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Lo Psicopatico

By 22 Aprile 2018Dicembre 16th, 2019No Comments

Lui la osservava da un bel po’, dopo qualche minuto aveva già capito che era sola, dopo qualche altro minuto l’aveva sentita parlare ed aveva capito che era straniera, ma non aveva capito di dove. Parlava inglese, ma si sentiva che non era la sua lingua
La faccia era smunta, i capelli erano stopposi e le tette erano due pere un po’ cadenti. Non era sicuramente una strafiga. Però era alta, atletica, aveva belle e lunghe gambe, cosce piene. Indossava un paio di pantaloncini molto attillati ed una canotta leggerissima, non indossava reggiseno, ai piedi portava infradito, allacciata ai fianchi una giacca a vento. Non era molto normale, vero che la giornata era splendida e mite, ma eravamo solo all’inizio della primavera e lei, giacca a vento a parte, che per altro non indossava, era vestita come se fosse piena estate.
Aveva circa quaranta anni. Si aggirava tra le bancarelle del mercato curiosando qua e là. Non aveva fretta, era in vacanza e faceva la turista. Era straniera ed era sola.
Lui non era attratto dalle belle donne, ma da donne particolari. Queste dovevano avere molte caratteristiche. Sicuramente dovevano essere sole, questa era una caratteristica imprescindibile, poi ve ne erano altre difficilmente descrivibili che riguardavano il carattere ed il fisico della donna. In questo caso, la donna, pur non avendo un seno grosso e neanche particolarmente attraente, aveva due capezzoli lunghi e grossi. Talmente lunghi e grossi che sembrava stessero bucando quella magliettina che aveva addosso.
Quei capezzoli si intravedevano bene in controluce sotto quella magliettina e lui li aveva osservati per tutto il tempo. Li aveva misurati, ammirati, desiderati’ ed era andato giù di testa.
Sì, quel particolare l’aveva fatto andare giù di testa. Il sangue gli era andato alla testa e stava per commettere uno sproposito provando ad abbordarla lì sulla piazza di fronte a decine di persone. L’erezione era stata immediata e dolorosa, iniziò a deglutire faticosamente e sudare.
Si impose di ritornare calmo, fino a quel momento era stato una persona molto prudente. Fino a quel momento nessuno aveva mai sospettato di lui, eppure aveva agito già diverse volte e la polizia mai era arrivata vicino a lui, anche perché nessuna l’aveva denunciato. Lui le sequestrava, le usava come voleva e le liberava il giorno stesso o al massimo dopo un paio di giorni. Prima di liberarle le drogava e le abbandonava in luoghi lontani da casa sua. Le donne o non ricordavano o ricordavano confusamente e non sapevano cosa raccontare nel caso avessero deciso di farlo. E se ricordavano, fino a quel momento, avevano evitato di denunciare. Il territorio su cui agiva era molto vasto, in effetti ora si trovava a due ore di macchina da casa sua. Girava con un furgone, il mezzo più adatto per quello che aveva intenzione di fare e che anche nel suo lavoro gli era indispensabile.
Anche lui era un quarantenne solitario e poco socievole. Viveva in una casa, fuori e distante dal paese più vicino. Una casa isolata. Era un bravo artigiano ed eseguiva magistralmente lavori in ferro battuto, lavori particolari che sapevano fare in pochi e quindi aveva una buona clientela in una vasta zona. La sua casa, isolata, era circondata da più di un ettaro di terreno recintato e ben sorvegliato da buoni sistemi di allarme. Infatti nella sua officina, uno degli annessi alla casa si trovavano, oltre a macchinari costosi, anche lavori in esecuzione per diverse decine di migliaia di euro. Oltre ai sistemi di allarme, per la proprietà si aggiravano due rottweiler che non vedevano l’ora di fare la festa a qualcuno.
La casa sorgeva lì dove finiva la collina ed iniziava la montagna. Il posto era comodo, ad alcune centinaia di metri da una strada che collegava i paesi vicini, ma non semplice da trovare.
Lui non era brutto, era ombroso, fisicamente era alto e grosso senza essere grasso, era molto forte ed aveva mani di acciaio che lo servivano perfettamente nei suoi lavori e che utilizzava anche in altre occasioni. Caratterialmente era incapace di controllare i suoi raptus sessuali. Poteva gestirli, ma doveva assecondarli. Per motivi di lavoro e per salvare le apparenze appariva socievole ed affabile, ma altrimenti gli piaceva stare solo’ o in compagnia delle sue prede.
La seguì da lontano, poi la tipa arrivò in un parcheggio ai margini del paesino e si avvicinò alla sua macchina. Lì, lui, intervenne. L’etere fece effetto immediatamente. Lui aprì la macchina con le chiavi della straniera, era tedesca, almeno questo diceva la targa, e la adagiò sul sedile posteriore. Una straniera che schiacciava un pisolino nella sua macchina. Aveva usato i guanti e non aveva lasciato tracce. Andò a prendere il furgone e accostò alla macchina di lei. Aspettò che una coppia di anziani uscisse dal parcheggio e poi la trasbordò sul suo furgone. Non poté resistere dal dare una bella strizzata a quei capezzoli. La donna nel sonno gemette. Era infoiato, ma ormai era sua e sapeva che dopo, a casa, con tutta tranquillità si sarebbe divertito molto di più. Nessuno aveva visto niente, si mise in marcia con calma e guidò con prudenza..


