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Storia di uno schiavo

By 10 Novembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

‘Allora? Ci rivediamo Presto?’
Avrei voluto rispondere di no, ma ripensando a quello che mi era successo nell’ultima settimana, la risposta non poteva che essere positiva.
‘Credo di si, e comunque se decideranno così’.
Un ultimo sguardo a quella donna che non aveva nulla delle donne, se non un seno grande e cadente. Un armadio di circa 150 kg distribuiti su 190 cm di altezza; un ammasso di muscoli su tutto il corpo; un seno da 10^ misura. Vestita con un’uniforma tipo Gestapo; giacca con risvolti in pelle; gonna nera con uno spacco laterale; stivali al ginocchio con tacchi bassi ed in mano un frustino di circa 80 cm, che il mio corpo ha conosciuto in ogni sua parte.
Mentre la porta si chiude alle mie spalle un ultimo sguardo all’interno.
Oggi &egrave giornata di partenze ed arrivi. Cinque, forse sei nuovi arrivi sono in attesa sugli attenti davanti alla segretaria.
Ad aspettarmi sul ciglio della strada Lei: la mia padrona, insieme con quello che &egrave diventato il mio nuovo padrone. Metto la mia sacca nel bagagliaio e mi appresto a salire in macchina. ‘Fermati!’ mi avvicino alla mia padrona e mi molla un ceffone che mi fa barcollare. ‘Forse hai sbagliato qualcosa!’.
In effetti, il mio posto non &egrave in macchina, ma nel bagagliaio. Con la guancia rossa mi sistemo alla meglio nel bagagliaio e dopo un poco viene chiuso il cofano. Sento le risate dei due ‘
‘Mi sa che non ha imparato molto in questa settimana; dovremo mandarcelo di nuovo’.
‘Si’ ribatte Lei ‘ma gli faremo fare il corso avanzato’. Scoppiarono in una fragorosa risata. Io rabbrividii.
Nel buio del bagagliaio comincio a pensare a come &egrave iniziata questa storia.
Fin da ragazzo ho sempre provato piacere nel procurarmi piccole sofferenze in alcune parti del corpo ma soprattutto sui capezzoli.
Ricordo la prima volta che ci siamo appartati con Lei. Notò subito i miei capezzoli che erano più pronunciati del solito e, con fare sensuale me li accarezzò. Notò il fremito che mi percosse e iniziò a leccarli, a volte stringendoli fra i denti, con movimenti ritmati. Quando li stringeva di più, notava il mio piacere.
‘ Ti piace se ti faccio male?’ mi sussurrò. Non aspettò la mia risposta.
Affondò i suoi denti nella carne violacea e mi strappò un grido. Lo schiaffo fu immediato, come pure il tono della sua voce che cambiò!.
‘ Non devi urlare, ma sopportare’. Con la testa feci segno di sì.
‘Spogliati completamente e sbrigati!’
Lo feci senza farla aspettare. Eravamo appartati nei pressi di una casa di campagna, c’era ancora il sole.
‘Lascia i vestiti in macchina e andiamo in quella casa’. Tutto nudo e scalzo ci avvicinammo alla casa, non senza qualche piccolo problema per i miei poveri piedi costretti a camminare su pietrisco, spine ed erba irta.
Entrati nella casa, per fortuna abbandonata, girò per tutte le stanze in cerca di qualcosa; poi venne verso di me e senza curarsi di niente mi afferrò il pene e mi trascinò in un’altra stanza.
C’era una pertica attaccata al soffitto, dove appendevano le salsicce per farle essiccare, raccolse una corsa e con molta destrezza mi legò i polsi e con un colpo da cow boy fece passare la corda dalla pertica. Mi aveva appeso come un salame. La mia eccitazione non la turbò per niente, anzi ne fu entusiasta.
‘ Vedrai che tra poco riuscirò a toglierti l’erezione dal tuo pisello’. Rimasi perplesso.
‘ Vedi’ mi disse ‘ ho capito che a te piace soffrire; ma la cosa più bella &egrave che a me piace vedere le persone che soffrono, mi eccita. Tu ed io possiamo diventare una buona coppia: io la tua padrona e tu il mio schiavo. Ora ti frusterò e, dopo, mi darai una risposta’.
Il primo colpo fu di una violenza inaudita. Urlai forte.
‘ No! Non devi urlare, altrimenti ti farò molto male, o meglio, non devi urlare così presto!’
