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Racconti di Dominazione

Silvia A. riempita a dovere

By 16 Novembre 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi chiamo Silvia A., ho 28 anni e abito a Modena da quando sono nata. Non sono molto alta, ma sono molto ben fatta: a detta dei ragazzi sono decisamente bella e gli apprezzamenti, a volte anche molto volgari, non sono mai mancati. Ho lunghi capelli castani, occhi chiari e porto la terza di reggiseno, ma il mio punto forte sono il fondoschiena e le mie labbra, carnose e definite. Il mio ragazzo si chiama L., &egrave mio coetaneo e siamo insieme già da parecchi anni: lui ha la mia stessa età e pur non essendo molto alto gioca a pallacanestro in una squadra che partecipa al campionato provinciale. Con L. &egrave sempre andata bene, tra alti e bassi, e l’unico nostro vero problema rimane la divergenza di opinioni sul mio desiderio di poter finalmente fare sesso senza che lui utilizzi il preservativo. Malgrado io prenda la pillola, lui non ha mai voluto venirmi dentro, neppure nei periodi ultra sicuri e dietro mia insistenza. A dire il vero, la nostra attività sessuale non &egrave delle migliori: molto spesso lui sostiene di essere stanco a causa del lavoro o degli allenamenti e la nostra serata tipo termina dopo una pizza e il cinema. Il vero problema, che quelle scuse coprono, &egrave il fatto che L. non &egrave particolarmente dotato e anzi le dimensioni del suo cazzo sono abbondantemente sotto la media, così come la sua durata e la sua capacità di eiaculazione: quando mi sono innamorata di lui, tre anni fa, per i suoi modi gentili e la sua disponibilità nei miei confronti, non potevo ovviamente sapere queste cose e la prima volta che facemmo sesso (dopo molto tempo, vista la sua – allora inspiegabile – reticenza) fu una delusione per me e molto imbarazzante per lui. Mi ricordo che quella volta (dopo un’eiaculazione fulminea e scarsa) mi disse che era stata l’emozione a tradirlo, ma le dimensioni non potevano certo essere determinate da quello e così, in seguito, fui quasi sempre costretta a simulare l’orgasmo e a masturbarmi dopo essere stata riaccompagnata a casa. Il mio sentimento per lui era ed &egrave immutato, ma con il passare del tempo il mio desiderio di essere scopata in modo forte, pieno, diretto &egrave cresciuto a dismisura. Speravo che la mia disponibilità a non fargli usare il preservativo e a lasciargli eiaculare dentro di me lo stimolassero e aiutassero anche a me ad eccitarmi veramente e a raggiungere l’orgasmo, ma il suo rifiuto a questa idea ha ulteriormente spento la nostra complicità sessuale, già abbastanza precaria, e ulteriormente messo in crisi il mio proposito di fedeltà assoluta al mio uomo. L., devo dire, appare ora addirittura quasi sollevato da questa mia sempre minora ricerca dell’atto sessuale e felicemente convinto che il nostro rapporto si sia ormai incanalato verso un’armoniosa relazione che ci porterà al matrimonio in modo abbastanza piatto ma delineato. Il mio desiderio, però, &egrave continuato a crescere quasi a dismisura e questo ha portato agli avvenimenti della fine di questa estate e attuali, che solo adesso trovo il coraggio di confessare. Verso la seconda metà di agosto, infatti, la squadra di pallacanestro di L. ha iniziato la preparazione atletica in vista della nuova stagione, andando a correre e a fare esercizi in un parco di Modena, chiamato Parco della Repubblica. L. non ha mai voluto che io andassi a vedere le loro partite e neppure gli allenamenti e solo tramite un’altra persona ho saputo che lui &egrave uno dei giocatori meno talentuosi della squadra e che spesso non entra neppure in campo, soprattutto durante le partite più impegnative. Quel giorno di agosto, però, pensai che non ci sarebbe stato niente di male ad andare a trovarlo al parco, visto che la preparazione atletica era solo basata sulla corsa e sugli esercizi e che quindi non avrei avuto modo di metterlo in imbarazzo a causa della sua scarsa abilità con il pallone. Presi una bottiglia di acqua e gli preparai un panino, mi misi dei jeans scuri, scarpe da ginnastica ed una maglietta rosa attillata, senza il reggiseno sotto, come da mia abitudine estiva: inforcai la bicicletta e mi diressi verso il parco. Arrivai lì e legai la bicicletta ad un albero, poi incominciai a cercare la squadra di L. Fatti 100 metri, vidi poco distanti un gruppo di ragazzi sudati che stavano facendo degli addominali ed immaginai che fossero i compagni di squadra del mio ragazzo; mi incamminai verso di loro, attirandomi immediatamente i loro sguardi addosso. Capire il motivo di questa cosa non mi fu difficile: quella mattina era particolarmente fresca per essere agosto, la sera prima aveva piovuto e ora tirava un pò di vento al quale i miei capezzoli avevano reagito indurendosi. La mia maglietta rosa era particolarmente attillata ed abbracciava perfettamente la forma della mia terza abbondante di seno, mettendo bene in evidenza i miei capezzoli turgidi. Non potevo fare niente per coprirmi e anzi mi accorsi che la velocità della mia camminata aveva impresso ai miei seni un leggero movimento, con il risultato che adesso si alzavano e si abbassavano pesanti e pieni ad ogni mio passo. Mi stavano divorando con lo sguardo ed io cercai istintivamente L., ma non lo vidi. Imbarazzatissima mi fermai davanti a loro e abbassando lo sguardo per non incontrare il loro, dissi: ‘Ciao, mi chiamo Silvia, sapete dov’&egrave L.?’. Mi stavano fissando tutti ora. Ero circondata da un gruppo di 12-13 ragazzi, tutti più alti e molto più muscolosi del mio moroso, e alla fine uno mi chiese: ‘Sei sua sorella?’. ‘No’ risposi ‘Sono la sua ragazza’. Vidi che si scambiarono tutti uno sguardo furtivo e che qualcuno ridacchiò, poi uno di loro, il più muscoloso, si avvicinò verso di me. Era alto circa 1 e 85, aveva i capelli rossicci ed un fisico scolpito: la sera stessa avrei scoperto che si chiamava Piero. Mentre si avvicinava, mi resi conto che i miei capezzoli erano sempre durissimi. ‘Il tuo’ragazzo’ (e qui fece uno strano sorriso) ‘sta facendo dei giri suppletivi del parco, come punizione’ disse con tono sicuro. ‘Punizione?’ risposi io meccanicamente senza aver ben capito. ‘Sì, punizione’ rispose lui ‘E’ arrivato ultimo in tutti gli esercizi fatti stamattina e quindi deve pagare pegno’. Non sapevo cosa dire: mi chiesi come avrebbe reagito L. se fosse arrivato proprio in quel momento. Era chiaro che era considerato da tutti i suoi compagni il più scarso e molto probabilmente veniva anche additato come sfigato per via delle dimensioni del suo cazzo, visto che sotto le docce degli spogliatoi (pensai) era impossibile non notare la sua scarsissima prestanza. Mi sentii sopraffatta da questo ragazzo -Piero- e non riuscivo a smettere di guardare la sua muscolatura perfetta, poi lui mi chiese: ‘E’ acqua quella?’ indicando la bottiglia. Ero come in trance: ‘Sì’s-sì’ risposi incerta ‘Ne’ne vuoi un po’?’ Non feci in tempo a dirlo che prese la bottiglia, l’aprì e ne bevve un lungo sorso, mentre gli altri ragazzi si allontanavano per lasciarmi sola con lui. ‘Hai detto che ti chiami Silvia?’ mi chiese di nuovo. ‘Sì’Sì, mi chiamo Silvia, piacere” ero imbarazzatissima ed i miei capezzoli non accennavano a calmarsi. ‘Quanti anni hai?’ mi chiese Piero. ’28’ E’ E tu?’ risposi abbassando definitivamente lo sguardo. ’23’ rispose lui ‘E sono il capitano della squadra’. Mi tornò a passare la bottiglia e io, nel tentativo di chiuderla, mi rovesciai goffamente gran parte dell’acqua rimasta addosso, proprio sui seni. La maglietta bagnata aderì immediatamente ancora di più ai miei seni ed i capezzoli risaltarono -se possibile- maggiormente: ‘Che’ che sbadata’ scusa’ mi ritrovai a balbettare, mentre Piero mi fissava. Raccolsi il sacchetto con il panino e dissi che adesso dovevo proprio andare; ero come inebetita, non sapevo cosa fare e non volevo che L. arrivasse proprio in quel momento. Così feci per ripartire, ma prima che mi incamminassi, Piero mi disse: “Da domani iniziamo gli allenamenti in palestra. Vienici a vedere’. Suonava come un ordine perentorio. Io abbassai lo sguardo e dissi un flebile, quasi rassegnato ‘Sì, va bene’, poi mi allontanai il più velocemente possibile. -continua- Tornata a casa, salii in camera mia e cercai di calmarmi e di riordinare le idee. L’immagine di L. che veniva informato dai suoi compagni di squadra che ero andata al parco e che ero tornata via prima che lui terminasse la sua ‘punizione’ continuava a ronzarmi in testa senza darmi tregua.
Lo immaginavo senza parole, frustrato e terrorizzato da quello che poteva essere successo, ma allo stesso tempo non riuscivo a smettere di pensare a quel ragazzo con i capelli rossicci, ai suoi muscoli, al suo fare autoritario e deciso. Facevo quasi fatica a respirare ed i miei capezzoli erano ancora durissimi a contatto con la maglietta bagnata.
Sentì delle parole ben precise rimbombare meccanicamente nella mia testa: un ragazzo di cinque anni più giovane di me e del mio moroso, muscoloso e autoritario, che non avevo mai incontrato prima, mi aveva vista con una maglietta bagnata aderente al seno e con i capezzoli turgidi e mi aveva dato un perentorio e preciso ordine al quale io ero certa avrei obbedito.
Mi tolsi la maglietta e i jeans e mi avvicinai alla finestra. Desideravo ardentemente scostare la tenda, aprire i vetri e rimanere lì, nuda, alla finestra. Da camera mia si può benissimo vedere una delle strade principali della città e se qualche automobilista avesse alzato lo sguardo verso casa mia, mi avrebbe vista lì, immobile e nuda, impegnata a fissare un punto indefinito mentre offrivo il mio corpo alla vista di sconosciuti.
Fu come un raptus.
Mi decisi.
Scostai le tende e spalancai i vetri, poi mi tolsi anche gli slip e presi una sedia, mettendola di fianco alla finestra; salii sopra la sedia facendo finta di cercare qualcosa tra gli scaffali, completamente nuda, e aspettai un paio di minuti.
Quando tornai a voltarmi, c’era un camionista, fermo nel parcheggio, che mi guardava da non più di 30 metri: mi misi dritta per offrirgli lo spettacolo completo per un attimo, guardandolo con la bocca leggermente socchiusa e le braccia distese sui fianchi, poi scesi lentamente dalla sedia per offrirgli anche la vista del mio culo e mi voltai nuovamente verso di lui, per poi chiudere la finestra dopo qualche secondo.
Avevo il cuore che batteva all’impazzata e la figa completamente bagnata: dopo qualche minuto sentii il campanello di casa suonare, mi rivestii ed andai ad aprire a L.
Entrò in casa senza dire una parola, sembrava un cane bastonato.
Decisi di rompere io il silenzio: ‘Ciao, ero venuta a cercarti al parco prima” iniziai, nella speranza che i suoi compagni di squadra non gli avessero detto niente.
Pensai che ciò non fosse possibile, comunque, e infatti L. mi rispose, tenendo basso lo sguardo: ‘Sì, lo so’ Mi hanno detto che eri venuta a cercarmi e che hai parlato con Piero, il nostro capitano”
‘Sì’ risposi cercando di utilizzare un tono neutro ‘Sì, infatti. Non sapevo si chiamasse Piero’ E’ stato tutto molto veloce, voglio dire’ Poi ho visto che non c’eri e sono tornata a casa. Ecco tutto’
‘Stavo facendo dei giri supplementari del parco, sai” e si interruppe chiedendosi probabilmente se fossi stata informata della ‘punizione’ ma senza ancora alzare lo sguardo.
‘Ho capito, bene” dissi incerta.
Poi fu lui a riprendere: ‘Sai, una specie di punizione per un piccolo errore negli esercizi..’ decise, nel dubbio, di confessare ”Una cosa normale tra di noi. Un giorno tocca a uno, un giorno all’altro’ aggiunse, cercando anche lui di utilizzare un tono neutro, ma senza risultare troppo convincente.
Non dissi niente e dopo un interminabile attimo fu ancora L. a parlare, sembrava morire: ‘Ti hanno fatto i complimenti’ Voglio dire, li ho sentiti mentre mi allontanavo: a me non hanno detto niente tranne che eri venuta al parco’.
‘Sì?’ chiesi io pensando a come cambiare discorso, ma senza volerlo veramente.
‘Sì, parlavano di te: eri, e-eri” ma si interruppe.
‘Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?’ chiesi allora simulando un tono allegro andando verso la cucina ‘Avrai fame dopo allenamento’.
Lui mi seguì, sempre più pallido, poi, con un filo di voce, mi chiese: ‘Eri’E-eri senza reggiseno?’
Ci fu un attimo di silenzio, poi pensai che fosse meglio dissimulare il più possibile: ‘Sì, certo. Come mio solito d’estate’ risposi gentile ma ferma, cercando di sorridere in modo neutro e allungandogli un bicchiere d’acqua.
