Skip to main content
Racconti di Dominazione

Una possibilità su un milione (Pamela?)

By 7 Febbraio 2010Dicembre 16th, 2019No Comments

Appena arrivato in ufficio, accese il computer ed andò su internet.
User name e password.
Entrò nella sua casella di posta segreta.
Da tempo scriveva racconti erotici, più che altro aventi come argomento la dominazione sulle donne.
Li aveva sempre scritti così, come uno sfogo personale, con l’idea che non li avrebbe mai letti nessuno.
Un giorno per caso aveva trovato un sito internet dove venivano raccolte storie simili alle sue.
Si era iscritto, si era fatto coraggio e ne aveva inviato uno.
Che leggerà mai questa roba?
Dopo un giorno, quasi quattromila accessi al suo racconto.
Magari molti, non lo avevano neanche terminato, però, comunque, parecchia gente aveva potuto leggere il suo lavoro.
Poiché era composto da numerosi capitoli, e il numero di accessi di quelli successivi non era di molto inferiore al primo, pensò che doveva essere stato parecchio apprezzato, perché se una cosa non piace, non si va certo avanti nella lettura.
Nella casella segreta, aperta apposta per eventuali commenti, erano arrivati diversi messaggi di plauso.
Così aveva continuato a scrivere.
Quella mattina c’era un nuovo messaggio.
ciao
io sono Pamela (naturalmente non è il mio vero nome, diciamo che almeno l’iniziale è quella giusta).
Ho letto molti tuoi racconti. Sono bellissimi.
Originali, inquietanti e scritti veramente bene.
In particolare mi piacciono le descrizioni delle scene e delle persone.
Quando delinei i personaggi femminili, ho quasi l’impressione di vederli materializzarsi davanti a me.
Ho visto che, nelle descrizioni delle donne, ricorrono spesso alcuni elementi: tra i quaranta ed i cinquanta, magra, alta e slanciata, belle gambe e capelli scuri lunghi.
Mi sono chiesta del perché.
Forse tu sei una donna fatta più o meno così, oppure una donna con un aspetto simile significa o ha significato qualcosa di importante per te.
In genere, riesco subito a capire quali racconti sono scritti da un uomo e quali da una donna. Nel tuo caso, invece, sono rimasta nel dubbio ed il tuo nick non mi permette di dedurre il tuo sesso.
La cosa mi interessa particolarmente perché io sono esattamente così: ho cinquantadue anni, sono alta e magra, con due gambe ed un culetto, a detta di tutti, niente male. Ho anche i capelli scuri e lunghi.

Pamela
Era rimasto molto colpito da quel messaggio. Lui sapeva molto bene perché in quasi tutte le sue storie c’era una donna che rispondeva a quella descrizione, ma era restio a spiegarlo: non aveva alcuna intenzione di aprire la sua sfera privata su un simile argomento, e poi, perché farlo prorpio con una sconosciuta?
Però, pensandoci bene, proprio con una sconosciuta e, per di più, al sicuro, dietro un nick anonimo, avrebbe potuto farlo senza pericoli.
Così, le rispose subito, spiegando dettagliatamente la faccenda.
Cara Pamela,
mi fa molto piacere che apprezzi le mie storie.
Ho una certa difficoltà a rispondere alla tua domanda, perché non bisognerebbe mai mischiare la fantasia di queste piccole perversioni, nascoste dietro l’anonimato, con la nostra vita reale.
Tu stessa mi dici che non ti chiami Pamela, e quindi sei intenzionata a preservare la tua identità e la tua privacy.
In ogni modo, qualcosa di me, mi sento di confidarti, stando attento a non scendere troppo in particolari.
Prima di tutto: sono un uomo più o meno della tua età.
La donna magra, alta e snella è una mia collega d’ufficio.
L’ho sempre trovata attraente e per parecchi anni siamo stati buoni amici, ma niente di più.
Con il passare del tempo mi sono accorto che la mia attrazione nei suoi confronti aumentava ogni giorno.
Sicuramente mi ero anche innamorato, ma la cosa che più mi preoccupava era un irrefrenabile desiderio di possederla, che stava veramente distruggendomi.
Se non fossi stato una persona civile ed educata, le avrei letteralmente strappato i vestiti di dosso, avrei voluto scoparmela per terra, direttamente sulla moquette dell’ufficio, tutte le volte che mi compariva davanti.
Quando invece arrivava con i jeans attillati, avrei voluto abbassarglieli fino alle ginocchia, insieme alle mutandine e poi metterglielo dentro quel culetto che mi faceva mancare il respiro solo ad immaginarlo. Me la sarei voluta inculare mille volte, ficcandoglielo dentro tutto, fino in fondo, mentre, da dietro, con le mani, le stringevo quelle deliziose tettine da adolescente.
La cosa mi stupiva e mi preoccupava, perché sono sempre stato un tipo tranquillo e riflessivo, per niente incline ai colpi di testa.