E giù altri sei, sette colpi. Ed ogni volta cercava di colpirmi in una parte diversa del mio corpo.
Quando vide che ormai tutto il corpo era segnato di rosso, decise di accanirsi sui capezzoli e sul pene, ormai moscio, come mi aveva preannunciato.
Finalmente si stancò e con voce stremata mi chiese cosa ne pensavo della sua idea. Tra i singhiozzi, risposi che era una pazza, ma che sarei stato ben contento di essere suo schiavo. Mi baciò appassionatamente e, con fare da autentica maestra, mi riportò l’uccello alla massima erezione e riuscì a godere quattro volte.
Poi mi slegò e facemmo ancora l’amore. Le cose andarono avanti per un bel po’.
Ci siamo anche sposati.
Ma questa &egrave un’altra storia.
In viaggio di nozze, a Roma, la prima grossa umiliazione.
Dopo cena, era ormai passata la mezzanotte, chiamiamo un taxi per fare ritorno in albergo.
Arrivati nei pressi della stazione, in una zona frequentata da prostitute, gay e drogati, chiede all’autista di fermare la macchina. Scendiamo dal taxi e dice all’autista di aspettare. Lì vicino c’era una grande siepe.
‘ Spogliati ‘ mi dice. Io sorrido, credendo volesse scherzare. Un ceffone mi fa capire che non sta scherzando. Uno sguardo al taxista mi fa capire che mostra interesse alla situazione che si sta creando. Supplicandola di desistere dal suo intento comincio a levare la maglia, le scarpe, i pantaloni e le calze, rimanendo in mutande. La strada &egrave molto trafficata, nonostante l’ora, e noto che tutti guardano divertiti.
Mentre mi ordina di levare le mutande, con una mano mi strizza con forza un capezzolo costringendomi a inginocchiare.
‘ Aspettami qui’ mi dice ‘verrò a riprenderti tra un poco’ e infilatasi in macchina, con i miei vestiti si allontana.
Nudo, rosso dalla vergogna, cerco di nascondermi tra la siepe. Alcune prostitute, che avevano assistito divertite, ridendo a crepapelle fecero il verso a mia moglie, chiamandomi ‘schiavo’.
Tutto ciò mi sembrava irreale ma quella parola pronunciata dalle prostitute, mi percuoteva il cervello, e mi faceva capire che, forse, quell’umiliazione non mi dispiaceva per niente.
Passò circa un’ora prima che il taxi fece ritorno con mia moglie fermandosi vicino alla siepe. Sul volto del taxista un sorriso ironico. Mia moglie mi chiamò e senza farmi rivestire, mi fece salire in auto. Notai che aveva la camicetta sbottonata a metà mostrando le curve dei suoi meravigliosi seni. Sotto lo sguardo divertito del taxista mi fece rivestire. Quando arrivammo all’albergo, feci per pagare la corsa, ma Lei con un grosso sorriso e con un occhiolino al taxista mi disse che aveva già pagato.
Incominciò a insinuarsi nel mio cervello una cosa che non avevo mai provato prima: la gelosia.
Arrivati in stanza, la baciai e allungando una mano tra le sue gambe sentii che non indossava più le mutandine. Le chiesi, allora, cosa avesse fatto in tutto quel tempo.
‘ Niente, anzi, perché non lo hai chiesto al taxista?’ fu la risposta.
‘ Non voglio che tu mi faccia questo, sono il tuo schiavo, d’accordo, però tu sei mia moglie e sei solo mia’ le dissi.
‘ Questo &egrave quello che pensi tu!’ e andò in bagno per farsi una doccia.
La notte non chiusi occhi. La gelosia mi rodeva dentro e mi faceva male.
Il resto della luna di miele passò senza nessun altro problema, tranne le frustate pressoché quotidiane, inferte adducendo scuse varie perché non assecondavo prontamente i suoi capricci.
Una volta ritornati a casa mi ha fatto assaggiare tutti gli oggetti comprati il giorno prima nel sexy shop della capitale. E’ stato proprio quando mi stava inculando con uno strap-on e con i capezzoli ben schiacciati da alcune mollette e ben tirati, che mi ha fatto capire come avrei trascorso il mio tempo libero.
