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Racconti di Dominazione

saradalegare

By 6 Ottobre 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

buongiorno Sara,
Ti sei svegliata bene? Cosa hai pensato di fare questa mattina?
Scommetto che passerai due giri di corda, belli stretti, intorno alle tette, oppure ti metterai due pinze sui capezzoli.
Un bacio

Sara aveva fatto un salto sulla sedia nel leggere questa strana email.
Era appena arrivata a studio e, per prima cosa, aveva aperto la sua posta personale.
I suoi due colleghi, con cui divideva lo studio di architettura, non erano ancora arrivati, altrimenti avrebbero notato la sua agitazione.
Non riusciva a capire, quel messaggio non doveva, anzi non poteva essere lì.
Possibile che il suo master virtuale avesse scoperto la sua identità?
Sara era una quarantenne tranquilla, con un vita normale: lavoro, matrimonio, marito ed una figlia ventenne. Tutto nella norma a parte quel piccolo vizietto.
Le piaceva leggere racconti erotici e così, quando aveva tempo, si collegava ad un sito internet dove molta gente pubblicava storie del genere.
Mesi prima aveva scritto una mail di ringraziamento ad un autore che le piaceva molto.
Naturalmente, per questo tipo di corrispondenza, non usava la casella normale, quella su cui ora era arrivato quello strano messaggio, ma ne aveva creata una apposta, saradalegare@….
Con quello sconosciuto autore di storie era iniziata una fitta corrispondenza e lui le aveva proposto una forma di collaborazione: la dava dei compiti da eseguire e lei descriveva le sensazioni provate, in modo che lui potesse scrivere una sorta di diario.
Gli esercizi erano tutti basati sulla dominazione, lei era sempre stata attratta da queste cose e la persona con cui intratteneva questa corrispondenza, sapeva il fatto suo.
Gli aveva anche mandato diverse foto, stando attenta ad escludere il viso, perché non si sa mai.
Insomma, non ci poteva essere nessuna possibilità di collegare l’anonima saradalegare, con la Sara in carne ed ossa, perché lei non aveva mai fornito informazioni su sé stessa.
Il master di lei sapeva soltanto l’età ed il nome, certo, ne conosceva l’aspetto fisico, dato che gli aveva inviato molte foto, ma ignorava che faccia avesse, perché Sara aveva sempre mascherato il viso con un programma di foto ritocco, prima di spedire le immagini.
Insomma era sicura di non aver commesso alcun errore, anche i racconti pubblicati, non avrebbero potuto in alcun modo essere ricollegati a lei, neanche se li avesse letti suo marito o sua figlia, eppure era stata scoperta.
Ora scrivo al master, pensò, anche se la loro collaborazione si era conclusa da diversi mesi, forse sarà in grado di darmi spiegazioni.
Ma quando provò ad entrare nella casella di posta segreta, scoprì che la password era sbagliata.
Non può essere, la ricordo perfettamente, ne sono sicura.
Controllò se per caso non avesse inserito la maiuscola, provò decine di volte, cambiando anche qualche lettera, ma il risultato era sempre, invariabilmente lo stesso.
Possibile che qualcuno mi ha cambiato la password?
Provo con il recupero password, pensò.
La domanda segreta che lei aveva impostato all’inizio, era come si chiama tuo figlio.
Digitò ‘chiara’, il nome della figlia e la risposta fu, anche in quel caso, negativa.
Possibile che qualcuno sia entrato nella mia casella di posta ed abbia cambiato tutto?
Il risultato era che, adesso, lei non poteva più accedere a messaggi ed immagini, mentre il misterioso individuo, sicuramente lo stesso che le aveva mandato l’email, lo poteva fare benissimo.
Ora sì che sono nei guai, perché lì dentro ci sono decine di messaggi in cui io descrivo le mie fantasie ed il piacere che provo nell’essere dominata, e poi ci sono un sacco di immagini, che testimoniano la corretta esecuzione dei compiti assegnatimi dal master.
Si rivide con i seni violacei, strizzati da una ruvida corda, legata stretta al punto da affondare profondamente nella carne, con le pinze di metallo serrate sui capezzoli e capì appieno il significato delle poche parole che le avevano mandato di traverso quella che invece si era prospettata come una bella giornata di fine estate.
Quel giorno doveva preparare una stima immobiliare per la banca con cui collaborava, era un documento importante, che richiedeva una discreta concentrazione, ma, con quello che le era capitato, non riuscì a combinare nulla.
All’ora di pranzo arrivò il secondo messaggio e Sara andò letteralmente in panico.

Ciao Sara,
scommetto che ti stai scervellando per capire chi sono. Ti immagino mentre ti tormenti con le dita i tuoi capelli biondi, ma stai tranquilla, la tua attesa non durerà ancora a lungo.
Fatti trovare alle cinque del pomeriggio al bar nuovo fuori città, lungo la statale.

Staccò di colpo le dita dalla ciocca di capelli che stava nervosamente arrotolando da un po’ di tempo e si guardò intorno. Marco, il suo giovane collega, sembrava completamente impegnato, fissava il monitor e muoveva velocemente il mouse con la mano destra.
Può essere lui? Ma no, non mi sembra il tipo per fare una cosa del genere.
Però era come se questa persona misteriosa la stesse spiando, oppure la conosceva così bene da prevedere i suoi gesti abituali, perché aveva sempre avuto il vizio di arrotolare con le dita le ciocche dei capelli.
Alle 16,30 non resistette più, salutò Marco che continuava a lavorare al computer e uscì dallo studio.
Non c’era mai stata in quel bar, ma lo aveva notato diverse volte, perché era un posto grande, situato tra la statale e l’argine del fiume, appena fuori dell’abitato, andando verso sud.
Prima di lasciare lo studio era andata in bagno per darsi una sistemata al trucco.
Quel giorno indossava un tailleur rosso. Non amava vestirsi così ma sarebbe dovuta passare in banca per consegnare la relazione e quella è gente che se ti presenti in jeans e camicetta sportiva, ti trattano come una pezzente, così, a malincuore, aveva dovuto rinunciare al suo abbigliamento preferito e, soprattutto, alle ballerine comode e basse.
Non puoi certe mettere scarpe del genere con un tailleur elegante ed, ora, dopo una giornata intera, le scarpe con il tacco, che erano anche strette di pianta, le cominciavano a dare fastidio.
Mentre ripassava il trucco sugli occhi si osservò nello specchio. Per avere quarant’anni non poteva lamentarsi, certo, sua figlia, che pure aveva una corporatura simile, era più magra, ma lei non sfigurava di certo, e poi vent’anni fa ‘
Si rese conto che la gonna del tailleur le tirava un po’ sui fianchi, infatti ultimamente aveva messo su qualche chilo.
Ho il culo troppo grande?
Si mise di profilo, beh, piccolo non è, ma si tiene su, per ora, e, anche per eliminare quel minimo di pancetta che si comincia a vedere, dovrò tornare in palestra.
Sara arrivò al bar alla 16,45, parcheggiò nell’ampio piazzale privato e si sedette ad un tavolo fuori.
Era una bella giornata e ancora si poteva stare all’aperto, bisognava sfruttare queste ultime possibilità, perché tra poco sarebbero iniziate le piogge e le cime delle montagne lontane avrebbero cominciato ad imbiancarsi.
Disse al cameriere che stava aspettando una persona e che avrebbe ordinato qualcosa dopo.
