Skip to main content
Racconti di Dominazione

SAFARI – Roberta

By 14 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Agosto 2007. Sardegna.

Nel bel mezzo della macchia mediterranea, in una radura silenziosa ed assolata una volpe sarda avanza circospetta tra i cespugli. Il piccolo animale ha notato uno strano odore nell’aria, e annusa poco convinto il vento.
Ad un tratto la calma del mattino è interrotta da un secco rumore di rami spezzati e la bestia spaventata si gira e sparisce in un battibaleno nel folto dei cespugli. Passano i secondi’ uno, cinque dieci. Nulla.

Poi di colpo, un uomo di colore irrompe proprio dove poco prima s’era fermato l’animale. Con un balzo supera il fazzoletto di terra e prosegue verso una macchia d’arbusti isolati al centro della radura, guardandosi di tanto in tanto alle spalle senza rallentare. E’ totalmente nudo e si muove sudato ed affaticato sotto il sole impietoso, mentre le possenti membra vengono sferzate dalle sterpi. Incurante raggiunge il nascondiglio e poi si volta a guardarsi.

Cespugli e cime di pini lo circondano silenziosi.

Si chiama Abdou. E’ nato in Senegal 26 anni fa.
Abdou si trova nel mezzo di quella radura nudo ed affannato per lavoro.
Abdou è un escort. Abituato a lavorare con clienti eccentriche e ricche in cerca di giovani prestanti, è stato assoldato per un’intera settimana da una bella ragazza calabrese, per ‘giocare’ in un’enorme proprietà sarda.

Le regole sono semplici. Lei lo cerca, lui si nasconde. Nessun vestito.
Se riesce ad evitarla dall’alba al tramonto, sono 5000′ ‘bonus’ che si aggiungono ai 25000′ concordati.
Se viene trovato e bloccato, deve prestarsi ad un rapporto sul posto e perde i 5000′ in più.
Un lavoro diverso dal solito, ma molto ben pagato. E per una cliente davvero sopra la media delle vecchie megere per il quale di solito lavora.

L’uomo si asciuga il sudore da fronte con la mano e si siede su di un grosso masso piatto all’ombra degli arbusti, dove la sua imponente sagoma scura tinta d’ebano si confonde.
Il petto gli si agita come un mantice mentre riprende fiato.
Sembra tutto tranquillo e non ha motivo per preoccuparsi troppo. Poco prima aveva distinto chiaramente la bella e flessuosa silhouette della sua cliente muoversi nel folto della pineta, intenta a cercarlo. Era una fanciulla tanto graziosa che se non fosse stato per il compenso in denaro, non avrebbe esitato a prenderla li, sugli aghi di pino. Ma il dio-denaro chiamava e Abdou aveva dato le grosse spalle alla donna e si era allontanato nella maniera più discreta possibile.
Poi, aveva cominciato a correre per guadagnare il più velocemente un rifugio sicuro. Ora poteva finalmente pensare alle sue prossime mosse. Al centro della radura, Abdou si riposava pensoso scrutandosi attorno.

Quello che Abdou non poteva sapere e che in quel preciso momento, esattamente alle sue spalle grandi occhi castani lo stavano fissando. Appartenevano alla donna dal quale era fuggito. Si era accorta della presenza dell’uomo e l’aveva silenziosamente seguito, tenendone senza problema il passo. Giunta alla radura, mentre lui incespicava rumorosamente graffiandosi tra le sterpaglie, si era mossa fluida e silente fra i fusti degli alberi e gli arbusti, aggirandolo. Ed ora lo puntava accovacciata sopra ad un grosso ceppo segato, mentre il vento ne sfiorava il corpo perfetto e gli scompigliava il corto caschetto di capelli neri. Aveva la pelle abbronzata e poggiava leggera sul legno, ritta sulle le punte dei piedi e delle mani, con le ginocchia larghe ai lati del busto e le fossette di venere ben in evidenza sopra le natiche. Seno generoso, vita sottile e gambe da paura ne completavano la fisionomia. Il sole che filtrava tra gli aghi di pino gli disegnava addosso un intricata maglia di ombre mentre lei se ne stava impassibile e tesa come una tigre che spia la propria preda prima dell’agguato.

Il suo nome, era quello di un’assassina spietata e crudele. La donna si chiamava Roberta.
Bella come una dea, ma cinica, violenta e matta da legare, si era macchiata di atti atroci per assecondare le sue folli pulsioni misandriche e la sua sete di dominio. Oggi si stava dando alla caccia grossa.

Roberta ad un tratto si mosse e senza produrre alcun suono e scivolò giu’ dalla base recisa del tronco con movenze feline. I suoi affusolati piedini affondarono nel letto di aghi di pino e cominciò ad avanzare accovacciata verso Abdou.