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Debby era costretta in una posizione impossibile, mentre la sua Padrona le stringeva le cosce sul viso, la schiava era in apnea, respirava a fatica ed era tutta rossa in viso per lo sforzo e la mancanza di aria.
Debby sapeva che, per fortuna, la sua Padrona stava per venire, lo sentiva, ormai la conosceva bene ed intensificò lo sforzo per farla godere e poter riprendere a respirare.
Alessia, la sua Padrona, smise di accarezzarsi e strizzarsi il seno e strinse le mani sulla testa della schiava spingendola contro la sua vulva, infine rilassò ed allargò leggermente le cosce, Debby riprese aria, ma non smise di leccare, lei era molto esigente, l’avrebbe punita severamente se si fosse permessa di abbandonarla nel momento cruciale. Debby non lo fece, anche se sapeva cosa sarebbe successo da lì a poco. A lei non piaceva, ma non poteva farci niente. Lo spuzzo le arrivò in viso potente e pieno. L’impregnò completamente degli umori della Padrona. Alessia squirtava regolarmente quando lei la leccava. La lingua di Debby la faceva impazzire. Ne aveva sentite tante tra le sue cosce, ma quella, della sua attuale schiava, era la migliore.
Infine, la Padrona si alzò dal letto e si recò in bagno abbandonando la sua schiava sfinita sul letto. Debby desiderava tanto essere slegata e poter distendere, braccia, e gambe, spalle e soprattutto il collo, quella posizione era malefica, ma sapeva anche questo, il suo benessere sarebbe arrivato solo dopo quello della sua padrona.

Un quarto d’ora dopo, infatti, venne Giusy, la serva bionda e cicciona la slegò dalla sua impossibile posizione e l’accompagnò sotto la doccia. Debby si stiracchiò, ma Giusy non le permise di rilassarsi.
– Venga Miss, la prego di fare in fretta, non ho tempo, devo ritornare subito dalla Padrona. ‘
Debby appoggiandosi a Giusy raggiunse la doccia e aiutata da Giusy si lasciò andare al getto caldo e finalmente si rilassò, la circolazione riprese ed i muscoli iniziarono a rispondere. Giusy era umida e semisvestita, aveva insaponato e lavato la Padrona nella vasca da bagno ed ora doveva ritornare da lei per asciugarla e vestirla, pettinarla e truccarla. In quella casa i compiti erano divisi con precisione. Alessia era la Padrona, la bellissima Debby la sua schiava di piacere, a volte la Padrona la chiamava la sua principessa e Giusy, la cicciona, la serva, la cameriera, il cesso deambulante e la pezza da piede della Padrona.

