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Racconti Erotici Lesbo

*BIONDO DI LUNA**

By 6 Giugno 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Siamo in pieno agosto, l’Italia è in ebollizione, anche a quest’ora della sera; ma
qui, nello splendido paese in mezzo all’Appennino dominato dal secolare castello dei Fieschi, spira un fresco venticello, che profuma di erba tagliata, di fieno e di mucche al pascolo.
Dalla finestra aperta sulla piazzetta medioevale contornata da portici trecenteschi arrivano le voci di ragazzi che giocano e il brusio della gente seduta ai tavoli dei bar, intenta a gustarsi l’aperitivo.
Qui sono venuta a rimettere in sesto il corpo e lo spirito( lavoro,studio,guerre amorose ) e a ritrovare i vecchi amici, come Pier, per esempio, che mi ospita nella sua antica casa dagli alti soffitti ottocenteschi dipinti ; i suoi sono in giro per l’Europa e noi ci ritroviamo da soli a vagare per le stanze immense, mentre facciamo programmi di appetitosi svaghi , che includono ovviamente nuove storie amorose.
Mi guardo nell’enorme specchio veneziano che occupa gran parte della parete e ciò che vedo mi soddisfa: è stata una scelta felice quella del completo giacca-pantalone di taglio maschile in lino nero, praticamente uguale a quello del mio ospite.

Con una sola differenza , Pier sotto la giacca indossa una camicia bianca,di seta, io nulla.

Penso che niente sia più eccitante di un abito maschile dal taglio perfetto su un bel corpo di donna ( la modestia non è il mio forte, adoro il mio seno, il mio sedere, le mie gambe, etc. etc.).
Ho raccolto i capelli in modo da lasciare scoperto il viso e far risaltare gli occhi, molto truccati, al contrario delle labbra, che sottolineo appena.
I miei sandali preferiti dell’amato Gucci ( la mia unica concessione alle ‘firme’) dal tacco alto e sottile e gioielli artigianali d’argento e pietre dure completano l’abbigliamento.
Aspiro con intenso piacere il mio odore: dopo la doccia ho profumato la pelle dell’inguine, del collo e dei seni con una goccia di olio dall’aroma dolce e speziato, penetrante , che ho portato dall’Egitto.
Sorrido, passandomi la lingua sulle labbra, l’istinto da predatore, che credevo per il momento sopito, si è risvegliato.

Pier, il mio ospite, entra nella stanza, al solito senza bussare, tanta è la familiarità tra noi:
-Caspita, Fede, sei bella da paura, quasi quasi ci riprovo con te, potremmo anche starcene in casa , che dici ?-
Lo guardo attentamente e come al solito mi chiedo che cosa mi abbia spinto, in un tempo lontano, ad andare a letto con questo bietolone, tanto bello e caro, ma meno saporoso di una minestrina di verdura.
‘Non dire scemenze, siamo in caccia tutti e due, te lo sei scordato? Ognuno per sé, dio per tutti, come si dice’ Piuttosto, se sei pronto, andiamo a cena’
Dobbiamo trovarci con altri vecchi amici al ristorante “La vecchia quercia” per la rimpatriata
annuale.
Usciamo sotto i portici, tenendoci per mano e come al solito non passiamo inosservati: siamo due pavoni, quando ci è consentito vestirne il piumaggio, almeno questo in comune ce l’abbiamo.
Intanto Pier mi parla di Giulio, che ha appena ritrovato e che io ricordo appena, ma soprattutto di sua sorella Francesca, che non vede da cinque anni e che pare sia una top-fica. Ha appena divorziato ed è tornata al paesello per riprendersi.
Lui ha intenzione di aiutarla a risollevarsi, soprattutto se è così bella come gli hanno detto.
Io non la conosco.
Quando arriviamo al ristorante, gli altri ci sono già, meno Giulio e Francesca.
Baci e abbracci si sprecano e anche i ‘Come stai? Ti trovo benissimo, etc, etc,’falsi come monete false.
Prendiamo posto all’aperto, tavolo con vista panoramica: le due sedie vuote di fronte a noi sono un segno premonitore; ci guardiamo, io e Pier e pensiamo la stessa cosa: proviamoci con i due che’
‘Eccoli, arrivano’ dice Marta.
Infatti, dalla piazzetta una coppia si dirige al nostro tavolo; lui, Giulio, è alto, magro, trasandato in jeans e camicia sbottonata e penzolante fuori dei pantaloni, sigaretta in bocca, capelli biondi e cortissimi, sguardo’avvolgente.
Mi bacia e abbraccia, dicendo che si ricorda di me, e mi da pure una palpata al sedere, distogliendomi completamente dalla sorella, che nel frattempo si intrattiene con Pier.
Il sapore della caccia appena iniziata mi riempie la bocca.