Il ragazzo sentiva la gola bruciare dal caldo e dall’affanno. Doveva assolutamente trovare un punto dove bere qualcosa. Riflettendoci, avrebbe pure potuto tentare di superare quella zona semplicemente correndo infischiandosene della ragazza. In fondo era pur sempre una donna.
Anche se si incrociavano di nuovo di sicuro gli sarebbe bastato semplicemente cominciare a scappare a passo veloce ed in breve l’avrebbe seminata. Per quanto poteva tenere il suo ritmo senza ritrovarsi sfinita dallo sforzo? Non per molto di certo. Abdou si diede una rude manata sul lato della lucida coscia destra, cercando di allontanare un insetto che aveva preso a ronzargli intorno. Si piegò davanti e avanzò con le ginocchia nel terreno gattoni fino a sbucare di poco dall’ombrello degli arbusti, proteggendo con una mano il grosso sesso che veniva irritato di continuo dagli steli d’erba. Si alzo di poco sulle gambe, per controllare meglio la situazione.
Sembrava proprio che fosse riuscito a seminare per bene la sua inseguitrice.

Roberta si trovava oramani a meno di dieci metri dai cespugli al centro della radura. Era nascosta
completamente dalle sterpi e avanzava di soppiatto a quattro zampe, fendendo la giungla di steli
con gesti delicati ma sicuri, che non provocavano alcun fastidio ne’ a lei ne’ alla quiete che l’avvolgeva. Aveva calcolato con cura la traiettoria da seguire per strisciare silenziosa alle spalle dell’uomo, e la sua bella faccia tonda si accigliò per un istante quando la testa di Abdou spuntò dalla vegetazione leggermente piu a destra di dove si trovava quando aveva cominciato la manovra. Evidentemente aveva deciso di cambiare zona. Lei non l’avrebbe permesso. Protese il braccio in avanti scostando con mosse calcolate l’erbacce e si infilo in quel varco. Gli steli per un attimo le sfiorarono le spalle, poi scivolarono lungo la delicata pelle del costato e per pochi attimi furono scossi dal contatto con i fianchi della ragazza che li rispinsero verso l’esterno.
Poi tornarono al loro posto come se nulla fosse accaduto quando il formoso fondoschiena e le gambe della ragazza furono passati oltre.

Abdou avanzò ancora di qualche metro sulle ginocchia appiattendo le piante ai suoi lati con larghe e rumorose bracciate e si mise in piedi accompagnato da un sonoro scricchiolio di frasche spezzate. Mise le mani alla vita e cominciò a passeggiare lentamente nella radura pensieroso.
Per un attimo gli era tornata alla mente la figura della ragazza nel folto della foresta. Era stupido da parte sua in quel momento, ma un brivido gli corse lungo i lombi della schiena e si accorse con stupore che la cosa l’eccitava. L’eccitava lei. Era cosi affascinante… quel bel culone bianco tanto ben plasmato e quelle tette invitanti… avrebbe davvero voluto farla sua. Decise che almeno per un’altra volta l’avrebbe rivista. Si sarebbe nascosto ai margini della radura nel quale di certo anche lei sarebbe passata e l’avrebbe osservata per bene. Poi si sarebbe fatto superare e sarebbe corso via. Mentre nel suo cranio si formavano quei pensieri inevitabilmente,
ebbe un’erezione. Quando se ne accorse con fastidio era già troppo tardi per fermare quelle strambe fantasticherie, e quindi si diresse a passo deciso e piuttosto impacciato dal pene eretto
verso la fila di alberi. Sorrise. Per un attimo gli passo anche per la testa che avrebbe potuto mandare tutto al diavolo e avrebbe dovuto fiondarsi su di lei come un’animale, sbattendola a terra con le cosce aperte, pompandola per bene. Magari l’eccentrica ragazzuola dopo quella lezioncina avrebbe lasciato perdere quei giochetti complicati…

Roberta lo vide. Avanzava tra il giallo delle sterpi, come un bufalo colossale menando bracciate.
I muscoli tesi sotto la pelle nerissima scattavano nervosi e si segnavano al contatto con le punte degli arbusti. Lei balzò in piedi e gli corse contro con una grinta fenomenale. La donna fendette veloce lo spazio della radura col mulinare flessuoso e frenetico di braccia e gambe, inquadrando con lo sguardo le belle natiche scolpite e le spalle dell’uomo. Che bell’esemplare che era. Mentre era persa nello slancio spinta dalle sue gambe perfette, la ragazza vide la preda fermarsi di scatto e voltarsi con uno sguardo spaesato. In quegli istanti lo fissò negli occhi, come a sfidarlo. Distinse lo sgomento nel fodo delle sue pupille, e l’assaporo eccitata. Poi, spostando di poco lo sguardo in basso, notò la sua erezione. Le belle guance del tondo visino le fremettero anche se sballottate dalla corsa. Poi in un attimo gli fu addosso.

