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Racconti Erotici Lesbo

UNA MULATTA DA URLO

By 2 Marzo 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Posteggiai l’auto in un parcheggio coperto vicino a Piramide e attraversai rapidamente la strada. Camminai un po’, per trovare il civico 98. Eccolo lì. Studio fotografico Manzoni.
Ero venuta qui per prendere Alberta, mia cugina, che stava facendo una pubblicità per una nota marca di intimo.
Era carina, mia cugina, aveva un bel viso tondo e dolce su un corpo da favola. E ora era qui, ‘tra le mani’ del noto Guido De Rossi, il fotografo delle modelle, a pubblicizzare sottovesti e reggiseni.
Entrata nel locale, fui colpita dall’atmosfera raffinata che vi regnava. Musica soffusa, in filodiffusione, moquette rosso scuro, luci morbide, e un’aria di assoluta efficienza, con segretarie inguainate in tailleurini neri che si aggiravano rapide per lo studio.
Ne beccai una, aveva il suo nome su un cartellino stampato sulla pences della gicca. ‘Scusi, Clara, sto cercando mia cugina, si chiama Alberta Torri, sta facendo un servizio fotografico per una pubblicità’.
‘Ma che novità’.- scherzò lei -: signorina, qui tutti stanno facendo la stessa cosa. La Torri comunque dovrebbe essere nella stanza 5, almeno così mi pare. Provi’.
Poi sparì. Rimasi ferma nella saletta d’attesa per una decina di minuti, poi mi avviai nel lungo corridoio. Cercai la stanza 5, provai ad appoggiarmi alla porta per sentire cosa succedeva dentro. Niente. Bussai e qualcuno mi invitò ad entrare.
Lui, Guido De Rossi, il più noto fotografo di moda della Capitale, stava fotografando mia cugina, insieme ad un modello stupendo, con indosso un pigiamino delizioso.
‘Non abbiamo finito ‘ mi disse Alberta quando mi vide -: ne avremo per un’altra ora. Che fai, passi dopo?’. Annuii ed uscii dalla stanza, avviandomi verso l’ingresso.
Passando davanti ad una porta semiaperta, non potei trattenermi dal guardare: chissà, magari potevo vedere qualche modella famosa, o qualche attrice che posava per calendari o altro!
Lo spettacolo che mi si parò davanti agli occhi mi lasciò senza fiato. La stanza era larga, rettangolare, e sul fondo aveva una scenografia perfetta, riproducente un bosco con una limpida cascata seminascosta tra gli alberi. Su un tronco orizzontale, a pochi metri da me, c’era una ragazza. Splendida. Una mulatta da urlo. Semidistesa, giaceva con il capo riverso all’indietro. Ad occhi chiusi, sembrava ascoltare beata il rumore della cascata. Aveva i capelli lunghissimi e neri, umidi, e indossava solo una specie di peplo di garza, che stento le copriva il corpo. Sotto, era completamente nuda, e la stoffa era sistemata su di lei ad arte, per lasciarle completamente scoperto un seno. L’altro seno era coperto, invece, mentre il sesso, celato dalla garza, era visibile in controluce.
Sulla sua destra, una bottiglia di profumo enorme, con la marca ben visibile, a suggerire che cotanta bellezza era testimonial di quella fragranza così sexy.
Quella molto sexy ai miei occhi era invece lei, la modella. Si contorceva sul tronco sempre ad occhi chiusi, assecondando gli ordini che le dava il fotografo. ‘Jolie, spostati un po’. Brava, ora sfiorati i capelli. Sì, perfetto. aspetta, più sexy. Più sexy. Mostrami di più il seno. Ecco brava, così. un altro scatto amore. Aspetta. Toccati, ora. Sfiorati il seno. Perfetta. Bene’.
Io ero immobile, lì a fissare la scena. Non riuscivo a muovermi, ipnotizzata dalla bellezza della modella, dai suoi movimenti sensualissimi. La volevo. Ero piena di desiderio, ora, dopo averla vista contorcersi a quel modo sul tronco. La volevo a tutti i costi, sognavo di toccare quel corpo perfetto, di farlo mio.
Rimasi lì per una decina di minuti, mentre il fotografo proseguiva il suo lavoro. Dieci, cento, mille scatti. Lei era stupenda. Ad un certo punto il fotografo la fece girare; la ragazza si alzò, rivelandomi il corpo splendido. Non riuscii a trattenere un mormorìo di ammirazione, che il fotografo, chiaramente gay dai modi e dalla parlata, non condivise. La ragazza invece si girò e mi fissò. Fu un attimo: mi sentii incatenata a quello sguardo di velluto, una ragnatela spessa e trasparente nella quale ero finita in un attimo. La bellissima mi sorrise, invitante, e io mi sentii immediatamente eccitata. Poi mi girò le spalle e si stese a pancia in giù sul tronco, mettendo in mostra per me, mi parve, il culo splendido. Altri cinque, sei minuti di scatti, poi, finalmente, il fotografo disse ‘basta’, e la statua si alzò.