‘Innanzitutto dovrai pulire la casa, fare il bucato, stirare e cucinare, mentre io starò tranquillamente in poltrona a guardare la tv o a leggere il giornale, oppure a punirti per le tue mancanze; sì perché, sono già sicura, ne farai tanti di errori. Che ne dici?’
Col culo indolenzito e i capezzoli ormai allungati come un elastico, risposi che era proprio quello che desideravo.

La macchina terminò la sua marcia. Sento la porta del garage che si apre ed entriamo.
‘Lasciamolo dentro ancora un poco, mentre noi andiamo a cenare’. Sento dei passi che si allontanano.

La mia prima volta a stirare fu una catastrofe. Sento ancora il dolore per le frustate ricevute. Si arrabbiò veramente. Mi lasciò legato due giorni, senza mangiare, concedendomi solo quindici minuti il mattino e quindici minuti la sera per i miei bisogni fisiologici. Mi coprì il corpo di cera bollente (di candele comprate nel supermercato, di quelle che fanno una colata caldissima), m’infilò dieci aghi in ogni capezzolo lasciandomeli tenere per qualche ora. Fu veramente terribile.
Quando terminò la punizione, le lavai letteralmente i piedi e le mani con la lingua; un cagnolino affettuoso ai suoi piedi. Nonostante ciò mi rifilò ancora una dozzina di frustate sul sedere.

Le gambe mi facevano male, erano tutte anchilosate: proprio come quando ero in collegio.

Sarà stato il secondo giorno. La signora Ada mi stava allenando a tenere il passo della gran parata. Ero tutto nudo con un grosso dildo infilato nel culo, alla cui estremità era stata collocata una coda di cavallo.
Legato con una lunga corda al collo, giravo in circolo con la signora Ada al centro della pista. Teneva con una mano la corda e con l’altra una lunga frusta che mi colpiva in maniera ritmata. Dopo circa mezz’ora di quest’allenamento, non contenta del mio impegno, si arrabbiò moltissimo e mi fece frustare a sangue dalla ‘Gestapo’ col suo frustino. Ormai sfinito dal dolore, fui preso di peso e portato in gabbia.
La gabbia sarà stata grande non più di un metro per ogni lato. Tutto rannicchiato mi lasciarono oltre tre ore. Questa era posta nel centro della piazza principale. Alla sua sinistra c’era una gogna, dove erano messi i disubbidienti; dall’altro lato era posta una croce di Sant’Andrea, dove erano legati e fustigati tutti quelli che si rifiutavano di eseguire gli ordini. La gabbia era per gli imbranati, quelli cio&egrave che non eseguivano bene gli ordini.
Tutti quelli costretti in queste posizioni, potevano subire da tutti, compresi gli altri schiavi, se comandati. Chi era legato alla gogna poteva essere inculato, sculacciato e frustato. Di solito appendevano dei pesi ai capezzoli che li allungavano in maniera abnorme. Chi era legato alla croce, di solito con la schiena alla croce, era frustato sui seni e sui capezzoli e sugli organi genitali. Chi era inserito nella gabbia, doveva subire continue punzecchiature, in tutte le parti del corpo, con lunghi spilli. A volte, se autorizzati dalla Gestapo, anche spilli roventi. Per me fortunatamente non furono arroventati. Quando mi tirarono fuori dalla gabbia, per circa mezz’ora non riuscii ad allungarmi. Fui riportato dalla signora Ada che, dopo una sonora sculacciata, mi fece riprendere gli allenamenti. Stavolta le cose andarono un poco meglio e, nonostante le numerose frustate, riuscii a tenere il culo alto e il passo giusto.

Le gambe mi facevano molto male, ormai pensavo di impazzire. All’improvviso sento dei passi. Si apre, finalmente, il cofano. E’ Pallino che mi aiuta a uscire da quella scomoda posizione. Mi aiuta a stare in piedi.

(continua)
Il suo vero nome &egrave Marco, ma tutti lo chiamiamo Pallino perché &egrave completamente rasato, non ha nemmeno un pelo sul corpo. &egrave stata un’idea del suo padrone. Già il suo padrone; ora &egrave anche il mio e l’attuale compagno di mia moglie.
Saranno circa sei mesi che non faccio l’amore con mia moglie. Lui sì.