La ragazza piombò sulla schiena di Abdou come una saetta. Gli si lancio sopra con un ultimo e veloce salto, agguantandolo in una morsa con le gambe e stringendogli le braccia attorno al collo. L’uomo fu spinto in avanti di mezzo metro dalla forza dell’urto, e quando riprese l’equilibrio aveva Roberta che gli bloccava con forza le braccia contro il busto con polpacci e cosce e gli impediva di respirare stringendogli la gola. Era rimasto confuso sia dalla forza dell’impatto sia dal continuo contatto della sua pelle morbida e vellutata che gli avvolgeva il corpo in una saldissima presa. Cercò di restare in piedi. Tentò di svincolarsi dalla stretta contrastandola con tutta la forza che aveva nei bicipiti, ma falli’ miseramente. E mentre si rendeva conto che le gambe delle donne sono piu forti delle braccia degli uomini, Abdou senti qualcosa di morbido e carnoso sfiorargli il basso ventre. Con stupore vide una delle gambe della donna protendersi all’infuori con movimenti lenti e controllati. Fissò quell’estemità per una millifrazione di secondo rapito, quasi affascinato come in quella situazione lei fosse in grado di gesti tanto coerenti e saldi mentre tutto quello riusciva a lui era sbuffare inbestialito accompagnando goffi spasmi di muscoli per liberarsi. Il piedino restò sospeso immobile nell’aria per qualche istante. Poi tutto quello che percepi’ fu’ uno scatto di una forza tremenda e una gran luce bianca. Abdou perse conoscenza.

La piccola volpe sarda se ne stava ai margini della radura, nella sua tana. Osservava gli esseri umani lottare. Il primo era grande muscoloso e nero. L’altro piccolo e piu’ chiaro. Un maschio e una femmina forse. I due restarono anvinghiati per un poco. L’uomo scalpitava cercando di resistere alla donna, sballotandola a destra e a sinistra con poderosi scossoni cercando di scrollara di dosso, ma lei gli resisteva attaccata addosso come un alga resiste fissa su uno scoglio al mare in tempesta. Il grande fondoschiena della femmina era uno spettacolo davvero curioso, con tutta quella carne sballottata a destra e a sinistra che danzava ad ogni spinta. Ma poi le cose cambiarono. Il maschio lanciò un urlo e la volpe corse a rintanarsi sottoterra.

Roberta lottava per restare attaccata alla sua vittima. Gli scivolo meglio con le braccia attorno al capo e al collo, e esercitò una decisa pressione sul collo di lui, impedendo al sangue di passare per la giugulare. Lentamente, percepi’ i tentativi di ribellione affievolirsi e arrendersi alla sua morsa. Decise di dargli il colpo di grazia. Mosse una gamba verso il basso, fino a percepire sul polpaccio il contatto con il pene duro di lui. Ne memorizzo la posizione e poi allungo acrobaticamente la gamba verso l’esterno. Calcolò bene le distanze e poi la richiuse, colpendo con il tallone proprio le palle del ragazzo con un colpo micidiale. Abdou emise una specie di fortissimo mugito e crollò al suolo su un fianco trascinandosela appresso definitivamente sottomesso e fiaccato.
Il bestione scuro come il carbone si beccò la botta con il terreno in pieno.
Lei, piccola e olivastra, gli rimase attaccata e usò il corpo muscoloso della preda come scudo durante la caduta. Mentre il terreno colpi’ con forza il braccio e il petto dell’uomo solo una piccola onda d’urto smosse l’opulento culone della donna e non una macchia di povere ne sporcò la pelle perfetta mentre atterrava Abdou.

Restarono stesi e avinghiati per una decina di secondi. Lui con gli occhi girati verso l’alto, la faccia inespressiva e lei zitta, ancora con i seni appiccicati alla muscolosa schiena di lui tutta impegnata a sincerarsi che ogni segno di vita fosse effettvamente sparito dal suo avversario. Poi si rese conto dell’ insistente contatto di un caldo e grosso corpo tra i suoi polpacci. Sbirciò in basso. Era il cazzo. Era rimasto stritolato li dalla sua mossa. Fece scivolare la mano lungo i pettorali e l’addome scolpito di Abdou e lo strinse con forza, mentre avverti’ un laguore caldo farsi strada tra le sue gambe. Si morsicò la lingua. Anche quella volta era riuscita a mandare un uomo al tappeto con il cazzo dritto e duro come un palo della luce. Ah! Quanto era divertente pensarli mentre tentavano di opporsi inutilmente a lei e finivano ai suoi piedi non solo sconfitti ma addirittura… eccitati! Ed ora anche questo bestione era finalmente suo!

Lascio la presa cominciò a zompettare come un uccellino attorno al gigante, girandolo a pancia all’aria, supino, con il cazzo nero e dritto che proiettava una lunga ombra fin sul terreno. Roberta strinse gli occhi. Poggiò il piede sul largo petto di lui, spinse in fuori le tette mostrandole orgogliosa al sole e lanciò il suo canto di vittoria nella radura…

“Yeahhllalalalalalalalalalalahhh!!!”

