Skip to main content
OrgiaRacconti CuckoldTradimento

Il rappresentante 6 – Cena sul Canaris

By 5 Settembre 2023No Comments

Sentendo il Sea Master rallentare, salii sul ponte e vidi che stavamo entrando in una caletta profonda un paio di centinaia di metri, che si apriva in un alto promontorio coperto di vegetazione selvaggia. In fondo alla caletta, dondolavano pigramente all’ancora un cabinato lungo una quindicina di metri e un qualcosa che era quasi una piccola nave: almeno una sessantina di metri!
Come calammo l’ancora, un motoscafo si staccò dal megayacht e venne verso di noi; come fu a ridosso della nostra poppa, Sasha aprì un portello nella poppa dal quale potemmo facilmente passare sul tender; noi uomini eravamo tutti in smoking, mentre Angela aveva un elegantissimo abito da sera, nero e scollato abbondantemente davanti e dietro: i gioielli, la pettinatura e la sua naturale eleganza un po’ altera la circondavano di un’aura di puro fascino.
Marica, invece, portava un vestitino bianco, con la minigonna che sembrava la corolla aperta di un fiore, il corpetto che stava su per qualche strana alchimia, non avendo spalline di sorta (ed il suo bel seno faticava ad essere contenuto in quell’abito!) e indossava zoccoletti di legno col tacco altissimo, che la facevano sculettare quando camminava; contrariamente al solito, si era truccata, ma in modo decisamente pesante: sembrava la versione appena più elegante di una battona…
Pochi minuti e fummo a bordo del ‘Canaris’ -che batteva la bandiera di un qualche staterello del Commonwealth britannico- dove venimmo accolti dal padrone, un uomo oltre la sessantina, grasso, pelato, abbastanza volgare nei tratti, nonostante l’abito inappuntabile ed un grosso sigaro che sembrava avvitato nell’angolo della bocca dalle labbra carnose: la versione volgare di Telly Savalas, per intenderci.
Ci fu molta cordialità tra lui e gli altri, poi Stefano ci presentò a Monsieur Kaperovic che ci soppesò con lo sguardo, mi strinse la mano in modo decisamente troppo energico e poi osservò meglio Marica, le dette un ambiguo sorriso di benvenuto, baciandole la mano, poi si girò verso Stefano e chiese solo: «E’ lei?» Lui annuì lentamente, ma con fare definitivo e Kaperovic fece una sorta di grugnito di approvazione.
Ci fece segno di salire, passando da uno stretto portello e ci seguì, ma infrapponendosi tra me e Marica.

ォMonsieur Kaperovic mi scruta, mi soppesa; vedo nei suoi occhi un brillio inquietante, come un bimbo annoiato al quale viene dato un giocattolo nuovo da smontare e da distruggere a martellate.
Ho un brivido nell’anima, di paura… ma anche nella topina: stranamente l’idea di essere usata e… trasformata da lui (ho questa intuizione!) mi provoca un senso di eccitazione.
Vorrei oppormi, tornare al comando del gioco, essere io a decidere se, cosa, quando e come fare… ma mi sento come su un ottovolante, dove col cuore in gola sto per scendere nell’abisso, con paura, palpitazione, attesa, ma anche piacere e divertimento; intuisco che, quando riuscirò a raggiungere la stazione di questo ottovolante, sarò orgogliosa di aver sfidato la sorte e felice di essere ancora viva… E allora dai, spregevole grassone! Fammi vedere cosa vuoi che faccia!!!
Lui suggerisce agli altri di salire nei saloni superiori e loro cominciano a filtrare attraverso un portello tipicamente navale; si frappone tra Sergio e me e intuisco che il fatto non sia casuale; difatti, come mio marito si gira nel suo stupore alcolico (sul Sea Master lo hanno tenuto ben ‘lubrificato’, tanto che ora sembra indifferente a quello che mi fanno fare) per superare il portello, Monsieur Kaperovic mi estrae i seni dal corpetto e mi spinge due delle sue grosse e tozze dita nella micetta e nel buchino… Lo stato di leggera eccitazione ed il recente trattamento avuto da François evitano che l’esperienza sia dolorosa, restando solo nell’ambito della    sgradevolezza.
Poi mi fa passare davanti a lui e, mentre sto superando il portello, mi molla una potente manata sul sedere, rischiando quasi di farmi cadere.
Al di là del portello mi aspetta Angela che, col pretesto di aiutarmi a superarlo, mi mormora: «Lascia che tutti possano farti quello che vogliono!»