Era una mattina d’estate. Andammo al mare, io e mia moglie; una spiaggia lunga; ormai la gente era poca; a settembre c’&egrave sempre poca gente. Dopo aver preso un bagno, la mia padrona ha iniziato a giocare con me. Lanciava una palla da tennis ed io, il suo cagnolino, dovevo andare a recuperarla. Quando la riportavo, con la bocca, ricevevo o una carezza o uno schiaffone, a seconda del tempo impiegato, o a seconda dell’umore di mia moglie. Non molto distante da noi allungato, a prendere il sole, c’era Pallino, che guardava interessato e divertito.
L’ennesimo lancio lo fece più forte del solito, facendo terminare la palla tra la macchia mediterranea.
Fu più difficile cercare la palla. Quando la riportai, mi accolsero numerosi ceffoni che mi fecero rotolare sulla sabbia; mi afferrò per i capezzoli e mi alzò letteralmente da terra. Pallino guardò ancora più interessato. Il lancio successivo fu ancora più lungo. Cercare la palla fu quasi impossibile. Mentre cercavo, vidi pallino con la palla che correva verso la mia padrona e, mi avviai titubante, anch’io.
Intanto pallino si era accovacciato vicino alle gambe di mia moglie, che lo accarezzava la pelata con una mano, mentre con l’altra gli toccava un capezzolo, molto grosso, forse più del mio. Quando arrivai, m’investì con parole non certo tenere e, prendendomi per i capelli m’infilò il guinzaglio legandolo alla mazza dell’ombrellone. Intanto entrambe le mani strizzavano in maniera violenta i capezzoli di pallino che si era inginocchiato.
‘come ti chiami?’ chiese.
‘Marco, ma il mio padrone mi chiama Pallino. &egrave stato lui che mi ha voluto completamente rasato, ed &egrave stato lui che ha eseguito la rasatura su tutto il corpo’.
‘Anche qui?’ chiese mia moglie toccandogli il pene.
‘Si ‘ rispose, ma prima della risposta aveva già abbassato il costume, mostrando un pene non molto grande e completamente rasato.
‘Da quando sei schiavo?’ chiese mia moglie.
‘Da circa tre anni, ma da sei lo sono 24/24 con il attuale padrone.
‘Come mai sei solo?’
‘Oggi &egrave la mia giornata libera. Mi regala una giornata al mese. In questa giornata posso fare quello che voglio. In effetti, il mio padrone, una volta al mese, si raduna con alcuni suoi amici. Questa &egrave la prima volta che non mi porta. Fanno delle feste a noi schiavi; stavolta ha portato mia sorella’.
‘Anche tua sorella &egrave schiava?’
‘No, lei oggi &egrave una padrona, ma a volte le piace subire per ricordare la sua prima inclinazione’.
‘Che ne diresti di essere il mio schiavo oggi?’ gli chiese la mia padrona.
‘Io non posso decidere, perché appartengo al mio padrone; però se mi ordini di esserlo, ed io sono costretto a ubbidire, potrei diventarlo, ma domani mattina dovrai dirlo al mio padrone’.
‘Sarò felicissima di incontrare il tuo padrone’ e così dicendo gli strizzò i capezzoli talmente forte trascinandolo al mio fianco.
Sulla spiaggia non c’era quasi nessuno; a qualche centinaio di metri da noi si vedeva una coppietta che si sbaciucchiava. Per un poco la mia padrona stette in silenzio, mentre noi eravamo inginocchiati: io con il collare, lui con il costume mezzo abbassato. Osservavo i suoi capezzoli: erano molto più grossi dei miei; sicuramente avevano subito notevoli torture.
A un tratto, mia moglie, con fare molto sensuale, incominciò ad accarezzare, a entrambi, i capezzoli, suscitando in noi dei fremiti di piacere. Ci abbasso del tutto i costumi, costringendoci a levarli e cominciò a masturbarci. Io mi rattristai nel vedere che lo faceva anche a Pallino, ma lei accortasi mi mollò uno schiaffone e, con aria molto arrabbiata, mi scalciò allontanandomi dall’ombrellone. Così con entrambe le mani si tuffò sul pene di Pallino e continuò a masturbarlo; sembrava quasi lo volesse prendere in bocca, quando all’improvviso si bloccò. Tirò il mio guinzaglio fino a quando la mia faccia non raggiunse il pene di Pallino.
‘Prendilo in bocca’ mi ordinò.
Non avevo mai preso un pene in bocca, Cercai di allontanarmi, ma il guinzaglio usato come frusta mi fece desistere; così cominciai a leccarlo, ma un colpo di guinzaglio mi fece capire che dovevo prenderlo in bocca. Incominciai per la prima volta a fare un bocchino a un uomo!
