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Racconti Erotici Lesbo

Antonia, amica mia.

By 9 Febbraio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

E’ bello dedicarsi al proprio corpo, non solo coccolarlo ma anche allenarlo, spingerlo a fatiche e sforzi ed irrobustirlo con lo sport. Il tennis mi piace, come mi piace vestirmi tutta di bianco, con una canottierina bianca bordata di rosa, una gonnellina candida e sotto mutandine sempre bianche che mi fanno sentire una scolaretta ingenua.. La mia amica Antonia sfoggiava una magliettina di seta rossa, gonnellina simile alla mia che lasciava intravedere deliziose mutandine bianche di pizzo. Ovviamente nessuna delle due aveva il reggiseno: le dimensioni dei nostri pettorali sono tali da lasciarli muovere agevolmente sotto i vestiti. I suoi capelli castani sono, al solito, legati in una coda e fermati da un cappellino con una larga visiera. Io che ho i capelli corti preferisco avere solo una visiera rosa shocking trasparente.
Sul campo in terra battuta scherziamo con le racchette e le palline, lanciandole senza troppa grazia, anzi sembriamo proprio negate. Ma siamo fatte così, ci piace scherzare e ridere come ragazzine, e tra un lancio ed un altro, raccontarci di uomini ed aneddoti lavorativi. Giochiamo per circa un’ora, come al solito, con fraseggi tennistici che non vanno oltre i due scambi. Siamo delle frane, ma tra il correre per il campo, lo sgambettare e l’inchinarci per raccogliere le palle ferme siamo riuscite a sudare e sgranchirci le gambe sempre ferme per il nostro lavoro sedentario. Ci accorgiamo come al solito che ci sono dei ragazzi che osservano senza farsi accorgere, i soliti timidi’ Sapete come sono i ragazzi? Un po’ spacconi ma tanto bambinoni, e stanno lì con le bocche aperte. Noi ogni tanto ci ricordiamo che ci sono e sculettando un po’ ci inchiniamo nella direzione giusta con molta calma e ci rimettiamo a posto le mutandine quando si infilano nel nostro solco, con un dito, spostando l’elastico in un posto meno fastidioso e ridiamo come due ochette. E loro guardano con interesse. Ma giunge l’ora della fine dell’affitto del campo. Ormai siamo sudatissime e non vediamo l’ora di farci una bella doccia corroborante. Salutiamo con un’occhiata i ragazzi dietro la rete e scodinzoliamo verso gli spogliatoi. Fa molto caldo in questo pomeriggio estivo. Sono le 16 ed è molto afoso. I nostri corpi profumano di sudore e lasciano una traccia nell’aria come una nuvola di arrosto.
Ma una brutta sorpresa ci aspetta nello spogliatoio’ La doccia che avevamo aperto per lasciar scorrere l’acqua non funziona. Niente da fare. Siamo costrette a rimanere così. Allora Antonia cerca di risolvere la situazione nel modo più semplice. ‘Andiamo a casa mia per lavarci’ si, era la più semplice: abitava a meno di 100 metri dal campo e non sarebbe stata una cosa brutta, con questo caldo. Via di corsa’ Di fuori dal campo non c’erano i ragazzi ad aspettarci’ i soliti spacconcelli timidi. Meglio così. In pochissimo tempo arriviamo al condominio di Antonia, di corsa all’ascensore, entriamo ed arriviamo al quinto piano. Quelle poche decine di secondi che ci hanno viste all’interno della cabina avranno fatto sì che il prossimo uomo che sarebbe entrato si sarebbe eccitato, tali e tanti erano i nostri profumi corporei rimasti nell’aria. Immaginiamo erezioni improvvise anche in personaggi anziani che conosciamo bene, nel condominio. Ci ridiamo su scherzandoci e facendo dei nomi’