Non avevo provato mai nulla di simile, per nessun’altra donna, neanche per la mia prima ragazza, ai tempi del liceo.
Così un giorno non ce l’ho fatta più e ‘
(stai tranquilla non me la sono scopata in ufficio, magari davanti a tutti)
‘ ho provato a dirle quello che provavo per lei, tenendomi un po’, riguardo al culetto ed a tutto il resto, perché era una ‘signorinella’ di buona famiglia, con la tendenza ad arrossire se a qualcuno sfuggiva una parola che poteva avere una vaga allusione a qualcosa di sessuale.
Il risultato è stata la fine immediata della nostra amicizia e di ogni possibile occasione di incontro.
Io ho sempre avuto delle fantasie un po’ sadiche, nei confronti delle donne e così, ho cominciato a farle su persone che le assomigliassero, come se, inconsciamente, la volessi punire per il suo rifiuto nei miei confronti.
Spero di essere stato esauriente, ma, in ogni caso, più di questo non posso proprio dirti.

Il tuo amico scrittore
Era iniziata una fitta corrispondenza con Pamela.
Con il tempo si erano detti un mucchio di cose, anche se gli restavano dei dubbi.
Lui era sempre stato sincero, ma non poteva giurare lo stesso per lei.
Poteva avergli mentito su tutto, l’età, il fisico, perfino il sesso.
Magari era una vecchia checca, grassa e pelata, che sperava, alla fine della storia, di incontrarlo per farselo mettere nel culo.
Comunque, anche Pamela, o come cavolo si chiamava, era nelle sue stesse condizioni.
Decise di fidarsi, tanto, comunque, non si sarebbero mai incontrati.
La donna sembrava apprezzare molto i suoi racconti, mano mano che uscivano, ma era rimasta particolarmente impressionata dalla sua confessione.
Era convinta che lui aveva sbagliato tutto buttandosi ai suoi piedi e dichiarandole il suo amore.
dovevi entrare nella stanza e chiudere la porta a chiave, poi la prendevi di peso, la mettevi a pancia sotto sulla sua scrivania, gli alzavi la gonna e gli abbassavi le mutande.
Se provava a dire qualcosa, dovevi cominciare a sculacciarla fino a farle il culo rosso come un pomodoro maturo e, quando finalmente ti avrebbe supplicato di smetterla, glie lo avresti dovuto piazzare in mezzo alle sue chiappe arrossate e poi spingerglielo dentro fino in fondo, facendola godere da matti.
Anche se non la conosco, sono abbastanza sicura che ti sarebbe andata meglio.

Sinceramente, pensando alla sua collega, non era per niente convinto di ciò.
Non riusciva proprio ad immaginarsi insieme alla sua ex amica, mentre la inculava selvaggiamente e lei gridava cose tipo ‘sì, ancora, più dentro, fammi male’.
Era un tipo così per bene, un po’ principessina, che proprio non la credeva capace di simili atteggiamenti.
Manifestò queste perplessità a Pamela, ma la donna ribatté che anche lei era una di buona famiglia, educata all’antica, ma, da un po’ di tempo a questa parte, si stava ricredendo su molte cose.
Il giorno dopo incontrò per il corridoio la sua collega.
Lei gli rivolse appena un freddo cenno di saluto, perché i loro rapporti, dopo quel suo tentativo sfortunato, risalente ad un paio di anni prima, si erano ridotti al minimo indispensabile.
La guardò.
Nel frattempo era invecchiata, ma gli piaceva ancora da impazzire, l’attrazione fisica nei suoi confronti era rimasta inalterata.
Forse era leggermente ingrassata?
Forse solo un minimo accenno di pancia, proprio a voler essere pignoli.
La guardò allontanarsi di spalle.
Il suo culo, veramente favoloso, lo faceva andare fuori di testa.
Quell’ancheggiare leggero, appena accennato, gli toglievo il respiro e gli faceva venir voglia di seguirla, come un topo appresso al pifferaio magico.
Per un attimo pensò pure che la sua collega potesse essere la misteriosa Pamela.
Che fesseria. C’era una possibilità su un milione.
C’erano un mucchio di donne della sua età, snelle e con un bel culo, in ogni città d’Italia.
Magari ce n’erano una decina buona, solo nel posto dove lavorava lui.
La possibilità che stesse scambiando messaggi di posta elettronica, da tempo, proprio con lei, era remotissima.
E poi non ce la vedeva proprio a frequentare simili siti internet ed a leggere racconti del genere.
Passava il tempo e continuava la corrispondenza con Pamela.
Lei gli confidò che la notte, a letto, mentre leggeva i suoi racconti, si masturbava selvaggiamente.
Avrebbe voluto avere vicino un uomo che la legasse al letto e poi la frustasse, prima di penetrarla.
Magari non così forte, come in quelle fantasie scritte da lui, ma comunque in modo da provare dolore, pur senza rimanere deturpata in maniera definitiva.