Lui lo prese, ma non bevve, mentre io sentivo nuovamente l’eccitazione impadronirsi di me.
Volevo rivedere Piero il prima possibile e così colsi la palla al balzo: ‘Quel ragazzo, il vostro capitano’Piero, hai detto?… Mi ha anche spiegato che da domani riprendete gli allenamenti in palestra’.
Ormai L. non sapeva cosa dire, sembrava che anche questa cosa gli fosse stata riferita, ma ormai era l’eccitazione a guidarmi e a prendere il sopravvento su qualsiasi richiesta che L. mi avesse fatto in passato, così ripresi: ‘Mi ha invitata a venirvi a vedere, sai, giusto per vedere come ve la cavate. Potrebbe essere una cosa carina”
Sapevo di aver colpito nel segno perché, come avevo immaginato, anche Piero doveva aver riferito questa cosa a L. e doveva avergli prospettato la stessa cosa nel tono autoritario già utilizzato con me: incominciavo a capire che Piero era il capitano della squadra in tutti i sensi e che doveva aver imposto, come dire, la sua legge. Un debole come il mio ragazzo non poteva che esserne diventato subito succube e infatti, con la coda tra le gambe, mi rispose: ‘Bé, ecco, sì’ se ci tieni proprio’ Credo che si, dovresti venire’ Noi iniziamo alle otto”
‘Bene’ dissi allora, mentre sentivo i capezzoli premere prepotentemente contro il tessuto della mia maglietta ‘Vengo di sicuro’.
Mi portai le braccia al petto per coprire la mia eccitazione a L., che, senza aver ancora toccato l’acqua, aggiunse con un filo di voce che Piero era stato uno dei ragazzini ai quali dava ripetizione ai tempi dell’università, quando il suo attuale capitano andava ancor al liceo, e che si erano conosciuti così. Poi, quasi supplicandomi, mi disse che in palestra da loro non c’era ancora ovviamente il riscaldamento in funzione e che visto che in quei giorni la temperatura si era molto abbassata, mi sarei magari dovuta coprire un po’.
Feci finta di annuire serena, ringraziandolo del consiglio e baciandolo velocemente sulle labbra, prima di mandarlo via per il fatto che rischiavo di arrivare tardi al lavoro.

La sera dopo mi preparai per andare all’allenamento della squadra di L.: quel giorno il tempo non era sostanzialmente migliorato ed era rimasto fresco, così decisi di indossare dei jeans attillati, delle scarpe nere molto semplici ed una maglietta nera a maniche lungo con la zip sul davanti che la percorreva per tutta la sua lunghezza.
Decisi di partire verso le nove per arrivare quando l’allenamento si stava ormai per concludere e così feci: l’allenamento si svolgeva presso la palestra di una scuola media, non troppo lontano da casa mia, in una zona periferica della città.
Quando arrivai, pensai che avrei sentito i rumori dell’allenamento: i palloni, le corse, le grida. Invece niente.
Entrai in palestra e vidi subito che i due campi d’allenamento erano vuoti, poi sentii dei rumori provenire dal piano di sopra e capii che l’allenamento doveva essere già finito e che L. e i suoi compagni di squadra si stavano facendo la doccia. Rimasi delusa: avrei voluto arrivare durante l’allenamento e sedermi a bordo campo per vederli giocare qualche minuto e per vedere la reazione dei compagni di squadra del mio ragazzo davanti alla mia obbedienza all’ordine di Piero della mattina precedente.
Non sapevo cosa fare, poi decisi di salire le scale in direzione dei rumori che sentivo.
Trovai un lungo corridoio completamente buio, illuminato solo dalla poca luce che passava da uno spiraglio abbastanza largo della porta degli spogliatoi dove la squadra di L. doveva starsi lavando e cambiando.
Sentii di nuovo l’eccitazione attanagliarmi la gola, ma cosa potevo fare?
Entrare negli spogliatoi, anche bussando, sarebbe stato troppo sfacciato pensai, eppure il mio desiderio di vedere i compagni di squadra del mio ragazzo nudi, soprattutto Piero, era enorme.
Mi avvicinai cercando di non far rumore e mi strinsi il più possibile contro il muro di fianco alla porta, nella speranza di non essere vista; appoggiai la mano alla porta e, il più lentamente possibile, cercai di allargare leggermente lo spiraglio della porta, per poter vedere dentro. Lo aprii fino a farlo diventare di circa 5 cm., che mi concedevano una buona visuale, anche se solo di un lato degli spogliatoi: quello opposto alle docce, dove c’erano le panche per sedersi.
Per un attimo, non vidi nessuno, poi due ragazzi con grossi asciugamani bianchi legati in vita uscirono dalle docce e si recarono verso le panche, dandomi le schiene: uno dei due era proprio Piero.
Mi acquattai ancora di più contro il muro e rimasi lì a guardarli, trattenendo il fiato, fino a che non successe proprio quello che avevo ardentemente sperato: Piero si alzò in piedi e si liberò dell’asciugamano, regalandomi una visione meravigliosa.
Il capitano della squadra del mio ragazzo aveva un cazzo superbo, che già a riposo era lungo un’abbondante dozzina di centimetri e quindi già immensamente più grosso di quello del mio ragazzo quando era in tiro. Vidi subito che l’attaccatura era molto larga e quindi pensai subito che in erezione Piero dovesse agevolmente raggiungere i 18-19 cm: un autentico palo di carne, anche molto largo, e probabilmente venoso come erano sempre piaciuti a me.
I miei capezzoli sembrava volessero bucare la maglietta, poi sentii un rumore improvviso e la luce nei corridoi si accese: ‘Chi &egrave?’ sentii dire dalla voce di un anziano ma senza vederlo.
Mi voltai di nuovo verso gli spogliatoi e vidi che ora Piero mi stava guardando, senza essersi coperto.
Strinse gli occhi per mettermi a fuoco e poi mi riconobbe, ci fissammo allora per un attimo che mi sembrò lunghissimo, mentre lui con sguardo trionfante era rimasto nudo.
Mi sentivo il cuore in gola, poi di nuovo quella voce: ‘Chi &egrave?’, ma più vicina, e corsi nella direzione opposta da dove proveniva, scendendo le scale in un lampo.
Uscii dalla palestra, voltai l’angolo dell’edificio e mi nascosi in una rientranza tra due colonne, sperando che il buio mi proteggesse: avevo il fiatone e, malgrado la paura, non riuscivo a togliermi dallo testa il corpo statuario di Piero ed il suo enorme cazzo.
Passarono circa venti minuti, duranti i quali non sentii più alcun rumore, poi la porta principale della palestra si aprii ed alcuni compagni di squadra di L. incominciarono ad uscire alla spicciolata. Decisi di aspettare fino a quando non sarebbero andati tutti via prima di allontanarmi.