Via di corsa in casa, e di corsa al bagno. E’ grande, con un grande lavabo incastonato in un ripiano in marmo con venature nere sovrastato da un largo specchio. Ci togliamo subito le scarpe da ginnastica ed i fantasmini. E rimaniamo così, dinanzi lo specchio a guardarci tramite di esso, riflesse. Antonia è dietro di me e mi fissa intensamente sempre facendo rimbalzare il suo sguardo sul vetro pulito. Si avvicina e la sento sfiorarmi la schiena con il suo corpo. Chiude gli occhi e mi da un bacio sul collo, poi allunga le braccia per abbracciarmi. Io sento la sua bocca leggera e chiudendo gli occhi alzo le braccia dietro la mia testa e prendo la sua nuca. Alzo la testa e la giro, e mi strofino sul suo viso sudato. Guancia contro guancia, sfioriamo le labbra e mentre io le accarezzo i capelli e con la coda dell’occhio ho nel campo visivo lo specchio, lei insinua le mani sotto la canottiera e mi carezza i seni. Ha gli occhi aperti e li fisso con i miei socchiusi. Lei mi sfiora con i baci dal collo e passa alle spalle, poi girando attorno al braccio si mette sotto l’ascella. E’ sempre curiosa e viene attirata dai piccoli peli. Sento che respira dal naso e con un fiato di voce ‘Amica mia, il tuo profumo è così buono da farmi girare la testa. Vorrei anch’io avere il tuo sudore’ e bacia proprio sotto il braccio, accarezzandolo per tutta la sua lunghezza. A me piacciono queste attenzioni e mi eccitano, come mi eccita essere abbrancata da dietro dinanzi uno specchio. Lei mi stringe di nuovo i seni e mi bacia la nuca, strofinando il naso tra i miei corti capelli che immagino profumino della stessa mia pelle, poi fa scendere le mani per sbottonarmi la gonna, ed io faccio altrettanto con lei, ma nella posizione in cui sono mi è difficile, e per non essere goffa le accarezzo i fianchi, porto le mani avanti e mi poggio al lavandino inchinandomi un poco, passivamente. Poi mentre la gonna scivola in terra, alzo prima una poi l’altra gamba e con la punta della scarpa do’ un calcio all’indumento lanciandolo lontano. Alzo un po’ il culetto come spinta dall’istinto e per sentire Antonia dietro di me, presente e calda. La sento, e la vedo riflessa, più alta, che si china a baciarmi la schiena e contemporaneamente si sfila la gonna dopo aver aperto lo zip. E scende con una guancia a sfiorare la spina dorsale baciandola e tirando fuori la lingua ogni tanto come per segnare la strada da seguire. Percepisco il suo fiato caldo sulla mia pelle bagnata che fa lo strano effetto di sentirla rinfrescare, come se soffiasse. E forse sta proprio soffiando come una gatta. Rimango così ferma, la spina dorsale arcuata come una scimmia a ricevere attenzioni, carezze e baci, le mani che scorrono per la schiena lentamente ed a volte con fatica per il sudore che la ricopre, mi fa sentire coccolata, desiderata, ma allo stesso tempo carica dentro di me una tensione sessuale che aspetta solo di scattare come una freccia incoccata su di un arco teso allo spasimo. Le sue unghie si esprimono in grattini sulle scapole che mi suscitano brividi allo stesso modo della sua lingua che costeggia ogni vertebra incontri dal mio collo all’osso sacro. Ma siamo ancora troppo vestite per goderne appieno. Mi sfila dall’alto l’esile e zuppa canottierina, e mentre lo fa, sento il cotone impregnato del mio odore passarmi sopra il viso facendo scorrere per la mia mente quel pensiero tante volte espresso. Io mi amo in tutto, nei miei odori, nei miei sapori, nel mio corpo ed i miei angoli smussati e la mia carne sempre morbida ed appetitosa. Ogni giorno alzo le braccia e col mio naso esamino attentamente e mi estasio di me stessa come un cane che metta il suo muso sotto la sua coda. E fino a dove arriva la mia lingua cerco di esplorare me stessa e gioire dei miei stessi sapori.