Parlavano anche di un mucchio di cose.
Pamela sembrava una donna colta ed intelligente, che si interessava di cinema e di teatro.
Leggeva anche parecchi libri e spesso si scambiavano opinioni in merito a romanzi, film e commedie.
Lentamente, senza accorgersene, si erano scambiati parecchie informazioni sulla loro vita personale, stando però bene attenti e non fornire dettagli che potevano portare a svelare all’altro la propria identità.
Così spesso sapevano, cosa l’altro (o l’altra) aveva mangiato a pranzo e come era vestito/a quel giorno, ma ignoravano la città di residenza, il luogo di lavoro e perfino i loro veri nomi.
Gli era capitato, per motivi di lavoro, di incontrare più spesso la sua collega ed aveva avuto l’impressione che ora avesse un atteggiamento meno ‘sostenuto’ nei suoi confronti, e che, addirittura, delle volte, lo guardasse con un sorriso enigmatico.
Sicuramente, rispetto alla gelida indifferenza con cui l’aveva trattato negli ultimi tempi, era un grosso passo avanti.
Se avesse ripensato alla sua assurda ipotesi di ‘una possibilità su un milione’, si sarebbe accorto che, sempre il suo abbigliamento coincideva con ciò che Pamela diceva di aver indossato quel giorno, nei loro scambi di messaggi.
Un giorno, prima di pranzo ricevette una telefonata.
Era la sua collega. Strano, perché da quando i loro rapporti si erano raffreddati, evitava con cura di contattarlo.
‘ciao. Ti disturbo?’
‘affatto. Dimmi.’
‘per caso tu vai ancora a mangiare in quel posto carino, fuori dell’ufficio?
Siccome oggi mi viene a trovare un’amica di Torino, glie lo volevo far conoscere.
Se non ti da fastidio, potremmo venire con te.
Senti, forse sono sfacciata e indiscreta, dopo quello che è accaduto tra di noi, magari tu non hai piacere di pranzare con me, ti da fastidio vedermi …’
‘beh, veramente pensavo che fossi tu a non aver piacere ad incontrarmi. Ti assicuro che per me non c’è alcun problema.
Se per te va bene, facciamo all’una meno un quarto, fuori all’ufficio.’
‘va bene, ciao e grazie.’
Era eccitato all’idea di rivederla, dopo tanto tempo, fuori dell’ufficio.
Prima di quella sua iniziativa disastrosa, andavano spesso a mangiare fuori, proprio in quel posto, a volte con altri colleghi, ma molto spesso loro due da soli.
Ora sarebbe successo di nuovo, anche se ci sarebbe stata questa torinese sconosciuta, beh, forse meglio così, perché un lungo incontro a quattrocchi, tra loro due, sarebbe stato imbarazzante.
Arrivò trafelata, con dieci minuti di ritardo.
‘scusa, mi dispiace. Ti ho fatto aspettare.
Purtroppo la mia amica mi ha dato buca.
Ti ho fatto pure perdere tempo, a quest’ora saresti già arrivato.
Mi dispiace veramente.’
Stava per andarsene, poi ci ripensò.
‘forse, visto che ormai sono qui, potrei venire comunque, anche da sola, sempre se non ti dispiace.’
La fece salire in macchina e partirono.
La guardò. Aveva un completo nero, giacca e gonna, molto attillati, e sotto una camicetta bianca.
Per un attimo ripensò a come aveva detto di essere vestita Pamela quel giorno e gli si fermò il respiro.
No, non poteva essere.
Dopo pranzo, sulla strada del ritorno, lei gli chiese se poteva fare una piccola deviazione, per farle prendere una cosa che aveva dimenticato a casa.
Arrivati al portone gli propose di salire per prendere un caffè. Lui notò un strano sorriso sulle labbra della donna.
Entrati a casa mise la macchinetta del caffè sul fuoco poi andò in camera da letto.
Lui si sentì chiamare.
Mentre usciva dalla cucina si rese conto che non aveva usato il suo nome ma il nick della sua casella di posta.
Si era tolta le scarpe e la giacca e stava sdraiata sul letto a pancia in giù. La gonna attillata fasciava il suo culetto delizioso.
‘legami le mani al letto con queste.’
Disse porgendogli delle manette di plastica.
Tirò in su le braccia e le avvicinò alla testiera del letto in ottone, con un gesto morbido e invitante.
Lui fece passare le manette in mezzo ad una delle sbarre di metallo e poi le fece scattare intorno ai suoi polsi.
‘vediamo se sei bravo solo a scrivere. Sul comò c’è una frusta, l’ho appena comprata. Dimostrami che ti piace veramente così tanto il mio culetto.’
Le arrotolò la gonna fino alla vita.
Sotto portava un minuscolo slip nero e delle autoreggenti.
Fece scivolare lo slip fino alle caviglie.
Rimase letteralmente senza fiato, visto senza nulla addosso era ancora più bello.