Le tre giovani donne non potevano essere più diverse l’una dall’altra, sia fisicamente che caratterialmente, anche se tutte e tre stavano tra i venti ed i venticinque anni.
La più giovane era Deborah, che la sua Padrona chiamava Debby. Debby era bellissima, alta centoottanta centimetri, scalza, un fisico statuario ed atletico, ma morbido e tornito, pieno di curve, cosce lunghe e formose, culo alto e perfetto, un seno da capogiro ancora in formazione, una terza abbondante o una piccola quarta che sarebbe presto diventata una quarta. Occhi verdi e capelli castani, una chioma perfetta, una bocca larga e labbra gonfie da baciare. Debby era una ragazza dolcissima, con un buon carattere, una studentessa universitaria del secondo anno, ed aveva appena venti anni. E da un anno era caduta nelle grinfie della sua Padrona.
La sua Padrona non arrivava a centosettanta centimetri, aveva un fisico scattante e nervoso, belle forme senza essere formosa. Un seno fatto di due pere perfette, non molto grandi, ma succose, cosce e culo da godere, occhi blu cobalto e capelli corvini, un viso piacevole. Molto meno bella della sua schiava, ma con un carattere d’acciaio ed un trucco maniacale. Unghie rosse ed affilate sia alle mani che ai piedi e il viso reso perfetto dalle abili mani di Giusy. Alessia aveva ventitré anni ed era una dottoranda ed assistente di uno dei corsi che aveva frequentato Deborah. Si erano conosciuti in quell’occasione.
La serva era una bionda non molto alta, ma parecchio larga. La sua era una disfunzione ghiandolare. Di sopra era abbastanza normale, un bel viso, capelli lunghi e biondi, occhi celesti, viso tondo. con un neo civettuolo su una guancia, un seno grande, una bella quarta, e se ci fosse fermati qui sarebbe stata molto graziosa. Poi dai fianchi in giù si allargava, con due cosce grosse e gonfie. Vestiva di nero per snellirsi, ma c’era poco da fare, in compenso e nonostante fosse gonfia dal bacino in giù era agile e rapida nei movimenti. Aveva venticinque anni e faceva la commessa, per il resto viveva mettendo il suo tempo libero a disposizione della Padrona. In cambio otteneva vitto ed alloggio. Anche Debby viveva con la sua Padrona, in un bell’appartamento, in una prestigiosa zona della città.
Nessuna delle due schiave aveva bisogno del vitto e dell’alloggio di Alessia, anche se a Giusy facevano comodo, mentre Debby ne poteva fare tranquillamente a meno. Però erano le sue schiave e lei le voleva a sua disposizione sempre, quindi vivevano con lei.

L’appartamento era grande, il padre della Padrona gliel’aveva regalato quando si era laureata, ogni donna aveva la sua camera, poi c’era il soggiorno, ampio, la cucina, uno studiolo per la Padrona, due bagni, uno per la Padrona ed uno per le schiave e qualche sgabuzzino. Giusy doveva sfacchinare parecchio e starci dietro per mantenerlo pulito perfettamente come la sua Padrona desiderava. Sul pavimento mi devo specchiare le diceva sempre la sua Padrona e spesso terminava quelle parole con una frustata sull’ampio deretano della sua schiava. Segno che era insoddisfatta. Non era facile accontentarla, se a terra vedeva una macchiolina gliela faceva leccare con la lingua.
Per sua fortuna Debby era esentata da quei lavori, lei doveva essere sempre pronta per i capricci della Padrona e doveva essere sempre impeccabile, truccata perfettamente e perfettamente vestita. A meno di disposizioni diverse, infatti Debby era bellissima anche al naturale e anche quando vestiva con due straccetti. E la Padrona lo sapeva. Ne era orgogliosa ed al tempo stessa l’invidiava.
– Comunque ti vesti, – le diceva, – sembri una principessa, ma devi sapere che sei solo la mia schiava. ‘
– Sì Signora, sono la vostra schiava. –

Debby era appena uscita dalla doccia che sentì suonare il campanellino, famigerato. Quando suonava le schiave dovevano precipitarsi al cospetto della Padrona, qualunque cosa stessero facendo. Debby indossò l’accappatoio cercando di asciugarsi alla meglio e corse verso la stanza della Padrona.
Lei era seduta nella poltroncina, Giusy era inginocchiata di fronte con un piede della Divina appoggiato sulle cosce, le stava pitturando le unghie, mentre l’altro piede della Padrona la sollecitava tra le cosce. Per Giusy era un’impresa prendersi cura delle unghie della sua Signora mentre lei la masturbava con l’altro piede, ma la grossa scrofa godeva di quelle attenzioni, sospirava ed usava limetta e smalto al meglio.

– Preparati, tra mezzora usciamo, andiamo al super a fare la spesa, vestiti sportiva. ‘ Le parole della Padrona furono dette appena Debby comparve sulla porta.
‘ Si Signora. ‘ Debby ritornò in bagno per prepararsi, mentre si allontanava sentì un sonoro ciaff e la Padrona che redarguiva Giusy. ‘ Fai attenzione stupida. ‘
Meno male che non le aveva chiesto di vestirsi elegante, e meno male che non era toccato a lei prendersi cura delle unghie della Padrona. Era un compito che normalmente toccava a Giusy che si prendeva cura anche di lei, la preferita della Padrona, ma a volte, quando Giusy non c’era o aveva altre incombenze toccava pure a lei. Per fortuna le aveva detto di vestirsi sportiva, altrimenti ci sarebbe voluto più tempo ed a lei non piaceva molto andare in giro su tacco otto o dodici, preferiva vestirsi casual e con scarpe basse. Ma se la sua Padrona lo voleva lei si sarebbe vestita anche come una puttana. Qualche volta, di notte, era successo e lei morendo dalla vergogna l’aveva fatto. Deborah si rendeva conto di essere diventata succube della sua giovane Padrona e che non era normale, ma l’adorava e non ne poteva fare a meno. Era una sottomessa, ma non per chiunque, solo per lei, l’unica che aveva saputo renderla tale. Non era lesbica, ma i pochi ragazzi che aveva avuto fino a quel momento non erano stati capaci di soddisfarla. Lei era alta e bellissima, solo il suo fisico incuteva rispetto e non era facile trovare qualcuno alla sua altezza, letteralmente e metaforicamente. L’unica che era stata capace di metterla sotto era stata Alessia.