Poi Francesca si rivolge a me e si presenta da sola : mi trovo di fronte la più bella ragazza che abbia mai visto.
‘Jean Harlow’ penso immediatamente: è lei, la sfortunata e bellissima diva americana degli anni trenta, la donna per cui venne coniato il vocabolo ‘biondoplatino ‘ a immortalarne il colore incredibile dei capelli, capelli di luna.
Ho visto e rivisto i suoi film decine di volte, scarico da Internet tutte le foto che riesco a trovare e ora lei è davanti a me.
Non fraintendetemi, niente bocca a cuore e ciglia finta e abito di raso con vistosi gioielli.
No, è tutto il corpo della nuova arrivata che me la ricorda, la sua gestualità; quando sorride e parla, mi pare di sentire la voce gioiosa e leggermente nasale di Jean mentre gli occhi color topazio devono essere identici a quelli della diva (marroni, vengono descritti), come pure i capelli.
Si, i capelli di Francesca sono molto biondi, proprio di un biondo platino, quasi bianchi, luminosissimi e acconciati in morbidi riccioli intorno al viso, che il mento, un poco appuntito, fa rassomigliare ad un cuore.
La sua pelle è lattea, a differenza della mia, olivastra che il sole estivo ha reso simile al cioccolato fondente.
E’alta, sottile; indossa un completo di seta opaca, top e gonna ultracorta a portafoglio molto bassa sui fianchi di quel color champagne che sta bene solo alle bionde-bionde.
Mi chiedo se non senta freddo, seminuda com’è, ma non posso far a meno di ammirare il tenero ombelico e il ventre piatto da sportiva.

Odora di ‘Shalimar’ un profumo decisamente passato di moda.

Siamo in piedi, l’una di fronte all’altra, parliamo, chiacchere futili, io le guardo i capezzoli, eretti sotto la seta leggera del top, lei mi fruga con gli occhi il seno abbondante, mentre la sua mano, dalle dita lunghe e sottili, stringe con forza il bracciolo di una sedia.
In quel gesto sento il suo desiderio, che deve essere come il mio, improvviso e bruciante.
Oh, il sesso fra donne, intrigante e misterioso, fatto di onde forti e appaganti, di sofisticate carezze che precludono ad orgasmi sfolgoranti.
Amo il duro pianeta maschile ma ogni tanto una morbida incursione in quello femminile mi è necessaria, è come ritrovare un’altra me in un corpo che per questo arrivo a desiderare alla follia.
Ci sediamo a tavola, Giulio mi fa una corte serrata, allunga le mani per toccare le mie, vuol bruciare i tempi, mi fissa le labbra, forse ha intuito quanto mi piace l’amore orale, solo che non è al suo sesso che penso in questo momento.
Anche Pier sta tentando di corteggiare Francesca e lei lo lascia fare, ma tra noi due, la biondaplatino e la nera, corrono onde di desiderio così intense che mi meraviglio nessuno riesca a percepirle.