A un certo punto sentii la voce di L.: ‘Ciao, Fabio. Ciao, Marco’ e un veloce ‘Ciao’ di risposta da parte loro. Poi L. mise in moto il suo scooter (ero certa fosse il suo) e si allontanò, probabilmente rasserenato dalla sua certezza che io non fossi venuta ad assistere al loro allenamento.
Vidi questi Fabio e Marco allontanarsi, sempre rimanendo nascosta al buio tra le due colonne e aspettai ancora, ma non sentii più niente.
Cinque minuti dopo ebbi però la sensazione che qualcuno avesse aperto la porta sul retro della palestra e che stesse venendo nella mia direzione: non sapevo cosa fare. Malgrado il buio completo ed il fatto che fossi vestita di scuro, sicuramente se mi fossi spostata dal mio nascondiglio, anche velocemente, sarei stata vista non appena fossi finita sotto il fascio di luce del lampione appena girato l’angolo, dove comunque non avevo la certezza che ci fosse strada libera, visto che altri ragazzi avrebbero potuto decidere di uscire dalla porta principale.
Ero come pietrificata: chi poteva essere? Forse la persona che aveva acceso la luce nel corridoio poco prima? Come avrei giustificato la mia presenza lì? Ad un tratto sentii il cellulare vibrare ed ebbi un sussulto. Lo presi dalla tasca e vidi che era Luca, ma assolutamente non potevo rispondere.
Non volevo neppure mettere giù per non insospettirlo e così tolsi solo la vibrazione e lo lasciai suonare, poi alzai di nuovo lo sguardo e mi sporsi per vedere oltre le colonne, in direzione della porta sul retro: Piero e altri due ragazzi si stavano avvicinando velocemente verso di me.
Ero come in trappola.
‘Sandro, avevi visto giusto, a quanto pare’ disse Piero parandosi davanti a me affiancato dai suoi due amici ‘Si &egrave propria venuta a nascondere tra le due colonne dove noi veniamo sempre a fumarci una sigaretta finito l’allenamento”
Ero con la schiena contro il muro e chiusa da due colonne ai lati, con davanti Piero ed i suoi compagni.
‘Gli accendini’ disse Piero ai due ragazzi con tono deciso.
I suoi due amici tirarono allora fuori dalle tasche i loro accendini e li accesero, illuminandomi.
‘Dunque’ riprese Piero guardandomi ‘sei venuta alla fine’.
Lo guardai impietrita, poi, abbassando lo sguardo visto che non riuscivo assolutamente a sostenere il suo, risposi lentamente: ‘Sì. Ho fatto come volevi tu’.
‘Mi hai visto nello spogliatoio, vero?’ mi chiese Piero in modo aggressivo.
‘Allora?!’ aggiunse poi visto che non rispondevo.
‘Si’ risposi io con un filo di voce.
‘Mi hai visto nudo, eh?’
‘Si’ risposi di nuovo io ancora debolmente.
‘Mi hai visto il cazzo, eh?’ chiese di nuovo scandendo la parola ‘cazzo’.
Non avevo il coraggio di guardarlo e aggiunsi solo un nuovo ‘Si’, mentre il mio respiro si faceva più veloce.
‘Bene’ fece allora lui ‘La zip’.
Alzai finalmente lo sguardo, non capivo cosa mi avesse detto: ‘Cosa? Non ho capito’ chiesi cercando di essere il più gentile possibile.
‘La zip. Avanti, tiratela giù’ ripeté allora lui con tono brusco.
Mi sentivo il cuore in gola e guardai i suoi due amici nella speranza che mi venissero in aiuto, ma rimanevano fermi con gli accendini accesi in mano, per illuminarmi.
Allora tornai ad abbassare lo sguardo e trassi un profondo respiro, poi mi presi in mano la zip della maglietta e incominciai a tirarla giù. Mi fermai dopo aver superato i seni, poco prima dell’ombelico, nella speranza che gli bastasse, e tornai ad abbassare le braccia lungo i fianchi.
‘Tutta’ disse allora Piero con tono perentorio.
Lo guardai mentre il mio respiro si faceva ancora più affannoso, poi tornai a prendere in mano la mia zip e l’abbassai completamente fino a che le due parti della maglietta non si staccarono, rimanendo comunque vicine.
‘Adesso scosta i due lati’ mi ordinò Piero autoritario.
Sentivo i capezzoli essersi fatti durissimi e obbedii all’ordine, liberando finalmente i miei seni e chiudendo gli occhi voltando la testa a lato.
Passarono alcuni secondi, durante i quali sapevo che Piero e i suoi due amici si stavano godendo lo spettacolo e poi, contemporaneamente, sentii le mani di Piero incominciare a palparmi pesantemente i seni e masturbarmi i capezzoli ed il cellulare tornare a vibrarmi in tasca.
Immaginai che fosse Luca che stava chiedendosi dove fossi e perché non lo avessi ancora richiamato: non avrebbe mai potuto immaginare, essendo lui certo che io non fossi venuta al loro allenamento, che in quel preciso momento il capitano della sua squadra, più giovane, muscoloso, dotato ed autoritario di lui, stesse facendo i suoi comodi sul corpo della sua ragazza mentre altri due suoi compagni gli illuminavano la scena con due accendini.
Piero si stava godendo fino in fondo i miei seni e io sentii l’eccitazione continuare a crescere dentro di me a dismisura mentre venivo chiamata ‘Puttana’ e ‘Troia’ e ‘Cagna in calore’.
Ad un tratto, però, sentimmo il rumore di due macchine e la luce di due fari fermarsi abbastanza vicina a noi: Piero ed i suoi compagni si allontanarono immediatamente: io mi tirai su velocemente la zip e incominciai a correre verso la mia macchina, con il cuore in gola e con l’immagine del corpo e del cazzo di Piero perfettamente impressi nella mia testa.
-continua-
Salita in macchina, misi subito in moto e mi allontanai di circa un kilometro, poi accostai e cercai di calmarmi: i capezzoli mi premevano contro la maglietta ed io mi abbassai di scatto la zip, liberando nuovamente i seni, poi incominciai a gridare, come posseduta: ‘Voglio che mi scopi! Voglio che me lo ficchi tutto dentro, fino in fondo! Voglio essere la tua puttana, la tua cagna in calore! E voglio che mi riempi di sperma! Cazzo! Cazzo!’.
Mi veniva da piangere dalla frustrazione, non riuscivo a pensare ad altro che al cazzo di Piero e a come lo avrei voluto interamente dentro di me, poi sentii nuovamente il ronzio della vibrazione del mio cellulare: era ancora Luca. Feci due profondi respiri e risposi, conscia che avrei dovuto inventarmi una scusa valida: ‘Pronto?’
‘Silvia? Dove sei? Non mi hai risposto prima” iniziò lui con tono solo leggermente concitato.