Mi giro solo per pochi lunghissimi attimi con il fine di toglierle la magliettina sudata. La sollevo con ambedue le mani e lei solleva le sue braccia per agevolare il passaggio dell’indumento. Le sue ascelle sono depilate ma non perfettamente e lasciano nel suo incavo adombrato un sottile odore delicato di rosa, il suo deodorante, che sta cambiando in quello che preferisco, ovvero l’odore della sua pelle. Le blocco le mani in alto tenendole con le mie e legandole quasi con la magliettina semisfilata. ‘Ferma così, non muoverti ti prego’ le dico con una voce sussurrata. La maglietta sopra la testa la fa sembrare un delizioso lume tenuto dalla mia mano sinistra. Le sfioro il viso con il mio e la bacio delicatamente dagli occhi alla bocca che tiene socchiusa, poi scendo sul collo e con la lingua fuori la lecco fino a terminare sull’ascella sinistra. E lì sotto mi soffermo a respirare caldo e profumo e sudore. Lascio scivolare la mano destra sul suo corpo fino a raggiungerle il pube. Con una torsione del polso le tocco e ricopro completamente il monte di Venere, passando la mano sopra il tessuto merlettato, un po’ liscio di seta un po’ ruvido di ricamo, ma caldo e morbido come ciò che ricopre. Muovo il polso come un automa perché in realtà tutta la mia coscienza è altrove, nel mio naso nel mio cervello, nella pelle delle mie gote che a contatto con la sua morbida sottile umida ascella, mischiano sudore alla mia saliva. E la lingua soffre di questo ma al contempo esulta poiché sente oltre all’odore, il sapore salato del risultato di un’ora di allenamento. E maledice il retrogusto chimico della rosa che voleva coprire tale prelibata essenza naturale. Ma torno in me dopo infiniti secondi di torpore estatico e la guardo negli occhi socchiusi e con la mia bocca sigillo la sua che mi sta dicendo piano ‘cosa fai cosa fai… ‘ e poi nient’altro. La sua lingua è indaffarata con la mia ad intrecciarsi e giocare ed assaporarsi nel loro liquido saettare come pesci rossi in una brocca di vetro. Sento i suoi denti, le gengive, il palato e sento la sua lingua sui miei denti, le mie gengive il mio palato, la sento in me, scivolare come le sue labbra scivolano ai lati delle mie facendomi sentire come un cono gelato, un sorbetto un dolce.
E getto via la sua maglietta, e lascio che il suo braccio ormai libero mi cinga il collo e me lo accarezzi e risalga per tenermi viso guancia ed orecchio e poi giù di nuovo intorno alla bocca e sul collo. Le tolgo quella orribile coda di cavallo e lascio che i suoi capelli le scendano un po’ appiccicandosi al volto ed al collo ed un po’ scivolino dietro intrecciandosi con le mie dita carezzevoli e mai ferme. La prendo per le spalle, e come in un passo di danza, la giro verso il lavandino invertendo le posizioni che fino a qualche minuto prima erano decise. Ora è lei a curvarsi come una gattina verso lo specchio, con la testa sollevata per guardarmi riflessa in esso, gli occhi per metà chiusi per meglio godere delle mie unghie che viaggiano tutte insieme sulla sua schiena. Ora è lei ad offrirsi alle mie mani che giunte al limite delle mutandine la fanno scattare allo stesso modo di un gatto che accarezzato sulla sua schiena alzi di scatto la coda. Lei solleva di scatto il sedere in un gesto che qualcuno potrebbe interpretare come volgare, ma che per me è pura poesia. Le prendo i fianchi mimando un amplesso come se fossi uomo, strofinando il mio pube sulle sue natiche, oscillando avanti ed indietro, e poi passando braccia e mani sulla sua pancia, risalgo con una ad abbrancarle i seni mentre con l’altra catturo in mezzo le cosce lo stesso soffice monte che sotto le mie dita poco prima avevo già sentito. Le accarezzo i seni intorno ai capezzoli che sfioro come due fiori sotto il mio palmo, piano, delicata e tra le dita strizzo e premo e con i polpastrelli gioco prima con uno e poi con l’altro e li sento come pelle d’oca sul braccio mentre curva la testa in avanti e mi bacia i polsi e le dita ed il braccio, allontanando la nuca dalla mia bocca poggiata su di essa, con ancora i suoi capelli lunghi tra le mie labbra, che succhio come per spremere ancora sapore da lei. La mia mano sinistra ora scivola sotto la sua scarna protezione di tessuto e con un rapido movimento agguanta la sua pelle liscia, laddove io ho irsuta. Col dito medio saggio dove inizia a dividersi e sento che la discesa è comoda calda e lubrificata, di modo che mentre la mia bocca morde la sua pelle tra le scapole, medio ed indice scivolino e percorrano la strada fuori e quasi dentro, più e più volte come un conquistatore che voglia saggiare le difese dell’avversario rinchiuso nel castello assediato.