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koss99@hotmail.it Marina stava soffrendo, ma stava anche godendo e stava godendo più di quanto stesse soffrendo.
Il suo Padrone l’aveva imbracata e la teneva sospesa all’altezza che gli veniva più comoda per infilzarla.
Una catena pendeva da un robusto gancio fissato sul soffitto, la catena terminava su un’intelaiatura di ferro fatta di due lunghe barre disposte a X e alla quale erano fissate due larghe cinture di cuoio, due cavigliere e due polsiere che avvolgevano e tenevano sospeso il voluttuoso e splendido corpo di Marina. Una rossa di una bellezza sconvolgente. Un corpo bianco latte, cremoso, sinuoso, morbido, formoso, tutto curve. Un viso incorniciato da una splendida chioma rossa, occhi celesti che a volte tendevano al viola, labbra carnose, quando sorrideva sulle guance venivano fuori stupende fossette che la rendevano irresistibile. Una splendida quarantenne.
Le fasce di cuoio passavano sotto il seno e sopra il bacino della schiava, polsiere e cavigliere racchiudevano polsi e caviglie della schiava, che rimaneva sospesa ad un metro circa di altezza con il viso rivolto al pavimento. Non era la prima volta che la schiava veniva messa in quella posizione. Il Padrone la faceva distendere a faccia in giù sul pavimento, la imbracava in quella o in altre posizioni e poi con l’argano la tirava su fino all’altezza desiderata.
Questa volta l’aveva imbracata nel modo descritto e poi l’aveva portata ad un metro circa di altezza. Una posizione comoda. Per lui o per quello che intendeva farle.
Il suo Master si chiamava Marco. Anche lui un quarantenne. Ma più vicino ai quarantacinque, qualche anno più di lei. Alto e prestante, con i capelli cortissimi leggermente spruzzati di grigio, ma con ancora molto nero, occhi grigi ed implacabili che la trattava come un giocattolo messo al mondo per il suo divertimento. Ma bisogna ammettere che, del suo giocattolo, Marco aveva molta cura.

Un’ora prima Marco era sceso nel seminterrato dove aveva lasciato Marina per oltre mezz’ora legata, in piedi, a quel gancio, con le braccia tese in alto. La schiava era rimasta in tensione, sulla punta dei piedi, per tutto il tempo. Quando lui era ritornato giù lei era stremata. Lui si era avvicinato come un gatto fa con un topolino e le aveva sollevato il viso. L’aveva baciata sulle labbra e l’aveva accarezzata lungo tutto il corpo strizzandole i capezzoli. Lei nonostante la sofferenza lo desiderava tantissimo e tremante si era protesa verso di lui per farsi baciare ancora, ma Marco si era negato al suo ardore e l’aveva schiaffeggiata in faccia. Piccoli schiaffetti che l’avevano umiliata, lei si offriva e lui la respingeva, lei lo voleva e lui si negava. La topolina non si era fatta scoraggiare, con il corpo tremolante e bellissimo si era protesa ancora verso il Padrone, agognava i suoi baci e le sue ruvide carezze. Allora lui aveva allentato la corda che scendeva dal gancio e finalmente Marina aveva potuto appoggiare i piedi per terra, era alta sui tacchi vertiginosi, ma ora stava meglio che sulle punte dei piedi. Neanche il tempo di rilassare la schiena che lui, implacabile, l’aveva fatta piegare a 90 gradi e l’aveva sculacciata. Ora la schiava cercava di sfuggire, il suo corpo guizzava come poteva per cercare di evitare le pacche sulle natiche di burro, ma per lui era facile trattenerla, bastava tirare la corda ed era di nuovo alla sua portata. La puniva severamente, schiaffi o sculacciate, strizzate al seno o ai capezzoli o alla fica. Bollente. Avrebbe fatto di tutto per godere ed avrebbe fatto di tutto per lui. Però ancora non capiva che prima veniva lui e poi lei. Glielo avrebbe insegnato. Poi l’aveva imbracata e l’aveva frustata. Utilizzava un frustino corto e flessibile con cui aveva raggiunto tutti i punti sensibili della sua schiava. Lui non si spostava, faceva ruotare l’intelaiatura e portava la parte del corpo della schiava che voleva colpire dove gli veniva più comodo. Voleva le chiappe, un piccolo spostamento ed eccole a sua disposizione, un’altra piccola rotazione e la poteva colpire sulla vulva aperta o tra le cosce, la faceva tornare indietro ed il seno di Marina, o la schiena della schiava, era a sua disposizione.