Pallino, evidentemente più abituato a queste cose, cominciò ad aiutarmi indirizzandomi la testa.
Mia moglie, molto eccitata da questa scena, con una mano infilata nel suo costume si toccava il suo gioiello e con l’altra mi sculacciava in maniera ritmata, senza risparmiarmi ingiurie.
‘Forza ricchione, bocchina bene. Sei un brutto frocio e per questo, dopo, ti punirò’.
Quelle parole mi fecero eccitare e cominciai a leccare e sbocchinare con gusto.
‘Stai attento a non far cadere nemmeno una goccia di sperma, altrimenti ti toglierò la pelle’ mi minacciò la mia padrona.
All’improvviso un primo schizzo di sperma mi salì in gola e poi un altro e un altro ancora, un liquido caldo dal sapore sconosciuto per me; quasi mi faceva vomitare ma, ben conscio di quello che mi sarebbe successo, ingoiai tutto, continuando a tenerlo in bocca.
‘Bacialo’ disse mia moglie rivolgendosi a Pallino.
Questi avvicinò le sue labbra alle mie e m’infilò la lingua tra i denti, in cerca della mia lingua. Provai un ribrezzo enorme e cercai di allontanare la bocca ma uno schiaffo tra le palle mi fece rinsavire.
Continuammo a baciarci, appassionatamente, per circa dieci lunghissimi minuti, ci accarezzammo in maniera voluttuosa i capezzoli, toccandoci i peni e facendo in modo che si toccassero tra di loro. Una vera scena tra gay.
Mai prima di allora ero stato così vicino a un maschio. Ma la cosa non finì lì. Una strattonata al guinzaglio mi fece inginocchiare e rivolgendosi a Pallino disse ‘Mettiglielo nel culo’. Sarei voluto scappare ma la presa del guinzaglio era abbastanza forte. Intanto Pallino si sputò sulle mani e lubrificò il mio buco, poi appoggiò il suo pisello e con un colpo ben assestato lo infilò, strappandomi un grido di dolore.
Altre volte avevo ricevuto dei cazzi finti nel culo, ma uno vero non l’avevo mai provato e, per fortuna, Pallino non era molto dotato. Dieci, venti colpi e un fiume caldo di sborra invase il mio buco e pose fine alla mia umiliazione, almeno era quello che pensavo io.
Pallino, mezzo esausto, si mise seduto su un asciugamano con il pene mezzo moscio.
Mia moglie, con aria voluttuosa, mi tirò il guinzaglio fino a riportarmi la bocca sul pene.
‘Pensi di aver finito? Vuoi lasciare il pisello di Pallino tutto sporco? Leccalo e puliscilo per bene’ mi ordinò.
Con molto ribrezzo, considerato la presenza di alcune macchioline marrone, avvicinai molto lentamente la mia lingua al pene. Due calci nel sedere mi fecero capire che dovevo muovermi e così lo presi nuovamente in bocca e cominciai a leccarlo e pulirlo per bene.
‘Di solito sono abituato ad altro ruolo’ disse Pallino ‘Sono sempre io che subisco e pulisco; stavolta capisco cosa prova un padrone a farsi leccare e pulire’.
‘Questa cosa mi &egrave molto piaciuta’ disse mia moglie ‘Spero di rivedervi ancora in questi atteggiamenti così da ricchioni quali voi siete. Baciatevi ancora’ ordinò.
Le lingue si aggrovigliarono, cercandosi e ognuno cercava di succhiare quella dell’altro. Lei rideva, rideva ‘
‘Ora basta’ disse. Legò il mio guinzaglio all’ombrellone e prendendo Pallino per un orecchio si diresse verso il bosco, a circa dieci metri dall’ombrellone. Lì si spogliò tutta e tenendo la testa di Pallino la portò fino all’altezza della sua figa. E pallino cominciò a leccarla. Io, legato come un cagnolino, rimasi a guardare il suo godimento.
Passò una buona mezz’ora prima del loro ritorno all’ombrellone.
‘Quando devi tornare dal tuo padrone?’ chiese a Pallino.
‘Domani mattina alle otto’ rispose.
‘Bene, fino a quell’ora starai con noi. Vestitevi e raccogliete tutta la roba. Si torna a casa’.