Scendo con la bocca strofinandomi tutta su di lei ancora poggiata in avanti e piego le gambe finché arrivo ai suoi slip dei quali mordo l’elastico superiore e con le due mani, così accovacciata, le sfilo l’ultimo suo vestito, piano più con i denti che con le dita fino alle caviglie, finché lei non le sollevi, prima un piede poi l’altro, liberandosi e così senza blocchi , allarga le gambe tenendole distanti tra di loro lasciandomi intrufolare la testa tra di esse .e le risalgo leccando le gambe e le cosce al loro interno con la lingua incollata come a seguire una traccia che mi porti all’origine. E la raggiungo, prima con il naso che quasi sprofonda in quel piccolo guanciale che come una bocca cerca di baciarmi e le cui labbra dilato con le mie ed insinuo la lingua senza trovare lingua denti e palato. O meglio, simile al palato, con la saliva di un sapore più aspro che mi riempie la bocca per gravità. E la muovo lenta con tutto il mio viso come per lavarmelo sotto una cascata d’acqua calda e subito dopo come per asciugarmi sulle sue natiche sode, fresche e lisce. Ma no, mi basta, e mi immergo di nuovo ancora, respirando con la bocca aperta, il naso schiacciato in quei comodi anfratti che visito con gusto, quasi scientificamente col fine di non lasciare inesplorato ed inassaggiato ogni millimetro quadrato della sua morbida pelle che fino a poco tempo prima era nascosta.
Carezzo le gambe lisce per tutta la loro lunghezza fino dalle caviglie ai fianchi che tornisco con gesti curvi e stringendo e spostando come una contorsionista terminando con una posizione per la quale solo dopo un minuto sento i muscoli della cosce in uno stretching innaturale. Riesco a rigirarmi sotto di lei portando la bocca sotto il suo ombelico e, con le gambe sempre piegate, agganciarmi con le mani sui suoi glutei come se stringessi dei seni in uno strano abbraccio famelico. Come una leonessa pianta i denti e beve il sangue di una sua preda, io arpionandola bacio lecco e mordo l’area intorno e sopra e sotto il pube, in un folle equilibrio dove non c’e violenza ne’ un veloce fagocitare, ma un lento gustare sopra ed in profondità come un cammello in un’oasi nel deserto.
Quando lo sforzo si fa dolorante al punto di non sopportarlo risalgo il suo corpo come se scalassi una vetta morbida, e giunta a gettarle le mani intorno al collo, abbracciandola, torno a baciarla come se dovessi restituirle l’aria respirata e l’acqua che ho bevuto. Mi attacco a lei e lascio che le nostre pelli si saldino nell’umidità del sudore che trattiene come una stella marina ad un conchiglia, e sembra che si creino ventose per ogni avvallamento dei nostri corpi. Risucchi e compressioni dei muscoli che ci avvicinano e scivolano e lasciano ombre madide e chiazze asciutte.
E sento le sue mani scorrermi lungo la schiena regalandomi brividi e sussulti, fino a raggiungere l’orlo dell’ultimo piccolo lembo che mi ricopre ancora. E piano lo toglie e sfila e tira su, e gli elastici sembrano tagliarmi tra le cosce e poi rallentano e si rilassano e con loro le mie carni. E sfila ancora del tutto facendomi sentire l’aria fresca anche in quegli angoli riposti e caldi per il troppo restare coperti ormai da ore. Infila un ginocchio tra le mie gambe e spinge giù le mie mutandine facendomi sentire attrito sul pube, ma poi allenta la spinta e con il piede tira giù ancora e toglie del tutto. Io alzo i piedi prima uno poi l’altro e finalmente nuda mi avvinghio ancora di più e stringo con le mie cosce la sua gamba che tiene ancora al centro. E scende e risale come se fossi un palo di lapdance, strofinandosi e rilasciando il suo sudore assieme al mio, e completamente addosso alla mia pelle sembra verniciarmi come un rullo, ed insieme al suo corpo intero, il suo viso scivola via su tutto quel che di me è esposto. E come una gatta che chieda del cibo, urta oscilla e si strofina al mio corpo, e come per paura di farmi male, subito dopo una sua parte soda, segue la sua bocca per calmare spinte esagerate o strette troppo violenti. Ed insieme alla bocca socchiusa, la lingua lenisce ancora possibili miei luoghi asciutti, ricostituendo quella umidità che ha alzato la temperatura ed appesantito l’aria nella stanza in cui ci trovavamo.