Non c’era una ragione precisa per quella punizione, anzi ultimamente Marina era stata brava, si era comportata davvero bene, ma a volte Marco la puniva per il suo semplice piacere. Non era violento, ma le piaceva farle sentire che lui poteva fare di lei quello che voleva. All’inizio l’aveva punita per domarla, poi quando sbagliava, ormai ciò accadeva raramente, ma lui ogni tanto la puniva lo stesso, per il suo piacere. Marina non era contenta di quelle punizioni, ma sapeva che lui poteva usarla come voleva, questo le era stato inculcato in mente quattro mesi prima, quando era diventata sua, e ormai non lo metteva più minimamente in discussione, quindi se le prendeva, digrignando i denti, gemendo ed emettendo urletti che davano gioia al suo Padrone.
La sua pelle era delicatissima e si arrossava facilmente, ma lui raramente le lasciava dei segni. Era uno dei limiti che lei aveva posto. Lui, quei limiti, li aveva accettati senza discuterli, come detto non era violento e detestava quelle pratiche schifose che erano gli altri limiti posti da Marina. Ma la sua schiava non immaginava neanche lontanamente, quando aveva posto quei limiti, quanto altro le sarebbe stato richiesto. Molte cose le aveva già scoperte in quei mesi e bisogna dire che anche nei momenti più difficili era riuscita a esaudire i suoi desideri. Però c’erano molte altre prove da superare.

In quel momento Marco, alloggiato, in piedi, tra le sue cosce, la stava fottendo e lei finalmente gemeva, non di dolore, ma di piacere. Si agitava e si muoveva freneticamente, nonostante fosse sospesa in aria, come un’indemoniata. Godeva e veniva, ma non si stancava mai. Lo voleva, dentro di lei. Il suo corpo vibrava impaziente di accoglierlo, lo voleva fino in fondo. Lui affondava dentro di lei, la baciava e la mordeva, l’accarezzava e la pizzicava su quel corpo morbido e sinuoso e lei si scioglieva sotto quelle aspre e ruvide carezze, ma che in quel momento desiderava che fossero ancora meno delicate.

Lui smise di fotterla, la fece ruotare, ora al posto della fica si trovò alla giusta altezza della bocca. L’afferrò brutalmente per i capelli trascinandole la bocca sul suo cazzo, ritto, duro e lubrificato dagli umori della schiava. Marina leccò, leccò il cazzo, leccò le palle e leccò ancora. Poi lui le tirò i capelli in alto e lei aprì la bocca. La penetrò e la fece ondeggiare facendola andare avanti ed indietro fottendola tra le labbra. Poi venne e l’inondò di sborra, un lungo fiotto si riversò fino alla gola, il resto le inondò il viso e le colò tra le generose tette.

Tirò lentamente giù la corda e la fece adagiare delicatamente sul pavimento. La sciolse, la prese in braccio e la portò nella vasca da bagno dove la depositò amorevolmente. La vasca si stava riempiendo di acqua calda e lui ci entrò. Marina era languida e soddisfatta, ma non si stancava mai. Il suo desiderio per quell’uomo era inesauribile. Si distese timidamente tra le sue braccia, non sapeva come il suo Padrone avrebbe reagito, ma lui stavolta le permise di fare quello che voleva, a lei bastava essere lì. Lui la coccolò, l’insaponò e se la scopò ancora una volta.