Passando vicino ai due giovani che si sbaciucchiavano notai un sorrisetto sul loro volto. La ragazza si avvicinò a mia moglie e le disse qualcosa. Lei sorrise e rispose che forse si poteva fare. Si fece dare il numero di telefono e salutò con una bella risata.
Appena arrivati a casa, mi legò ai piedi del letto, mi mise una benda sugli occhi e dopo avermi inferto numerosi colpi di frusta mi ordinò di restare fermo e senza muovermi.
Passò la notte facendo l’amore con Pallino, mentre io mi rodevo dalla gelosia.

(Continua) La mattina dopo, di buona ora, ci mise a entrambi il guinzaglio e ci avviammo verso la casa del padrone di Pallino.
Dopo circa un’ora arrivammo davanti ad una grossa villa, tutta recintata con un muro alto circa due metri.
‘vai a suonare’ ordinò mia moglie. Pallino andò a suonare, Venne ad aprire una ragazza di circa venti/ventidue anni, mora, con un grembiulino molto piccolo che a stento copriva le grosse tette e il pelo della passera. Il culo, completamente nudo, mostrava delle striature rosse, segno di numerose frustate.
Pallino parlò con la ragazza e dopo un poco aprì il cancello facendo entrare la macchina. Ci invitò ad arrivare fino all’entrata della casa. Ci fece accomodare in un grosso salone, dove faceva bella mostra di sé, una nutrita collezione di fruste, di tutti i tipi. Dalle rigide alle lunghe, al gatto a nove code. Mia moglie si accomodò su un divano di pelle rossa, mentre io mi accovacciai ai suoi piedi.
Dopo circa dieci minuti arrivò quello che doveva essere il padrone di Pallino. Un bell’uomo, di circa quaranta anni con una folta capigliatura, appena brizzolati, alto circa 190 centimetri, magro. Veramente un bell’uomo.
Con un cenno della mano chiamò la ragazza col grembiulino e le ordinò di portare me e Pallino a fare una passeggiata in giardino. Come dei veri cagnolini, a quattro zampe, ci dirigemmo verso la porta, mentre Lui si mise seduto sul divano accanto a mia moglie.
Rimasero a parlare circa venti minuti. Quello che si sono detti lo capimmo nei giorni seguenti. Anzi, qualcosa la capimmo subito.
Con voce autorevole chiamò la ragazza, che s’inginocchiò ai suoi piedi per ricevere degli ordini e, quindi, ritornò da noi a prendere Pallino per il guinzaglio. Lo trascinò in un angolo della casa e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Pallino iniziò immediatamente a spogliarsi. Quando fu completamente nudo, mise i polsi e le caviglie in delle imbracature collegati a una serie di carrucole. Senza fatica la ragazza lo tirò su sollevandolo da terra circa un metro. Le gambe rimanevano allargate mostrando bene sia il pene sia il buchetto del culo, evidenziato anche dalla completa assenza di peli. La ragazza gli applicò sui capezzoli, delle mollette a ‘coccodrillo’ con una corda che andò a fissare intorno agli alluci dei piedi.
Il padrone fece due volte dieci con le mani e la ragazza, afferrato un frustino rigido, cominciò a colpire sul pene prima e poi sul buco del culo alternativamente. A ogni colpo Pallino, istintivamente, allungava le gambe tirando le corde e quindi, di conseguenza, allungava i capezzoli. Il dolore era amplificato. Dopo i primi sei/sette colpi, Pallino cominciò a gridare. Ma la cosa deve aver dato fastidio al padrone che con un gesto fece interrompere i colpi. Con un altro gesto impartì un nuovo ordine alla ragazza. Questa prese un’altra molletta che fu fissata sulla lingua con la corda collegata a una mano e rivolse lo sguardo al padrone che fece tre volte dieci con le mani. Le frustate sarebbero diventate trenta! Ricominciò a colpire il malcapitato. &egrave stata una delle torture più dure a cui assistevo; mi dispiacevo per Pallino, ma pensavo meglio a lui che a me.
Osservavo mia moglie seduta accanto a quell’uomo. A ogni lamento di Pallino, ridevano divertiti e, credo eccitati. Infatti, incominciarono ad accarezzarsi. Lui infilò una mano nella camicetta di mia moglie tirando fuori uno dei suoi seni meravigliosi, l’altra mano scivolò sotto la gonna e cominciò a titillarle il clitoride. Lei non stava ferma e con le mani gli aprì la cerniera dei pantaloni e tirò fuori un uccello enorme di circa venti centimetri. Intanto la ragazza con colpi ritmati, uno ogni minuto circa, continuava a dare sofferenza al povero Pallino.