Era una meraviglia. Una Venere. Alta almeno un metro e ottanta, capelli neri, un seno alto e rigoglioso su un corpo atletico, senza un cedimento, senza un filo di grasso. Il peplo calò su questo splendore a coprirne le grazie, e lei mi passò accanto, diretta verso un piccolo spogliatoio in fondo alla stanza. Il suo profumo mi colpì al cuore, mentre i suoi capelli setosi mi sfioravano il viso. Potei finalmente guardarla negli occhi, allungati come quelli di una gatta, scuri, profondi. La volevo. La volevo per me.
Uscì dallo spogliatoio dopo pochi minuti. Io ero lì ad aspettarla. Mi passò ancora accanto e di nuovo mi guardò con un sorriso leggero. Sentii un brivido caldo che mi penetrava il corpo, e la guardai incantata. Il peplo ne rivelava l’incantevole nudità. Intravedevo anche il pube, attraverso il gioco del vedo/non vedo della stoffa leggera, delle pieghe che si aprivano per far posto al mio sguardo, dell’umidore del tessuto che le faceva appiccicare addosso quello straccetto, regalandomi visioni paradisiache. come quella del suo culo: alto, sodo, due natiche di marmo bruno, leggermente lucide per esser state spalmate con un olio che, evidentemente, serviva a rendere più sexy le foto.
La modella sedette sul tronco. Io mi avvicinai a lei e le feci i complimenti. ‘Brava – dissi timidamente ‘ lei &egrave bravissima. Un servizio fotografico perfetto’.
Mi guardò da sotto in su, con quegli occhi oblunghi che sembravano emanare luce. Poi mi sorrise di nuovo: un sorriso aperto, stavolta, che mi mostrò una chiostra di denti candidi che si mostravano tra le sue labbra. Labbra color bronzo, carnose, che parevan fatte apposta per i baci.
Ero eccitatissima ormai. E non riuscivo a distogliere gli occhi del corpo della modella. Le guardavo il seno, i capezzoli che spuntavano dietro la garza, il pube scoperto, che ammiccava come a provocarmi. Era depilato ai lati, pulitissimo, mentre al centro era lasciato libero, un ciuffo folto, del colore dello zucchero bruno, che mi eccitava alla sola vista.
Parlai un po’ con lei, scoprii che era pakistana ma viveva a Roma, e che faceva questo lavoro per mandare un po’ di soldi alla sua famiglia, in gravi difficoltà nel proprio paese d’origine.
Eravamo sole; dietro di noi, solo il bosco, la cascata, il verde scuro degli alberi. Guardai di nuovo Jolie e decisi di osare. La volevo a tutti i costi. Chiacchierando, Jolie mi aveva detto che non aveva un compagno, che gli uomini italiani le sembravano seduttori banali e un po’ sciocchi. Mi aveva detto che era libera e voleva esserlo, perché amava divertirsi. Le premesse per un successo c’erano. Potevo, al limite, beccare un ‘no’, ma l’avrei preferito al lasciarmi passare sotto il naso una creatura tanto incantevole.
Le mini una mano sulla coscia. Così, senza preavviso. Solo il tocco delle mie dita sulla pelle scura di lei, che non si ritrasse. La mano la lasciai lì, come abbandonata, mentre continuavamo a parlare, ma spostandola impercettibilmente ogni 2, 3 minuti, verso il centro del suo corpo. Jolie era ferma, in attesa. Poi mi fissò: i suoi occhi di velluto marrone incontrarono i miei e mi parve che mi facessero un cenno di assenso. Non ebbi più dubbi. Spinsi con dolcezza le dita verso l’incavo tra le sue cosce, e cercai quella vulva deliziosa che avevo già visto. La trovai. Era stretta, asciutta. Mi fece impazzire di desiderio.