Poi decisero che era ora di andare a fare compere al supermercato. Marina era sposata, ma non aveva limiti di tempo per il suo Padrone. I rapporti tra il marito e Marina prevedevano che lei fosse sempre disponibile per gli impegni mondani e sociali, ma per il resto era libera di fare quello che voleva. Era a casa sua dalla sera prima e contava di rimanerci fino a lunedì mattina quando sarebbe andata a lavorare. Marina a casa del suo Padrone aveva un piccolo guardaroba in cui teneva di tutto: vestiti, scarpe, soprabiti, calze, camicie e biancheria intima. Dirigeva un prestigioso negozio di moda di una grande firma, era ben pagata, aveva un marito che guadagnava un sacco di soldi, si poteva permettere tutti i guardaroba che voleva.

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koss99@hotmail.it Il super era situato in un centro commerciale, uno dei migliori e più grandi della città e anche se era un giorno infrasettimanale come tanti, nel tardo pomeriggio, era affollatissimo. A Alessia piaceva andarci proprio quel giorno ed a quell’ora, le piaceva sfilare bella ed elegante per farsi ammirare da uomini e donne. E la presenza della sua schiava le serviva per attirare ulteriormente l’attenzione. Non era gelosa delle occhiate rivolte a Deborah, le attirava come una calamita, anzi ne era orgogliosa. Deborah era sua e lei l’esibiva, con discrezione, come un diamante. La Padrona camminava un passo avanti e la schiava la seguiva come un cagnolino, la Padrona era elegantissima e lei vestiva casual, per chi sapeva vedere non c’erano dubbi su chi era la dominante e chi era la sottomessa.
Ogni tanto fantasticava di portarla lì al guinzaglio, nuda ed incatenata, a quattro zampe. Purtroppo erano solo fantasie. lo sapeva, ma se quella era una fantasia, portarla di notte in un parco pubblico o farla sfilare in una via piena di puttane non lo era. L’aveva già fatto e Deborah quelle volte stava morendo di paura e di vergogna, ma bastava che la sua Padrona la toccasse ed anche in quelle situazioni estreme lei si bagnava.

Marina invece non aveva mai subito quella umiliazione, ma il suo Padrone ci pensava, anche lui aveva quell’irrefrenabile voglia di esibirla, ma, meditava, non &egrave ancora pronta. Intanto che meditava mise nel carrello della spesa che Marina portava in giro seguendolo passo dopo passo, una buona bottiglia di barbaresco. Le scelte riguardanti il vino ed altre cosette sfiziose le faceva lui, tutto il resto era competenza della schiava. Marina era un’ottima cuoca e lui delegava volentieri.

Alessia invece non delegava, a casa sua si mangiava quello che voleva lei, aveva fatto un po’ di fatica per insegnare a Giusy a cucinare quello che le piaceva, ma c’era riuscita, anche se talvolta sbagliava ancora e doveva punirla.

Marco sapeva guardare e soprattutto vedere, quando incrociò lo sguardo delle due donne capì quale fosse il loro rapporto in una frazione di secondo, il tempo che le immagini arrivassero al suo cervello e che fossero elaborate. Una Padrona ed una schiava. Entrambe bellissime, anche se la giovane schiava era fantastica, non era paragonabile con nessuna, se non con quella che spingeva il carrello dietro di lui e per essere paragonate con Marina bisognava, a suo giudizio, essere davvero super. Marina era irraggiungibile per eleganza e postura, ma la giovane ragazza aveva tutti i mezzi per raggiungerla e forse un giorno superarla. La ragazza indossava dei semplici jeans che le cadevano perfettamente, poi un pellicciotto che su un’altra sarebbe apparso volgarotto, ma che lei indossava con molta disinvoltura, ai piedi delle scarpe scamosciate. Nonostante l’abbigliamento si muoveva come una principessina, trattenuta nell’esuberanza dallo sguardo fermo e severo della sua Padrona. Marina invece indossava un vestitino nero che lasciava intravedere tutte le sue forme, coperte a stento dal leggero soprabito e si muoveva sul suo tacco 12 come se non avesse fatto altro nella sua vita. Tutti gli sguardi dei clienti del super che prima stavano rimirando le due giovani donne si spostarono sulla fenomenale rossa. Poi qualcuno ritornò sulla giovane schiava, ma nel complesso non c’era partita, Marina aveva vinto quella gara.

