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Racconti Erotici Lesbo

EICMA-da hostess

By 25 Novembre 2015Dicembre 16th, 2019No Comments

“oh sei figa!”” esclama il più tosto del gruppetto, come se fosse la prima volta che me lo dicono in questi giorni, o nella vita.
Sorrido, nicchio, lascio correre con tutta l’abilità che posso avere nel fargli pensare che non gli dò retta “anche perché non posso”, perché sono qui per lavoro.
Mi chiamo Viktorie, ma tutti allo stand continuano a chiamarmi Vicky. Insopportabile, ma va già bene, perch&egrave tutti quelli fuori dallo stand usano altri termini. Faccio questo lavoro dai tempi della maggiore età, come pura e mera fonte di guadagno, non ambisco a passerelle, copertine, veline, mi importa di avere un bancomat con cui comprarmi dei libri per purgarmi l’inconscio dell’essere qui, in una giacchetta aderente estremamente scollata coordinata ad una mini-minigonna, a fare la bella statuina.
Mi dicono che sono un’attrice nata, in effetti me la cavo bene a fingere di essere davvero nel posto migliore del mondo, a sorridere ed essere ammiccante, scostante, santerellina e porca nello stesso momento.
“It’s business, baby.”

Passato il gruppetto più interessato dò un colpo di tacco dello stivaletto lucido sul pavimento del palchetto, &egrave tutto lo sfogo che posso esprimere per la mia irritazione e indolenzimento di zigomi nel sorridere da mattina a sera. Sculetto -perch&egrave se sei su un palco anche la minima mossa &egrave notata, &egrave ovvio- verso il retro dello stand, prendo una bottiglietta d’acqua e bevo, osservando la folla mezza nascosta e mezza no, perché la mia presenza potrebbe essere richiesta in ogni momento. Queste maledette bottiglie con i tappi ‘push’ sono odiose, o bevi come da un biberon o devi spararti in bocca l’acqua. In entrambi i casi…
“ehibbella, vuoi succhiare altro?” la fantasia grezza che susciterà lo spettacolo &egrave la stessa che mi urlano dei quindicenni ciondolanti. Per fortuna non rappresentano minimamente un target appetibile per l’azienda per cui lavoro, non potrebbero permettersi neanche un bullone di queste moto che stanno sul palco.
Faccio segno con la mano di muovere il culo via dal circondario, e vengo acclamata da fischi e supposizioni che io non copuli abbastanza.
Li ignoro e continuo a bere, purtroppo trovano piena risposta da altri “uomini” di età maggiore e riversano tutte le rimanenti battute da testosterone sulla mia compagna di stand.
Natal’ja, a cui va bene che riescano a chiamarla Natalia, diciotto anni, biondina, un viso da bambina con occhi grandi da cerbiatta e un fisico dalle curve accennate, &egrave la sua prima volta come hostess ad un evento di una certa portata e, caspita, sta andando davvero male. Non so cosa ci sia oggi in giro, ma &egrave già la terza volta che finisce bersagliata, la sua insicurezza, quel tremore di tensione, sono segnali chiari per qualsiasi imbecille.
Ho già dato il mio in questi due giorni facendomi avanti un po’ di più o deviando l’attenzione di qualche imbecille troppo molesto, ma Tal’ja cara, devi cavartela da sola. Sono avventori, schivali, ignorali, se proprio non ce la fai…
“ma sotto la gonna sei bionda uguale?” fa uno di loro dando un’evidentissima strizzata alla chiappa destra di Natal’ja, che sobbalza, si scosta, e tira un sorriso assolutamente da panico. E’ troppo, allungo qualche passo deciso sul palchetto mentre prendo il cicalino.
“Ehi ehi ehi ragazzi, piano con le mani” dico cortesemente impedendomi di verificare quanto questi tacchi siano appuntiti sui loro testicoli “neanche il verduraio fa tastare la roba, figuriamoci qui”.
“oh che cazzo vuoi!” si bulleggia il quindicenne “questa fa la troia in minigonna e poi viene a dire!” tenta di esplicare un concetto più complesso il quarantenne attraente come lo sporco dietro un frigorifero.
“va bene, va bene” alzo le mani in segno di comprensione, arrendendomi di fronte al fatto che spiegare che il nostro essere scollate e scosciate sia un invito alla palpazione quanto il fatto che loro abbiano delle narici sia un invito ad infilarci dentro la penna che tiene Tal’ja nella mano tremante. Troppo tremante. Crollo imminente.
Il cicalino si becca una pigiata e in un attimo due cortesemente imponenti signori della sicurezza appaiono, e mentre amabilmente discutono con gli inevitabili errori dell’evoluzione umana del perché toccare il culo alle hostess sia una cosa che un po’ li secca, Natal’ja cammina via in fretta, io chiedo il cambio appena posso al ragazzo che &egrave li con noi -che non &egrave abbastanza scollato per suscitare battute- e vado in bagno.