Mi voltai verso Jolie e la presi per le ginocchia, spingendola giù, sul tronco. Riprese la posizione che aveva tenuto durante il servizio fotografico, e che tanto mi aveva eccitata. Stesa, il capo riverso all’indietro, il tessuto che le lasciva scoperto il seno gonfio. Mi diressi senza esitazioni verso il suo sesso. Ne aspirai prima l’odore, dolciastro, leggermente muschiato. La sensazione fu stranissima, una strizzata violenta nel fondo delle mie viscere. Non avevo mai annusato un sesso femminile. La mia vagina si contrasse, la sentii umida, palpitante. Volevo leccare la fica di Jolie, ecco cosa volevo. All’improvviso, mi sembrava che nulla avesse più importanza al mondo: eravamo solo io e quella donna stupenda, e io la volevo, e soprattutto, volevo darle piacere. La guardai in volto, prima di cominciare: aveva gli occhi chiusi, le labbra semiaperte. E aspettava. Lei non aveva idea, certamente, del fatto che io stavo per fare per la prima volta qualcosa di cui non credevo sarei mai stata capace. Eppure, immersi la mia lingua nel sesso di quella ragazza senza timore, senza riluttanza. La prima sensazione fu quella di aver messo la lingua in un gelato caldo, che profumava di vaniglia, con un leggerissimo retrogusto salato.
Jolie mugolò. Aprì di più le cosce. Io la leccai per pochi secondi, poi la lasciai, e cominciai la parte più bella: l’esplorazione di quella fica divina.
Aprii le grandi labbra delicatamente, con le dita. Erano frastagliate, di un colore tra il bronzo ed il grigio; all’interno, di un rosa carico, venato, ancora, di grigio. Le pareti della vulva erano anch’esse rosa, di un colore però più intenso. Introdussi un dito in quel paradiso e cominciai a massaggiare. Andavo avanti e indietro, a ritmo con i battiti del mio cuore. La vulva si allargava ad ogni mio tocco, e ora stava producendo un liquido leggermente schiumoso, bianco, che mi bagnava le dita. Pieghe più interne nascondevano l’interno della vagina e il clitoride di lei, un bocciolo delicato, rosa scurissimo, una goccia dalla pelle rugosa che io andai a toccare con un dito. Jolie tremò, sul tronco, e fece un sospiro intenso. Il minuscolo bocciolo si irrigidì, e io lo toccai ancora. Jolie sospirò di nuovo, e mi prese per la testa, facendomi capire che era giunto il momento. Mi avvicinai di più alla fica e le presi il delizioso clitoride in bocca. Fu la cosa più bella che avessi mai fatto in vita mia. Più nulla esisteva: solo quella fica palpitante e bagnata, quel clitoride che si gonfiava nella mia bocca, e il respiro di lei, che si faceva via via più affannoso. Mi interruppi, per il piacere di vedere quella splendida donna a cosce spalancate, solo per me, per il piacere di sentirla implorare: ‘Ti prego prendimi, prendimi ora’.
Mi avvicinai ancora al suo sesso: ora l’odore si era fatto più intenso, il liquido che colava da lei sapeva di salmastro, ma ancora vanigliato nel fondo. Leccai il clitoride di Jolie con la punta della lingua, osservando come cambiava di dimensione ad ogni mia sollecitazione. Lo stuzzicai, tormentosamente, ora titillandolo con la lingua, ora stringendolo tra le labbra, ora massaggiandolo con un dito.
Jolie venne così, mentre le leccavo il minuscolo organo: mi prese la testa e se la mise tra le cosce, ed io capii e non la lasciai più, fino a che, dopo tanti gemiti e sussulti, non fu lei stessa a lasciarmi libera, con la bocca e le guance umide, che sapevano di lei.
Dopo, rimasi incantata a guardarla, sudata ed esausta sul tronco, a gambe ancora aperte, i capezzoli tesi che spuntavano sotto il peplo che le si era incollato addosso.
Mentre riposava, mi concessi il piacere di toccarla. Cominciai dai capelli: erano lisci e profumati. Vi affondai le dita, stupefatta da tanta morbidezza. Proseguii sfiorandole il volto: il naso sottile, la bocca carnosa, il mento aguzzo. Era bellissima, un incrocio tra Naomi Campbell e Jennifer Lopez, ma dai tratti più delicati, con un curioso viso triangolare che le dava un’aria molto sofisticata. La sua pelle era ambrata e perfetta, senza un brufolo, senza un neo. Una creatura sovrannaturale. Scesi verso il busto e davanti al seno mi bloccai, rapita. Spostai la garza leggera che mi dava noia e potetti godere di tanta bellezza. Aveva seni molto grandi, dall’attaccatura larga, che partiva sotto le ascelle. Li palpai, come soppesandoli. Jolie mugolò come una gatta. Si sollevò dal tronco e si sfilò via il peplo, nuda finalmente. Io, già bagnata, sentii la mia vulva aprirsi come un fiore. Ma non avrei cercato il mio piacere: l’unica cosa che contava era quello di lei.
Jolie, meravigliosa come tutte le mulatte, si stese ancora. I suoi fianchi erano morbidi e glie li strinsi, mentre mi piegavo verso di lei, per prenderle in bocca i capezzoli, larghi come piattini da caff&egrave, color bronzo scuro, con la pelle che si increspava sotto la mia lingua.
