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Ormai piove da due giorni. Le previsioni dicono che durerà tutta la settimana. Guardo fuori dalla finestra, le goccioline che scendono lente, dopo aver bagnato il vetro appannato. Con le dita di una mano sfrego la superficie, e guardo fuori, per comprendere quanto anche oggi mi dovrò bagnare.
La tazza con il caffelatte mi riscalda le dita, mentre soffio leggera sulla schiuma che sormonta il liquido marroncino. Sento qualche rumore provenire dalla mia camera, e immagino sia Martina, che si è svegliata, ed è corsa nel mio lettone.
Ora devo uscire. Indosso la mantellina di cerata gialla, e metto gli stivali di gomma. Scruto nella camera dove si è intrufolata e la vedo che si è riaddormentata, stringendo tra le braccia il mio cuscino.
Lo scooter che guido corre rapido tra la pioggia, nel traffico ancora rado della mattina. Scanso le pozzanghere più profonde, guido delicata, attenta a non scivolare sull’asfalto lucido, infido e traditore.
Devo fare ancora tre consegne, e poi la giornata sarà finita. Non vedo l’ora.
Nonostante la cerata, i calzoni impermeabili, gli stivali e i guanti, dopo qualche ora sotto a questo diluvio, il freddo mi entra nelle ossa, non vedo l’ora di tornare a casa, bere una tisana bollente, e poi infilarmi sotto al piumone.
Poi quando sento la porta che si apre, e Martina che rientra, mi rivesto con la mia solita tutona di pile, i calzettoni di lana, e preparo la cena.
Io e lei siamo coinquiline, dividiamo queste due stanze, il bagno e la cucina. Tranne i week end, quando, vado a trovare il mio fidanzato che vive in una città lontana.
La nostra socialità si è concentrata in queste due o tre ore serali, in cui ceniamo, e poi io me ne vado a letto, sempre presto, mentre lei rigoverna, e poi dopo essersi fatta un paio di canne, se ne va a dormire.
Martina si occupa di botanica, fa la consulente per delle grosse aziende del settore, sa tutto quello che c’è da sapere sulle piante, la loro provenienza, il ciclo vitale.
Ci siamo divise i compiti in questo modo. Lei odia cucinare, mentre io non sopporto lavare i piatti.
Siamo molto diverse io e Martina, non solo per il lavoro, e gli orari, ma come carattere, e aspirazioni, aspettative dalla vita.
Non mi sembra abbia qualcuno che frequenta, tranne un suo vecchio insegnante, molto più grande di lei, con cui ogni tanto esce.
Da qualche tempo ho notato questa sua strana abitudine, di andare nel mio letto quando mi alzo la mattina.
Anche oggi piove.
Questo clima strano, mi rende nervosa, mi complica la vita. Il cielo è scuro, color grigio piombo, mentre qualche nuvolone più chiaro passa sotto alla volta buia, scaricando brevi ed intensi acquazzoni.
Avrei voglia di fermarmi, bere qualcosa di caldo, ma devo fare una consegna urgente, un tizio all’aereo porto attende un plico, prima che il suo volo decolli.
Faccio lo slalom tra le pozze e le auto ferme e incolonnate. Sfrutto le corsie preferenziali, un paio di volte salto persino nei marciapiedi.
Alla fine come quasi sempre giungo in tempo, e consegno la busta, ad una hostess che firmata la ricevuta, corre agli imbarchi.
Ora una bella tisana bollente me la sono proprio meritata.
Vado al bar, e mentre sorseggio piano, scaldandomi le mani con la tazza, vedo Martina, seduta ad un tavolino, con un uomo molto più grande di lei, direi un anziano.
Penso al suo vecchio insegnante di cui mi ha raccontato, quello con cui ogni tanto esce.
Vedo che parlano un po’ concitati, e che lei ha gli occhi lucidi, di chi ha pianto, o sta per farlo a breve.
Lui sembra calmo, e dopo un altro po’, le dà una carezza lieve, si alza e si allontana, verso la zona degli imbarchi.
Martina resta seduta,al suo tavolino, con lo sguardo fisso nel vuoto, poi dopo qualche altro minuto si alza e se ne va verso l’uscita.
Avrei voluto fermarla, chiederle cosa stesse succedendo, ma poi mi sembrava di intromettermi in una faccenda che non mi riguardava, e l’ho lasciata andare, pensando alle due ore di pioggia che mi restavano da affrontare.
La pioggia si è trasformata in un grosso temporale, che poi è diventato una specie di piccolo tornado.
Il vento ha abbattuto alcuni grossi alberi secolari, che costeggiano il vialone che riporta in centro.
Il traffico è bloccato, camion dei pompieri cercano di farsi largo in mezzo al caos, luci di lampeggianti, emettono bagliori bluastri nella luce sempre più fioca dell’imbrunire.
Ho trovato riparo nell’androne di un grosso palazzo, e con la radio ho avvisato che per oggi le consegne erano finite.
Mi hanno rassicurata, dicendomi di non preoccuparmi, che era tutto bloccato, la corrente era saltata, e la gente aveva chiuso tutti gli uffici.
“Se rimetteranno tutto a posto ci vediamo domani”.
Rientro a casa e la corrente ancora non è tornata.
Accendo alcune candele, e nella loro penombra tremolante mi spoglio e mi infilo sotto al piumone.