La voce liquida e trillante della donna si diffuse sopra ogni pietra e arbusto. E dopo quel “rito” per celebrale la vittoria…
Ora era tempo di godere. Senza tanti complimenti si accovacciò su Abdou e fece scorrere
lentamente il duro e turgido sesso di lui dentro il suo corpo. Cominciò a cavalcarlo assaporando ogni brivido dell’amplesso, e con la testa reclinata indietro e gli occhi socchiusi contemplavano l’azzuro del cielo mentre s’impalava con foga sul suo “trofeo” con i seni che le ballavano.
Con ritmica cadenza continuò ad alzarsi e riabbassarsi su di lui, accompagnata dal ripetersi del suono prodotto dal contatto del suo bel culone sulle palle dello sventurato gigolò…

“Pat-Pat-Pat-Pat-Pat…”

L’angelico viso della cacciatrice si contorceva in smorfie indescrivibili mentre il suo caschetto scuro e ribelle si gonfiava e sgonfiava seguendo quel ripetitivo e ritmico balletto..

“Pat-Pat-Pat-Pat-Pat…”

Come una leonessa, Roby aveva braccato la sua preda e l’aveva abbattuta. Ora se la stava mangiando.

“Pat-Pat-Pat-Pat-Pat…”

Quando ebbe finito la donna si sfilò soddisfatta dalla sua vittima, lasciandola coperta di vischiosi umori. Gli diede due schiaffi sul viso e poi, sospirando, la prese per le caviglie e cominciò a trascinare il nerone fra le sterpi con le palle che gli sballottavano a destra e a sinistra, spremendosi al massimo per trascinarselo dietro e infischiandosene di quanto il contatto con il terreno potesse graffiarlo. La giovane ragazza impiegò circa due ore di sculettante marcia a tornare nel villino centrale della proprietà, e durante il tragitto fu costretta a assestare per ben tre volte una gran gomitata nelle palle al bestione che proprio non voleva saperne di restare giu’.
Era la sua preda. L’aveva predato come un’animale e come un’animale avrebbe vissuto d’ora in poi. Non poteva permettersi di farlo scappare. La bella cacciatrice infine arrivò a destinazione e si preparò al passo successvo: Avrebbe fatto di Abdou il suo cane.

-epilogo-

Agosto 2007. Sardegna. Quindici giorni dopo.

Roberta è a prendere il sole nella terrazza del suo villino su una sdraio, totalmente nuda. Nella mano destra tiene un calice con menta e un paio di cubetti di ghiaccio. Sorseggia lentamente mentre il petto le si gonfia ad ogni sospiro. Volta la graziosa testolina verso la porta e voce ferma e autoritaria urla:-” ABDOU!!! Vieni subito qui!”

Dopo pochi istanti la massiccia e scura figura di ABDOU appare. Avanza trotterellando a gattoni, gli occhi spalancati privi d’intelligenza, la lingua rosa che pende dalla bocca sopra i bianchissimi denti, il grosso pacco che sobbalza tra le gambe ad ogni passo… Si porta accanto alla donna.
Roberta si rizza a sedere, contempla l’uomo spiattelandogli in faccia le tette enormi, conscia del loro potere. Urla ancora una volta.

– ” ABDOU, in piedi! “-

Il gigante si rizza goffamente sulle ginocchia, braccia e mani muscolose piegate ridicolmente a cagnolino, lingua ansante e faccia felice.

Roberta se lo squadra. Sognigna. Poi gli ordina :-” Leccami i piedi. SUBITO!”

L’uomo gattona goffamente verso i le piccole e perfette estremità della donna. Inizia a leccarne le piante, assaporandone l’odore e il sapore, passa poi alle dita e agli spazi tra esse, gli succhia in estasi il delizioso l’alluce mentre la verga comincia a gonfiarsi fra le gambe..

Roberta osserva tutta la scena soddisfatta. Quella bestia ha imparato bene il suo ruolo. Totalmente privo di intelletto e di cervello, completamente sottomesso a lei, remissivo e addomesticato. D’ora in poi avrà una graziosa bestiolina a farle compagnia tra un’omicidio e l’altro.

——–

fine (?) Agosto 2007. Sardegna.

In un villino a due piani al centro di una pineta, si è da poco svolto l’atto finale di una storia di sesso, violenza e potere.
Nella terrazza inondata dal caldo sole estivo dorme lei. Roberta. La padrona. Poco distante, nascosto nell’ombra
di una stanza, piegato a carponi si cela Abdou. La puttana. Lo schiavo. O, per descriverlo con un termine consono al ruolo che interpreta con ammirevole abnegazione da almeno due settimane… il “cane”.