Mentre si guardava intorno per cercare di capire se chi doveva incontrare fosse già lì, lo vide.
E che ci fa Marco?
Quando vivi in una città piccola, è normale incontrare qualcuno che conosci, però, data la situazione particolare, non aveva proprio voglia di mettersi a parlare con il fidanzato di sua figlia.
Per carità, Marco era un ragazzo a posto, carino, educato, serio, una di quelle persone a cui una brava mamma affiderebbe volentieri la figlia, ma voleva evitare che potesse vederla in compagnia del misterioso autore dei messaggi.
Sperò che non l’avesse vista, invece la sua testa ricoperta di capelli biondi ed il tailleur rosso spiccavano in mezzo agli altri clienti del bar come una mosca su un cono ricoperto di panna.
Insomma Marco, dopo un attimo di indecisione, puntò dritto verso di lei.
‘Ciao, Sara, che ci fai qui?’
‘Ciao, beh ‘ sto aspettando un cliente.’
‘Posso sedermi? Ti disturbo solo un minuto.’
Non aveva neanche aspettato la sua risposta e si era seduto proprio di fronte a lei.
‘Sai, volevo farti i complimenti per come hai educato tua figlia.’
Lei lo guardò con aria interrogativa.
‘Di questi tempi, non è facile trovare una ragazza come lei, onesta, moralmente sana e, soprattutto, religiosa.
Quest’ultimo aspetto comporta però un piccolo problema: lei è fermamente decisa ad arrivare pura sull’altare.’
Sara riprese ad arricciare con le dita una ciocca dei suoi capelli. Che cavolo di discorso sta facendo Marco? Non capisco dove vuole andar a parare.
‘Naturalmente la cosa mi fa molto piacere, però …’
Si era fermato e la stava fissando con una espressione che a Sara sembrò ironica.
‘… però, un uomo giovane ha anche le sue esigenze e, quando oltre alla figlia c’è a disposizione una bella mamma …’
Lei era rimasta come paralizzata, con la ciocca di capelli ancora arrotolata intorno al dito e la bocca semiaperta.
‘… per farla breve …’, e qui il suo tono di voce perse quell’impronta tipica del ragazzo educato e precisino, ‘… se non me la vuol dare la figlia, me la darà la mamma.’
In un attimo la nebbia che l’avvolgeva si era dissipata e Sara capì di trovarsi di fronte all’autore di quegli strani messaggi.
‘Ma come …’
‘Sara, Sara’, disse lui agitando l’indice della mano come se stesse sgridando una ragazzina disubbidiente, ‘non si lascia il computer incustodito. Molto interessante la tua corrispondenza con il master, e poi, quelle foto, hai delle belle tette, ma adesso devo andare, stai tranquilla, ci sarà tutto il tempo per approfondire la nostra conoscenza.’
Marco si alzò, rimise a posto la sedia, perché lui era un ragazzo preciso, e se ne andò, lasciando Sara stupefatta e angosciata.
La situazione era peggiore di ogni più catastrofica previsione: era nelle mani del fidanzato di sua figlia che l’avrebbe potuta usare per soddisfare i suoi appetiti e non osava immaginare come l’avrebbe potuta prendere Chiara o peggio, suo marito, se avessero scoperto tutto. Per diversi giorni Sara non ebbe notizie di Marco, sperò che ci avesse ripensato, magari preso da rimorsi per la cattiva azione che aveva immaginato di fare alla futura suocera, ma si sbagliava.

ciao Sara,
oggi pomeriggio ti vengo a prendere al lavoro.

L’email conteneva solo una manciata di parole, che erano state sufficienti a sprofondarla nel panico più totale. A studio non aveva combinato nulla, ed ora non aveva il coraggio uscire per tornare a casa.
Ma sì, cercherò di rincasare il più tardi possibile, alla fine si stuferà di aspettare.
guarda che si sta facendo tardi, se tra mezz’ora non scendi, mando queste foto a tua figlia e a tuo marito.

Al messaggio erano allegate diverse foto, oltre ad una in cui lei mostrava i seni strettamente legati con una corda, ce n’erano un paio con i capezzoli stretti da pinze di metallo e, altre in cui mostrava il sedere nudo rosso per le sculacciate, per terminare in bellezza con dei primi piani della fica tenuta aperta con le dita.
In tutte le immagini, il viso o non era inquadrato oppure era stato oscurato, però, se fossero finite in mano a sua figlia o a suo marito, sarebbe stato evidente che erano state scattate in casa, bastava osservare i mobili e le suppellettili sullo sfondo, e, a quel punto, per logica deduzione, la donna bionda, ritratta in quelle pose sconvenienti, non poteva essere che lei.
Insomma era in trappola, non poteva fare altro che ubbidire agli ordini di Marco.
Quel giorno, invece delle solite ballerine, basse e comode, aveva messo delle scarpe con il tacco alto, non lo faceva spesso, perché era faticoso stare tutto l’intera giornata con simili calzature, però era innegabile che i tacchi alti la slanciavano e, visto che con il passare degli anni aveva preso qualche chilo, non era certo un male.
Si guardò nello specchio del bagno dello studio, i capelli biondi e mossi le ricadevano piacevolmente sulle spalle, la maglia nera, attillata e molto scollata, metteva in evidenza il suo seno generoso e, per finire, i jeans, sottolineavano i fianchi ed il sedere rotondo.
Poi pensò a Marco, certo sarebbe stato peggio se fosse finita nelle mani di un vecchio schifoso, ma era il ragazzo di sua figlia ed aveva più o meno metà dei suoi anni.
‘Buongiorno signora Sara, la vedo in splendida forma’, le disse mentre le apriva lo sportello dell’auto per farla salire.
‘Andiamo a fare un giro con la mia auto, spero non abbia nulla in contrario?’
‘Marco, una cosa soltanto …’
‘Mi dica signora Sara.’
‘Ecco, va bene, farò quello che vuoi, ma, per favore, non mi prendere in giro, noi ci siamo sempre dati del tu …’
‘Va bene, come preferisci. Allora il programma di oggi prevede una bella passeggiata nel bosco, certo, vedo che non hai le scarpe adatte, ma sono sicuro che te la caverai benissimo.’
Il viaggio fu breve e per tutto il tempo Marco si divertì a guardare in maniera ostentata nella scollatura della maglia di Sara, per metterla a disagio.
Il bosco era poco fuori del paese, in un punto pianeggiante, non era certo bello come quelli che crescevano lungo le montagne vicine, fatti da alberi centenari enormi, questo invece era costituito da piante piccole e fitte, un’opera recente di rimboschimento, e l’aspetto era simile ad una selva di pali ricoperti da un po’ di foglie, piuttosto che un luogo magico in cui pensare di ambientare favole e storie fantastiche.
Sara dovette però concentrarsi sul dove metteva i piedi perché, nonostante il terreno non fosse scosceso, le scarpe che aveva erano veramente inadatte e Marco, poi, la spingeva con molto poco riguardo, tenendole una mano sul sedere.
Quando la fece fermare erano abbastanza lontani dalla strada e le macchine che passavano sulla statale non si vedevano più, ma se ne sentiva soltanto il rumore.
Le fece poggiare la schiena ad una albero e poi la costrinse ad inginocchiarsi.
Sara fece resistenza e lui la spinse giù dicendole: ‘Hai paura di sporcarti i jeans?’