Li leccai a lungo, fino a che la sentii sospirare sempre più velocemente. Sentivo i capezzoli irrigiditi e bollenti nella mia bocca, sempre più duri. Quando mi staccai da quel seno generoso, li vidi tesi, con la punta all’insù, due pezzetti di carne bruna che sembravano provocarmi. Jolie mi prese la mano e se la portò al sesso: una muta, eccitante richiesta.
Mi alzai, sovrastandola per un attimo, poi le infilai un dito nella fica aperta e bagnata. Gridò, aprendo ancor di più le gambe. Cercai allora il punto G: ricordavo cosa mi aveva fatto il dottor Ferrari, e decisi che Jolie meritava lo stesso, estenuante piacere.
Cominciai a masturbarla. Il suo sesso mi pareva il centro del mondo: vi affondavo il dito e mi sembrava di toccare il cielo. Ogni sussulto di lei, ogni aprirsi di quelle labbra umide e vogliose era per me una gratificazione immensa. Capii in quel momento come si deve sentire un uomo ogni volta che fa godere una donna. Il senso di possesso, la voglia di penetrare. Spingevo il mio dito dentro di lei e lei spalancava le cosce e gemeva. Vedevo i suoi capezzoli irrigidirsi e ingrandirsi, il suo viso cambiare, la bocca che si apriva e si chiudeva, la pelle sudata e lucida, il suo splendido corpo che si inarcava. E soprattutto, sentivo quella fica che si apriva e si chiudeva intorno al mio dito, sempre più bagnata, come per farmi posto, come per invitarmi ad entrare di più. Non entrai: mi limitai a piegare il medio all’insù, cercando il punto più sensibile della vagina. Lo trovai, Jolie me lo fece capire con un urletto eccitato. Cominciai a massaggiare: un massaggio circolare, sempre uguale, come aveva fatto con me il vecchio medico di famiglia. Sotto il mio dito sentivo una parete di carne più spessa, grande quanto una moneta da 2 euro. La stuzzicai finch&egrave Jolie cominciò a godere. Un gemito, poi un altro. Un grido soffocato, e i fianchi che si tendevano e la sua voce dall’accento straniero che mi incoraggiava a continuare: ‘Sì, sì brava, sì, fallo ancora, ma come sei brava, mi fai godere, che meraviglia, brava, sì sì. Sì sto godendo. Godo. Godo. Ancora. Godo ancora. Fallo ancora. Non smettere. Sì. Oddio che meraviglia, come godo. Ooooohhhhh oooohhhhooo godo. Sì sì sì. Sììììììììì. Oh, sì. godo. Sto godendo. Non smettere, sei bravissima. Brava. Siiiiiiiiii. Oooohhhhhooo. Ti amo, sei brava. Continua. Fammi godere. Godo. Godo. Oh, come godo. Sì. Sì. Godooooooooooo. Oddio, come godo. Non smettere ti prego non smettere. Sto godendo. Sì brava continua. Vai, brava. Sei meravigliosa, io godo, godo ‘.
Continuò così per 10 minuti, un orgasmo interminabile, sempre incitandomi a continuare, a non smettere, a farla godere. Io la scopai sul punto G per 12, 13 minuti: alla fine ero sfinita, e così, quando tirai fuori il dito da lei e mi sedetti, la vidi delusa. Le spiegai che ero stanca, e comunque dovevo andar via: c’era mia cugina Alberta che, con tutta probabilità, mi stava aspettando.
Jolie si alzò dal tronco e mi posò una mnao sul jeans, cercando il mio sesso, che bruciava di desiderio insoddisfatto. ‘Posso toccarti?’, mi chiese dolcemente. Declinai il suo invito: era davvero tardi, e fra l’altro eravamo già state molto fortunate perché, in quella mezzora di sesso selvaggio, nessuno era entrato nella stanza. Ma prima o poi sarebbe accaduto, e non avevo voglia di fare figuracce.
‘Devo andare, Jolie’, le dissi. A mo’ di congedo, le diedi una strizzatine ad un capezzolo e la sentii gemere di nuovo. ‘Sei una gran ficona, sai? ‘ le dissi ‘ Mi hai fatto morire di desiderio’.
‘E tu mi hai fatto morire di piacere’, rispose lei, alzandosi, e rimettendosi il peplo.
Mi ricomposi un po’ e mi avviai verso la porta.
‘Aspetta ‘ mi fermò Jolie -. Come ti chiami?’.
Sorrisi, in silenzio, e mi chiusi la porta alle spalle.

Gioialuna

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