Provo a restituire le attenzioni, ma la mia lingua si ferma sul suo collo per attimi lunghissimi ma intensi, e poi decisa, intrappola i suoi piccoli capezzoli carnosi che vengono succhiati come se avessi sete. Ma non mi aspetto altro che esplorare con la mia bocca le sue punte che trattengo tra le labbra irrigidite bloccandole senza farle male. Ma le mani sono libere di muoversi e di toccarla completamente per ogni millimetro di pelle, massaggiando e plasmando come se stessi costruendo un corpo di argilla. E come questa terra bagnata, la sua pelle sotto le mie dita scivola via ma senza errori, e senza rovinare le sue rotonde fattezze percorrono ed arrivano in mete diverse ma sempre calde e piacevoli al tatto. Eppure dimostro poca fantasia quando insisto sempre ad approdare negli stessi porti trovando comunque un caldo riposo per le mie mani battagliere. E’ dolce sentire la sua pelle aprirsi senza ferirsi, e la sua carne allo scoperto senza sanguinare, ed i suoi liquidi bagnarmi senza soffrirne. Il mio braccio tra le sue gambe una volta larghe un’altra strette, la circonda verticalmente e mandando in perlustrazione il medio sulla schiena mentre l’incavo del mio gomito la trattiene come se fosse un orribile enorme perizoma. Si insinua nelle sue vallate intime penetrando ed uscendo dovunque possa farlo, e come uno sciatore ridiscende in slalom montagne innevate, così le dita tra le sue colline rotonde scendono sinuose e si fermano nel laghetto caldo dentro il quale si inabissano curiose di capire quanto piacere possano trovare.
Davanti allo specchio sembra svolgersi un amplesso in cui tutti gli arti e le nostre bocche mulinano estatiche in mosse inaspettate portatrici di sensazioni che sembrano nuove, ma che risalgono dalla memoria aiutandoci a percorrere sentieri conosciuti. Questi sono i momenti in cui si perde la percezione del presente, quando sono tutti i sensi allarmati per capire e comprendere l’altra ed ogni minimo punto che sia fisico o mentale, in cui sorprendersi. Gli occhi chiusi sono però un affronto alla specchiera ed alle nostre immagini che ci restituisce, come se volessimo annullare il senso che dicono più importante, ma abusato, per lasciarci sprofondare con la mente e con la pelle in amorose sensazioni di intime amiche.
Ormai siamo però stanche di posizioni innaturali, in un piccolo locale comunque freddo, non per la temperatura ma per ciò che ci restituisce in comodità. E sappiamo che il rimedio è uno solo. La vasca da bagno a due posti tristemente asciutta tra poco ci vedrà rilassate e passionali. Antonia dopo essersi divincolata dal mio abbraccio si china allungando una mano verso i rubinetti. Apre il flusso caldo e lo mescola con quello freddo finché il calore non è più insopportabile, e scavalcando il bordo vi entra schizzando un po’ con i piedi. Mi prende per mano e mi attira a se. Entro anch’io con un sobbalzo per il calore dell’acqua, alla quale mi abituo dopo pochissimi secondi. La vasca sembra un duro letto matrimoniale e mano a mano che l’acqua cresce, sappiamo che diverrà un morbido talamo. Antonia si sdraia in uno dei posti disponibili, le spalle poggiate alla parete interna, ed io mi siedo sopra di lei, o meglio mi siedo tra le sue gambe aperte, come se il suo corpo fosse il mio schienale su cui mi adagio cercando di non pesarle, e reclino la testa da un lato offrendo il mio collo alla sua bocca, ed aspettando che le sue braccia mi cingano. Le bacio quando sono di fronte al mio viso, poi passano sotto le mie e mi stringono. Mettendosi conserte le braccia mi scivolano addosso senza fermarsi su di me, e quindi le prendo con le mie. La sinistra la porto sui mie i seni e la destra sul mio cespuglietto, spingendola con forza fino a che tirando su le ginocchia e allontanandole tra loro rilasso le cosce e ciò che custodisco tra di loro, e mentre mi soffermo a concentrarmi sul mio orecchio sinistro nel quale la lingua mi solletica e mi fa diventare sorda, sento le sue dita entrare in me e muoversi come un animaletto giocoso. E attendo che gli umori e le sensazioni crescano di più mentre accarezzo le sue cosce di velluto, bagnate d’acqua calda, sottolineando i suoi muscoli rilassati e la sua carne morbida.