A questo punto tirò fuori dalla tasca un pezzo di corda, simile a quella che lei aveva usato tante volte per i giochi che faceva con il suo master virtuale, le fece passare le braccia dietro la schiena, oltre il sottile tronco dell’albero, ed iniziò a legarle i polsi.
‘Ma cosa ‘?’
‘Tranquilla, Sara, facciamo uno di quei giochetti che ti piacciono tanto.’
Si rese conto che la cosa un po’ la eccitava, poi pensò che era sola con un uomo, in un posto isolato e legata ad un albero e fu presa dalla paura.
‘Allora, Sara, stai comoda?’
Lei fece cenno di sì con la testa, ma non era per niente contenta della posizione.
‘Buon per te, perché dovrai rimanerci parecchio, in quella posizione.’
Le mise un dito sotto al mento e la costrinse a sollevare la testa.
‘Ora mi fai un bel pompino.’
‘Cosa? Non ci penso nemmeno!’ Gridò Sara e cercò di alzarsi in piedi, ma le braccia, legate strettamente intorno al tronco dell’albero, non rendevano facile il movimento.
‘Stammi bene a sentire’, le disse Marco spingendola in basso e costringendola a poggiare di nuovo le ginocchia a terra, ‘forse non hai bene capito dove ti trovi.’
Prese un bastoncino e ci infilzò un qualcosa di bianco che era in terra, lì vicino.
‘Lo sai cosa è questo, vero?’, le disse avvicinandole alla faccia quella cosa che Sara riconobbe subito.
Lei cercò di scostarsi, ma aveva già la nuca contro il tronco dell’albero e non poteva arretrare ancora.
‘Dalla tua espressione si vede che hai capito: è un preservativo usato, qui intorno ne è pieno. Tra un’ora farà buio ed il bosco sarà frequentato dalle puttane e dai loro clienti.
Se non mi fai subito un pompino, ti lascio qui e vengo a riprenderti domani mattina, sono sicuro che i clienti sapranno bene cosa fare con una bella signora inginocchiata e legata ad un albero.’
Era rimasto in piedi, di fronte a lei, con le gambe leggermente divaricate, ed aspettava una risposta.
‘E va bene’, disse alla fine Sara, con le lacrime agli occhi per la rabbia.
Allora Marco le si avvicinò e le fece scendere la maglia dalle spalle scoprendo le bretelle del reggiseno, poi fece scivolare giù anche quelle.
Infilò le mani dentro le coppe ed estrasse i seni, lasciandoli ricadere oltre il bordo della scollatura.
‘Hai proprio due belle tettone, lo sai vero?’
‘Ti prego, Marco!’
Si era già aperto i pantaloni e stava maneggiando il suo arnese per estrarlo dai boxer neri.
Sara sentì una fitta allo stomaco, non erano più i giochini di dominazione fatti da sola, nella tranquillità della casa, e che poteva interrompere quando voleva, infatti ora era Marco a comandare le danze.
Chiuse gli occhi per non vedere e sentì come un solletico sui seni.
Come li riaprì vide la punta del pene di Marco, ormai duro e completamente esteso, che si divertiva a stuzzicarle i capezzoli.
Quando fu stufo di questo gioco, si spostò, lo vide indugiare tra la spaccatura dei seni, poi Marco si drizzò in piedi completamente e glie lo fece strusciare sul petto, seguendo verso l’alto il pendaglio della collana che lei portava.
Risalì ancora lungo il collo, superò il mento e si fermò davanti alle sue labbra serrate.
‘Allora Sara, apriamo la bocca o ti devo lasciare qui?’
Lei sentì il contatto sulle labbra, era come una carezza, dolce e decisa, che cercava di convincerla, che sembrava sussurrarle, apri la bocca, fallo entrare, fallo entrare.
E Sara aprì la bocca appena appena.
Marco le bloccò la testa con le mani e lo spinse dentro gradualmente.
Si sentiva soffocare, era grande, più grande di quello di suo marito, e poi lei non faceva volentieri cose del genere.
L’odore non le piaceva, i peli che stavano intorno alla base le davano fastidio, le ginocchia si erano indolenzite ed il bordo della maglia le faceva male sotto i seni.
Insomma era una situazione fastidiosa sotto molti aspetti e Marco sembrava goderne.
Visto che lei non cercava più di sottrarsi, aveva smesso di tenerle ferma la testa e si limitava a darle ordini.
Ora doveva succhiare, ora leccarlo, dopo che lui lo aveva estratto completamente dalla sua bocca, finché non le ordinò di stringerlo, ma non troppo, con le labbra, e muovere il collo avanti e indietro.
Marco era immobile di fronte a lei, praticamente lo stava masturbando con la bocca.
‘Stringi un pochino di più, senza mettere i denti. Brava così.’
Alla fine le venne direttamente in bocca e lei sopportò tutto fino in fondo.
Quando Marco si scostò, Sara guardò in basso, lo sperma le era colato fuori dalle labbra, scendendo sul mento ed impiastrandole il pendaglio della collana ed i seni nudi.
‘Brava, un po’ arrugginita, ma non c’è male, vedrai che con il tempo migliorerai. Ora diamo una bella ripulita alla faccia ed alle tue belle tettone e torniamo in città, per oggi hai finito.’
Prese un fazzolettino di carta e le pulì sommariamente la faccia, proseguì con il mento ed il collo, per finire con i seni.
Quando passò dietro l’albero e le sciolse i polsi, Sara si rialzò a fatica, si risistemò la maglia ed il reggiseno e si incamminò dietro a Marco, cercando di non perderlo di vista, perché stava facendo buio e non voleva essere lasciata lì. La disavventura nel bosco aveva lasciato il segno: Sara era tornata a casa umiliata ed abbattuta, mentre guidava piangeva di vergogna e di rabbia, sapeva di essere impotente davanti al ricatto di Marco ed avrebbe dovuto sopportare ogni futura possibile angheria, senza potersi ribellare.
Non sapeva quando si sarebbe rifatto vivo, ma era sicura che sarebbe accaduto presto, e lei poteva solo aspettare.
Per tutto il giorno successivo non aveva avuto sue notizie e, una volta rientrata a casa, si era tranquillizzata: per oggi l’ho fatta franca.
Invece, aveva fatto giusto in tempo a cambiarsi, quando sentì suonare alla porta. Guardò l’ora, era troppo presto per sua figlia, chi poteva essere?
‘Buona sera Sara’, esordì lui mentre entrava in casa.
‘Questo abito ti sta molto bene’, aggiunse girandole intorno e soffermando lo sguardo sul suo sedere.
Sara indossava un vecchio vestito a fiori, declassato ad uso casalingo, faceva ancora troppo caldo per mettere una tuta di cotone e quella le era sembrata la soluzione migliore.
Il vestito era di alcuni anni prima, quando Sara era più magra, così ora le andava stretto tanto che restava abbastanza sollevato dietro, accentuando l’impressione di voluminosità delle sue chiappe, anche sul davanti tirava e così aveva dovuto aprire il primo bottone, mettendo in mostra i seni.
Forse ho sbagliato, avrei dovuto prevedere che Marco sarebbe venuto con l’intenzione di scoparmi, non avrei dovuto vestirmi così, ma ormai è troppo tardi per rimediare.
La spinse in cucina, piazzandole ostentatamente una mano sul didietro, mentre continuava a parlarle.
‘Dammi le mani ‘, sì, così ‘ brava Sara, vedrai che rimarrai soddisfatta.’