Tra le natiche rotonde e sporgenti scorse un nastrino rosso che spuntava fuori per qualche centimetro.
‘e quello?’
‘è un giochino che porto da un po’ di tempo. Quando avrai finito con la frusta potrai provare a toglierlo.
Dai, non mi far aspettare ancora, fammela sentire.’
Prese la frusta.
Aveva scritto mille volte questa parola nei suoi racconti, ma ora, per la prima volta, ne prendeva in mano una e si sentiva imbarazzato ed impacciato.
Avrebbe avuto il coraggio di colpire quel culetto delizioso?
Avrebbe osato farle del male, lui che non aveva mai picchiato nessuno in vita sua, a parte qualche baruffa quando era bambino, alle elementari?
Ma soprattutto avrebbe potuto fare una cosa simile proprio a lei?
Stava immobile, come se fosse pronta ad assaporare il dolore della prima frustata.
L’avrebbe colpita per punirla, perché l’aveva rifiutato, perché l’aveva fatto soffrire.
L’avrebbe frustata perché era pazzo di lei, perché poi le sarebbe entrato dentro, con tutta la foga di chi ha aspettato troppo.
L’avrebbe fatta soffrire perché era lei a chiederlo e lui voleva accontentarla.
La prima frustata fece un misero ‘ciaf’ e la striscia di cuoio rimase ferma, inerte, sul suo sedere.
‘Hai paura di farmi male? Puoi fare molto meglio, o sai solo scrivere di queste cose?’
Lo stava sfidando.
Questa volta si fece coraggio, ci mise parecchia energia, e la frusta arrivò veloce e precisa, proprio in mezzo alle sue chiappe.
‘ahh!’
Lei si era voltata a vedere l’effetto.
Un profondo solco violaceo era comparso sulla sua carne.
La colpì ancora. Ora aveva capito come fare.
Lei gridò ancora più forte e lui la colpì di nuovo.
Aveva i capelli scompigliati ed il viso affondato nel cuscino.
Le scostò i capelli. Le sue labbra erano serrate e piangeva in silenzio.
‘fa male?’
lei fece cenno di sì con la testa.
‘te lo aspettavi, no? Ho appena iniziato, ora continuerò fino a che non sarai pronta a fartelo piantare bene nel tuo culetto.’
Continuò a colpirla.
Ora piangeva e singhiozzava, avrebbe voluto ripararsi dai colpi, ma le mani, ammanettate alla testiera del letto, erano inutilizzabili.
‘aiuto, basta … per favore ‘ non resisto più.’
Era tutto inutile, una volta trovato il coraggio di cominciare, lui sarebbe andato fino in fondo.
Cercò di girarsi.
‘guarda, che se ti volti sulla pancia, finirò per colpire la tua bella fichetta, non credo sia il caso.’
Si rimise buona buona a pancia in giù, aspettando la fine della punizione.
La colpì in tutto una ventina di volte. Il suo sedere era pieno di strisce violacee e la pelle , in qualche punto, si era spaccata.
‘basta, basta, ora basta. Sono pronta. Ti prego. Tira piano il laccetto rosso.’
Lui le allargò bene le chiappe e cominciò a tirare il laccetto che le usciva dal culo.
‘l’ho comprato un paio di mesi fa, mi hanno garantito che mi avrebbe aiutato a sentire meno dolore, quando sarebbe venuto il momento’
Venne fuori un curioso pene di gomma, color fragola.
‘all’inizio mi faceva molto male, ora riesco a tenerlo anche qualche ora di seguito.
Ora, ti prego, mettimelo dentro, ho il sedere che mi brucia, la frusta è stata terribile, sto soffrendo da morire, per favore, fammi godere.’
Si era messa in ginocchio sul letto con le cosce allargate.
Lui le allargò vigorosamente le natiche e lei gridò di dolore, perché le sue mani erano finite sulle ferite provocate dalle frustate.
Quando lo infilò dentro la sua voce cambiò intonazione. Ora stava gridando la sua gioia a tutto il mondo, anche se, probabilmente, avrebbero sentito soltanto i vicini.
Si muoveva ritmicamente come in una danza selvaggia.
Per lui era difficile seguirla.
Alla fine la immobilizzò tenendola forte per i fianchi e cominciò a spingere più forte.
Sembravano una coppia di felini selvatici.
Le venne dentro due volte di seguito.
Poi cominciò a toccarla. La sua vagina era aperta e bagnata. Prese a stuzzicarle il clitoride e lei si sciolse letteralmente.
Quando le entrò dentro ebbe l’impressione di averlo immerso in lago di acqua calda.
Dopo l’ultimo orgasmo, rimasero a lungo avvinghiati.
Alla fine lui si alzò, la liberò dalle manette e le medicò il sedere.
Anche con quelle ferite era bellissimo. Si sforzò di non guardarlo troppo, perché gli stava tornando voglia. Avrebbe voluto ficcarglielo dentro ancora, fino a restare disteso, senza più neanche la forza di respirare.