Lentamente il corpo mi si riscalda, mi rilasso, e quando mi sto per addormentare sento la porta che si apre, e Martina che entrando chiede se sono già rientrata.
Le dico che sono a letto, e allora lei si affaccia alla porta, aprendola piano, e vedo che è completamente bagnata, gronda acqua dai vestiti, e ha l’espressione di qualcuno che ha pianto per delle ore.
Le dico di correre in bagno, che cosi avrebbe allagato la casa, che le avrei portato dei vestiti asciutti, un accappatoio.
Quando la raggiungo si è spogliata, i suoi vestiti sono in terra e mi guarda con aria smarrita, tremando, non sapendo cosa fare.
Non l’avevo mai vista nuda, nonostante la convivenza, non siamo mai diventate intime, come di solito si fa tra amiche. L’avvolgo nell’accappatoio caldo e asciutto e inizio a frizionarla, strofinandola con le mani, asciugandole i capelli che grondano acqua.
Martina è filiforme, ha due tettine sode e appuntite, e un ciuffo di peluria nera le copre il pube.
Vedendola nuda, per la prima volta mi sembra di intravedere anche quei lati nascosti, che finora ha tenuto dentro di sé, quel suo qualcosa che non ha mai lasciato trasparire,ma che inconsciamente mi turbava, è come se improvvisamente nostro malgrado, fossimo diventate più intime, quasi amiche.
Cerco di abbracciarla mentre l’accarezzo, e pian piano la sento più vicina, le trasmetto un po’ del mio calore. Ora sta smettendo di tremare e anche lei mi abbraccia e per un istante mi stringe forte, quasi a farmi male, e poi mi chiede se può venire nel mio letto, restarmi per un po’ vicina.
Annuisco, con la promessa che mi avrebbe raccontato quello che le succede, come abbia fatto a ridursi in quello stato.
La luce accesa della lampada sul comodino mi risveglia. La corrente è ritornata, guardo l’orologio, e mi accorgo che è notte fonda. Martina dorme tranquilla al mio fianco,sotto al piumone, e mi rendo conto che siamo entrambe completamente nude. Allora ricordo tutto, con una strana sensazione di ansia, e anche di paura, abbiamo fatto l’amore, ho scopato con una donna.
La scena mi si ripresenta e il fresco ricordo, si dipana piacevole, e inquietante nella mia mente.
Una volta a letto, si è sfilata l’accappatoio, ed è rimasta nuda. Poi quando entrambe eravamo sotto al piumone, mi ha abbracciata, raccontandomi la storia di questo suo insegnante, che per lei era come un padre, e che oggi se ne era andato, per forse mai più ritornare. Il suo racconto poi si è fatto nebuloso, confuso tra ricordi lontani, genitori mai avuti, adolescenze in istituti, anni difficili superati grazie all’aiuto di questa persona. Mentre le sue parole si susseguivano, sentivo che mi accarezzava, le sue mani si insinuavano sotto al mio pigiamone, una sensazione di calore e di dolcezza mi avvolgeva, poi la sua voce è diventata un sussurro leggero, e ha iniziato a confessarmi di essersi innamorata di me, di essere solo attratta dalle donne, di intrufolarsi ogni mattina nel mio letto per sentire il mio odore, abbracciare il mio cuscino pensando di stringere il mio corpo caldo.
Il pigiama come per qualche strana magia mi si è sfilato dalla pelle, come la muta di un serpente, e mi sono ritrovata nuda, con il caldo della pelle di Martina. Il suo sussurro sempre più lieve, la sua bocca più vicina, fino a sfiorarmi, per sentire il tiepido contatto delle sue labbra.
La sua lingua dolce, calda, liscia, l’ho sentita nella bocca, incollata alla mia, che si cercavano in un tumulto di sensazioni, con il cuore che batteva all’impazzata, i respiri affannati, la testa che girava sempre più veloce.
Poi il caldo del suo sesso a contrasto della mia coscia, e la sua carne morbida che mi strofina, sempre più forte sempre più veloce. Dopo subentra una specie di oblio, in cui lei inizia a baciarmi per tutto il corpo, e io la ricambio, fino a quando entrambe le bocche si incollano sui nostri sessi bagnati. Martina mi lecca e mi bacia la fica come nessun uomo mai ha saputo fare. La ricambio e sento che anche lei gode, me lo dicono i suoi umori che escono copiosi, mi bagnano le labbra e il mento, il naso e le guancie, sento il suo odore, le sue cosce che stringono il mio volto, i muscoli dell’addome che si contraggono, il suo urlo strozzato che mi segnala un orgasmo improvviso, seguito a breve distanza dalla mia esplosione, che mi lascia senza fiato, senza forza nemmeno per gridare.
Spengo la luce e la stanza ritorna buia, sento il suo respiro leggero, come quello di una bimba addormentata. Fuori ha ricominciato a piovere forte, grosse folate di vento fanno tremare le persiane, e gli scrosci d’acqua tamburellano contro i vetri, lavando le finestre.
Come per uno strano istinto primordiale, mi avvicino a Martina e la stringo a me, per sentire il suo calore, per dare e cercare quella sicurezza che il maltempo minaccioso sembra mettere a repentaglio.
Lei si sveglia e mi sorride, poi mi stringe con forza e mi bacia. Ricambio le sue effusioni e lentamente ricominciamo a fare l’amore.

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