Le aveva fatto mettere le braccia dietro la schiena ed ora le stava legando insieme i polsi, usando la corda, come aveva fatto la sera prima.
Le sollevò il vestito dietro ed iniziò a carezzarle il sedere.
‘Sara,hai veramente un gran culo, in ogni senso.’
‘Ahi!’
Sara aveva gridato ed aveva fatto un salto, quando Marco, prendendola alla sprovvista, le aveva mollato una sonora sculacciata.
‘Molto meglio così, piuttosto che arrangiarsi a prendersi a ciabattate da sola, vero?’
Brutto bastardo, pensò lei, hai letto tutto quello che mi scrivevo con il master, ti sei documentato con le mie foto ed ora mi tieni in pugno.
La fece piegare in avanti, facendole poggiare il seno sul bordo del lavello e riprese a sculacciarla.
Quando si fermò, Sara era sicura di avere il sedere rosso e gonfio come non le era mai capitato.
La mossa seguente di Marco consistette nello scostare lo slip in mezzo alle chiappe e nell’infilarle un dito dietro.
Lei sussultò, sorpresa dal gesto inaspettato.
‘Scommetto che ti piace, vero Sara?’
Gridò quando Marco, muovendo il dito, iniziò a frugarle dentro l’ano, ma lui la costrinse a rimanere piegata in avanti.
‘Bene, ora ci infiliamo dentro qualcosa di meglio.’
Lei che si era rilassata perché quel massaggio fattole con il dito non era affatto spiacevole, divenne tesa come una corda di violino, spaventata dall’idea di prenderlo dietro senza alcuna lubrificazione, ma una volta sfilato il dito, Marco decise di cambiare buco.
‘Complimenti, veramente comoda, calda e confortevole, parlo della tua fica, Sara.’
E cominciò a fare avanti e indietro dentro di lei, con tutta l’energia che poteva avere una persona della sua età.
Dovette ammettere che non era affatto male, se non fosse stato per la posizione scomoda e la costrizione dei polsi legati, poi le cadde lo sguardo sull’orologio a muro della cucina e realizzò che tra poco sarebbe rientrata Chiara.
No, accidenti, non posso farmi trovare così.
Provò a protestare, a dire qualcosa, però Marco sembrava infoiato di brutto e lei capì che non si sarebbe fermato.
Con una serie di spinte più forti delle altre le venne dentro, proprio nel momento in cui lei sentì il rumore della chiave che girava nella serratura della porta di casa.
Appena in tempo. Marco si sfilò, le sciolse i polsi e Sara si rimise in piedi, cercando di rimettere la gonna a posto, mentre la figlia diceva ad alta voce, non sapendo dove fosse sua madre, ‘sono in bagno, mamma, me la stavo proprio facendo sotto.’
Da un lato era meglio, perché aveva il tempo per darsi una rassettata, però in bagno avrebbe voluto andarci lei, e subito, perché stava sgocciolando di brutto, invece dovette accontentarsi di risistemarsi lo slip alla meno peggio, augurandosi che la stoffa potesse trattenere tutto quello che continuava ad uscirle.
‘Allora, soddisfatta?’
Le fece una carezza sul sedere, che le bruciava da morire per le sculacciate subite e tolse la mano nel momento in cui entrò in cucina la figlia.
‘Tutto bene, mamma? Mi sembri un po’ ‘ accaldata.’
‘Ma sì, tutto bene.’
‘Dai Chiara, vatti a cambiare, sennò facciamo tardi al cinema’, e la figura snella ed agile di sua figlia, sparì nella sua cameretta, facendo ondeggiare i lunghi capelli, lisci e castani.
‘Riguardo a noi due’, fece Marco a Sara, ‘faremo una bella replica domani.’
‘No, per favore …’
‘Cara Sara, lo sai cosa succede se ti rifiuti, vero?’
E lei abbassò la testa rassegnata.
Mentre la figlia si vestiva in camera sua, Marco si apri di nuovo i pantaloni e lo tirò fuori.
‘Dai, datti da fare con la lingua, cerca di dargli una bella ripulita.’
‘Ma sei impazzito, Chiara può uscire dalla sua stanza da un momento all’altro.’
‘E tu sbrigati, una bella leccata, un paio di succhiate e ti lascio tranquilla.’
Sara ubbidì, piena di angoscia per la paura di essere scoperta dalla figlia, cercando di tendere l’orecchio per captare il rumore della porta che si apriva, ma andò tutto bene e, quando ricomparve Chiara, Marco si era richiuso i pantaloni mentre Sara stava bevendo del succo di frutta che aveva preso dal frigorifero.
Tutto normale? Più o meno sì, se non fosse stato per il sapore dello sperma che continuava a stazionare nella sua bocca e non voleva andarsene anche dopo aver bevuto due bicchieri di succo di frutta.
‘A domani, Questa volta Marco l’aveva chiamata al cellulare, mentre lei era fuori per lavoro, in un cantiere.
Era stata una conversazione brusca ed interlocutoria in cui le aveva ordinato di mollare ogni impegno e venire a casa sua.
Marco era uno studente universitario e, siccome il paese in cui viveva la sua famiglia era abbastanza lontano, aveva preso in affitto un appartamento insieme ad altri due studenti.
Lei non ci era mai stata, prima di quel giorno e lui le aveva dettato l’indirizzo per telefono.
La casa era arredata in maniera semplice ed approssimativa, in quel momento gli altri due colleghi di Marco erano fuori e quindi nessuno li avrebbe disturbati.
La stanza era piccola e sopra il letto ad una piazza e mezzo c’erano attaccate al muro con le puntine da disegno diverse foto di Chiara.
Le fece un certo effetto quando lui le ordinò di togliersi i pantaloni e le mutande, davanti allo sguardo sorridente della figlia.
Marco osservava con attenzione il suo corpo, come se volesse fare confronti tra madre e figlia e Sara si chiese se avesse passato l’esame.
Anche questa volta le legò i polsi con la corda, ma le fece mettere le mani davanti.
Lei pensava che il tutto si sarebbe svolto sul letto, invece prese una sedia e la sistemò al centro della stanza.
‘Vieni qui, oggi tocca al tuo culo.’
Teneva in mano una tavoletta di legno con sopra fissato un pene finto, nero ed enorme.
‘Oddio, Marco, ma sei impazzito? Non puoi farmi una cosa del genere!’
‘Stai tranquilla, ci mettiamo un po’ di crema lubrificante e vedrai che entrerà liscio come l’olio.’
Sara, scalza e mezza nuda, con le mani legate insieme davanti alla pancia, si sentiva ancora più piccola ed indifesa, mentre Marco spalmava con cura quell’arnese che tra un po’ l’avrebbe penetrata.
Saggiò con un dito la superficie del pene finto per accertarsi che fosse ben lubrificata e lo posò sulla sedia.
‘Vieni qui!’
Sara tremava di paura e non si muoveva, così fu lui ad avvicinarsi, prenderla per un braccio e portarla davanti alla sedia.
‘Giù, siediti!’, e sottolineò le parole spingendola vigorosamente sulle spalle.
Sara sentì la punta di quell’aggeggio che le faceva il solletico in mezzo alle chiappe e si irrigidì.
Marco le sollevò il piede destro, portandolo all’altezza della zampa posteriore della sedia e lei, per non perdere l’equilibrio, posò i palmi delle mani sulla parte orizzontale della sedia, cercando di restare il più in alto possibile, mentre lui, intanto, le legava la caviglia.