‘Sì” cercai di guadagnare tempo mentre riflettevo che avrebbe potuto anche aver chiamato a casa e non avermi trovata ‘Ero con S.: mi ha chiamato dicendomi che non si sentiva molto bene e sono corsa da lei. Avevo dimenticato il cellulare senza suoneria’.
Ci fu un attimo di silenzio: sapevo che L. era intimorito dal fatto che io fossi potuta venire all’allenamento, ma avevo lasciato la macchina lontano dal parcheggio e sicuramente lui non poteva averla vista ed ero altrettanto certa che non avrebbe osato ribattere se anche avesse saputo che ero venuta in palestra.
Cercai di cambiare discorso: ‘Tu dove sei?’ gli chiesi senza troppa convinzione.
‘A casa’ rispose lui ”Tutto bene?’ aggiunse poi, probabilmente stranito dal mio tono.
‘Sì’ risposi io quasi stizzita ‘Tutto bene’.
In realtà ero devastata dal desiderio di essere scopata da Piero. La voce di L., del mio stesso moroso, mi infastidiva adesso: avrei voluto chiedergli il numero del cellulare di Piero senza il minimo riguardo, per poi mettere giù e chiamare il suo compagno di squadra. Avrei accettato di incontrarlo subito in qualsiasi posto per farmi scopare in qualsiasi modo e per tutto il tempo che lui avesse voluto.
‘Senti’ riprese allora L. per cambiare discorso ‘Volevo dirti che ho un problema per domani sera: dopo la partita’sai, quella che ti avevo detto avremmo giocato a Rubiera’ devo andare da mia nonna e cenare con lei. Forse dormirò anche là’.
Ascoltai quello che L. mi stava dicendo come se ogni parola fosse un macigno: la mattina successiva, infatti i miei genitori e mio fratello sarebbero andati via per due giorni, lasciandomi la casa completamente libera per 48 ore.
Poi un’idea incominciò a farsi strada nella mia testa, ma per quanto ansiosa, la sua realizzazione mi pareva impossibile. Come fare?
Risposi velocemente a L. che non c’era problema, di stare tranquillo e di restare pure da sua nonna a dormire, nella casa di Reggio Emilia: io per la sera successiva mi sarei volentieri organizzata con le ragazze, che non vedevo da un po’ di tempo. Gli augurai poi la buona notte e mi diressi verso casa.
Pensai il più velocemente possibile, ma non riuscivo ad ipotizzare nessun modo per mettere in pratica la mia idea, quando vidi una cosa che mi allargò il cuore e mi riempì di speranza: la macchina che stava passandomi davanti in quel momento era guidata da uno dei compagni di squadra del mio moroso che prima teneva l’accendino acceso mentre Piero mi toccava e sul sedile di fianco, nel posto del passeggero, c’era proprio Piero. Passai con il rosso e voltai per raggiungerli: pensai che Piero si stesse facendo riaccompagnare a casa e che quindi avrei potuto scoprire dove abitava.
Quando mi resi conto di non essermi sbagliata, sentii l’eccitazione impadronirsi di me a dismisura. Non solo avevo avuto una felice intuizione, ma, con mia grande gioia, scoprii anche che Piero abitava due strade più in la della mia. Un piano incominciò a deliberasi nella mia mente quasi automaticamente. Ragionai anche sulla possibilità di fermare Piero nel momento in cui sarebbe uscito dalla macchina, che in quel momento sostava accesa mentre i due ragazzi parlavano. Se l’altro compagno di squadra del mio moroso si fosse allontanato subito, forse avrei avuto la possibilità di fermare Piero prima che entrasse in casa per offrirmi a lui, senza più ormai alcun ritegno.
Quando però Piero scese dalla macchina, l’altro ragazzo rimase fermo ancora qualche secondo e quando finalmente avevo via libera, il capitano del mio moroso era già scomparso.
Tornai a casa a ragionare su come attuare la mia idea il giorno successivo e quando finalmente mi convinsi di aver trovato il modo, decisi che era indispensabile parlare nuovamente con L. prima che si addormentasse, per far sì che tutto quello che avevo in mente sembrasse accadere nel modo più normale possibile.
Andai in cucina con il cellulare e feci partire la chiamata sotto la voce ‘L..’
Luca mi rispose quasi subito: ‘Pronto?’
‘Ciao’ risposi io con un tono che, credo neppure troppo maldestramente, cercasse di suonare il più gentile e rilassato possibile.
‘Ciao’ rispose lui ‘Stavo per andare a dormire’
‘Vuoi essere in forma per la partita di domani a Rubiera?’ chiesi allora io volutamente. Il mio primo obbiettivo era quello di ribadirgli che avevo perfettamente capito che domani sarebbe andato a giocare là, esattamente dalla parte opposta della città rispetto a dove abito io, e che si sarebbe quindi incontrato con i suoi compagni di squadra: questa cosa mi avrebbe aperto la strada per un obbiettivo successivo.
Dovevo costruire tutto nel modo più paziente e minuzioso possibile per ottenere il mio scopo.
L. sembrava rasserenato dal fatto che lo avessi richiamato e che suonassi rilassata e, al tempo stesso, perplesso da questo mio, se non altro curioso, nuovo interesse per le vicende della sua squadra, argomento che per tre anni non era quasi mai stato neppure sfiorato.
Sapevo che non avrebbe mai avuto il coraggio né di tacciarmi per questo mio voler approfondire l’argomento della partita né il coraggio di chiedermi conferma di quella che ora non era più per lui una certezza assoluta: se fossi, cio&egrave, venuta o meno alla palestra quella sera.
Rispose cercando di essere vago: ‘S-sì’anche, poi oggi al lavoro ho avuto molto da fare e da lunedì mi aspetta un’altra settimana impegnativa’.
Era chiaro che voleva spostare il discorso su un altro argomento, ma io avevo prima bisogno di una nuova informazione, la più importante: ‘A che ora giocate?’
Ci fu un attimo di silenzio, poi con un tono che tradiva solo un attimo di preoccupazione, arrivò la tanta agognata risposta: ‘Alle tre e mezza’ Perché?’
‘Perfetto’ pensai: avevo avuto finalmente l’informazione che mi serviva e, come orario, non potevo desiderare di meglio per l’attuazione del mio piano. Sapevo anche, però, che la domanda successiva che L. mi aveva posto, quel perché?, nascondeva uno dei suoi timori più grandi: che io, cio&egrave, volessi andarli a vedere.
Capii che dovevo rasserenarlo immediatamente in quel senso: ‘Così, tanto per sapere’ risposi allora per poi aggiungere ‘Chissà che caldo’ Non vi invidio proprio. Fino a Rubiera poi: domani mattina i miei e mio fratello partono per un week-end al mare e io ho proprio voglia di godermi il fresco della nostra taverna’.
