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Racconti Erotici Lesbo

Esame fiaccante

By 21 Luglio 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Io ero veramente incredula e logorata, visibilmente agnostica e totalmente svigorita, perché dopo avermi rifilato una bassissima valutazione nella prova di matematica, mi rassegnai conformandomi indiscutibilmente alla netta e indiscussa oggettività, che la docente di nome Elsa ce l’avesse irrimediabilmente con me. La mia, invero, era un’affermazione più che limpida e naturale, convalidata e in seguito suffragata per la sua durevole durezza nei miei confronti, siccome non ricordo giorno nel quale io non mi sia adeguatamente preparata, analizzando ed esercitandomi concretamente nella materia, di tutto ciò che la rinomata istruttrice ci assegnava per casa, accluse le facciate discrezionali degli approfondimenti, contenuti peraltro in un libraccio irreperibile, che io stessa ero andata a rintracciare presso le biblioteche del capoluogo.

Onestamente non riuscivo a comprendere né decifrare la ragione della sua accanita antipatia né la perenne avversione nei miei confronti: io mi ero incessantemente preparata, ma non solo: pure il mio contegno era inappuntabile, addirittura eccessivamente lezioso e perbene. Io non ho mai reagito all’egregia donna in maniera odiosa né sono mai caduta in fallo dinanzi alle sue preoccupanti interrogazioni: solamente che lei aspirava in tutte le maniere di farmi assimilare che non avrei avuto rimedio, giacché s’accaniva ingegnandosi di trovare costantemente il cosiddetto pelo nell’uovo in ogni mia risposta. In sintesi, la sua comunicazione non verbale che voleva farmi recapitare significava grossomodo così: ‘Capisci oppure no, che parlando con franchezza mi stai sulle scatole?’.

In una piovosa mattinata d’ottobre ne ebbi abbastanza, perché appresso uno sfibrante esame, terminato con un misero e squallido tre, sollecitai alla professoressa gestendo a malapena la mia accesa indignazione, di fissarmi urgentemente un colloquio privato nel tardo pomeriggio. Lei accettò ben volentieri sorridendo tra i denti. Desidero preavvisarvi che la docente in questione &egrave una donna di quarant’anni che veste con abbondante accuratezza, ma non solo, ha gli occhi blu e i capelli lunghi, con una corporatura ridondante e cedevole, eppure nell’insieme non &egrave niente male. Alle diciassette, in perfetto orario, mi presentai presso la sala dei docenti con una brama esagerata di far valere le mie private ragioni, perché lo sgradito punteggio ricevuto nella mattinata avvampava ancora nel mio ricordo, perché mi sentivo nel contempo spaventosamente corrucciata e tremendamente furibonda ed esasperata con me stessa, per non aver giammai detto niente in tutti questi mesi d’angherie, d’ingiustizie e di soprusi sofferti. Basta, dovevo picchiare alla porta velocemente ed entrare. Vieni pure Giovanna, mi ribadì una voce da dietro il vetro pesante della porta, dunque era sicura che fossi proprio io.

Io entrai con molta spigliatezza con uno sguardo crudo, distaccato e imperterrito, predisposto ad arte borbottando un lieve buonasera, poi mi girai. E là potei vederla, accomodata nei pressi d’una cattedra tra fascicoli, incartamenti e cataloghi vari, la mia docente di matematica. Era vestita di colore nero, con un vestito lungo all’altezza del ginocchio che s’apriva lateralmente in uno spacco, mentre i suoi capelli neri che abitualmente teneva legati all’interno d’una crocchia austera e inflessibile come lei, attualmente erano sciolti e sparpagliati sulle spalle. Le parole stavano quasi per scomparire nella gola al cospetto di quell’apparizione, tuttavia infondendo e imprimendo un leggero maltrattamento ai miei sensi, in maniera insensibile e palesemente imperterrita mi portai di fronte alla docente:

‘Presumo che tu voglia conoscere come mai io sia tanto acerba, dura e malvagia con te, non &egrave vero?’ – m’investì celermente la docente con le parole intuendo rapidamente le mie burrascose e movimentate intenzioni.

‘Illustre professoressa, stiamo scherzando o che cosa? Pare a momenti che lei voglia serenamente prendermi per i fondelli. Si rende conto oppure no, che io corro seriosamente il rischio d’avere un debito formativo in matematica per le sue antipatie e intolleranze personali nei miei riguardi?’ – quasi sbraitando. La docente, dalla pacatezza celestiale di poc’anzi mutò rapidamente sfoggiando un’espressione d’irritazione nociva e pregiudizievole:

‘Non ti consento di conversare in questa maniera con me. Adesso, in aggiunta a ciò, hai malsanamente danneggiato la tua personale posizione’.