“Tal’ja? Ehi? Ci sei?” chiedo, appena la porta dell’asettico locale si chiude dietro di me. “P…P… Prominte.” piagnucola qualcuno nell’ultimo scompartimento. Sospiro.
Per fortuna almeno con lei posso usare la nostra lingua, &egrave crollata così tanto che sento non tirerà fuori una parola in italiano per la prossima mezzora. So che succede.
Povera Tal’ja, il tuo cervello si &egrave trincerato in stand-by, sei corsa nel luogo più intimo che avessi a portata come un animaletto terrorizzato. Sarò delicata.

“Dai, fammi entrare”sorrido alla porta, parlandole nella nostra lingua, e dopo qualche istante di indecisione il chiavistello si apre ed entro, richiudendo a chiave. E’ una ragazzina, non preparata a subire due giorni filati di battute e allusioni, nessuno si può preparare, solo farci il callo e un po’ di cinismo. Sta seduta sul water raggomitolandosi su se stessa, nel tentativo di non farmi capire che sta piangendo dal nervoso, ma la sua bella bocca carnosa &egrave contratta, stringe i denti aspirando l’aria in un rantolo piagnucolante, come un cagnolino ferito.
Provo a spezzare il silenzio. “Nata’a…” (vezzeggiativo di Natal’ja) “… Dai, ti manca solo una mezza giornata e poi sarai sopravvissuta…”
Piagnucola. Mi accoscio e le sorrido. “… Pensa a quanto poco gli tiri il cazzo a quelli li, se sono nello stato di palpare culi a noi…”
Tal’ja scoppia a piangere come una fontana, singhiozzando un “ma tu come fai!” di una tenerezza infinita, prima di alzarsi di scatto e andare più lontano, cio&egrave una spanna più a destra, nell’angolo.
Mi alzo e la abbraccio, tra le sue proteste, mi porto quel capino sussultante sul petto. Le dico che la capisco, ricordo le mie prime volte, i pianti del nervoso che ho fatto anche io. Di considerare questo come un esempio di quello che il lavoro può portare, e quindi di vederlo anche come un segnale del suo non esserci portata.

“Perché lo fai?” sussurra con i capelli biondi che sfiorano in maniera molto (troppo) interessante il mio petto. Sospiro. “Ho un affitto da pagare. Libri. Cibo… Soprattutto cibo.” la sento sorridere, benissimo.
“… Mangi dolci?” chiede sorridendo. “Oh no, no assolutamente, non va bene per la mia dieta…” dico con sicurezza, scostandomi il ciuffo di capelli neri corti che mi cadono davanti gli occhi. Le scosto una ciocca di quel color platino per accostare la bocca al suo orecchio. “Cioccolato. Di quello buono. Una marea di cioccolato nero amaro, tavolette grosse e spesse da pasticceria, &egrave come fare sesso intenso con un bel ragazzone di colore molto dotato, appagante dall’inizio della cappella al pube.”
Alza lo sguardo verso di me, curiosa. Alzo le sopracciglia in maniera inecquivocabile. “Oh sì, a Vik il cioccolato piace molto.” scoppia a ridere, singhiozza ancora qualche lacrima ma la sto portando a non pensare alle palpate. Bene.
La stringo ancora un po’, nonostante il suo respiro lieve sulla pelle mi susciti brividi non dipendenti dalla temperatura continuo a tenerla vicina, carezzandone la schiena e senza rendermi conto le sfioro l’incavo del collo, la nuca.
Sospiro, e se ne accorge. “… Mi… Piace…” sussurra lei. Piace anche a me, me ne rendo conto, ho tra le mani questa affusolata bellezza che mi sta ispirando simpatia, e anche del gran sesso.
La allontano un poco. “Puoi continuare se vuoi…” dice con un sorriso imbarazzato, spostandosi una ciocca e fissando il pavimento.

“No, scusami, io… Sarebbe come… Come quelli lì fuori.” Esatto Vik, sarebbe come quei devoluti che la vedono come un agglomerato sessuale e basta, mentre invece &egrave anche una… Una ragazzina, spaventata, titubante, non puoi farle nulla.
Tal’ja assume un’espressione seria, stringendomi a sua volta con decisione, ha uno sguardo sicuro nonostante la mezza spanna d’altezza che ci separa. “No. Questo non &egrave come quelli li fuori, tu mi stai sfiorando, mi stai consolando…” la sua mano prende la mia e se la porta dritta all’incrocio delle cosce. “… E anche se non ho mai fatto niente con una donna… Mi eccita da morire.”