Non so come una frase così perfetta mi fosse venuta di getto, ma realizzai subito che avevo ottenuto addirittura un quadruplo obbiettivo in un colpo solo!
Avevo rasserenato L. sul fatto che non sarei venuta alla partita pur mettendo in chiaro la mia perfetta conoscenza dell’orario di gioco, avevo calcato il fatto che Rubiera fosse dall’altra parte della città rispetto a dove abito io e molto vicina a Reggio Emilia, dove abita sua nonna (questo, nelle mie speranze, sarebbe stata la chiave decisiva del mio piano), avevo passato al mio moroso la convinzione che sarei stata in taverna tutto il pomeriggio, dove il cellulare non prende, mettendomi quindi al riparo da sue eventuali chiamate, e soprattutto (e quasi sentii mancarmi le gambe al pensiero) avevo messo perfettamente in chiaro un’eventualità: se fossi stata in casa, avrei girato per i vari piani praticamente completamente nuda, con addosso solo gli slip, come da mia consolidata abitudine estiva ogni volta che avevo la completa disponibilità della casa.
Anche quest’ultimo particolare, all’interno della mia idea, sarebbe risultato decisivo.
Avevo gettato le basi del mio piano in un modo quasi perfetto: avevo solo un po’ rischiato ribadendo a L. che sarei rimasta a casa da sola per tutto il week-end, in quanto non ero certissima che se ne rammentasse. Per un attimo, venni attraversata dal pensiero che lui potesse essersene ricordato solo in quel momento e che questo lo potesse spingere a rivedere i suoi programmi e chiedere a sua cugina di passare lei il week-end con loro nonna, ottenendo un cambio con il week-end successivo: sua nonna aveva bisogno della completa disponibilità di qualcuno almeno una volta alla settimana per fare la spesa ed altri giri, ma questo non significava necessariamente che dovesse toccare ad L. proprio quel fine settimana. Dovevo eliminare immediatamente anche il minimo ostacolo alla realizzazione del mio piano e quindi aggiunsi, quasi d’un fiato: ‘E poi ho già chiamato S. e le ho detto di organizzare con le ragazze per domani sera a cena: sono contenta di passare un po’ di tempo con loro’ Probabilmente rimarrò anche a dormire da S. dopo, sai, oggi non &egrave stata benissimo e mi ha chiesto un po’ di compagnia’.
Un altro colpo perfetto! Con un’unica frase avevo cambiato argomento, spento sul nascere qualsiasi sua ipotesi di ottenere un cambio con sua cugina per il week-end successivo (in quanto non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedermi di smantellare il programma già avviato con le mie amiche) ed in più mi ero creata una copertura perfetta anche per la notte: non poteva contattarmi a casa perché pensava sarei rimasta a dormire fuori e non avrebbe avuto il coraggio di chiamarmi sul cellulare di notte, temendo di svegliare anche S.
Adesso non dovevo esagerare, però, le basi erano state lanciate ed il perfezionamento del mio piano sarebbe dovuto avvenire solo il giorno successivo: mancava ancora una cosa, però, una delle più importanti e anche la più rischiosa da dire, ma ero certa che fosse meglio tirarla fuori subito piuttosto che il giorno dopo.
Dopo aver quindi risposto ad L. sullo stato di salute di S., incrociai le dita e tirai fuori un altro argomento importantissimo per la realizzazione del mio piano: ‘Sai, penso che Piero, il tuo capitano, abiti vicinissimo a casa mia’.
La frase rimase come sospesa.
L’avevo volontariamente pronunciata cercando di girarci il meno attorno possibile e con il tono più neutro possibile, così da non creare troppi allarmismi in L.
Lui rimase per un lungo attimo in silenzio, poi, con tono tremante, mi disse: ‘Co-come fai a saperlo?’.
Dovevo immediatamente dissimulare qualsiasi sospetto di interesse per la questione, in quanto il mio obiettivo (cio&egrave di far sapere al mio moroso che avevo scoperto che Piero abitava vicino a me) era stato ormai raggiunto: ‘Ma, guarda, &egrave stato un caso: tornando da casa di S. ho deciso di fare le stradine e l’ho visto entrare a casa accompagnato da un altro ragazzo, immagino un altro vostro compagno di squadra. Comunque non ha importanza: riflettevo solo sul fatto che a volte capita di non incontrare mai una persona e poi succede di vederla due volte di seguito nel giro di due giorni’ Piuttosto, parlando di cose più importanti” e cambiai discorso.
Dopo altri cinque minuti, augurai la buonanotte a L. e andai a letto, addormentandomi a fatica pensando a come attuare la seconda parte del mio piano. Non dovevo sbagliare nulla e pregai perché tutto andasse alla perfezione.

Il pomeriggio successivo, una caldissima giornata di sole, verso le due e mezza, chiamai di nuovo L.: era la telefonata decisiva.
Sapevo (quello con certezza) che iniziavano riscaldamento almeno mezz’ora prima della partita e quindi valutai che a quell’ora L. dovesse essere appena arrivato a Rubiera.
‘Pronto?’ mi rispose dopo il primo squillo.
‘Ciao, dove sei?’ gli chiesi incrociando le dita.
‘Sono appena arrivato a Rubiera, tu?’
‘Sono a casa. Ascolta, ieri sera mi sono dimenticata una cosa importantissima’
‘Cosa?’ mi chiese L.
‘Hai ancora in macchina l’album delle foto delle vacanze fatte l’anno scorso da S. e suo marito?’
‘Sì perché?’
‘Mi aveva chiesto di fargliele riavere assolutamente stasera. Mi ha spiegato che &egrave molto importante’
‘E’ un problema allora: ho confermato a mia nonna che sarei arrivato da lei in orario e non faccio più in tempo ad allungartelo. Come possiamo fare?’ mi rispose ed io avvertii una leggera contrazione nella voce mentre scandiva le ultime parole.
Sapevo infatti che tremava all’idea che io potessi andare a Rubiera durante la loro partita, ma con la mia frase successiva lo lasciai, immagino, ancora più impotente: ‘Perché non chiedi a qualche tuo compagno di squadra di allungarmelo a casa? Ti ricordi che proprio ieri sera dicevamo che Piero abita qui a due passi da me: sono certa che per lui non sarebbe un problema’.
Pronunciai quelle parole tutte d’un fiato, come per impedire qualsiasi obbiezione da parte di L.
Il mio moroso rimase un attimo in silenzio, come impietrito: sapevo che era terrorizzato dall’idea che Piero mi potesse rincontrare, per giunta da soli, ma sapevo anche che non aveva argomentazioni per controbattere, così lo incalzai: ‘Sono certa che per lui non sarebbe un grosso disturbo. In fondo abita qui dietro: prova a chiederglielo’.
Senti un flebile ‘Va bene’, pronunciato con un filo di voce e aspettai con le dita incrociate, mentre i miei capezzoli iniziavano ad indurirsi per l’eccitazione.