Aveva aspettato per così tanto tempo, che ora non avrebbe voluto smettere più.
Lei nel frattempo si era addormentata, sopraffatta da tutte quelle forti emozioni.
Si sarebbero rivisti?
Se lei avesse accettato l’avrebbe frustata di nuovo e poi le sarebbe entrato dentro, fino a sfiancarsi e fino a sfiancarla.
L’avrebbe fatta soffrire ancora, e poi l’avrebbe fatta godere.
Avrebbe aspettato che le ferite si rimarginassero, nel frattempo l’avrebbe colpita altrove, magari avrebbe frustato quelle tettine da adolescente, facendo più piano, perché gli sembravano molto delicate, oppure avrebbe provato sulla schiena o sulle sue gambe, lunghe e snelle.
Si rivestì in silenzio e chiuse piano la porta di casa, per non disturbare il suo sonno.
Per diversi giorni non la vide in ufficio.
Ripensando alle condizioni in cui si trovava il pomeriggio in cui lui era uscito da casa sua, lasciandola distesa sul letto, era normale che per un po’ non si facesse vedere.
Aveva pensato a lungo a quello che era accaduto.
Era molto scosso per quella che considerava un’incursione nel lato oscuro della propria personalità.
A volte se ne vergognava, ma ormai era successo.
Aveva anche pensato di chiamarla, per sentire come stava, per scusarsi.
‘come ti senti? Ti fa ancora male? Mi spiace, sai, averti massacrato a frustate quel bel culetto. Prometto di non farlo più, in futuro.’
Qualsiasi tono avesse voluto usare, in ogni caso, sarebbe stata una conversazione impossibile.
Sicuramente lei era profondamente depressa per quanto accaduto e non avrebbe più voluto avere a che fare con lui.
Dopo una settimana, inaspettatamente, trovò un messaggio di Pamela.
Ciao,
ho avuto bisogno di qualche giorno per riflettere, e poi, come potrai immaginare, non sono stata molto bene. Pensa che ora sto scrivendo in ginocchio sul tappeto, con il portatile poggiato sul divano.
Non ti devi fare problemi, perché quello che è accaduto era esattamente quanto desideravo.
Avevo scoperto da parecchio tempo la tua identità. Noi donne abbiamo quel sesto senso che ci permette di intuire molte cose, prima ancora che siano evidenti.
Sin dall’inizio, quelle tue descrizioni di queste donne alte, magre e brune, mi avevano dato delle vibrazioni particolari.
La prima volta che ci siamo scambiati informazioni su come eravamo vestiti, mi è capitato di vederti da lontano, mentre andavi fuori per il pranzo e sono rimasta letteralmente senza fiato.
Allora ho cominciato a ricollegare molti fatti in apparenza insignificanti, anche del passato.
Ho capito così che tu avevi per me un’attrazione veramente fuori del comune. Sì, certo, mi ero sempre accorta che tu, da molto tempo, mi guardavi in una certa maniera, anche se cercavi di nasconderlo, per non essere indiscreto. A questo ci sono abituata, perché gli uomini mi hanno sempre guardato le gambe ed il sedere, e, ti posso assicurare, che non mi è mai dispiaciuto.
Naturalmente volevo essere sicura che fossi proprio tu, l’autore di quei bellissimi e terribili racconti, e così mi sono procurata altri elementi.
Tutte le volte che venivo a conoscenza di come eri vestito, facevo in modo di incrociarti, in ufficio, per controllare.
Quando andavi a pranzo, sempre in quel posto, con una collega che è anche mia amica, chiedevo a lei cosa c’era da mangiare quel giorno, e poi controllavo la tua versione.
C’era sempre una coincidenza perfetta, al cento per cento.
Ormai ero sicura, e così ho preparato il nostro incontro.
Ero stata io a respingerti, così bruscamente, tanto tempo fa, e sarei stata io a riprenderti, rimediando ad un errore veramente imperdonabile.
Per ottenere questo avrei dovuto fare un grosso sacrificio.
Avevo paura di quello che mi apprestavo a fare, perché ho sempre temuto il dolore fisico, fin da bambina, però ero anche fortemente attratta dalla possibilità di fare, questa volta, una esperienza sconosciuta, assolutamente nuova per me.
Così, su internet, avevo cercato di documentarmi su tutto quanto potesse riguardare la frusta, le frustate e le conseguenze sulle persone.
C’è un mucchio di materiale sulla rete.
L’unica cosa che non potevo sapere era QUANTO avrei sofferto. Questa era l’unica incognita, che un po’ mi terrorizzava ed un po’ mi attirava.
Ora naturalmente lo so. Ti posso dire che il dolore è fortissimo, ma anche che ne vale la pena, se dopo succede quello che è accaduto tra noi due.
Avrei anche dovuto prepararmi per il dopo, perché a seguito delle frustate, tu, scusa la parola un po’ cruda, mi avresti ‘inculato’ selvaggiamente.