Inusuale destino quello di Abdou, nato in Africa sulle sponde dell’Atlantico e finito in Europa a vendersi come escort per ricche ed annoiate occidentali. Fatale l’incontro con la donna della sdraio.
Spezzato nel corpo e nella mente dal trattamento ricevuto e forzato impietosamente a regredire al livello di una bestia da compagnia
il lungo viaggio di Abdou era terminato nelle stanze di quel villino sardo.
Ridotto ad un lontanto fantasma dell’uomo che era stato, passava le giornate caracollando come la goffa parodia di un cane per prati e corridoi, lo sguardo spento privo d’intelligenza e il massiccio corpo scuro spoglio di qualsivoglia lembo di tessuto.

L’autrice di quel piccolo capolavoro di psicologia applicata, Roberta, era una donna dalle innumerevoli doti.
Energica, intraprendente e abile manipolatrice possedeva un corpo di una bellezza prorompente.
Una morbida pelle olivastra dava alla sua elegante e generosissima silouette un tocco esotico e selvaggio che ben si sposava con il modo che aveva di muoversi e gesticolare, fluida e sicura nei movimenti come nelle decisioni.
Alla statuaria bellezza del corpo sommava poi l’incredibile espressività di una faccia tonda incorniciata da un caschetto di foltissimi capelli neri e dominata da due grandi e guizzanti occhi castani. In pratica era la perfezione fatta carne ed ossa che se ne andava sgambettando in giro su due tacchi.
O meglio… sarebbe stata la perfezione in carne ed ossa se non fosse stato per un piccolo dettaglio.
Roberta era una folle assassina matta da legare.
Era a causa di questo piccolo neo, che quella mattina in Sardegna un uomo adulto totalmente rincoglionito le si aggirava per casa mentre era intenta a godersi il sole assolutamente nuda su una sdraio.
Per riassumere brevemente gli antefatti che avevano portato a quella situazione, basterà dire che la bella mora aveva braccato, stanato e malmenato Abdou e dopo
averlo neutralizato brutalmente si era esercitata efficientmente un gran lavoro di plagio mentale tutto a base di sesso, sottomissione e botte. E i risultati non erano tardati.
Tuttavia, la lunga catena di eventi sui generis che avevano portato i protagonisti del nostro racconto in quel buffo stato di cose stava per prendere una piega ancor più stramba e improbabile, tanto da trascendere l’umana comprensione e ogni legge della fisica.

Mentre la nostra adorabile psicopatica era impegnata a prendere beatamente la tintarella in quel tranquillo angolo del belpaese, indiscussa ed incontrastrata dominatrice del suo mondo… in un altro tempo e in un altro luogo forze misteriose ed oscure stavano per mettersi in moto. Nel cuore della foresta di Burkh, nel preciso istante nel quale le due lune che danzavano in cielo da miliardi di anni ebbero raggiunto il perielio, l’anziana matrona delle Enadi comiciò ad intonare un triste lamento. Il canto espresso in una lingua antichissima, raccontava della crudelle tirannia degli uomini che regnavano in quei luoghi, del dolore patito dalle figlie della foresta e di come esse pregassero le due grandi madri celesti di mandare qualcuno a sarvarle. La matrona non aveva una bella voce e il
modo con il quale le parole erano state accostate di sicuro non aiutavano a rendere gradevole il canto, ma per qualche insondabile prodigio del destino le sue preghiere risultarono tanto spiacevoli all’udito quanto efficaci nei fatti. Al centro del villaggio di legno e paglia, proprio sopra il grande falò che bruciava al centro, una meraviglioso globo di luce celeste comincio a volteggiare in cerchio tra i gemiti di meraviglia emessi dalle ragazze dell’insediamento. Il rugoso volto della matrona fu segnato in silenzio da una lacrima.

Roberta si sveglio di soprassalto rizandosi sulla sdraio. Un vento freddo e sinuoso era cominciato a scorrerle tra i grossi seni scivolandole attorno come un guanto invisibile. Era qualcosa di assolutamente innaturale e inspiegabile visto il luogo dove si trovava.
Preoccupata la ragazza comincio a lanciare occhiate alle cime degli alberi che si intravedevano dalla terrazza.
Erano assolutamente immobili…

La donna tentò di mettersi in piedi, ma le era impossibile. Una forza misteriosa la circondava rendendo vano ogni tentativo. Improvvisamente fredde fiamme di luce bluastra le si materializzarono intorno e cominciarlono a scivorlarle addosso seguendo ogni curva del corpo. La donna terrorizzata provò con un violento colpo di reni a balzare giù dalla sdraio. Ma la spinta ebbe come unico effetto quello di farla rimanere a mezz’aria, sospesa nel vuoto.
Con i grossi occhioni da sgranati, Roberta ebbe modo di lanciare un ultima occhiata ad Abdou, che richiamato dal trambusto aveva trotterellando a carponi fin alla terrazza giusto in tempo per osservare con il suo sguardo ebete la donna che l’aveva sottomesso ed addomesticato sospesa a mezz’aria, avvolta da un’iridescente aura di luce blu.

Poi Roberta scomparve.

