Skip to main content
Racconti Erotici Lesbo

A N. da E.

By 9 Maggio 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

‘God know it’s just the Devil in me, the devil that’s taking my hand to the fire’
Desire, Anna Calvi

Erano strani giorni. Fatti di telefoni lanciati contro il muro (due, uno non sopravvissuto allo scontro). Fatti di notti insonni con una lucky strike in mano (e le repliche notturne della peggior televisione spazzatura di Sky). Fatti di corse a perdifiato per sbollire un po’ di rabbia (spesso molto brevi, per le Lucky Strike).
Fatti di cieli graffiati con le dita e guance scorticate contro le pareti dell’inferno. Fatti d’isteria che cova in gesti meccanici, rilevata da persone come mio fratello con commenti tipo:’fattela ‘na scopata, ogni tanto’. Fatti di attese che spaccano i polsi. Fatti di ‘tra adesso che sei tra le mie braccia e quando ci rivedremo ancora non ci sarà nulla’.
Perché il punto non è cosa è vero o cosa no. Non lo è mai. Il punto sono le cazzate a cui decidiamo di credere.
A volte mi fermavo a guardarla ed era così bella che mi faceva male alle viscere. La sentivo muoversi, piano, nello stomaco e poi più giù: la sensazione che gli altri potessero osservarla, spiare i suoi gesti, sezionare la sua bellezza. E desiderarla, come lo facevo io.
Avevo paura dei sorrisi che le strappavano, dell’attenzione che catturavano, dell’interesse che sapevano conquistarsi.
A volte mi detestavo perché assomigliavo a quelli che avevo odiato, quelli che mi tempestavano di domande, avanzavano pretese, imploravano rassicurazioni.
Una notte facemmo l’amore, entrava da dietro e si faceva spazio dentro di me, baciandomi la schiena, le spalle, il collo. Mi sussurrava nell’orecchio la sua eccitazione, le sue voglie, le sue fantasie. E allora glielo chiesi. ‘Sei mia, Elettra?’ lei si strinse più forte con le gambe al mio corpo, si muoveva più veloce dentro me, col respiro spezzato, mi faceva sentire che era bagnata del mio stesso piacere. ‘Non lo senti? Davvero non lo senti quanto sono tua?”Lo so quanto mi vuoi” le dissi. Già. Non era quello ciò che avrei voluto sapere. Le ondate del piacere mi bruciavano addosso, era un’estasi che spaccava la testa. Stavo tremando di desiderio, schiava di pulsazioni ataviche che solo lei risvegliava.
Ma sentivo tracce di lacrime in attesa, in fondo agli occhi.
Avrei voluto fermarmi, avrei voluto raccogliere i vestiti e andarmene via sbattendo la porta. Avrei voluto lasciarla lì ancora affamata e fremente. Avrei voluto toglierle il privilegio di guardarmi morire di passione per lei.
Ma poi lei divenne frenetica, spingeva più a fondo, dritto al centro. Mi graffiava la pancia sudata con l’altra mano, lasciando solchi che mi fecero urlare. Ma non era dolore.
Poi i miei gemiti si fecero più rari, il mio respiro tornò regolare. Avevo le lacrime agli occhi. Fottuta troia, con lei scopavi così? La rabbia mi fece girare la testa. Eppure la feci uscire da me, mi girai. Le divaricai le gambe con la mano. Mi chinai su di lei. Partii dalla pancia e arrivai giù. La assaggiai lentamente. ‘Ti piace il mio sapore?’ mi chiese, tra i sospiri. Domanda retorica. Non le diedi tregua. Ma il rancore era ancora lì, in quelle mani che stringevano talmente forte il lenzuolo da far sbiancare le loro nocche. Ripresi fiato solo un istante. ‘Anche lei era brava quanto me?’ poi ricominciai a fare il mio dovere con la lingua. Lei aveva la testa rovesciata all’indietro, gli occhi socchiusi. All’improvviso sembrò tornare in sé. Si tirò su e mi prese il viso tra le mani, mi baciò delicatamente la fronte, le sopracciglia, il naso. Feci per spostarmi ma lei mi abbracciò. La strinsi anch’io, e poggiai la testa sul suo petto. Cominciai a piangere.