Quando le sollevò anche il piede sinistro, Sara per un po’ riuscì a restare in equilibrio sulle braccia tese.
Il cazzo finto si era leggermente incuneato tra le sue chiappe, ma non le era ancora entrato dentro.
Era solo questione di tempo, i muscoli delle braccia cominciavano a stancarsi e tra un po’ sarebbe stata costretta a scendere.
Cedette di colpo e, se non fosse stato per Marco, che sostenendola con le mani sotto al sedere, la accompagnò dolcemente fino a sedersi, si sarebbe fatta male di brutto, ma la penetrazione fu comunque dolorosa e traumatica.
Il dolore era forte, lei, con le lacrime agli occhi lo supplicava di toglierla da lì, mentre lui, per niente intenerito, si apriva i pantaloni.
‘Ti alzerai dopo, dopo il pompino.’
Lei ogni tanto cercava di sollevarsi premendo con le mani sulla sedia, ma riusciva soltanto a sfilarsi di qualche centimetro e poi, dopo qualche secondo, le venivano meno le forze e ricadeva giù, impalandosi peggio di prima.
‘Ti prego, non ce la faccio più’, gridò ad un certo punto, dopo aver staccato le labbra.
‘Zitta, succhia, prima finisci e prima ti alzi.’
I tentativi inutili di sfilarsi dal cazzo finto avevano sortito anche un altro effetto, perché lei muovendosi in su ed in giù, aveva iniziato ad eccitarsi, così, resasi conto che le mani legate si trovavano proprio , ruotò all’indietro un pollice ed iniziò a toccarsi.
Marco doveva essersene accorto, ma sicuramente doveva interessargli solo che lei glie lo succhiasse per bene, e per un po’ la lasciò fare.
Sara provò a muoversi, dapprima leggermente, poi sempre più forte, la doppia stimolazione, davanti praticata con le sue dita e dietro causata da quell’affare enorme in cui era infilzata, la dava sensazioni contrastanti, di piacere e di fastidio che si amplificavano a vicenda.
Infilò un dito nel cappuccio che proteggeva il clitoride e il piacere si moltiplicò, al punto che per qualche attimo il dolore le sembrò scomparire, ma probabilmente doveva aver trascurato il motivo principale per cui era lì.
‘Stai ferma con queste cazzo di mani!’, le disse lui, spazientito, afferrandole le dita con una mano ed allontanandole dalla sua vagina.
Lentamente il piacere si affievolì e restò solo il fastidio di quel corpo estraneo che sembrava volerla aprire in due.
Alla fine, il sentire lo sperma che le riempiva la bocca fu come una liberazione e a quel punto Marco le sciolse le corde che le tenevano bloccate le caviglie.
Una volta messi i piedi a terra si alzò lentamente con gran cautela, tenendo ferma la tavoletta con le mani, per evitare che le venisse appresso, mentre Marco, in disparte, non sembrava più interessarsi a lei.
Sara, poiché lui le aveva detto che in casa non c’era nessuno, uscì dalla stanza senza preoccuparsi di rivestirsi.
Doveva andare assolutamente in bagno, perché il bruciore era così forte che voleva a tutti i costi darsi una rinfrescata, anche se non sapeva bene come fare con le mani legate.
Fu nel corridoio, ad un passo dalla porta del bagno, che incontrò quel gigante biondo e barbuto, che, dopo un attimo di sorpresa, la afferrò strettamente.
‘E tu chi sei?’, disse con quel curioso accento che hanno i tedeschi quando parlano italiano e che non si tolgono mai, neanche dopo una vita.
‘Helmut, è quella signora di cui ti ho parlato. Le ho appena messo il culo in forma, se vuoi provarla …’. La voce di Marco, le arrivò attutita ma chiara, nonostante si trovasse nella parte opposta della casa.
La camicia le copriva solo in parte il sedere e le sue chiappe rotonde e robuste dovevano apparire un bel richiamo per il nuovo arrivato, che era uno dei colleghi studenti di Marco, infatti Helmut non ci pensò due volte e la trascinò nella sua stanza.
In tutto ciò, Sara avendo ancora le mani legate, non fu in grado di abbozzare il minimo tentativo di difesa, così non poté far nulla quando lui la issò sul letto e le mise un cuscino sotto la pancia.
Helmut le sollevò dietro la camicia e la costrinse a piegarsi in avanti.
Disse qualcosa riguardo al suo culo, che lei non capì bene e le allargò a forza le chiappe con le mani.
La seconda penetrazione fu dolorosa almeno quanto la prima, lei gridava, piangeva, ma era tutto inutile perché Helmut era il doppio di lei e, dopo qualche ulteriore tentativo infruttuoso, che ottenne solo l’effetto di eccitarlo maggiormente, Sara si rassegnò.
Helmut ora faceva liberamente avanti e indietro nel suo povero culo, mentre le mani, infilate nella camicia, le strizzavano i seni.
Finì con qualche spinta più forte della altre, riempiendola di sperma tiepido e a quel punto Sara decise che poteva bastare.
Con un balzo che sorprese lei stessa ma anche Helmut, che era intento a riprendere fiato dopo il lungo sforzo, saltò giù dal letto ed uscì di corsa dalla stanza, intenzionata ad andarsene da quella casa ad ogni costo.
Non pensò certo che indossava solo una camicia e per il resto era nuda, non valutò che era lontana circa 5 chilometri da casa ed era senza macchina, in quel momento era umiliata, indolenzita e spaventata e voleva evitare che il suo povero culo subisse ulteriori ingiurie. Correva scalza e l’unico obiettivo era la porta di casa che vedeva in fondo al corridoio, distava solo pochi metri ma le sembravano chilometri.
Saverio la prese al volo ad un metro dalla salvezza, quando la mano di Sara già si protendeva verso la maniglia.
Saverio era il terzo universitario che viveva in quella casa, ed era l’esatto contrario di Helmut, visto che era piccolo di statura, moro e tarchiato, una specie di torello, salito da un paesino dell’interno della Calabria fino a quella piccola città del nord, per laurearsi in legge.
E così Sara fu costretta a sperimentare il terzo ospite della casa.
La sbatté sul divano sdrucito del soggiorno e si dedicò, come gli altri due, alle sue chiappe bianche e rotonde che spuntavano da sotto la camicia.
La nuova cattura dopo che aveva intravisto per un attimo la libertà, esaurì le energie di Sara che, sconfitta e rassegnata, se ne restò buona buona, con la testa affondata nei cuscini del divano, mentre Saverio glie lo ficcava dietro.
Tra la dilatazione causata prima dal pene finto, poi da quello vero di Helmut e lo sperma che ancora continuava ad uscirle, il compito del nuovo arrivato non fu certo difficile, anche se il dolore, per quanto diminuito rispetto all’inizio, continuava a permanere.
Saverio le venne dentro quasi subito e, evidentemente non ancora soddisfatto, impugnò con una mano il cazzo largo a leggermente ricurvo e si masturbò per un po’ in modo da farlo tornare dritto.
Sara vide la scena riflessa nello specchio che aveva di fronte, poi Saverio le si accostò nuovamente e ricominciò per la seconda volta.
La insultava, le diceva che era una troia, una vacca dal culo sfondato, poi, per fortuna, perché Sara era veramente sfinita, si svuotò di nuovo dentro di lei e la lasciò dolorante sul divano, con la testa affondata nei cuscini ed il sedere nudo proteso in alto.