… ci fu un lampo ed altri versi di stupore e sorpresa riempirono l’aria.
Poi luce e fuoco come risucchiati si unirono ed implosero su se stessi lasciarono il villaggio nell’oscurità. Ma anche se per pochi istanti, tutte le presenti erano riuscite a vedere che prima di sparire all’interno dell’involucro di luce si era materializzata una donna nuda.
La matrona corse verso quel il cumulo di ceneri che fino a pochi attimi prima erano stati una pila di sterpi in fiamme facendosi luce con una torcia.
E tra braci ormai spente e carbone, vide emergere dal buio della notte una silhouette adagiata al suolo.
Era una donna, ed era di una bellezza portentosa. Anche se per metà riversa nella cenere e mortificata dalle conseguenze del duro ed improvviso atterraggio se ne intuiva la voluttuosità.
Le curve e i lineamenti svelati dall’incerta luce della fiaccola erano pochi e tuttavia sufficienti allo scopo.
Emozionata come una ragazzina, la matrona sfiorò con le mani nodose quel giovane corpo che giaceva al suolo. Respirava.
Gettò a terra la fiaccola e afferò un braccio facendoselo passare sulle spalle. La donna emise un gemito.

A quel suono, tutte le altre donne dell’accampamento, che fino a quell’attimo erano rimaste impietrite a guardare furono prese da una certa frenesia e cominciarono a correre avanti ed indietro per le capanne. Un gruppetto si avvicinò alla matrona con l”intento di aiutare. In un battibaleno la donna misteriosa venne sollevata da terra, avvolta in pelli di animale e trasportata a braccio in una capanna dove l’attendevano un giaciglio e una botte colma d’acqua calda. Ancora incosciente venne delicatamente ripulita lavata ed asciugata, e quando l’opera fu completa venne messa a riposare.
Nessuna delle abitanti del villaggio aveva visto una donna tanto bella prima d’ora. E se quello che la matrona aveva raccontato era vero… finalmente la miseria ed il terrore nel quale erano sempre vissute volgevano al termine per sempre. Tutte erano eccitatissime e non stavano più nella pelle.

Alla fine, nella capanna dell’ospite rimasero solo la matrona ed alcune giovani assistenti. Poi, poco prima dell’aurora, LEI riprese conoscenza.

Roberta aveva un mal di testa allucinante. Si sentiva stanca e confusa. E le pizzicava dappertutto. Di colpo si mise a sedere, e si guardò intorno. Era su un cumulo di fieno, coperta da quella che le sembrava essere la pelle di qualche genere di bestia. Si trovava all’interno di qualche sorta di bracca primitiva, con un focolare al centro. E cosa che l’inquietò moltissimo, c’erano altre persone con lei.
Una roca voce femminile pronunciò parole incomprensibili. Da una delle figure che l’osservavano saettò un lampo di luce azzurrina che percorse tutta la stanza e la colpì.
Roberta lanciandò in aria pelle e fieno scattò in piedi e con un balzo si mise in guardia accanto al fuoco pronta a fronteggiare gli sconosciuti. Non aveva idea di chi fossero e cosa ci facessero li, ma di certo ricordava bene cosa significasse essere una cintura nera, ed era pronta a dimostrarlo. Se ne stette in quella posizione per qualche istante… nuda, pugni chiusi e ginocchia piegate.
Poi una delle persone parlò. In italiano.

Era chiaramente una donna anziana a giudicare dal timbro della voce.
Si rivolse a Roberta con un tono pacato e sereno “Ave a te, divina redentrice. Non aver paura, poiché sei tra le tue sorelle e non vogliamo arrecarti alcun danno”
Roberta fece una faccia sconvolta e senza abbassare la guardia si lasciò andare in una banalissima quanto sincera esclamazione

“Che?!? Mi state prendendo per culo?”
L’anziana replicò seria “Assolutamente no divina, ti abbiamo evocato grazie all’aiuto delle dee gemelle affinché tu possa liberarci dal crudele giogo che gli uomini della città di pietra ci hanno imposto!”
Roberta scosse la testa “Capanne, paglia, saette magiche… essere sincera non ci capisco nulla di sta faccenda.

Che ci faccio in questo letamaio?”
“Sei stata richiamata in questo luogo grazie alla mia magia, per volere degli dei. Tra tutti i mondi esistenti nell’universo sei stata prescelta dalle divinità per rispondere alle nostre preghiere d’aiuto. Sei la nostra unica speranza. Ti prego, ascolta le nostre storie” l’anziana si fece avanti lasciandosi guardare bene in viso. Aveva un aspetto orribile.
“Cosa volete farmi farmi?” chiese Roberta a denti stretti. “Vogliamo solo che tu ci ascolti” risposero le altre ragazze facendosi avanti. Quando il bagliore del fuoco le illuminò, fu chiaro a Roberta quanto fossero brutte. Come una tigre con le spalle al muro, senza mai abbassare la guardia, Roberta soppesò con occhio attento le donne che aveva davanti. Erano tutte basse, malaticcie e rachitiche.