‘Quale livello, che tipo di posizione? Allora, vuole spiegarmi il perché?’.

La docente composta, equilibrata e flemmatica, stavolta scattò rabbiosamente in piedi, vistosamente rossiccia tra le gote in fiamme spolmonandosi:

‘Per quanto mi riguarda, io non sono tenuta a esporti né a indicarti un bel niente, capito? Tu sei la studentessa e io sono l’istitutrice. E’ chiara la nozione? Adesso fuori di qui’.

Nell’enunciare queste definizioni notai la spallina del vestito della docente staccarsi dannosamente mostrando metà del suo bianchissimo e prorompente seno. Non so di preciso che cosa avvenne, ricordo soltanto, che un poco per l’irritazione e il rodimento di chi si sente maltrattata e offesa, un poco per l’eccitazione che mi cagionava il suo bel corpo, così mi feci avanti e afferrai la docente cingendole la vita, appioppandole un sonoro schiaffo sulla faccia. L’esimia e rispettabile insegnante, che sempre m’aveva fatto tanta paura, si sciolse letteralmente tra le mie mani e, in silenzio, le sue labbra si disegnarono lentamente in un sorriso. Io tesi le labbra arroventatissime verso le sue spingendo il suo viso contro il mio, baciando quelle labbra con totale slancio, assaporando la sua bocca con soddisfazione mentre lei opponeva una debole resistenza come per volersi distanziare.

Dopo, non so come avvenne, perché mentre io già cercavo una scusa plausibile per giustificare discolpandomi da quel comportamento sconsiderato, la professoressa Elsa sollevò il bordo del vestito con le mani e lo tirò su fin sopra la testa, rimanendo praticamente con le calze, le scarpette nere e le mutande di fronte a me. Aveva delle tette dalla forma tonda, ancor più grandi di quanto sembrava dal di fuori, ma soprattutto, come constatai, soffici come il latte e leggermente sproporzionate rispetto al resto del corpo, per il semplice fatto che le assegnava un certo qual fascino osceno e sboccato alla sua figura. La vita sottilissima e snella s’apriva in due fianchi tondeggianti e carnosi, per nulla ginnici, ma totalmente provocanti. Io mi gettai sopra quella carne, ero desiderosa di lei, mentre divoravo la pelle liscia del collo e del seno la sentii sussurrare al mio orecchio:

‘Se soltanto t’ingegnerai nel farmi godere come si deve io m’adopererò, affinché i tuoi bassi voti salgano immediatamente, passando lestamente da quatto a nove’.

Quello che avevo appena udito era sorprendentemente incredibile, mirabolante e perfino stupefacente, un’estorsione di primo livello, un ricatto bello e buono in piena regola, per di più architettato e compiuto da una docente affamata, lesbica, ninfomane e vogliosa. In quella stravagante congiuntura accettai accogliendo di buon grado l’inattesa, lasciva e impudica proposta, perché in realtà neppure m’interessava che cos’avrei ottenuto come permuta, tenuto conto che volevo solamente scoparmi semplicemente la docente per il puro piacere di farlo. In fondo, non era ciò che avevo sempre sognato? A chi pensavo, ogni sera, nel mio talamo, durante le mie infinite e lussuriose masturbazioni? Certamente alla fica dell’istruttrice Elsa senza dubbio alcuno.

Io lambii tutto il corpo della docente sentendola frignare mentre avevo le sue tette in bocca, giacché quei capezzoli talmente irti mi finivano sempre sotto la lingua, però succhiarli per me era una soddisfazione inaudita, quasi volessi staccarglieli. Intanto le mie mani fluivano lungo le gambe, le cosce e infine il didietro della docente tenendolo fra le mani per un po’ di tempo, brandendo quel muscolo deformabile che avevo per lungo tempo bramato. Le sue erano chiappe d’una bellezza fulgente, poiché il suo tipico chiarore pallidissimo m’abbagliava gli occhi. Con le mani giunsi nella piega soffice delle natiche, all’interno succulento che si nascondeva alla vista, con le dita scoprii una fica insospettabilmente pelosissima, nerissima e odorosa, colante di fluidi, irrigata oltre misura. Con la lingua cominciai la lenta opera, le leccai il clitoride teso e pulsante che si nascondeva all’interno di quelle deliziose piene labbra. Il mio naso assieme al mento affondavano nella pelle abbondante della sua fica, lei non faceva nulla per consentirmi di respirare, anzi, si spingeva sempre più con il bacino dritto sulla mia faccia, cercando forse di stimolarsi da sola con movimenti indomiti e selvaggi.