Il dialogo tra il mio ragazzo e Piero fu veloce e mi aprì le porte del paradiso; potei sentirlo integralmente:
L: Piero, scusa?
P: Cosa c’&egrave?
L: La mia ragazza, Silvia, ha lasciato una cosa molto importante in macchina da me e deve riaverla assolutamente entro stasera. Io, però, dopo la partita devo correre a Reggio Emilia e non saprei come fare per allungargliela.
P: Gliela porto io. Dove abita?
Era fatta. Piero pronunciò quell’ultima frase in modo deciso e perentorio e fui certa che in quel modo distrusse le ultime speranze del mio moroso, legate alla possibilità che neppure Piero potesse allungarmi quelle foto, che, ovviamente, non mi servivano affatto con tutta questa urgenza.
L: Abita in via XXXXX, al numero XXX.
P: Proprio a due passi da me, quindi. Bene, dammi questa cosa, che finita la partita gliela porto.
Il mio piano era andato in porto e io sentii caldissimo allo stomaco e come un nodo in gola per l’emozione, ma volevo di più: ormai ero come in trance.
‘Dice che te la porta lui, allora’ mi disse L. con un filo di voce.
‘Bene’ risposi io cercando di non tradire alcuna emozione ‘Però potrei uscire per andare a fare la spesa e in casa non c’&egrave nessun altro. Non voglio che la metta nella cassetta della posta perché potrebbe rovinarsi: spiegagli come entrare in casa mia nel caso che non ci sia. Lascio la chiave nel solito posto, se esco’.
Fu come un rimbombo: L. aveva ormai la coda tra le gambe ed ero certa che non avrebbe osato protestare di fronte alla mia sicurezza, così riprese il dialogo tra lui e Piero.
L: Piero, scusa ancora, Silvia mi dice che lei potrebbe uscire per andare a fare la spesa e durante tutto questo week-end &egrave a casa da sola, quindi non ci sarebbe nessuno ad aprirti.
P: Quindi?
Luca riprese a parlare con me al telefono, il più sottovoce possibile: ‘Ma sei sicura che vuoi che glielo dica? Forse non &egrave il caso”
‘Ma cosa vuoi che sia? Spiegaglielo pure, non voglio che l’album di S. si rovini: digli esattamente come deve fare’.
L. riprese allora a parlare con Piero.
L: Se Silvia non &egrave in casa, puoi trovare la chiave d’ingresso nascosta sotto XXXXXXX Così puoi entrare in casa sua e lasciare questa cosa sul tavolo, magari.
P: Benissimo. Entrerò in casa sua allora.
(A sentire quelle parole sentii i capezzoli che mi stavano per esplodere.)
L: Suona, però, prima, magari &egrave in casa’ Quando non c’&egrave nessun altro in casa, d’estate, lei’
(‘Sì, sì’, diglielo’ pensai eccitatissima)
P: Cosa?
(Ci fu un attimo di pausa in cui sentii il mio cuore battere all’impazzata)
L: Lei ha l’abitudine di girare per casa nuda’

Erano da poco passate le cinque e mezza quando sentii il rumore di una macchina che si parcheggiava di fronte a casa mia: ero giù in taverna, nuda, con addosso solo gli slip, e trattenevo il fiato.
Sentii i passi di qualcuno che procedeva verso casa mia, ma nessun campanello, poi sentii il rumore delle chiavi che venivano recuperate ed infilate nella toppa ed i passi di qualcuno in corridoio e la porta d’entrata che si richiudeva: Piero era in casa mia.
Uscii dalla taverna e mi fermai un attimo; con il cuore che batteva all’impazzata, mi levai velocemente anche gli slip e salii le scale che mi avrebbero portata in corridoio completamente nuda, facendo finta di non aver sentito alcun rumore.
Mi trovai Piero proprio davanti e simulai una sorpresa imprevista, ma senza coprirmi minimamente.
Poi balbettai: ‘Scu-scusami’ Non-non avevo sentito il campanello e pensavo non ci fosse nessuno”
Lui mi guardava trionfante senza dire nulla, ma io non riuscivo a reggere il suo sguardo, così, abbassando gli occhi, aggiunsi, come per giustificarmi: ‘Sai, sono in casa da sola, e d’estate, quando non c’&egrave nessuno, ho l’abitudine di girare per casa completamente nuda”

Mi trascinò di forza sul divano senza dire una parola.
Il cuore mi pulsava in un modo tale che pensai mi stesse per uscire dalla bocca: ricordo solo che il quadrante dell’orologio sulla mensola segnava le 17:40 in quel preciso momento.
Piero si sedette al centro del divano, tirandosi giù i pantaloncini e i boxer in un colpo solo: il suo cazzo era già in tiro, meravigliosamente lungo, largo, grosso e attraversato da imponenti venature.
Era enorme, non potevo credere ai miei occhi: un palo di carne di 20 cm. pronto a pomparmi come ormai aspettavo succedesse da tantissimo tempo.
Mi sollevò di peso e mi mise sopra di lui, io presi il suo enorme cazzo in mano e me lo puntai verso l’apertura della fica, che ormai stava già grondando umori per l’eccitazione.
Fu un attimo: Piero mi penetrò con un colpo solo, secco, deciso, autoritario.
I miei umori permisero al suo palo di carne di entrare con una facilità sconcertante: era come se non avessi mai aspettato altro per tutta la vita.
Mi sentii riempita di colpo: il suo cazzo mi era ovunque, mi tappava perfettamente, e io non riuscii a trattenere un urlo liberatorio.
Finalmente! Finalmente sarei stata scopata, pompata, aperta da un cazzo vero! Grosso, lungo, largo, duro: l’imperatore di tutti i cazzi’ Volevo essere trattata come una schiava, come una cagna in calore, riempita, umiliata, devastata da Piero e dal suo arnese infinito!
Appoggiai le mani sulle sue spalle muscolose e iniziammo: mi muovevo su e giù con il ritmo che lui mi aveva imposto e dopo pochissimi colpi venni attraversata da un fremito sconosciuto. Stavo avendo l’orgasmo più devastante che avessi mai avuto in tutta la mia vita: pensavo di svenire e affondai le dita nei suoi muscoli, piegando indietro la testa e inarcando la schiena in un nuovo urlo liberatorio.
Ma lui era solo all’inizio.
Incominciò a insultarmi, a sollevarmi fino a farmi uscire il cazzo quasi del tutto dalla fica per poi tirarmi a se di colpo e rimettermelo dentro in tutta la sua lunghezza e larghezza. Teneva un ritmo cadenzato ed i suoi colpi erano potenti, precisi, rabbiosi.
Pensai più volte che mi stesse letteralmente aprendo in due, che non potevo contenerlo tutto, che mi stesse premendo il suo gigantesco cazzo direttamente in gola e nella testa.