Alla fine, sfinita, acconsentì “Parlate, vi ascolto.”

Ed in questo modo, vincendo perplessità e paura, Roberta apprese le vicende di quel mondo. Si trovava in un bosco posto al centro di una valle circondata da monti impervi e deserti.
La valle era l’unico luogo abitato di quel mondo ed era percorso da un unico grande fiume chiamato “Ro-Bur”. Era un mondo dove gli esseri umani vivevano ancora in uno stato pre-industriale, simile a quello delle grandi civiltà storiche dell’età del ferro.

Solo che a quanto pare la magia in quei luoghi era un fatto reale e concreto.

Secondo quanto gli fu raccontato, all’inizio dei tempi donne ed uomini vivevano insieme in pace ed armonia in una grande città-stato posta vicino alle sorgenti del Ro-Bur. Tuttavia, accadde che una potente strega malvagia riuscì grazie ai suoi poteri a sedurre l’erede al trono della città di pietra (questo era il nome che la matrona utilizzava per designarla) finendo col diventarne la regina. Una volta al potere la strega utilizzò la sua posizione e i suoi poteri per mettere in piedi una setta formata esclusivamente da donne con lo scopo di sottomettere tutti gli uomini dell’insediamento istaurando una ginarchia retta da donne iniziate alle arti arcane. Purtoppo per lei venne la congiura venne scoperta e stroncata nel sangue. Fu ella stessa deposta dal trono e uccisa.
Gli uomini della città terrorizzati dall’idea che qualcun’altra potesse riuscire nell’impresa fallita, evocarono grazie ai sacerdoti di corte la protezione dello spirito del Ro-Bur, che fece loro dono della pietra oscura e delle piante di Grifoglio, in modo che quest’ultimi potessero controllare le donne e renderle schiave.

La “pietra oscura” era un minerale magico che ricopriva il letto delle sorgenti del fiume. Una volta tale materiale costituiva il corpo di un grande sperone roccioso che dominava la scarpata sovrastante le sorgenti ma in seguito all’intervento divino, dopo esser stato tramutato in una sostanza velenosa, era franato nel corso d’acqua.
Qualunque donna avesse bevuto l’acqua contaminata era destinata a crescere debole e brutta, mentre il minerale era assolutamente innoquo per gli uomini. Solo mangiando i semi della sacra pianta di grifoglio donata dallo spirito del fiume agli uomini era possibile impedire al veleno di fare il suo effetto.

Tuttavia tale pianta aveva il “difetto” di ridurre chiunque ne avesse fatto uso ad un automa privo di volontà ed intelletto.

In questo modo, tutte le donne scappate dalla città prima di essere sottomesse finirono col dare origine ad una stirpe debole e malaticcia, in quanto l’unica fonte d’acqua presente nella vallata era avvelenata alla sorgente.
Le donne che invece restarono entro le mura della città di pietra, furono costrette ad ingurgitare i semi della pianta. In questo modo nessuna di loro e delle loro discendenti risentì delle menomazioni fisiche provocate dall’acqua avvelenata.
Tuttavia seppur sane fisicamente a causa delle loro ridotte capacità mentali rappresentavano delle schiave perfette per gli uomini della città. Incapaci di intendere e di volere, erano sempre pronte a adempiere ogni ordine loro impartito. Il loro unico compito era quello di ubbidire gli uomini e di soddisfare ogni loro richiesta e desiderio sessuale.
Inutile dire che agli uomini la situazione andava benone. Ben presto divenne cosa comune per ogni uomo della città avere un proprio “harem” personale con decine di schiave. Ben presto la considerazione per le appartenenti al gentil sesso divenne pari a quella che si riserva di solito agli animali domestici. Fu costruita una grande arena di marmo dove le schiave erano armate e costrette a lottare per deliziare i loro sadici padroni. L’effetto della pianta di grifoglio era tanto potente che bastava ai padroni ordinare di combattere alle poverette e quelle proseguivano fino alla morte.
A volte venivano organizzati anche degli incontri misti, dove agli spettatori più sadici che meglio se la cavavano con la spada era concesso di affrontare le poverette in combattimento.
Nel migliore dei casi gli incontri terminavano con uno stupro. Nel peggiore le ragazze venivano brutalmente macellate.

Ovviamente le povere fuggiasche che vivevano al di fuori della città soffrivano da tempo immemore per la loro condizione e per il destino riservato alle loro sorelle all’interno della città. Tuttavia a causa delle loro menomazioni fisiche non avevano alcun mezzo per cambiare lo stato delle cose. Non erano abbastanza forti per imporsi agli uomini con la forza, e il destino crudele aveva loro tolto ogni bellezza, cosa che le rendeva assolutamente inutili agli occhi degli uomini della città di pietra.

Ed a questo stato di cose, una sera d’estate, era comparsa Roberta.