Io ero sempre genuflessa di fronte a lei, dopo mi stremai di quella posizione, perché mi sollevai in piedi e voltai la docente in maniera tale da poter avere di fronte la schiena e il meraviglioso didietro della donna.
Una volta che non ci fu più il pericolo d’occhiate indiscrete e irriguardose verso di me, avvolsi con le mie braccia la docente da dietro, perdendo radicalmente in quella circostanza ogni residuo di pudore rimasto. Mi sarebbe in verità piaciuto permetterle di far godere pure me in qualche modo, malgrado ciò la mia voglia di possederla era fin troppo forte.
Immersi sennonché un dito nella sua bocca facendoglielo succhiare, appresso quel dito lo appoggiai sul suo clitoride che stava per scoppiare e continuai a masturbarla.

Ogni tanto, effettivamente, quel dito veniva riportato alle labbra della docente scrupolosamente irrorato delle sue stesse secrezioni e riccamente profumato della sua pelosissima fica eccitata. Successivamente le allargai le natiche e vedendo che tutto lì di sotto era luccicante di fluidi, spinsi così un altro dito nel suo ano stretto e impaziente. Il dito entrò con facilità grazie all’abbondante lubrificazione, accompagnato da un grido di piacere molto sentito della donna, che ormai si era piegata in avanti, sulla cattedra, offrendomi il suo posteriore come una posseduta. In quell’attimo non capii più nulla, abbandonai lo strofinio del clitoride e la penetrai con due dita, nella fica grondante, che si contrasse per il godimento al mio ingresso.

La distinta ed egregia docente Elsa, al momento aveva perso la bussola, farneticava, poiché m’incitò di scoparla con tutta la mia energia, io proseguii ad andare avanti ed indietro con le dita nella sua fica, lentamente ma a fondo, uscendo a rilento per poi spingermi dentro di lei di scatto fino in fondo. Il sudore mi colava dalla fronte per la fatica, ma anche per la notevolissima apprensione e per la rilevante inquietudine del momento, mentre rimuginavo dentro me stessa: eccoti servita, questo &egrave il tuo individuale castigo disgustosa e stomachevole odiosa, il tuo esclusivo flagello, beccati questo e insacca – lasciandole durevoli scortichi sulla schiena con le mie unghie, in quanto Elsa sembrava non accorgersene neppure, avvolta e rapita nella sua veemente foga di farsi scopare:

‘Prosegui, non smettere, ancora un poco, t’imploro, sto venendo, che meraviglia, sei un vero incanto’.

La docente strillò queste parole che sembravano non dare altro scampo che l’accontentarla, malgrado ciò avrebbe prevalso ancora una volta lei. No, non doveva avere la meglio anche adesso l’abietta, insopportabile e sgradevole insidiosa donna, certo, avrebbe goduto da porca quale &egrave, m’avrebbe avuta per l’ennesima volta ai suoi piedi, in quel preciso attimo compresi che era quel momento di debolezza che dovevo pienamente sfruttare a mio vantaggio per castigare in ultimo vendicandomi su quell’alienata, bizzarra, dissennata e a tratti schizofrenica ninfomane.

In quel preciso momento mi schiodai da lei con impeto sogghignandole bruscamente e malignamente da dietro frasi irriguardose, sconce e viziose a volontà, afferrai un voluminoso fascicolo reclinato sulla cattedra accanto all’atrio e con vigorosa brutalità, cattiveria e prestanza glielo scaraventai svariate volte sulla testa facendole del male, accusandola ferocemente, rinfacciandola brutalmente e diffamandola incivilmente, per tutto ciò che m’aveva fatto subire e fatto patire, con le sue alienazioni mentali, le sue dannate fisime e le sue continue infernali manie e paranoie del cazzo.

Io mi stavo già pregustando la conclusione che ne sarebbe in definitiva scaturita, quando bruscamente il trillo mattutino della sveglia, insopportabile e spiacevole sveglia delle sei della mattina.

Io avevo pienamente vissuto un sogno, integralmente un conturbante e sconvolgente sogno, al tempo stesso un accanito, combattuto e travagliato incubo, la collera e il furioso risentimento che avevo dentro si era parzialmente rabbonito placandosi, ma qualcosa d’approssimativo, d’indefinibile e di nebuloso, restava accovacciato annidandosi ancora nel mio animo, tenuto conto che sarebbe dovuto prima o poi emergere.

Nel primo pomeriggio avrei dovuto sostenere l’interrogazione con la docente Elsa, ma decisi di non presentarmi, in effetti non m’importava, sicché allungai il braccio e disattivai la sveglia leggermente contrariata e infastidita, in seguito sollevai la confortevole trapunta addosso e m’infilai ridendo la mano negli slip.

{Idraulico anno 1999}

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