‘Prenditi la tua roba e vattene, ora abbiamo da fare.’
La voce di Marco la scosse, doveva quasi essersi addormentata.
Ai suoi piedi c’erano i pantaloni, lo slip color carne, oltre alle scarpe, ed i suoi polsi ora erano tornati liberi.
‘Devo andare in bagno, Marco, per favore.’
Non poteva certo uscire di lì in quelle condizioni.
‘Ci andrai a casa tua, ora è tardi.’
Il tono era di quelli che non ammettevano replica e poi forse era meglio uscire da quella casa, prima che a quei tre venisse in mente di ricominciare, così si alzò in piedi e cominciò ad infilarsi le mutandine.
Si sentiva uno schifo, indolenzita ed impiastrata di sperma, avrebbe certo preferito lavarsi prima di rivestirsi.
Quando lo slip era tornato quasi a posto, Marco la fermò.
Aveva in mano quel dannato pene finto, che doveva aver smontato dalla tavoletta di legno.
‘Dimentichi questo Sara.’
Glie lo infilò profondamente nella vagina e poi le tirò su le mutandine in modo da bloccarlo in posizione.
‘Su, finisciti di rivestirti e togliti dalle palle, ci vediamo un altro giorno.’
Sara uscì da casa di Marco con quel coso piantato dentro che quasi le impediva di camminare e si rese conto che doveva anche fare pipì.
Accidenti, ed ora come faccio?
La casa di Marco era in periferia e non c’era neanche un bar dove poter sperare di risolvere il problema, ad ogni passo lo stimolo si faceva sempre più impellente, forse anche per quel coso piantato lì.
Me lo devo togliere assolutamente, pensò, ma come faccio? Non mi posso mica calare i pantaloni in mezzo alla strada tra macchine e passanti.
Guardò in basso, in mezzo ai pantaloni si vedeva una piccola sporgenza, perché il pene finto, camminando, era sceso leggermente, non trattenuto a sufficienza dallo slip e poi, la stoffa, intorno all’inguine era tutta macchiata.
Ad un certo punto vide un piccolo giardino, era una rientranza tra due edifici bassi con un paio di panchine e dietro uno spazio con i contenitori della differenziata.
Aspettò che un signore anziano finisse di far fare i bisogni al suo cane e si diresse dove erano i contenitori.
Dai Sara, se ti sbrighi, riesci a risolvere il problema, qui non ti dovrebbe vedere nessuno.
Accucciata, al riparo dei cassonetti, si abbassò i pantaloni e lo slip, poi prese con due dita il pene finto e lo sfilò lentamente.
Appena in tempo, perché stava proprio per farsela sotto.
Rimase in equilibrio precario, finché non vide uscire più nulla e rimise a posto lo slip.
Avrei dovuto asciugarmi un po’ con un fazzolettino? Beh, sono così sporca che sarebbe proprio il meno, concluse mentre, rialzatasi in piedi, si richiudeva i pantaloni.
L’ultima azione, prima di riprendere il cammino verso casa, fu riporre nella borsetta il pene finto, dopo averlo infilato in una bustina di plastica: non si sa mai, Marco potrebbe arrabbiarsi se lo butto via. ‘Allora Sara, come ti sembra questa casa?’, le aveva chiesto Marco, che le aveva ordinato di tornare nuovamente lì.
‘In che senso?’, aveva risposto lei.
‘Ti sembra pulita ed ordinata?’
‘No, proprio no’.
Era stata sincera perché l’appartamento era in condizioni disastrose con roba ammonticchiata dappertutto, i pavimenti lerci da far paura con polvere e sporcizia in ogni angolo.
Dietro la domanda di Marco c’era una trappola, infatti subito dopo le era arrivato l’ordine di rimboccarsi le maniche e pulire l’appartamento.
Insomma, erano passati due giorni da quella prima volta in cui era tornata a casa, umiliata e dolorante, dopo essere passata per le mani dei tre universitari e lei tutto si sarebbe aspettata tranne che essere trasformata in una domestica tuttofare.
Quando Marco le aveva messo in mano scopa e paletta, lei lo aveva guardato stupita.
‘Ma non avete un aspirapolvere?’
‘Per secoli si è usata la scopa, quindi potrai farlo anche tu. No, non abbiamo l’aspirapolvere.’
Aveva iniziato dal soggiorno e quando aveva finito di spazzare, Marco le aveva portato un secchio, pieno di acqua e detersivo, ed uno straccio per i pavimenti.
Sara gli disse che a casa sua usava il mocio.
‘Beh, qui farai come una volta, in cucina dietro la porta c’è uno spazzolone, andrà benissimo.’
Naturalmente, nonostante gli sforzi di Sara, il pavimento, che non veniva lavato seriamente da un sacco di tempo, non venne molto bene, era opaco e in molti punti si vedevano delle macchie scure.
‘E che è questa porcheria, devi spingere quando passi lo spazzolone, non gli devi fare il solletico.’
Sara lavò di nuovo il pavimento, spingendo e strofinando il più possibile, ma il risultato non cambiò.
‘Prova con questa’, le disse Marco porgendole una spazzola ruvida con il manico di legno, e Sara si ritrovò, ginocchioni, a strofinare il pavimento, macchia per macchia.
In questa maniera la superficie tornava pulita, ma era un lavoro faticosissimo e ci voleva un sacco di tempo. Di questo passo avrebbe finito a notte fonda, solo per pulire il soggiorno.
Era tutta indolenzita al punto da essere costretta a fermarsi spesso per prendere fiato, ma stava venendo bene e la parte che aveva già pulito aveva un colore decisamente più chiaro del resto.
Tutta presa dal lavoro si era completamente dimenticata di Marco, così, quando ad un certo punto ebbe la sensazione che davanti a lei ci fosse un ostacolo, si scostò i capelli biondi che le erano finiti davanti al viso e lo vide.
Il fidanzato di sua figlia era in piedi di fronte a lei, con le gambe allargate, i pantaloni completamente aperti ed il pene eretto.
Sara posò la spazzola e si avvicinò.
Il diversivo le diede modo di riposare un po’ le mani, affaticate dal troppo strofinare.
Questa volta Marco operò un cambiamento, perché quando Sara si aspettava che lui le riempisse la bocca di sperma, proprio sul più bello, lo tirò fuori.
Con una mano le bloccò la testa tenendola per i capelli e con l’altra indirizzò il pene contro la sua faccia.
Quando alla fine allentò la presa sulla nuca, Sara aveva la faccia completamente impiastrata di sperma.
‘Su, ora rimettiti al lavoro.’
Si passò il dorso della mano sugli occhi e sulla bocca e riprese a strofinare il pavimento.
I capelli ora, quando venivano a contatto con il suo viso restavano appiccicati.
Si sentiva veramente uno schifo, ma il peggio doveva ancora venire, sentì aprirsi la porta di casa alle sue spalle, doveva essere rientrato uno degli altri due.
Avvertì che qualcuno si stava avvicinando da dietro.
La posizione, a quattro zampe per terra non poteva non essere un invito per il nuovo entrato, infatti due mani robuste le sollevarono il vestito da dietro, arrotolandolo poi fino alla vita e lei si immobilizzò.
Le mani le abbassarono le mutandine fino alle ginocchia e subito dopo lei sentì la pressione in mezzo alle chiappe.
No, per favore, lì no, pensò Chiara, perché era ancora molto indolenzita dalla volta precedente.