Lei mi accarezzò i capelli, mi baciò ancora.
‘Ti amo Ilaria, amore mio’ti amo da impazzire’ ‘Anche io’ ma la risposta uscì male, strozzata. ”che c’è?’ non risposi. La paura, ecco che c’era. Lei lo sapeva che delle sue scopate non mi fregava nulla. O meglio, sì, ma non erano quelle a ferirmi così tanto, a distruggermi.
A farlo era la paura che il mio amore fosse così grande da soffocarla. La paura che fosse un’immensità fragile. La paura di chi sa di aver messo la propria vita interamente nelle mani di qualcun altro.
Ogni inizio cela già la fine dentro sé, ogni alba è promessa di buio.
Avrei voluto che mi dicesse bugie, che mi facesse giuramenti stupidi e banali. Amore dimmi che mi amerai per sempre, che farai il possibile e l’impossibile per rendermi felice, che staremo insieme per l’eternità. Riempiti la bocca di puttanate pseudo-romantiche e rovesciamele addosso con convinzione. Ti prego.
A volte avrei voluto avere catene pesanti con cui legare per sempre il suo corpo al mio. Questo pensiero mi terrorizzava.
‘Non voglio perderti’ le dissi, singhiozzando. Perché l’amore è dozzinale.
‘Ila’amore ascoltami. Io non posso darti la normalità. O le sicurezze, la tranquillità. Tu lo sai, e lo hai sempre saputo. Questa è una delle cose che mi hanno più colpito di te. Quando ci siamo conosciute parlavamo tantissimo, ricordi? Adoravo parlare con te. Parlavamo per ore di qualsiasi cosa, tranne che di noi due. Ed è ancora così. Non ci siamo mai soffermate a conoscerci, a togliere le rispettive maschere. Con te non ce n’è bisogno. Tu hai capito molto di me, questo all’inizio mi ha anche spaventata. A te è bastato uno sguardo per vedere oltre tutto, vedermi come mai nessuno prima di te. Vedere dentro le simmetrie, dentro i vuoti, i silenzi, i battiti. Io ti amo, ma non sono tua. Non lo sarò mai. La normalità, quella di tutti, non posso dartela. E so che neanche tu la vuoi. Posso inventarmene un’altra però, insieme a te. Non ci credo nei per sempre. Lo sai, non farmelo ripetere. Ma a me non me ne frega niente dei per sempre, della fedeltà, delle promesse. Mi importa solo di quello che mi fai sentire. Io ti rendo felice, Ilaria? Staresti meglio con me o senza di me? Queste sono le uniche domande che ha senso farsi, cazzo. Il resto sono solo’muri nella testa. Inutili.’ la sua voce era balsamo per le mie ferite. Che fosse stata lei a infliggermele finiva in secondo piano.
La baciai con ancora nel cuore la rabbia e la frustrazione di pochi minuti prima. Si dissiparono presto. Le sue labbra si muovevano ancora con dolcezza, ma i suoi occhi tradivano altro. Mi voleva di nuovo. Chissà perché, le mani sanno sempre cosa fare e dove andare. Presi ad accarezzarla. Giocavo, la facevo soffrire. Mi allontanavo un po’ e ritornavo. Mi guardò maliziosa, mordicchiandosi in labbro inferiore. ‘Che fai’non entri?’ feci segno di no con la testa. La sfiorai con le dita, con tutta la mano. Quanto mi piaceva vederla soffrire così. Ansimava, non smetteva di fissarmi dritto negli occhi. ‘Ti prego” e alla fine non potei fare altro che accontentarla. Che sacrificio, eh?

Leave a Reply