Di questo ne ero assolutamente sicura, avevo bene in mente i tuoi sguardi del passato, che ora, finalmente, ero riuscita a decifrare, grazie alle tue confessioni.
Ora sapevo perfettamente con che intensità tu mi desiderassi, anzi, ad essere precisa, desiderassi il mio bel culetto, come ti piace chiamarlo.
Evidentemente deve essere particolarmente attraente, per voi uomini, perché tutte le persone con cui ho avuto rapporti, prima o poi, portavano il discorso su quell’argomento.
Io ho sempre rifiutato, perché mi sembrava una cosa sporca e perché pensavo che avrei provato troppo dolore.
Questa volta invece ero decisa a correre il rischio, e poi pensavo che il dolore che avrei provato, sarebbe stato poca cosa rispetto alle frustate.
Così, un paio di mesi fa, sono entrata in un negozio ‘ puoi immaginare che tipo di negozio.
Mi vergognavo come una ladra. Ne ho scelto uno dall’altra parte della città e mi sono messa gli occhiali da sole più grandi che possedevo, per nascondere il viso.
Ho spiegato che dietro non l’avevo mai fatto in vita mia e che volevo cominciare ora, senza farmi troppo male e senza fare brutte figure con il partner.
Quando ho detto che avevo tutto il tempo che volevo, la signora che mi serviva, ha tirato un sospiro di sollievo e mi ha consigliato quel giocattolino con il nastrino rosso che tu già conosci.
Le prime volte è stato molto difficile: nonostante avessi lubrificato tutto con la vasellina, riuscivo ad infilarne solo un pezzetto, per pochi minuti.
Giorno dopo giorno, la situazione migliorava e, dopo un mese di tentativi, sono riuscita ad infilarlo fino in fondo.
La signora del negozio mi aveva consigliato di fare le prime prove in casa.
Quella prima volta rimasi come paralizzata, perché temevo che muovendomi, mi sarei spaccata tutta, dentro.
Poi, piano piano, imparai a tenerlo più a lungo.
Facevo le pulizie di casa con quel gingillo dentro. Non portavo le mutandine e, quel nastrino rosso che mi faceva il solletico sulle cosce, mi eccitava a tal punto, che dopo un po’ mi ritrovavo sul letto, intenta a masturbarmi.
La sera, prima di andare a dormire, dopo averlo tolto, mi guardavo allo specchio dopo essermi allargata le chiappe, per controllare quanto si fosse allargato il mio ‘buchino’.
Devo dire che la cosa cominciava a piacermi e pensavo a quanto ero stata stupida, fino ad allora, a negarmi un simile piacere.
Due settimane fa ho cominciato anche ad uscirci. Tu non potevi saperlo, ma quando ci incontravamo per il corridoio, in ufficio, avevo dentro di me il giocattolino.
La cosa mi divertiva, mi eccitava da morire.
Un paio di volte, dopo averti visto, sono addirittura dovuta correre in bagno a masturbarmi.
Una sera, mi sono guardata allo specchio ed ho pensato che poteva bastare.
Avevo un buco bello largo, il giocattolino ormai entrava facilmente.
Era venuto il momento di far entrare te, così la mattina dopo mi sono inventata quella balla dell’amica di Torino.
Avevo una paura folle che tu mi dicessi che non era il caso di andare a pranzo insieme, ma mi è bastato darti uno sguardo, per capire che avresti fatto qualsiasi cosa pur di stare un’ora con me.
Quando ti ho fatto salire a casa mia, mi sono ricordato dell’ultima volta che era successo, più di due anni fa, pochi giorni prima della tua buffa dichiarazione d’amore.
Io, allora, portavo un paio di jeans aderenti e tu non mi staccavi gli occhi di dosso. Sentivo il tuo sguardo sul mio corpo come un qualcosa di fisico, di materiale.
Quando in cucina mi ero arrampicata sul panchetto per prendere un oggetto su un ripiano in alto, ti avevo letteralmente messo il sedere davanti al viso. Ti stavo provocando, lo sapevo benissimo.
Mi aspettavo, da un momento all’altro, che tu mi abbracciassi, mi baciassi, mi toccassi, insomma che facessi qualcosa.
Ero sola da diverso tempo ed avevo voglia di avere vicino un uomo che mi desiderasse, e poi, lo ammetto, tu non mi dispiacevi affatto.
Invece niente, eri rimasto tranquillo, fino alla fine del nostro incontro.
Allora pensavo che forse non ti piacevo abbastanza, oggi so che era esattamente il contrario, temevi di non riuscire a controllarti.
Il resto lo sai.

Pamela

P.S. Oggi torno in ufficio. Ho mangiato poco a colazione, credo che a pranzo avrò parecchio appetito. Ne volevo approfittare per far conoscere quel posto carino alla mia amica di Torino.
Ci vediamo alla stessa ora dell’altra volta, fuori dell’ufficio.