Risalgo la corrente del suo corpo verso la fonte. Risalgo lungo gli argini dei suoi muscoli e della pelle liscia: percorro con i palmi larghi a dita spalancate tutto intorno le sue cosce piene, carezzando e stringendo ma senza prendere. Le dita non riescono a ghermire se non per pochi millimetri, perdendo l’appiglio tra la schiuma del sapone che Antonia mi lascia scorrere dal collo e scendere tutto lungo di me. Il mio busto ancora fuori del livello dell’acqua è unto di questo sapone alla menta cosparso su ogni piccola area regalandomi una sensazione di fresco che pur rallegrandomi allontana da me i miei odori e da Antonia i suoi. ‘Amica Amanda sei fresca e buona come un gelato alla menta’ mi sussurra in un orecchio dopo avermi leccato il collo e scivolato lungo le spalle con le labbra, vicino al mio orecchio destro. Lei è sempre quel morbido schienale al quale io mi poggio rilassata. Giro la testa verso la sua e sfiorandole la bocca rispondo ‘Amica Antonia lascia che ti sia ristoro la mia pelle, ma lascia entrare le mie dita alla ricerca di calore’. E lei rilascia i muscoli della gambe e le ginocchia non più tese, così che io portando le mani dietro la mia schiena, le accarezzo la pancia e scendendo agguanto le sue cosce e come un imputo scivolo tra di esse fino a trovarmi al cospetto della sua entrata. La mia mano destra solletica la pelle rilassata fino ad aprire un varco e poi uscirne saggiando quanto senza fatica potessi entrare. Con l’indice della sinistra ora forzo fino alla falangina e roteo per divaricare meglio con più soddisfazione quel minimo ingresso, mentre con l’altra mano ridiscendo la piccola valle delicatamente bussando e roteando il polpastrello intorno l’altro roseo fiore. Le mie mani sono piene di carne e pelle e piccoli brividi caldi. E muovo dita e palmi e mani, ed anche le braccia con le quali scivolo e salgo, e la mia testa benché non sia rilassata come vorrei, girata verso di lei le bacia il braccio destro che poggiato sulla mia spalla sinistra mi carezza i seni scivolando dall’uno all’altro. Ma è lì sotto con l’altra mano che la mia amica mi dona folli sensazioni parallele a quelle che io le regalo. Io entro e lei entra. Io esco e lei esce, con la differenza che la sua mano è più naturalmente poggiata sul mio morbido cespuglio e come una spugna segue i movimenti della mano e come un guanto, una volta un dito poi altri, li ricopre vestendoli di un tessuto morbido e caldo. Mi piace quando gira e tocca e preme e mi immagino come se si stesse toccando la propria fonte di piacere con me stessa frapposta tra la sua mano ed il suo piacere. E mi sembra che ripetendo i suoi movimenti, è come se io mi stessi toccando traslando in un’altra parte del mio stesso copro, con sensazioni rimandate di pochi attimi nel futuro come un doppiaggio fatto male. Adoro quando la sua mano scivola sui mie seni mentre l’altra è dentro di me, e ritmiche mi donano gioia e sussulti inaspettati quanto involontari. L’unica volontà che capisco è quella di dare e ricevere piacere, di godere di tocchi intelligenti e di fremiti meditati.
Sento che in questa posizione non posso baciare, non posso giocare con la mia bocca e la sua pelle; non posso guardarle gli occhi socchiusi e la pupilla che non si vede. Non posso vedere la sua bocca semiaperta e la sua lingua che esce leggera aiutandola a respirare come singulti improvvisi. Tutto ciò che mi piace di più ora non lo posseggo, se non quella posizione rilassata a gambe larghe tra le quali una mano gioca e mi lavora con dolce sapienza.
Come un delfino goffo mi giro svincolandomi dall’abbraccio e scivolo un po’ verso il bordo opposto della vasca, prendo fiato e mi immergo come una sommozzatrice stupida in quei pochi centimetri d’acqua calda. Dirigo la mia bocca tra le sue cosce e incastrandomi come se fossi una nave nel porto lascio fuoriuscire la lingua penetrandola con questo poco pericoloso sperone. La sensazione di gusto passa da quella disgustosa del sapone a quella amabile del salato acido caratteristica di noi donne. La lingua entra ed esce e rotea più volte in quell’atmosfera uterina nella quale non sento se non echi di acqua sui miei timpani, senza respirare e con i liquido tutto intorno la mia testa. Gli occhi socchiusi bruciano appena ma non mi impediscono di seguire lo spettacolo di un corpo femminile che sta godendo.
