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Racconti Erotici Lesbo

La quiete dopo la tempesta

By 5 Settembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Ci conoscevamo da più di cinque anni ormai.
Da quando, un giorno di fine settembre, la vidi entrare dalla porta di quell’enorme aula accademica. Era il primo giorno di università. Io spaurita e tesa ero già seduta, lei sorridente e con fare sicuro mi si avvicinò: ‘Posso?’ .

Fu l’inizio della grande amicizia che ci lega ancora oggi. Abbiamo imparato a conoscerci, volerci bene e stimarci. Io pacata e riflessiva, lei l’opposto: irruenta e istintiva.

Un mix perfetto, grazie al quale abbiamo superato tutti gli esami, universitari e non, insieme e con ottimi risultati.

Mi capiva al volo, meglio del mio ragazzo e persino di mamma.
Ci divertivamo come matte insieme, nemmeno lo studio risultava pesante.

Nonostante la nostra complicità mai avrei immaginato ciò che sarebbe successo qualche anno dopo.

Neolaureate, due dottoresse in economia fresche fresche, viaggiavamo in auto verso Roma.
L’avevo convinta a partecipare con me ai colloqui di lavoro della Ntv, la nuova compagnia di trasporti di Montezemolo che pare stesse assumendo un bel po’ di giovani.
Era sempre stato il mio sogno lavorare in un’impresa di trasporti.
Non il suo, certo; ma, come sempre, mi ascoltava e, come spesso, mi assecondava.

La vidi un po’ strana in auto, vagava fra la preoccupazione e la tensione. E parlava poco.
Possibile che fosse per il colloquio?
Non era da lei, sempre sicura di sé e mai in ansia per nessuna prova. Gode di un’intelligenza brillante che le ha dato soddisfazioni senza mai sgobbare sui libri. C’era dell’altro, qualcosa che non andava ma non riuscivo proprio a capire di cosa si trattasse.

A meno di un’ora dall’arrivo ci fermammo in un autogrill, dovevamo sgranchirci un po’ le gambe.
Andammo a prendere un caffè, lei guardava nel vuoto, dietro al bancone

‘Hey la vuoi smettere di fissare il barman?! Ok, carino ma non sei quella che aveva messo la testa a posto e il diamantino al dito?’

Sapevo benissimo che il tipo non c’entrava ma dovevo fare qualcosa, era quasi depressa ormai.

‘Ma che barman’ ‘ fu la breve risposta.

Iniziavo a preoccuparmi, non si era mai comportata così senza spiegarmi le cause. Uscimmo fuori e si accese la consueta sigaretta

‘Mi stai affumicando, altro che supermenager, sembreremo delle formaggette ‘

‘Sei pesante!’ finalmente un sorriso

‘Te la cavi sempre così! E poi se è vera la leggenda che racconti, che si fuma in faccia a chi vorresti portarti a letto, devo anche iniziare a preoccuparmi’ chiosai rincuorata.

Ma, senza saperlo, avevo detto le parole magiche.

Trasalì, mi prese per mano, di scatto, e mi portò verso i bagni dell’autogrill.

-Si sente male- pensai subito -Cavolo- La seguì in una stanzetta male illuminata di due metri per due. Dedussi dal suo fare precipitoso che dovesse dar di stomaco. ‘Ecco lo sapevo, pargolo in vista ci toccano ospedali e shopping da prenatal ma guarda un pò tu se ‘ Ma il mio flusso di coscienza fu interrotto, la sua impellenza era tutt’altra’

Chiuse la porta alle mie spalle e, in un attimo, mi folgorò con un bacio.
Durò poco, si scostò con dolcezza e rimase a guardarmi con un’espressione impaurita e colpevole. Come un bimbo che ha appena distrutto un vaso di cristallo a casa di una lontana zia.
Io ero impietrita; occhi sbarrati, sopracciglia aggrottate, bocca semiaperta. Allibita. Mai stata omofoba, mai avrei immaginato però di baciare una donna.