“Maledetta ragazzina, così perdo il controllo!” penso per un millesimo di secondo prima di afferrarle la nuca e darle un bacio vorace, ora voglio quelle labbra carnose adese alle mie, voglio succhiarle la lingua, danzare assieme a lei, staccarmi solo perché così posso baciarla di nuovo.
“Mmmh… Tal’ja” sospiro mentre mi afferra un seno molto più generoso del suo e cerca di insinuarsi sotto l’inutile giacchetta che portiamo per lavoro. “…Che invidia queste tette” sorride strizzandomela. La ragazzina piagnucolante sta sfogando lo stress in una maniera decisamente più congeniale anche a me ma non le permetterò di prendere troppo l’iniziativa. La sbatto contro il muro e in un secondo la mia mano si posa sul suo sesso pulsante.

La bacio, la sfioro, come se fossero due cose separate, a volte, o come se la mia lingua che le danza in bocca replicasse i movimenti delle mie dita. Tal’ja, splendido fiore biondo platino, sospira sempre di più lasciandosi esplorare.
Passiva, remissiva, ormai preda delle mie carezze si lascia condurre docilmente verso il piacere, i suoi occhi da cerbiatta si schiudono ogni tanto solo quando mi stacco dalla sua bocca, ma i miei baci sul collo la rispediscono ad ansimare a palpebre chiuse.
“muoio…” sussurra lei, facendomi sorridere. No bella biondina, stai vivendo. “Goditi il momento…” le sorrido (ordino?) “… Io e te, chiuse qui, non pensare ad altro…”
Le sue labbra si schiudono in rantoli sempre più coinvolti, ma non la lascerò venire, per cui rallento il ritmo, si calma, torniamo a delle dolci carezze che vedono le mie dita sfiorare le sue grandi labbra.
“… Potremmo continuare in un posto più comodo, a fine giornata…” colgo un dubbio nei suoi occhi, in effetti &egrave così clandestino, improvvisato, lei vorrebbe carezze e attenzioni nella calma totale dell’intimità…

“OOHH!” crolla con uno spasmo mentre le mie dita la penetrano senza troppi complimenti.
Sorrido a un millimetro dalla sua bocca ansimante, sussurrando a denti stretti
“… No. Non ho intenzione di rimanere tutto il giorno qui con te senza aver già assaggiato il tuo piacere, trattenendomi… Dovrai guardarmi tutto il giorno come quella che ti sta facendo colare in un cesso.”
Tal’ja risponde solo succhiandomi un lobo dell’orecchio e mugolando.
“Vedrai come ignorerai quei coglioni dopo un orgasmo come questo!” le aggiungo sussurrandole su una guancia, e aumento il ritmo, esploro la sua piccola callosità con le dita e premo con il palmo, il polso, della mano. La tormento da dentro, premendo da fuori, sto scavando come un’abile artista la forma del suo piacere, ne modello il ritmo, intensità, realizzazione, e solo quando sento che non posso trattenerla oltre dopo minuti interi di picchi e fasi calme, lascio che venga.

“Ohhh…mmmmh!!!” comincia a urlare ma le tappo la bocca con la mano, spiacente biondina, stasera potrai farti la voce rauca a forza di ululare, ma nel bagno &egrave meglio di no. Mi morde le dita, le succhia, continua a sussultare per un tempo che mi pare infinito e qualche piccola lacrima le spunta sulle belle ciglia.
Delicatamente, quando sento che il suo fiore comincia a rigettare le mie ultime carezze, esco da lei, le scivolo sulla pelle e mi porto le dita alla bocca. La fisso in questo gesto perché veda che la voglio assaporare per bene, e Tal’ja &egrave dolce, delicata, un miele tenero come lei che ansima ancora adesa alla parete in cui ha quasi cercato di ficcare le unghie.
La stringo mentre si ricompone, la bacio, mi assicuro che sia a posto ed usciamo dal bagno. Allo specchio la vedo piegarsi in avanti per controllare qualcosa ed &egrave un invito troppo esplicito, la affero da dietro e le sussurro “Stasera hai da fare?” la mia mano scivola nell’incavo di questo bel sedere fino al sesso. Sospira e sorride, posso leggere nel suo sguardo pure l’ora a cui ci vedremo nel mio albergo. Si volta schioccandomi un bacio ed esce dal bagno, sinuosa, giovane, quasi virginale.

Sull’uscio incrocia un’altra hostess che mi vede e mi saluta.
“Voi siete quelle dello stand ********? La biondina che &egrave scappata a piangere?…Succede a tutte la prima volta…” Annuisco.
“Ci sono ‘prime volte’ molto più piacevoli…” sorrido passandole davanti a grandi passi, sistemandomi la giacchetta scollata e salutandola.

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