Il mio culetto non è ancora pronto (parlo della frusta, non per il dopo), ma se prometti di non esagerare, ti farò un po’ divertire con le mie tettine da adolescente, come le chiami tu.

Aveva appena finito di leggere il messaggio di Pamela, sapeva benissimo che non si chiamava così, ma questo non era importante.
Era rimasto assolutamente sorpreso.
Lui era stato lì, a farsi mille problemi, invece lei aveva organizzato tutto fin dall’inizio.
Sulla carta lui era il dominatore, che la ammanettava al letto, la frustava e poi la penetrava a suo piacimento.
Nella realtà, invece, era lei che aveva scelto con cura ogni particolare del loro incontro.
Lui, per giorni, poi, si era preoccupato di averle causato troppa sofferenza, invece lei gli stava proponendo di continuare, voleva addirittura farsi frustare sul seno.
Certo, lui, essendo un uomo, non poteva conoscere fino in fondo la sensibilità e la delicatezza di quella parte del corpo femminile, ma intuiva che sarebbe stata una cosa dolorosissima, anche se avesse operato con una certa attenzione.
Dopo, avrebbe dovuto comportarsi in modo da farle provare il massimo del piacere, per compensare il dolore atroce delle frustate.
Questa volta lei non fece tardi.
Neanche accennò all’amica di Torino, salì in macchina e partirono subito.
Era pallida.
Portava una camicetta rosa a cui aveva aperto i primi due bottoni.
Non aveva messo il reggiseno e si vedeva un accenno delle sue ‘tettine d’adolescente’.
Sotto portava una gonna marrone decisamente lunga.
Si sedette con una certa circospezione e lui pensò che doveva farle ancora discretamente male.
Come se gli avesse letto il pensiero disse:
‘ho dovuto mettere questa perché è molto comoda, non mi sono ancora ripresa del tutto, ma il giocattolino è già al suo posto.’
Mangiarono in fretta, erano entrambi ansiosi di tornare a casa di lei.
Mano mano che passava il tempo saliva la tensione.
Lui le domandò:
‘Hai paura?’
‘si, tanta, ma voglio farlo’
‘anch’io ho paura, perché non so come finirà questa storia, ho paura di quello che una volta ho definito il mio lato oscuro, e poi ho anche timore di rovinartele in maniera definitiva. A casa voglio dare un occhiata al tuo culetto, per essere sicuro che stia guarendo bene.’
‘se sali a casa mia dovrai andare fino in fondo. Se non te la senti, mi riaccompagni subito in ufficio e non ci vedremo mai più. Comunque, se vuoi sincerarti delle sue condizioni, ti accontento subito.
Fermati.’
Arrestò l’auto.
Stavano percorrendo una strada sterrata e deserta, in campagna, vicina al posto dove avevano mangiato.
Lei si slaccio la cintura di sicurezza, poi si voltò verso fuori cercando di alzarsi, almeno per quanto lo permetteva lo spazio angusto dell’auto, infine si alzò completamente la gonna.
Non portava le mutandine, probabilmente per evitare che, camminando, la stoffa sfregasse contro le ferite. I segni delle frustate si erano cicatrizzati e stavano guarendo lentamente. Certo, il suo sedere non aveva un bell’aspetto. In mezzo alle cosce spiccava il laccetto rosso che lui ben conosceva.
Quella vista gli fece tornare improvvisamente la voglia, irrefrenabile, che lo tormentava da anni. Pensò che il suo culetto era bellissimo anche così e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per entrarci dentro di nuovo.
Pensò pure che lei lo aveva fatto apposta, sapendo che quella vista avrebbe fatto piazza pulita di tutti i suoi dubbi.
Quando parcheggiò sotto casa di lei, rimasero qualche secondo in auto, senza parlare.
Lei si guardò un attimo dentro la scollatura. Le tremavano le mani.
Scese per prima e si diresse verso il portone, ancheggiando leggermente, come se questo fosse un invito a seguirla, un invito a cui non avrebbe potuto dire di no.
Andarono subito in camera da letto.
Lei si tolse le scarpe, si mise a sedere in fondo al letto, a gambe incrociate, dopo aver scansato i cuscini.
Lui le passò le braccia dietro alla testiera e le bloccò con le manette.
Cominciò a sbottonarle la camicetta.
Dovette tirare per estrarre il lembo inferiore infilato nella gonna, poi l’aprì per bene, lasciandole i seni completamente scoperti.
Naturalmente era la prima volta che li vedeva. Li aveva sempre immaginati, nelle fantasie che aveva fatto per anni su di lei, cercando di intuirne la forma e le dimensioni, attraverso una maglietta un po’ aderente o una camicia leggermente sbottonata.
Diversi anni prima, mentre guardavano insieme le foto delle vacanze, gli era capitata un’immagine di lei, sulla spiaggia, a seno nudo. Era stato solo un attimo, perché l’aveva subito tolta dal mucchio e, arrossendo, l’aveva messa via.