‘Ti faccio quest’effetto?’ esordì lei ‘è tutto ok o sei a rischio inf”

Non la lasciai finire, ero già su di lei per ricambiare quel bacio che, per mancanza di prontezza, non ero riuscita a gustarmi.
Rimanemmo avvinghiate per un bel po’, le nostre bocche si assaporavano, si rincorrevano, si piacevano.
Cominciai a sentire un brivido nel basso ventre. Mi allontanai di poco:

‘Non avresti potuto scegliere cornice più romantica.’ La punzecchiai sarcastica

‘Da quando t’importa della cornice? ‘

‘Da quando ci provi’

Rise e ci riavvicinammo.

Ora erano più voluttuosi e pretenziosi i baci che ci scambiavamo. Iniziai ad accarezzarla sotto il toppino, mai avrei immaginato che il suo corpo, nonostante la pancetta, potesse apparirmi così sexy e desiderabile.
La sentivo ribollire al mio tocco, mi sbottonò la camicetta ed iniziò a baciarmi sul collo.
Mi piaceva da impazzire.
Scesi con le mani, percorrendo le sue cosce liscissime fino alla sommità, fino ai suoi slip.
Sussultò mordicchiandomi la spalla. Ormai i vestiti erano solo da intralcio.
La spogliai, lasciandola in perizoma e reggiseno. Fece lo stesso con me prima di baciarmi di nuovo. Le cinsi il collo con le braccia poi scesi con le mani fino alla chiusura del reggiseno. Lo sfilai e iniziai a scendere anche con la bocca.
Le accarezzai il seno e i capezzoli, ormai ritti per l’eccitazione. Uno alla volta, li baciai, li succhiai mentre con una mano percorrevo il suo interno coscia. Trasudavamo voglia l’una dell’altra ma volevo farmi proprio desiderare e lei, come al solito, era impaziente.

Continuai così per un po’ finchè mi prese la mano e la portò alle porte del suo piacere.
Stetti al gioco ma a modo mio: le stimolavo il clitoride, disegnavo cerchi concentrici intorno alle grandi labbra; era gonfia di eccitazione e bagnata, sempre di più. Anch’io stavo impazzendo.
Lo spettacolo di lei eccitata e vibrante mi faceva letteralmente perdere la testa. La volevo. E poi il suo odore era buonissimo.
Quando mi sussurrò, tenendomi un orecchio fra le labbra, con voce vellutata e graffiante:

‘Ti voglio. Che aspetti a farmi tua? Voglio sentirti dentro di me’ mi vinse completamente.

Le infilai due dita nell’incavo bagnato ed incandescente. Feci scorrere le mie dita dentro di lei dapprima molto lentamente poi aumentando sempre più il ritmo mentre con il pollice continuavo a carezzarle il clitoride.

Me l’ero giocata bene, a giudicare dalla rapidità e dall’intensità con cui venne: un unico violentissimo spasmo.

Non gridò, nel godere mi morse fra il collo e la spalla fin quasi a farmi sanguinare.

Dovetti far ricorso a tutta la mia forza di volontà per non urlare dal dolore.

Volle tatuarmi il suo piacere addosso.

Tolsi, furente per il dolore, la mia mano inzuppata. Mi guardò negli occhi, la prese fra le sue, se la portò alla bocca, mi baciò.

Mi sciolsi con quel dolcissimo sapore.
Fu la quiete dopo la tempesta.
Mi diede un leggero bacio lì dov’era rosso e c’erano ancora ben visibili i segni dei suoi denti.

Mi rivestì in fretta e la invitai a fere lo stesso.

‘E tu scusa?’ mi disse

‘Sveglia! Fra meno di due ore c’è il colloquio e siamo ancora qui’ risposi mentre uscivo già da quell’improbabile nido d’amore

‘Sei pesante!’ immancabile replica

‘Dopo comunque vada ce ne andiamo a festeggiare e sei pregata di lasciarmi gli arti illesi’ le dissi mentre, raggianti e sorridenti, salivamo in auto.

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