Cercò di spostarsi in avanti ma lui le fu subito addosso, la strinse forte sui fianchi e spinse con decisione.
Sara sentì l’ano che si apriva dolorosamente e gridò, ma lui spinse ancora più forte e fu costretta a farlo entrare.
‘Continua a pulire, troia.’
Era Saverio, il calabrese.
Così lei continuò a strofinare il pavimento, a quattro zampe con l’altro appiccicato alle sue chiappe.
Siccome le mutande abbassate le impedivano di allargare bene le gambe, ad un certo punto Saverio si fermò, glie lo sfilò da dietro e le tolse completamente lo slip.
Sara si fece docilmente penetrare di nuovo e ricominciarono.
Lei piangeva in silenzio, umiliata, sfinita ed indolenzita e si augurava che Saverio finisse presto, ma lui non sembrava avere una fretta particolare, anzi, ogni tanto rallentava il ritmo, per poi riprenderlo.
Alla fine, per fortuna si decise a venire e la lasciò lì, a quattro zampe, intenta ancora a strofinare il pavimento.
Sara continuò ancora per un po’, avanzando lentamente sul marmo freddo, con il vestito arrotolato che le lasciava il sedere completamente scoperto. Strofinava un pezzo e si spostava più avanti, lasciandosi una piccola scia di sperma che continuava ad uscirle da dietro.
‘Basta così, per oggi’, le disse Marco quando era arrivata ormai alla fine della stanza.
Sara si alzò faticosamente, si risistemò il vestito e si voltò ad osservare il lavoro fatto.
Una striscia di pavimento, larga circa un metro e mezzo, appariva ora completamente diversa, le tonalità opache e marroncine che caratterizzavano ancora il resto della superficie, avevano lasciato il posto ad un bel grigio brillante, attraversato da venature bianche.
Sara prese la sua borsetta e se ne andò, era stanchissima, aveva le ginocchia rosse e le mani indolenzite, ma si sbrigò ad uscire da quella casa, prima che Marco cambiasse idea.
Solo in strada realizzò di essere senza mutande.
Era un pomeriggio molto ventoso e per tutto il tragitto non l’abbandonò la paura di un improvviso colpo di vento che potesse sollevarle il vestito.
Quando era nell’ascensore di casa si guardò nello specchio della cabina, accidenti, non posso rientrare in queste condizioni.
Il viso, il collo ed i capelli erano pieni di sperma essiccato, un vero schifo.
Ecco perché per strada le persone che incontravo mi guardavano.
Così spinse il pulsante ALT e poi quello del garage.
Lì c’era un bagno e, aiutandosi con un po’ di carta igienica bagnata, cercò di togliere le tracce più evidenti, ma la cosa più complicata fu rimuovere i grumi che le appiccicavano i capelli.
Quando finalmente entrò in casa, a parte l’aria stanca ed abbattuta, sembrava la solita Sara e il marito, forse poco attento, non notò nulla di strano.
Lei, dopo aver fatto una bella doccia, si era messa a preparare la cena e si era tranquillizzata, ma i problemi cominciarono quando, dopo aver visto la televisione, andarono a letto e suo marito iniziò a carezzarle il sedere.
Sara sapeva bene che suo marito era un estimatore del suo culo, grande e sporgente, e spesso aveva dovuto faticare a tenere a freno le sue voglie.
Non aveva mai amato molto prenderlo di dietro e questo lo sapeva bene anche lui, che però insisteva spesso per ficcarglielo lì, ma questa volta era così stanca ed abbattuta che non riuscì ad essere abbastanza convincente da farlo desistere.
Si rese conto del pericolo che correva solo quando il marito iniziò a spingerglielo dentro.
Oddio, adesso se ne accorge, pensò lei, mentre sentiva i tessuti, allentati dalle recenti vicissitudini che aveva subito il suo didietro, cedere di schianto.
Lui, passata la sorpresa iniziale, perché prima di allora aveva sempre dovuto faticare per entrare dall’ingresso posteriore, si mise a fare tranquillamente avanti e indietro in mezzo alle chiappe di Sara, stupito dell’inaspettata accondiscendenza della moglie.
Adesso se ne accorge, adesso se ne accorge, pensava lei disperata, perché lo sentiva entrare ed uscire liberamente, come mai era accaduto prima. Marco e gli altri due mi hanno sfondata, non può non accorgersene.
Invece lui continuava come se non avesse notato nulla di particolare, così alla fine Sara si mise tranquilla ed aspettò che il marito finisse.
Ma quando lei tornò dal bagno dopo aver a lungo rinfrescato la parte dolorante, il marito cominciò a manifestarle dei dubbi.
‘Era parecchio che non lo facevamo di dietro, però ‘ non so ‘ c’è qualcosa di strano.’
‘Strano cosa?’, chiese lei con un filo di voce.
Ecco sono finita, ha capito che mi sono fatta sfondare da altri uomini.
‘Niente, niente, non importa’, tagliò corto il marito e spense la luce. Dopo quella prima volta, Sara era tornata nella casa di Marco, molte altre volte. Di fatto era diventata la colf del fidanzato di sua figlia e di quegli altri due.
Una domestica molto particolare, visto che loro se la scopavano regolarmente mentre faceva le pulizie.
C’erano volute altre due volte per finire il pavimento del soggiorno, due pomeriggi passati ginocchioni sul pavimento, lacrime e sangue, o meglio lacrime e sperma, data la situazione.
Terminato il soggiorno era passata alle stanze di Marco e degli altri due, poi si era dedicata al corridoio, ed ora aveva iniziato la cucina.
Due volte a settimana Sara usciva prima dal lavoro ed andava in quella casa, si era attrezzata bene, visto che lì aveva portato il vestito a fiori, quello che usava in casa, in modo da non dover tornare con gli abiti sporchi.
Marco non aveva avuto nulla da ridire, per lui un vestito o un altro non faceva alcuna differenza.
Quando tornava a casa in quei giorni, stanca ed indolenzita, si ficcava subito sotto la doccia, per evitare che suo marito sentisse l’odore che emanava e si augurava sempre che lui fosse troppo stanco, ma sembrava quasi che lo facesse apposta: possibile che proprio quando torno da casa di Marco, lui debba avere tutti questi bollori?
E poi c’era sempre la paura di essere scoperta, perché suo marito aveva accennato diverse volte alla facilità con cui ora le entrava dietro, lei cercava di stringere, ma i tessuti, troppe volte sollecitati da Marco e dagli altri due, opponevano ben poca resistenza.
Ma quel giorno aveva intuito che sarebbe andata in maniera differente, perché Marco le aveva detto di organizzarsi per tornare tardi, molto tardi, così Sara si era inventata con il marito una cena di lavoro.
All’inizio aveva pulito il pavimento della cucina e, con sua grande sorpresa, né Marco né gli altri due le avevano dedicato le solite attenzioni, così era riuscita a finire di raschiare le piastrelle del pavimento senza che glie lo ficcassero da qualche parte.
‘Vieni qui’, le ordinò Helmut, con quel suo curioso accento tedesco.’Questa sera c’è una festa, e dovrai servire gli ospiti, per questo motivo dovrai metterti la divisa.’
Quella che lui aveva chiamato pomposamente divisa, era un abito da cameriera tirolese, quelli con il corpetto con i lacci davanti, ed il grembiule a quadri.