Io, nel timore di subire lo stesso trattamento, cercai di abbassare lo sguardo facendo finta di non vedere quello che faceva mia moglie. Lui, intanto, diceva a mia moglie che quella lezione per Pallino era meritata, perché non avrebbe dovuto fare l’amore con una padrona e che quindi si sarebbe dovuto rifiutare.
Il trattamento riservato a Pallino gli avrebbe sicuramente evitato nessuna erezione per almeno una settimana e anche il culo gli avrebbe fatto così male che anche cagare, gli avrebbe ricordato come comportarsi.
Quando fu terminata la punizione e i due padroni ebbero avuto il loro godimento, il padrone, con un cenno della testa fece sciogliere Pallino. Per qualche minuto ci fu un silenzio irreale, rotto solo da qualche singhiozzo di Pallino, che si guardava bene di lamentarsi. Solo allora il padrone mi fece cenno di avvicinarmi. Io a quattro zampe, con la testa bassa, mi avvicinai. Temevo quell’uomo.
‘Cosa c’&egrave’ disse mia moglie ‘hai avuto paura?’ non risposi.
‘Mi dispiace, tesoro’ riprese ‘Ma credo che dovrai abituarti a cose molto diverse da quelle che hai avuto finora’.
‘Che ne dici se gli faccio vedere chi comanda?’ disse il padrone.
‘Fai come se fosse cosa tua’ rispose mia moglie.
Con una mano mi prese per i capelli e mi alzò la testa, con l’altra mi alzò il mento e fissandomi negli occhi mi disse ‘ La vedi tua moglie? Da oggi non farai più l’amore con lei. Hai due possibilità: la prima &egrave di andare via subito, sparire e non farti più vedere; la seconda potrai rimanere, ma sarai picchiato, frustato, torturato, umiliato, sottomesso a tutti i nostri capricci. La decisione che prenderai sarà per sempre. Decidi: quella &egrave la porta, nessuno oserà fermarti, togliti il guinzaglio e vai via. Altrimenti spogliati immediatamente e leccami gli stivali’.
Il suo sguardo era terribile, m’incuteva timore. Rimasi a pensare per qualche secondo, e il mio essere così masochista mi fece fare la cosa che più volevo: essere schiavo di mia moglie e di quell’uomo che m’incuteva timore. Lentamente cominciai a spogliarmi. Man mano che toglievo gli indumenti, la ragazza li raccoglieva e quando fui completamente nudo, ma con il mio cazzo al massimo dell’eccitazione, m’inginocchiai e cominciai a leccare gli stivali.
La mia, ormai, ex moglie con aria risaputa e mostrando un sorriso ironico, rivolgendosi al mio nuovo padrone gli disse ‘Che ti dicevo? &egrave proprio uno schiavo nato. Non potrebbe vivere senza subire punizioni, gli piace troppo essere umiliato. E da oggi avrà tutto quello che ha sempre desiderato. Ora frustalo, per piacere, perché prima mi aveva guardato male’. E così dicendo si sbottonò completamente la camicetta che tolse subito lasciando scoperto il suo meraviglioso seno.
Il padrone prese dalla bacheca due frustini, uno lo porse a mia moglie e l’altro lo tenne per sé. Legò il guinzaglio a un anello che pendeva dal soffitto, giusto al centro del salotto e cominciò a frustarmi alternando i colpi con mia moglie. Ceraci di resistere e non urlare, pensando a quello che aveva fatto a Pallino, ma i colpi erano veramente violenti. Ne contai circa ottanta. Avevo bolle dappertutto sul corpo, alcuni colpi mi avevano aperto delle ferite sanguinanti. Mi lasciò lì per circa due ore, in piedi completamente fermo, mentre loro fecero l’amore almeno quattro volte. Non avevo mai visto mia moglie così soddisfatta ed esausta. Venne Monica, la ragazza del grembiulino, a slegarmi e a tamponare le mie ferite sanguinanti.

‘Ehi, stai bene?’ la voce di Pallino mi riportò alla realtà, mi teneva perché le gambe non mi reggevano. Stare tutto quel tempo in un cofano di una macchina non &egrave molto comodo.