Anche Alessia sapeva guardare e vedere, quando si rese conto che lei e la sua schiava non erano più al centro delle occhiate concupiscenti della clientela del supermercato si guardò intorno e scoprì perché. Stupenda la rossa si disse intuendo anche lei i ruoli, e per niente male il suo Padrone, perché, quelli erano i ruoli, Alessia ne era convinta. Poi sorrise all’uomo. ‘ E’ buono quel vino? ‘ chiese con disinvoltura.
– Ottimo ‘ rispose lui prontamente, – glielo consiglio’ poi dipende da quello che mette in tavola. Questo va bene, con carne rossa o con cacciagione o con formaggi stagionati. ‘
Si erano fermati e sembrava volessero intavolare una chiacchierata. Alessia era essenzialmente lesbica, ma non completamente ed ogni tanto apprezzava la compagnia di qualche uomo, soprattutto se aveva una schiava magnifica come quella rossa. Alessia, rossa a parte, trovava affascinante quell’uomo. Era alto, dinoccolato, con i capelli neri cortissimi e occhi grigi di ghiaccio, implacabili, il viso duro e scolpito, ma addolcito da un sorriso facile ed ironico. L’uomo si muoveva con eleganza, ma senza affettazione. Era in forma, rilassato, agile e prestante.
Le due schiave spiavano silenti i due Padroni mentre chiacchieravano sempre più coinvolti. Si osservavano di sottecchi, riconoscevano la bellezza dell’altra e sentivano una fitta di gelosia l’una verso l’altra, ma’ anche di desiderio. Però non sapevano se verso l’altra o verso quei due Padroni che ora stavano spudoratamente flirtando l’uno con l’altra. L’uomo stava consigliando alla donna un bianco fermo e fruttato, adattissimo a quello che Alessia desiderava per cena quella sera. Per confermare le rispettive impressioni nessuno dei due aveva presentato la rispettiva accompagnatrice all’altro o all’altra. Come per dire, loro non sono importanti, sono solo le nostre schiave. Infatti le ignorarono. Quando i due si mossero Debby e Marina si accodarono dietro di loro senza neanche essere state interpellate, neanche con un cenno, ed a quel punto fu chiaro per tutti quale fosse il loro ruolo.

Il Padrone e la Padrona si accomodarono in un tavolino per due in un bar del centro commerciale, le due schiave senza che fosse stata ancora rivolta loro una parola si sedettero, spingendo i loro carrelli, in un tavolino vicino. Marina e Debby non avevano ancora osato scambiarsi una parola, ma una volta seduti una di fronte all’altra osarono guardarsi negli occhi e si sorrisero, Entrambe non osavano parlare, ma guardandosi si piacquero ed inevitabilmente guardarono verso i loro Padroni. Erano una bella coppia ed una fitta di gelosia, un po’ di preoccupazione e di timore, prese entrambe.
Incuranti dei sentimenti delle loro schiave, i due padroni stavano facendo conoscenza e pure loro guardarono alle loro schiave, In questo caso nei loro occhi non c’era nessuna preoccupazione, solo desiderio e lussuria, Entrambi erano irresistibilmente attratti dalla schiava dell’altro e dell’altra, non vedevano l’ora che quella conoscenza progredisse fino all’inevitabile. Alessia e Marco ordinarono dei caff&egrave ed ancora una volta, senza interpellarle, dissero al cameriere di portare un t&egrave al tavolo delle due signore.

– Come si chiama la tua ‘ chiese Marco.
– Deborah, ma io la chiamo Debby, – rispose Alessia, – e la tua? ‘
– Marina, ce l’ho da quattro mesi, la sto ancora addestrando. E’ sposata, ma suo marito non &egrave un problema. ‘
Alessia inarcò un sopracciglio. ‘ Un cornuto contento? –
– Contentissimo, &egrave felice che un altro uomo si prenda cura di sua moglie. ‘
Marco non disse altro, in verità Marina non gli aveva detto molto e lui non aveva insistito per sapere di più. L’unica cosa che gli aveva detto, ed era quello che interessava a Marco, era che a parte qualche impegno che il marito poteva richiederle e naturalmente il lavoro che l’impegna molto, lei era completamente a sua disposizione per tutto il tempo che la voleva. Lui la voleva sempre, notte e giorno.
Alessia sorrise. – Bene, allora vi invito a cena. Comunque Debby &egrave con me da un anno, quindi &egrave sicuramente più avanti della tua. ‘ sorrise Alessia. ‘ Dimenticavo, visto che andiamo a casa mia’ lì ho un’altra schiava, la mia serva. Purtroppo &egrave molto meno bella di Debby. ‘
Marco sorrise. ‘ Non importa, Deborah &egrave stupenda, può fare per due ed anche per tre visto che &egrave anche molto alta. –
Le due schiave avevano scambiato solo qualche sorriso tra di loro, erano imbarazzate e quindi stavano zitte, ma sentivano che tra loro c’era già feeling.