Esco strofinando la bocca sulla sua pancia e tra i suoi seni, e come un animale felice salgo aiutandomi con le braccia e le mani, e con un girare delle mie anche mi siedo di fronte a lei e l’abbraccio forte, allargando le gambe e circondandola fino a trovarla tra le mie ginocchia, e stringendo le mie caviglie come un lucchetto intorno a lei, la stringo e la bacio. A lungo, le nostre bocche bagnate di acqua e bagnoschiuma scivolano l’una sull’altra, l’una dentro l’altra lingua contro lingua, respiro contro respiro, braccia strette, gambe strette, mani sopra e dentro il sesso, toccano sfiorano chiudono aprono, stringono, accostano, congiungono, legano, scaldano, si impregnano e si lavano, accarezzano e coccolano, lambiscono e rasentano pelle liscia lucida luminosa, brillante, pulita, calda, da mangiare, da baciare, da spremere, da torchiare, da amare.
Ma amare non è possibile in questo ambiente. Non possiamo far altro che giocare e sguazzare come bambine, ma vogliamo oltre, vogliamo amarci a lungo lentamente, tornare a passar tempo insieme senza paura di farci male, essere bagnate non di acqua calda ma dei nostri umori, dei nostri baci, del nostro sudore in una stanza senza condizionatore, lasciare le nostre forme sul materasso, riempire l’aria del nostro profumo di donne che si stanno amando. Amiche che stanno giocando.
Usciamo quasi senza parlare, con un unico gesto di intesa, e scalze sul tappetino nella stanza, prendiamo ognuna un asciugamano e lo poggiamo sul corpo dell’altra, asciugandoci con calma, passando lungo tutta la pelle umida il tessuto spugnoso. Ma dove sto asciugando, aggiungo un bacio, dove tolgo l’acqua, passo la lingua, allungando il tempo per terminare il lavoro. L’aria calda che viene dall’esterno, insieme al sole pomeridiano, aiuta a toglierci l’acqua di dosso, tolgono l’umidità, e malgrado fossimo ancora non completamente asciutte, ridendo come adolescenti, Antonia mi prende per mano e mi porta in camera da letto.
Sembra la stanza di un’adolescente, quella di Antonia. Disordinata e con tanti poster alle pareti. Il rosa sembra farla da padrona, come in quella foto in cui lei, nuda, sorride mostrando il suo essere una ragazza solare. Si getta con un salto lasciandosi rimbalzare sul materasso a molle, scuotendo completamente il letto e lasciando ondeggiare i piccoli seni come se nuotasse. Ride con gli occhi un po’ socchiusi poi allunga le braccia verso di me chiedendomi di abbracciarla. Restando in piedi ad un lato la accarezzo sui capelli con una mano, leggera. Lei chiude gli occhi e continua a sorridere. Con l’altra le accarezzo i seni e girandoci intorno sfioro i capezzoli e poggio le mie labbra sulle sue e comincio a baciarla mordicchiandole le labbra e lasciando giocare le lingue come se fossero serpentelli. Lei alza il mento offrendo il collo ai miei baci. Lo faccio mentre scendo con la mano per riempirla del suo monte di Venere e giocando con il disegno dei suoi scarsi peli pubici, che disegnavano un piccolo triangolino. Lascio che il mio dito medio entri in lei senza incontrare resistenza. E’ scivolosa come un flacone di olio profumato, e sento leggeri rumori liquidi ad ogni movimento del dito. Ma anch’io lo sono. Un dito di Antonia entra in me con la stessa facilità con cui il mio la sta esplorando. Anche i rumori sono gli stessi. La sua altra mano mi trattiene la testa grattandomi la nuca mentre indugio sul suo collo ed i seni. Siamo tutte e due impegnate a dare e ricevere, sospiriamo con piccoli gemiti ad ogni movimento delle dita e delle lingue. E come in questi casi, c’è sempre una persona che sta comoda ed una un po’ meno. Io in questo caso sono rimasta in una posizione che non mi lascia rilassare come vorrei. Prima poggio le ginocchia sul bordo del letto, poi allargo le gambe offrendomi sempre di più alla sua mano. Sporgo il mio peso in avanti fino a scaricarlo su di un braccio solo. Ma non può continuare in questo modo. Penso per un attimo all’egoismo della mia amica sdraiata sul suo letto, ed allora neanche troppo inconsciamente, le do’ un pizzicotto su di una natica. ‘Ahia!!! Stronzettina che non sei altro!’ e mi da’ una sculacciata con un forte rumore. Allora salto su di lei come un’amazzone su di un cavallo imbizzarrito e le prendo i polsi con forza allontanandoli dal corpo mentre lei con un sobbalzo cerca di disarcionarmi gettando in alto il suo corpo flessuoso. Mi abbasso per sbatterle in faccia i miei seni. Lei risponde tirando fuori la lingua per tutta la sua lunghezza e cercando di addentarmi i capezzoli. ‘No’ no non lo fare, altrimenti sono guai’ le dico abbassandole le braccia. ‘Adesso la mia bella cavallina mi porterà a spasso” e con un saltino mi tolgo dalla posizione in cui ero e scendo da lei, ma per subito girarmi di 180 gradi e risalirle sopra. Agito il mio sedere lentamente, e mi strofino sopra il suo viso per sentire i suoi lineamenti, il suo naso, gli occhi la fronte, scivolarle sui capelli e sentire quando lascia saettare la lingua con piccoli colpi che mi bersagliano e solleticano quando la irrigidisce, o mi carezzano e scivolano quando è rilassata, morbida e così bagnata da sentirmi quasi a disagio. Ma non è disagio, una sensazione che mi prende la testa, che mi fa sentire come divorata, inutilmente scarnificata come se fossi la preda da inghiottire con calma, come se venissi digerita da una pianta carnivora, come se mi togliessero la pelle staccandola dal corpo. Senza dolore. Per sentire meglio rimango seduta cercando di non pesarle, inclinata e poggiata con le mani sulle sue gambe, e quando apro gli occhi, le volte che riesco a farlo, osservo le sue gambe lisce che risalgono fino a quel sesso così buono e delicato, estremamente morbido ma che ora non tocco ne’ sfioro se non con gli occhi, persa come sono nel sentire la sua lingua regalarmi sensazioni e sospiri. Allargo sempre di più le gambe perché voglio sentire sempre meglio quando mi strofino sul suo mento senza paura di essere disarcionata, e quando seguo con i movimenti tutto il suo profilo, disegnandole un ritratto con il mio sesso umido.
Nel preciso momento in cui inizio a sentire alcune sue dita che mi stuzzicano l’altro buchino, roteando e solleticando e dandomi quasi fastidio in tutta l’aera sfiorata, decido che anch’io voglio il sapore di lei, e piego le braccia fino ad arrivare con la mia bocca tra le sue gambe e mentre mi avvicino sento aumentare il suo odore fino a diventare insostenibilmente appetitoso al punto da farmi aprire la bocca il più possibile e riempirla con tutto quel che potevo racchiudere di lei. Annuso forte mentre la sento divaricare come per farmi entrare, e tra le sue cosce, giungo a quei punti troppo lisci per non essere leccati, troppo caldi e delicati per non essere carezzati dalle mie guance. Ma il punto a cui arrivo verso cui sono automaticamente attratta sembra spalancarsi come un passaggio segreto non appena la mia lingua esce per quasi tutta la sua lunghezza e con cautela come se la infilassi in una coppa di minestra, si delizia di liquidi acidi e salati e buoni. Attingere a questa coppa è sublime, come di sicuro sarà sublime la mia, di coppa, alla quale la mia complementare compagna attinge copiosamente. E’ questo il bello dello scambio, del do ut des, della generosità fisica di due amiche in sintonia, due corpi stretti in una melodia di respiri in una sinuosa danza di lucertole o serpenti alla ricerca del calore reciproco, di un sole oscuro ed umido che anche se non vedi, sai che il suo calore è forte e ti dà vita.
Mi piace questa posizione, adoro stringere ed avere tutto sotto il controllo; mi piace usare la bocca con delicatezza e la lingua con allegria. Mi piace toccare ed accarezzare comodamente ed usare tutti i sensi per amare. Allo stesso tempo adoro essere passiva e comodamente toccata, senza quegli sforzi muscolari che ti impongono i maschi, senza quella minima violenza del sentirsi oggetto di esplorazioni profonde, senza quei ritmi atoni di sudate ginniche e strapazzi senza fiato. Esiste un tempo per godere e far godere, per baciare ed essere baciate, per toccare stringere e leccare, ed essere sottoposte a quella lenta tortura di una lingua che ti percorre le grandi labbra, quelle piccole, e si affaccia curiosa ad assaggiarti in quel morbido, caldo, profumato, bagnato nido in cui amo perdermi e lascio che altri vi si perdano. Ora Antonia è persa. Lo sento, lo so. Ed io sono persa, e mentre alzo la bocca e mi sento scivolare ai lati non solo la mia saliva, mi volto ed oltre le braccia incrociate che mi stringono le reni, so che c’è il bel volto di Antonia,la mia amica, immerso in me. E sono felice.

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