Ad essere precisi era un costume molto particolare perché innanzitutto mancava sia la camicetta da indossare sotto il corpetto, che la gonna lunga da mettere sotto il grembiule, quest’ultimo poi era piccolissimo e copriva il corpo di Sara solo davanti e terminava a metà coscia.
Insomma, a parte il piccolo corpetto rosso, molto scollato, che mostrava i suoi seni generosi, ed il minuscolo grembiule, Sara era nuda.
Helmut le fece un gran fiocco dietro la schiena per fissarle il grembiule e ne approfittò per darle una bella sculacciata sulle chiappe nude, poi le porse delle calze bianche e delle scarpe rosse con il tacco altissimo.
Sara si guardò nello specchio del corridoio: con le calze bianche che terminavano poco sopra il ginocchio e arrampicata su quei tacchi altissimi, si sentiva terribilmente a disagio.
Helmut le sollevò il grembiule sul davanti, le prese una mano e glie la poggiò sull’inguine.
‘Su, fammi vedere come ti sai toccare.’
Sara, un po’ titubante, iniziò a toccarsi timidamente.
‘No, per bene, così!’
Mise la sua mano sopra quella di lei e cominciò a muoverla in su ed in giù.
Quando la tolse, Sara continuò da sola.
Ora gemeva e si muoveva, con le dita che affondavano nella vagina umida e dilatata.
La fece continuare finché non fu completamente fradicia, al punto che quando Sara tolse la mano e lui lasciò ricadere in basso il grembiulino, sulla stoffa a contatto con il ventre bagnato, si allargò una grande macchia.
Dopo questa fase preparatoria, Sara fu portata in soggiorno e scoprì di che genere di festa si trattasse: un loro amico si sposava e, per l’occasione, avevano preparato una serata di addio al celibato.
Naturalmente Sara, oltre a fare la cameriera, era il regalo per il novello sposo, ma anche per tutti gli altri invitati, una ventini di giovani uomini, pronti ad avventarsi su una cameriera mezza nuda.
Cominciò a muoversi in mezzo a loro, portando vassoi pieni di bicchieri di prosecco e tartine e all’inizio si limitarono a toccarla, finché non si sentì afferrare da dietro e fu sbattuta a faccia in giù sul divano.
Il primo fu naturalmente il futuro sposo che, tra le grida e gli applausi di tutta la combriccola, le allargò le chiappe e gli lo ficcò profondamente dietro. Sara gridò, presa alla sprovvista e si trovò subito la bocca riempita dal pene di un altro degli invitati.
Durò pochi minuti, la rimisero in piedi, con la bocca e il culo pieni di sperma e le diedero un vassoio con dei bicchieri di prosecco.
Sara iniziò a muoversi in mezzo a loro che, prima di prendere il bicchiere la toccavano da tutte le parti.
Il vassoio ormai era vuoto, glie lo tolsero di mano e la costrinsero a piegarsi in avanti.
Andò avanti così per un bel pezzo, lei passava con il vassoi pieni di bicchieri, disponeva le cose da mangiare sul tavolo e ogni tanto qualcuno la prendeva, la sbatteva contro il muro o sul divano e la lasciava andare solo quando aveva finito.
Alla povera Sara non restava da fare altro che rimettersi in piedi e riprendere il suo lavoro, gocciolante ed indolenzita.
Ma il peggio venne più tardi quando Marco le ordinò di andare in cucina a lavare piatti e bicchieri.
Le fece allargare le gambe e le legò le caviglie alle maniglie del mobile, in modo che non potesse richiuderle e neanche andarsene via.
Il primo fu il futuro sposo, entrò in cucina mentre Sara stava insaponando i bicchieri e la spinse brutalmente in avanti, facendola finire con la faccia nell’acqua saponata.
‘Continua a lavare i piatti!’, le ordinò brusco, mentre lei sentiva il suo pene eretto che frugava in mezzo alle sue chiappe alla ricerca della strada giusta.
Glie lo spinse dentro con un movimento deciso del bacino e cominciò a fare avanti e indietro.
Il ventre di Sara sbatteva sul bordo del lavandino mentre lei cercava in qualche maniera di continuare a strofinare i piatti, ma in quelle condizioni non era facile.
Ad un certo punto le infilò le mani dentro al corpetto, allentò i lacci e ne tirò fuori i seni.
Le tettone di Sara, rimaste strizzate dal bordo del corpetto, si muovevano ritmicamente mentre lui le stuzzicava i capezzoli.
‘Sei proprio una bella vaccona, ma dove ti hanno scovata i miei amici?’
Smise un attimo di parlare, ma poi riprese: ‘ecco chi sei, ma tu sei la madre della ragazza di Marco!’
Era finita, rovinata, tra un po’ tutta la città avrebbe saputo il suo segreto.
Per un attimo sperò che si sarebbe tenuta per sé la scoperta, invece quello, si mise a dire a voce alta: ‘ma lo sapete chi è la nostra cameriera tettona?’
Sara sentì le voci degli altri che rispondevano, poi un paio di loro si affacciarono in cucina.
‘E’ la mammina della ragazza di Marco.’
‘Cazzo, è vero!’, esclamò uno.
‘Favoloso, sarà una vero piacere scoparla!’, fece eco un altro.
Da quel momento non ebbe più tregua, dietro di lei c’era la fila e intanto continuavano a portarle piatti e bicchieri sporchi.
Sara, insaponava, strofinava e sciacquava ma le stoviglie sembravano non finire mai, come pure gli uomini alle sue spalle.
Appena uno si svuotava dentro di lei, ne arrivava subito un altro che ne prendeva il posto e ricominciava.
Era completamente impiastrata di sperma, che usciva dai suoi buchi dilatati, le colava lungo le gambe allargate e finiva sul pavimento, dove aveva formato una larga pozza.
La tolsero da quella scomoda posizione solo quando non ci furono più piatti da lavare e Sara, una volta che ebbe le caviglie libere, si appoggiò esausta al bordo del lavandino, si risistemò i seni dentro il corpetto, richiuse i lacci e poi guardò in basso.
Il grembiulino era completamente zuppo al punto che le aderiva al ventre ed alle cosce, mentre le gambe erano solcate da vistose colature di sperma che si erano fermate sul bordo superiore delle calze.
Si staccò faticosamente dal lavandino e si diresse con passo malfermo verso la cucina.
Per oggi basta, pensò, non ce la faccio più, voglio tornare a casa.
Ma non era ancora finita, perché le si fece incontro Marco che sfoderò un gran sorriso.
‘Aspetta, prima di andar via, volevamo ringraziarti per la tua disponibilità ed offrirti qualcosa da bere.’
Teneva in mano un bicchiere alto, di quelli da bibita, completamente riempito di una roba densa e biancastra.
‘Da parte di tutti noi, proprio tutti, te lo assicuro.’
Il dover bere quel bicchierone di sperma, davanti e venti uomini che ridevano e la sfottevano fu la ciliegina sulla torta di quella terribile giornata e verso la fine temette di non farcela, poi però chiuse gli occhi alzò completamente il bicchiere e trangugiò tutto, fino all’ultima goccia, tra gli applausi dei presenti.
Posò il bicchiere vuoto sul tavolo e andò in bagno a cambiarsi.
Quando uscì, Marco le disse che il giorno dopo sarebbe dovuta tornare per sistemare casa e mentre usciva dall’appartamento, senti uno che chiedeva a Marco se poteva venire da lui nei giorni liberi.

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