Ora invece, finalmente, poteva osservare per bene quelle che aveva sempre chiamato con ironia ed affetto ‘tettine da adolescente’.
Erano un poco più grandi di quello che aveva sempre immaginato. Nonostante l’età, erano ancora belle sode, con i capezzoli piccoli e scuri, in rilievo.
Su una delle due, proprio vicino all’attaccatura, c’era un piccolo segno incavato, probabilmente una vecchia cicatrice, magari di quando era bambina.
Tra un po’ di segni ne avrebbe avuti ben altri.
Mise un cuscino tra la sua schiena e la testiera del letto, per farla stare più comoda, poi le scostò i capelli dalle spalle e dal busto, sistemandoli bene oltre la schiena.
Ora aveva in mano la frusta.
‘sei pronta?’
lei fece cenno di sì con la testa.
Il primo colpo partì. Doveva essere veloce, ma senza caricarci sopra troppa forza.
I suoi seni avevano avuto un sobbalzo, come se fossero stati colpiti da uno schiaffo.
Un segno rosso attraversava tutto il suo busto, da sinistra a destra, passando poco sotto i capezzoli.
Si stava scurendo rapidamente, mentre una goccia di sangue, scendeva lungo il seno sinistro.
Lei era rimasta impietrita, con gli occhi sbarrati e la bocca aperta, incapace di articolare un qualsiasi suono.
Solo quando la seconda frustata la colpì alla stessa maniera, ma più in alto, quasi all’attaccatura, vicino alla piccola cicatrice, riuscì a gridare.
Aveva le labbra bianche e serrate e dagli occhi semichiusi scendevano delle lacrime.
Lui era rimasto come ipnotizzato, ad osservare la goccia di sangue che scendeva lungo la sua pancia scossa dai singhiozzi, seguita da un’altra e poi un’altra ancora.
Fu scosso dalla sua voce strozzata ma decisa.
‘continua, fai presto.’
Aveva riaperto gli occhi, i suoi occhi, grandi, marroni ed un po’ sporgenti lo stavano fissando.
Gli sembrava di vederci dentro il dolore terribile di quanto le stava infliggendo, ma anche la forza e la decisione di continuare, di andare fino in fondo.
Lei ora aveva tirato indietro la testa e stava con il busto proteso in avanti, come se volesse offrire meglio il suo seno al morso della frusta.
I capezzoli erano diventati duri e gonfi e puntavano in avanti, quasi a voler sfidare quei colpi terribili.
Riprese a colpirla.
Alla quinta frustata successe quello che lui aveva temuto fin dall’inizio: quella maledetta striscia di cuoio, dopo aver lasciato un segno profondo su tutto il seno sinistro, centrò in pieno il capezzolo destro.
Per un attimo sembrò che lei fosse stata colpita da una potente scarica elettrica, poi cominciò a torcersi e dimenarsi urlando disperatamente.
Durò solo pochi secondi, poi rimase, ansimante, con il capo chino in avanti, appesa alle braccia legate dietro alla schiena.
‘Basta. é troppo. Fermiamoci qui. Guarda che ti ho fatto.’
Disse lui osservando il capezzolo, quasi spaccato da una profonda ferita, da cui il sangue usciva copioso.’
Gli stava venendo meno il coraggio, aveva paura che se avessero continuato così, sarebbe successo qualcosa di veramente brutto.
‘No! Continua, fino alla fine. Poi lo dovrai curare. Lo leccherai e lo succhierai finché il sangue non si sarà fermato.’
Era una preghiera ma, allo stesso tempo, anche un ordine a cui non si poteva disubbidire.
Intanto aveva ripreso la posizione di prima, incurante del rischio che un altro colpo potesse colpirla di nuovo lì.
Lui arrivò fino a dieci, pregando che quella cosa terribile non accadesse ancora e cercando di colpirla nella maniera più leggera possibile.
Buttò via la frusta.
Si avvicinò e cominciò a leccarle le ferite.
Sentiva in bocca il sapore del sangue.
Quando ebbe tra le labbra il capezzolo ferito, capì che lei si stava eccitando sempre più e che avrebbe avuto presto un orgasmo.
A questo punto le liberò le braccia e lei subito allargò le gambe e lo tirò verso di sé.
Un attimo dopo era dentro di lei e dimenticò completamente quello che era successo fino a quel momento.
Anche lei sembrava aver superato indenne quel dolorosissimo tormento ed accompagnava i suoi movimenti, piantandogli le unghie nella schiena.
Vennero insieme e rimasero stretti l’uno all’altra.
Dopo un po’ lei lo scansò e si girò, mettendosi carponi.
Lui sapeva già cosa fare: le alzò la gonna ed estrasse con cautela il giocattolino.
Mentre lo infilava dentro e lei gridava di gioia, pensò che sarebbero andati spesso insieme a mangiare, perché avevano diverse cose, in arretrato, da sistemare.

Leave a Reply