‘Sì, sto bene, adesso sto molto bene’ risposi ironicamente.
‘Mi sa che fra poco non starai più tanto bene, hanno organizzato una festa tutta per te, per il tuo ritorno dal collegio’.
‘Chi hanno Invitato?’ chiesi.
‘Ci sono tutti i loro amici, anche la signora Margot e suo marito’.
Arricciai le spalle, in un gesto di rassegnazione.

(continua) Già la signora Margot e suo marito. Circa due mesi fa in occasione di un viaggio dei nostri padroni, ci prestarono a loro. Così io, Pallino, Monica e Laura, la sorella di Pallino, raggiungemmo l’abitazione dei due. Grossi proprietari terrieri, vivono in un cascinale di campagna. Lontano dalla città. Hanno con loro una decina di lavoranti, per lo più stranieri, polacchi, lituani e croati. Hanno una ragazza Ceca che fa da controllore, un’autentica sadica che ha fatto della sua vita una missione: sottomettere il maschio. Accetta ordini solo da Margot, con la quale ha un amore lesbico.
Passammo presso di loro circa quindici giorni. Furono quindici giorni terribili, soprattutto per me e Pallino. Monica si dedicò alla cucina, con qualche partecipazione a quelle che erano chiamate spedizioni punitive.
Solo una sera dovette sottostare ai capricci del marito di Margot. Il giorno dopo non passarono inosservati i segni lasciati sul suo corpo.
Laura entrò ben presto nelle grazie della Ceca, anzi credo che imparò moltissimo da lei in quei quindici giorni. In quanto a noi ‘ descrivo brevemente una giornata tipo.
Appena arrivati io e Pallino fummo ospitati in una stalla. Circa dieci metri per cinque, con della paglia per giaciglio, da condividere con i lavoranti. All’alba la sveglia, senza dare la possibilità di lavarci, eravamo incatenati l’uno all’altro in fila indiana: una catena al collo del primo e il piede del secondo e così via per gli altri. Ognuno di noi aveva un gonnellino corto, con due spacchi laterali che a stento copriva il sedere e il pene. I bisogni fisiologici si facevano per strada, camminando e, qualche volta si bagnava il compagno che stava avanti. La Ceca e Laura non si risparmiavano a colpirci con la frusta per far tenere un ritmo di marcia veloce. Entrambe cavalcavano un cavallo. Dopo circa quattro/cinque chilometri si arrivava a destinazione. A turno tre di noi erano legati a una ruota che tirava acqua da un pozzo. Gli altri a lavorare nei campi con le zappe, le pale ecc ‘
Tranne una pausa di circa un’ora, tra le 13,00 e le 14,00, tutta la giornata fino al tramonto, era dedicata a quest’attività. Immaginate a fine serata come arrivavamo a casa sia io sia Pallino, non abituati a lavori agricoli.
Un giorno ho contato su di me le frustate, gentilmente offerte dalle aguzzine: 208 colpi. Pallino ne avrà ricevuto sicuramente di più, perché la sorella non gli risparmiava assolutamente nulla, anzi a volte con me era più buona, ma col fratello era molto severa.
Durante il giorno veniva spesso la signora Margot con il marito e, ogni volta, c’era qualcosa che non andava bene, giusto una scusa per impartire qualche dura lezione. Un giorno costrinsero due polacchi a entrare scalzi e completamente nudi in un campo di ortiche, che vendevano a una ditta di shampoo per capelli. Il giorno successivo uno dei due fu costretto a rotolarsi nudo su delle fascine di erba con spine. La cosa fu ancora più dura perché la signora Margot pensò bene di frustarlo costringendolo a schiacciare di più il corpo sulle spine.
Fortunatamente questo genere di punizioni ci fu risparmiato, ad eccezione di una sonora frustata con rami di ortiche che non mi fecero dormire per due notti, e una frustata a pallino con rami di rose. Impiegai una notte intera per togliere le spine dal suo corpo. Lavorammo veramente tanto, ma quando tornarono i nostri padroni fummo tacciati di scarso attaccamento al lavoro e sobillatori, perché secondo la signora Margot fomentammo una piccola insubordinazione nei lavoranti. Per punizione ci lasciarono ancora una settimana. Naturalmente rimasero anche loro per controllare. Tutte le sere c’era una razione di torture per cose che non erano state eseguite perfettamente.

(continua – forse!)

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