Lui aveva osservato la scena ed anche lui aveva capito come stavano le cose. Le donne erano tutte molto belle, fuori dal suo target normale, ma la fragilità della giovanissima spilungona l’aveva attratto irresistibilmente. Gli era diventato duro immediatamente. Indossava dei jeans stretti e l’erezione si vedeva. Lui si guardò e sorrise senza nessun imbarazzo. Guardassero pure, maschi e femmine. L’erezione si afflosciò un po’ quando si mise a riflettere. Ea indeciso, era una situazione pericolosa. Aveva la capezzoluta ormai da un paio di mesi e se la stava spassando alla grande. Ormai era un burattino nelle sue mani, nessun segno di ribellione e sottomissione totale al suo volere, inoltre era bella calda e si era assuefatta alle sue perversioni incredibilmente bene. Lui pensava che la cagna si stava abituando a quella nuova vita e che incominciava a piacerle. Eppure la spilungona aveva ridestato in lui la voglia della caccia, la voleva, sapeva che era una cazzata, ma la voleva. Il cazzo era ridiventato duro ed i jeans lo trattenevano a fatica.
Poi quella comitiva si mosse e lui la seguì, era combattuto, pensava di non fare niente, ma seguirli non gli costava niente e non lo metteva in pericolo.
Con la tedesca era andato tutto benissimo. Stranamente non la cercava nessuno. L’aveva interrogata, era una sbandata, senza fissa dimora, senza lavoro e senza famiglia, solo qualche amico in Germania che sapeva che era in Italia. Aveva recuperato la sua macchina e l’aveva messa in garage, a casa sua. Da lui non veniva nessuno, dai clienti andava lui. La tedesca era scomparsa e nessuno la cercava. Se la poteva tenere a lungo, gli aveva dato già grandi soddisfazioni.

La cagna era nuda, rinchiusa nel retro del furgone e nelle condizioni di non nuocere, una catena ad una caviglia, le mani legate dietro la schiena ed imbavagliata. Lui seguì le due coppie fino ad un condominio abbastanza lussuoso. Quando li vide sparire in un portone parcheggiò, andò nel retro del furgone e prese la cagna con particolare foga e ferocia. La morse sui capezzoli e se la sbatté bestialmente. La cagna guaì e si dibatté, ma non c’era niente da fare, lui era forte, molto più di lei e lei non poté far altro che subire. Sapeva che protestando non avrebbe ottenuto nulla, anzi. L’ultima volta che l’aveva fatto se ne era pentita amaramente, Lui l’aveva schiaffeggiata con quelle mani di acciaio, dure ed implacabili. Però era perplessa e spaventata, ormai era molto tempo che non la trattava più in quel modo spietato, sembrava fosse tornato all’inizio. In più, nonostante la ferocia, sembrava che non pensasse a lei. Ormai lo conosceva, sembrava che pensasse ad altro anche se stava scopando lei ed era duro, molto duro. Poi la cagna, nonostante tutto, iniziò a godere gorgogliando e mormorando parole sconnesse in tedesco. Quando era eccitata ritornava alla lingua madre.
La cagna non si sbagliava, anche se non conosceva il motivo del turbamento del suo Padrone. Lui pensava alla spilungona ed era così feroce perché era molto combattuto, sapeva che rapire la spilungona era pericolosissimo, non lo doveva fare, era contro tutte le regole che si era dato. La prima diceva che dovevano essere sole e questa non lo era. La seconda diceva che dovevano avere uno stile di vita alternativo, definiamolo così, e questa invece sembrava perfettamente integrata, anche se sicuramente trasgressiva. Però, mentre così pensava, non riusciva ad andare via, ad allontanarsi da quel portone. Intanto si sfogava con la cagna capezzoluta, crudelmente.
Rimase lì fino al mattino, facendo la spola tra la cabina da cui osservava il portone ed il retro del furgone dove si sbatteva la cagna ripetutamente, ma senza riuscire a saziarsi. Verso le due vide uscire l’uomo con la rossa, erano vestiti come quando erano entrati, quindi non stavano lì. Attese fino alle otto, l’ora in cui la spilungona, vestita con sobria eleganza e con un tablet sotto braccio uscì per andare all’università. La seguì e quando vide dove andava se ne ritornò a casa. Era stanco ed era cosciente del pericolo, quindi non fece niente, ma ormai il tarlo gli era entrato in testa. Sapeva che non se ne sarebbe liberato. Voleva sbattere la testa da qualche parte, farsi male, per ritornare alla ragione, ma sapeva che anche quello non sarebbe servito a niente. Forse con il tempo l’avrebbe dimenticata, ci sperava, ma gli dispiaceva.


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