Era una donna.
Era bella.
Era intelligente.

E cosa ancor più importante, nessun uomo di quel mondo ne sospettava l’esistenza. In altre parole, si trattava di bomba pronta ad esplodere.

Quando ebbe finito d’ascoltare la storia dell’anziana donna Roberta emise un sospiro malinconico e si accoccolò stancamente a terra braccia conserte e gambe incrociate, nuda come quando era balzata fuori dal giaciglio. Le donne di Burkh ne osservarono i movimenti in silenzio, con riverenza. Era impossibile fare altrimenti, poiché Roberta era bella, infinitamente più bella di loro e probabilmente anche delle donne che vivevano schiave nella città di Ro-Bur.

Nella testa di Roberta mille domande e pensieri non cessavano di accavallarsi, tormentandola. Era chiaramente confusa e sotto shock. La matrona fece cenno a due rachitiche ragazze che attendevano silenziose nell’ombra, e quelle subito con movimenti gentili si avvicinarono alla straniera e le circondarono le spalle con delle delle calde pelli di lupo.
Roberta ringraziò con un cenno del capo e continuò a fissare il fuoco con uno sguardo perso.

Poi avvenne qualcosa. I lineamenti del viso di Roberta fremettero e di colpo la ragazza chiuse gli occhi. Strinse i lembi delle pelli tra le mani con forza per qualche secondo e poi si rilassò. E sulle sue labbra si disegno inequivocabilmente un sorriso.

Schiuse gli occhi e si ritrovò difronte i volti sfigurati della matrona e le altre che la fissavano in silenzio.
“Quindi, i vostri uomini vi hanno costretto a vivere in questo buco” disse “sfregiate e deboli, mentre loro se ne stanno in una città a fare i loro porci comodi con le loro schiave”

La matrona annuì. Roberta continuò “Le trattano come animali, e loro non possono nulla. E volete che io li punisca, e li rimetta al posto che gli spetta?”
La matrona annuì nuovamente e aggiunse con voce commossa “Vogliamo che tu ci liberi.”

La ragazza finalmente comprese il suo ruolo in quel mondo. Il suo sorriso si tramutò in un ghigno compiaciuto.
Si rialzò in piedi stringendosi le pellicce al corpo e poi si rivolse nuovamente alle donne della foresta con voce calda e misurata “Credo che mi divertirò parecchio in questo posto”

Nei giorni successivi Roberta imparò a conoscere la vita nella foresta. Le abitanti dell’insediamento le mostrarono come sopravvivere con la pesca e la caccia.
Le insegnarono a tirare con l’arco e a montare a cavallo senza sella (attività che peraltro Roberta praticava nel nostro mondo regolarmente, nelle loro varianti civilizzate) ad orientarsi e a riconoscere i luoghi adatti per trascorrere la notte.
Apprese inoltre di essere immune agli effetti dell’acqua avvelenata del fiume, grazie alla benedizione delle due lune gemelle.

Di contro si divertiva a raccontare alle fanciulle del villaggio quello che aveva fatto agli uomini del nostro mondo.
Gli spiegò cosa era un killer seriale e godette nel vedere le facce sbalordite ed entusiaste delle sue compari quando appresero che lei ne era una che sceglieva le sue vittime esclusivamente fra gli uomini.
Raccontò di come aveva sottomesso e plagiato i suoi amanti fino a trasformarli marionette alla sua mercè e di come li aveva crudelmente piegati nel corpo e nella mente prima di assassinarli.
Quando poi narrò anche che una volta ne ebbe persino cannibalizzato uno come se fosse stato un manzo da carne venne adorata come un dio sceso in terra.

Roberta leggeva chiaramente negli occhi lucidi di quelle donne un sincero e puro sentimento di devozione .

Si divertivano ad immaginarla, con quel suo corpo statuario e il suo tondo viso ammiccante, fare a pezzi e piegare senza pietà schiere infinite di uomini, inermi innanzi a quella formidabile incarnazione di potenza declinata al femminile.

In breve Roberta divenne un’abile e silenziosa abitante della foresta. E si preparò a mettersi in cammino sulla strada che l’avrebbe portata alla città degli uomini.

Le sarte del villaggio le prepararono un paio di pantaloni in pelle di daino, resistenti e caldi, come anche una giacca foderata con pelle di lepre e una sacca in cuoio d’asino. inizialmente ebbero alcuni problemi a confezionare degli indumenti che ben si adattassero alle sinuose forme della giovane donna, ma alla fine il risultato fu ottimo. Salendo verso nord il clima ben presto si sarebbe fatto moto meno rigido, quindi si trattava di indumenti necessari solo per uscire dalla foresta. E fu così che una bella mattina Robertà lasciò il villaggio con due guide fidate e si incamminò con passi svelti e decisi verso i monti, mentre la brezza che le scompigliava il corto caschetto di capelli neri…

Leave a Reply