Davanti, dietro, in bocca, le stava provando tutte, a ripetizione.
Ad un certo punto, uno di loro, dopo averla fatta sdraiare, le si mise sopra, piazzandoglielo in mezzo ai seni, poi prese le sue tettone e lo strinse forte in mezzo.
Elena vedeva la cappella farsi sempre più rossa e più turgida, mentre l’uomo si muoveva avanti e indietro.
Le sparò tutto in faccia.
Dopo questo episodio ci fu una breve pausa.
Forse hanno finito, mi rimandano a casa.
Entrarono due soldati.
‘Spogliati, fai troppo schifo, ti devi fare una doccia.’
Elena si tolse quello che restava dei vestiti e scese dal letto.
Era stanchissima e barcollava.
Si sentiva come un otre. Un otre pieno di sperma che, ad ogni passo, traboccava dai suoi buchi slabbrati e scolava lungo le gambe.
Pensò che l’avrebbero portata in bagno, fuori della stanza da letto, invece la guidarono verso la terrazza.
Quando l’appartamento era stato saccheggiato, avevano rotto la porta finestra che affacciava sulla terrazza.
L’infisso di legno pendeva mezzo scardinato ed in terra c’era un cumulo di vetri rotti.
Elena si arrestò davanti ai vetri, non poteva certo camminarci sopra scalza.
Uno dei due capì al volo la situazione e le andò a prendere le scarpe.
I vetri, calpestati, facevano un rumore sinistro, mentre lei, lentamente, superava la zona pericolosa, sgocciolando sperma qua e là.
Il terrazzo era grande, pieno di fioriere, le cui piante, non più annaffiate da mesi, si erano seccate, a parte un gruppo di cactus e piante grasse.
‘Togliti le scarpe e mettiti lì.’
Srotolarono un tubo verde per annaffiare ed Elena si appoggiò al muro.
L’acqua all’inizio era tiepida, poi, quando finì quella contenuta nel tubo che stava al sole, divenne fredda.
Le portarono del bagno schiuma.
‘Strofinati bene, troia, ti vogliamo pulita.’
Si rese conto che erano tante ore che non faceva pipì, ed il contatto dell’acqua la stava stimolando, così allargò le gambe.
Quando videro cosa stava facendo, i due soldati si misero a ridere.
La riportarono dentro, sollevandola sotto le ascelle, per farle superare i vetri.
Sul letto, qualcuno aveva messo un vassoio, con della pizza ed una bottiglietta di acqua minerale.
Nella stanza aleggiava un odore misto di sperma e sudore che sentiva solo ora, dopo essere rientrata da fuori.
Le diedero una mezzora di tregua, poi ricominciarono, mentre intanto faceva notte.
Di nuovo soldati, tanti soldati, uno alla volta, che violavano il suo corpo, riempiendola di sperma, per poi andarsene soddisfatti.
La seconda doccia glie la fecero che era quasi l’alba.
Era troppo stanca, sentiva freddo e batteva i denti sotto l’acqua gelida.
Per fortuna la fecero riposare qualche ora, ma ripresero in mattinata.
Ormai era completamente assuefatta, come le avvicinavano un cazzo alle labbra, lei apriva la bocca per accoglierlo, quando la penetravano, sia avanti che dietro, Elena assecondava i loro movimenti, e godeva.
Era diventata una bestia del sesso.
La tennero lì per tre giorni, tre giorni e tre notti.
La liberarono all’alba del quarto giorno.
Le dissero semplicemente che poteva rivestirsi e tornare a casa.
Lei si guardò, era in uno stato pietoso, chiese di fare un’ultima doccia, non poteva uscire per strada così.
Il militare che le aveva detto che poteva andare, si strinse nelle spalle.
‘Se ti piace così tanto, puoi rimanere.’
Elena, mestamente, raccolse i suoi indumenti sparsi nella stanza e si rivestì.
Il reggiseno, tagliato dal coltello, era inutilizzabile, ma lo mise nella borsetta, sperando in qualche maniera di sistemarlo.
Per la camicia, fu costretta, visto che erano saltati tutti i bottoni, ad annodarla più o meno all’altezza dell’ombelico.
La gonna era sporchissima ma non poteva certo non metterla.
Le uniche cose pulite erano le mutandine e le calze, che le erano state tolte dal primo soldato, quello gentile, ma quando si infilò lo slip, si accorse che il suo sesso era così dilatato dall’attività frenetica di quei giorni, che la stoffa ci finiva dentro, quasi impedendole di camminare, così dovette rinunciare.
Per ultime, si infilò le scarpe e, barcollando, scese lentamente le scale dell’edificio.
Fuori l’aria era fresca e, per fortuna, passava poca gente, perché non c’erano dubbi sulla sua occupazione prevalente degli ultimi giorni.
Fu presa dal panico: e se a qualche soldato, vedendomi così, gli venisse in mente di darmi un’altra ripassata? Pensò che non avrebbe resistito ancora ad un solo rapporto sessuale.
Quando finalmente chiude dietro di sé la porta di casa, si sentì salva.
Il telefono squillava, probabilmente già da un mucchio di tempo.
‘Pronto.’
‘La signora Elena?’
‘Sì, sono io.’
‘Ma dove si è cacciata? Sono due giorni che la cerco. Se le interessa ancora, il posto al Diavolo Rosso è suo, comincia questa sera, sempre se se la sente.’
‘Sì, va bene, ci sarò.’
Me la sento? Che sarà mai, una passeggiata.

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