Tra le cosce sono bagnata, mi dimeno sulla sedia a disagio; in quel momento gli occhi topazio mi fissano: ridono quegli occhi, prima della bocca.
‘Fede, vieni un attimo in bagno con me, credo di avere un problema, scusateci solo un attimo, cose di donne’
Mi alzo e la seguo, tutto pare ondeggiare di fronte ai miei occhi, vedo solo onde rosse di desiderio.
Entriamo nei bagni, dove non c’è nessuno: sono tutti alle prese con gli antipasti e i primi piatti, forse siamo fortunate, se non arrivano nuovi clienti.
Restiamo un attimo in piedi, davanti a uno degli specchi dell’antibagno e ci guardiamo:
‘Fede, non ho mai fatto proprio tutto, con una donna, anche se lo desidero da sempre ; quando ti ho vista ho capito che ti volevo e che tu mi volevi, ma forse è meglio che usciamo, cosa dici”
Non la lascio finire, entriamo in un bagno, e costringo Francesca al muro.
Tremando accosto le mie labbra alle sue e la bacio, le divoro la bocca, mentre le mani febbrili cercano i piccoli capezzoli sotto il top.

Si stacca da me e comincia a gemere.

Allora mordo piano e lecco quei seni favolosi, come se fossero coppe di gelato.
Lei mi mette le mani nei capelli e li scioglie, mormorando il mio nome.
Ma è la sua fichetta che voglio, voglio mangiarla lì, dove è più morbida .
Così mi inginocchio davanti a lei, le sfilo gli slip, mentre Francesca , con quella sua strana voce, dice, piano:’
‘No, Fede, questo non l’ho mai fatto, non so se…’
Il suo sesso è ricoperto da una rada peluria bionda, una sottile tela di ragno dorata dalla quale spunta una specie di tenero muscoletto d’amore, di ricciolo soave, come se le piccole labbra si fossero un po’ arricciate e piegate una sull’altra.
Immergo il viso nel suo grembo dorato e la mia lingua fruga, accarezza, indugia, palpa, preme, penetra nella sua vagina che stilla piacere, apre le piccole labbra in due ventaglietti di carne, poi, mentre continuo a divorarla con la lingua, infilo un dito nella sua umida fessura e lo passo delicatamente lungo i bordi, mentre Francesca geme sempre più forte, tanto che .

‘Stai zitta’ sono costretta a dirle, con una voce che non riconosco.

Sento il suo orgasmo arrivare dentro la mia bocca come un fiume in piena: si inarca verso di me, mentre io la bevo, golosa.
Intanto una mia mano si è infilata nei pantaloni per dare sollievo al clitoride gonfio e teso dall’eccitazione.
Sono così bagnata che mi chiedo se dal leggero tessuto di lino trasparirà la macchia.
La mia splendida diva biondoplatino, la mia Jean Harlow con un ultimo gemito si accascia, finendo anche lei in ginocchio, il viso sulla mia spalla.
‘E’ stato magnifico Fede, un piacere da fine del mondo…
E tu?
Andiamocene , voglio toccarti dappertutto, hai la pelle di un colore incredibile, scura come i tuoi capelli’
‘No, torniamo dentro, Francesca, finiamo di mangiare, dopo aver assaggiato te, ogni piatto mi sembrerà più buono; domani avremo tutta la giornata per noi, ce ne andremo per i boschi a far l’amore, ti va?’
Ci rialziamo, lei mi infila una mano nella giacca, e tenendo nel palmo uno dei miei seni come fosse un frutto maturo, succhia avidamente il capezzolo, da cucciolo affamato.

Sto quasi per ricominciare, ripresa dall’eccitazione, quando sentiamo dei passi avvicinarsi e la porta dell’antibagno aprirsi.

Le sollevo la testa, la mano perduta in quei riccioli morbidi e biondi, le passo un dito sulle labbra e dico:
‘Andiamo, domani tu porti i panini , io i beveraggi, conosco dei posti straordinari per fare picnic”


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