Dopo pochi altri colpi ebbi un nuovo orgasmo e poi un terzo e un quarto, in una sequenza infinita’
Era la tanto agognata liberazione dopo un’attesa di più di tre anni.
I miei umori colavano così copiosi che ormai, ad ogni colpo, si sentiva lo sciacquettio dei corpi bagnati e appiccicosi.
Eravamo entrambi grondanti sudore ed io ero esausta, ma Piero no.
Continuava a penetrarmi con un ritmo infernale: era un vero toro, uno stallone da monta, e non accennava a smettere. Ero in estasi: pensavo a quanto L. fosse cornuto ormai e a quanto lo sarebbe stato in futuro, ma non provavo rimorso nei suoi confronti. Il suo piccolo, misero, cazzetto non mi avrebbe mai potuto regalare queste emozioni e questi orgasmi, pensai come in trance: lui sarebbe rimasto il mio ragazzo, ma avrebbe dovuto accettare (se mai ne fosse venuto a conoscenza) che altri ragazzi, tra i suoi amici e compagni di squadra, mi avrebbero continuata a scopare a ripetizione, in ogni modo, luogo e posizione avessero voluto.
Piero adesso aveva aumentato il ritmo e mi ordinò perentoriamente: ‘Falli muovere più veloci!’
Capii immediatamente che si riferiva ai miei seni e così impressi un nuovo movimento che fece incominciare la mia abbondante terza misura ad alzarsi e riabbassarsi pesante, piena, soda, veloce.
Guardai nuovamente il quadrante dell’orologio: erano passati trenta minuti esatti e Piero non accennava ancora a venire. Io ero già stata attraversata da una serie di orgasmi multipli e lui non era neppure vicino al primo.
Dopo altri cinque minuti, ricevetti l’ordine che pensavo sarebbe arrivato: ‘L’altro buco adesso’.
Rimasi come inebetita: ero ancora vergine dietro, a parte le dita che io stesso e qualche mio moroso di molti anni prima mi avevano infilato dentro. Non sapevo cosa fare, ma lui aveva già deciso.
Mi sollevò di forza e mi tolse il suo cazzone dalla fica: mi sentii come se mi avessero svuotata di colpo e cercai di capire cosa voleva fare.
Fu di nuovo un attimo: mi mise a pecorina con un gesto forte e deciso e mi allargò le gambe, poi lo sentii.
Con un unico colpo potente, Piero mi infilò almeno metà del suo enorme cazzo dentro il culo.
Sentii un bruciore immenso, come se qualcosa si fosse strappato, e sentii come se qualcuno mi stesse strangolando: non riuscivo a parlare, ad urlare’ Cercavo solo di resistere mentre lui mi stava sodomizzando. Dopo poco, il mio buco si incominciò ad adattare alle enormi dimensioni del cazzo di Piero e lui ne approfittò per penetrarmi con qualche altro cm.
Non mi ero mai sentita così: ero piena, devastata, riempita da un vero, enorme, potente cazzo nel mio buco del culo. L., ora, era veramente, completamente, cornuto come più non si poteva.
L’ultimo colpo fu devastante: Piero adesso aveva infilato tutto il suo cazzo dentro di me e io sentivo le sue palle sbattermi contro la fica mentre lui mi montava da dietro.
Continuò così per un altro quarto d’ora, insultandomi e intimandomi di far muovere, pesanti e pieni, i miei seni, fino a quando io non venni devastata da un nuovo, straordinario, orgasmo.
Pensai di svenire, di non riuscire più a reggermi sulle braccia e le ginocchia, e dopo aver ansimato e urlato, mi aggrappai disperatamente al bracciolo del divano per resistere.
Piero allora tirò fuori il suo cazzone dal culo: io percepii un nuovo fortissimo bruciore che fu però subito annullato quando sentii nuovamente la mia fica invasa dall’arnese del capitano del mio moroso.
Guardai nuovamente il quadrante dell’orologio: Piero mi stava pompando incessantemente da più di un’ora, nella fica e nel culo, e mi aveva procurato cinque orgasmi devastanti.
Mi chiesi quanto sarebbe riuscito a resistere ancora.
La risposta fu quasi immediata: lo stallone da monta aumentò improvvisamente il ritmo delle pompate, tenendomi ben ferma per i fianchi e tirandomi a lui.
Il primo gettito di sperma fu impressionante: sentii un caldo devastante dentro la fica, seguito da un secondo, un terzo e un quarto gettito altrettanto maestosi.
Ero stata finalmente riempita di sperma a dovere, dentro la fica, dopo essere stata pompata per più di un’ora da un vero, enorme, cazzo: il mio sogno si era finalmente realizzato.
Piero si staccò e si sdraiò esausto sul divano, grondando sudore, e io feci lo stesso, ancora scossa da brividi di eccitazione ed altrettanto sudata.
L’orologio segnava le 18:50.

Erano appena passati due minuti quando squillò il telefono di casa.
Pensai immediatamente che fosse L. e con le gambe che mi tremavano ancora per lo sforzo meraviglioso dei cinque orgasmi, mi alzai per rispondere: in fondo a quell’ora avrei dovuto essere a casa a farmi una doccia per prepararmi alla serata con le mie amiche.
‘Pronto?’ dissi cercando di rispondere con tono tranquillo.
‘Ciao, sono io’ Come stai? Stai preparandoti per uscire?’ rispose L.
‘Si, infatti’Io sto bene e tu? Sei da tua nonna?’
‘Sì, siamo a casa adesso, abbiamo passato l’ultima ora a fare la spesa ed altri giri e adesso iniziamo a cucinare’.
‘Perfetto. Io tra mezz’ora esco e vado da S., poi rimarrò a dormire là e tornerò qua a casa solo domani dopo pranzo penso. Sai, vogliamo passare insieme un pò di tempo’ mentii.
‘Bene, allora. Mi dispiace solo che non possiamo goderci casa tua libera proprio questo week-end che sei da sola’.
‘Non ti preoccupare’ risposi mentre abbondanti colate dello sperma di Piero mi colavano sulle cosce ‘Avremo un’altra occasione. Salutami tua nonna e goditi la serata in sua compagnia. Ci sentiamo domani sera magari’.
L. rimase un attimo come impietrito; probabilmente non pensava che avrei cercato di tagliare la conversazione tanto velocemente, assicurandomi al contempo di non doverlo più sentire fino a domani sera, poi si riprese: ‘Si’ d’accordo, come vuoi. A domani sera, allora’.
‘Ciao’.
‘Ciao’.
Riattaccai il telefono e mi voltai verso Piero, che nel frattempo si era alzato in piedi e stava già avendo una nuova erezione.
Non potevo credere ai miei occhi, ma lui mi fece un cenno deciso per farmi avvicinare e poi mi fece mettere in ginocchio dandomi un nuovo ordine: ‘Succhia’.

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