Accedemmo ad un salone della nave (quelle dimensioni mi impedivano di associarla al concetto di yacht!) e trovammo altre persone: cinque uomini tra i quaranta ed i sessant’anni e quattro donne: due a malapena maggiorenni, una sulla trentina con lo sguardo altero ed una oltre i quarantacinque, con gli occhi di un animale in trappola.
Venimmo presentati io, Marica e le due ragazzine (Sabrina e Leila); tutti gli altri si conoscevano già e non sembrò loro il caso di presentarsi a noi. Ma che gente è, questa? Bah…
Un cameriere in giacca bianca serviva flûtes di champagne, mentre musica di sottofondo accompagnava le loro conversazioni. Uno dei sette uomini –poco oltre i cinquanta, sguardo deciso, pesante accento romanesco, aria volgare sottolineata dal vello brizzolato che spuntava dalla camicia sbottonata e dal pacchiano catenone d’oro al collo- e che si presentò come Gianfranco, venne a parlare con me; prima parlò di cose generali, dove tenne a farmi sapere che aveva tre Porsche e due Ferrari, oltre ad un aereo privato, e poi mi lasciò senza fiato: «Aho, è bbona la tu’ mojie: è pporca come sembra? -sembrò riflettere un attimo, poi proseguì- Ma tanto nun serve de chiedittelo; mo’ l’annamo a verifica’!» E fece una fragorosa risata.
Ero interdetto: Gianfranco (anzi: «Ma cchiamame Gianfra’!») sembrava sicuro di fottersi MIA MOGLIE, come se Marica fosse stata una bagascia affittata per un’orgia!
Per cercare conforto, la cercai con lo sguardo, ma la vidi attorniata da tutti gli altri uomini e, nella sorta di muro umano che la circondava, mi sembrava perfino di vedere che si lasciava toccare da diversi.
Interdetto, decisi che avevo bisogno di bere qualcosa.
Li a poco, ci accomodammo al tavolo da pranzo di spesso cristallo, apparecchiato senza tovaglia ma con piatti, bicchieri e posate dall’aria incredibilmente costosa. Il risultato era abbastanza sguaiato.
Monsieur Kaperovic si sedette a capotavola e volle Marica e Paola, la quarantacinquenne dagli occhi tristi, a lato di sé; io stavo per sedermi accanto a mia moglie, ma Stefano con un sorriso mi fece sedere tra lui e Angela, all’altra estremità del tavolo; notai che ‘Gianfra’’’era seduto accanto a Marica, mentre le due ragazzine dallo sguardo annoiato erano sedute di fronte a me, intervallando tre uomini.
Il cameriere in giacca bianca ci serviva, professionale ed altero, ma francamente non ricordo cosa mangiammo perché Stefano e Franco mi tenevano impegnato in conversazioni inerenti al mio nuovo lavoro e, quando loro avevano bisogno di una pausa, interloquiva Angela chiedendomi di com’era la vita insieme mia e di Marica; inoltre, non facevo in tempo a vuotare il calice di cristallo che subito qualcuno me lo riempiva prontamente e… beh, cominciavo a sentirmi non tanto lucido.

Come ci siamo seduti a tavola, il romano accanto a me (“Cchiamame Gianfra’!”) mi mette la mano tra le cosce, alzandomi la gonnellina e forzandomi a stare con le gambe molto aperte: «Ccosì devi sta’, finché stamo a magna’, mignotta»
Lo guardo interrogativamente, ma lui mi apostrofa brutalmente: «Cazzo c’hai da guarda’, zoccola? Devi statte co’i occhi bassi, nun devi arzalli dal piatto, ha’ capito? E nun parla’ pe’ gnente, si nun te fanno domande, ha’ capito?»
Con la coda dell’occhio, vedo Monsieur Kaperovic che ghigna, maligno, guardandomi il pube da attraverso il cristallo del tavolo. Mi arrendo alla loro volontà e annuisco.
Poi, durante la cena, subisco palpeggiamenti da entrambi gli uomini: mi toccano le gambe, mi frugano nel pube, mi sondano il buchino, mi estraggono i seni dall’abito: mi vergogno, mi sento umiliata, usata, vorrei chiamare Sergio in mio soccorso, ma lo vedo, sbirciando di nascosto, impegnato in una fitta conversazione con Stefano e Franco e sempre più ubriaco.
Paola, la mia dirimpettaia, teneva anche lei gli occhi bassi ed era continuamente sollecitata a bere molta acqua da Monsieur Kaperovic.
A metà della seconda portata, Gianfranco prende il mio tovagliolo (che dovevo tenere piegato, sul tavolo) e lo fa deliberatamente cadere in terra; poi lo scalcia sotto il tavolo e mi ordina di andarlo a raccogliere.
Mi abbasso per raccoglierlo e mi afferra dolorosamente per i capelli, pilotandomi ad abbassargli zip dei pantaloni usando solo i denti, poi a tiraglielo fuori solo con la bocca («Nun sta a usa’ ee mani, mignotta, ha’ capito?») e poi ad imboccarlo per succhiarglielo («Gira er culo verso Monsieur, migno’, cche t’o-o deve tocca’!»).
Mi giro e sento le rudi dita di Monsieur che mi frugano senza rispetto; poi una fitta di dolore mi avverte di quando forza il mio buchino con anche un secondo dito, provocandomi un graffio con un’unghiata.
Ad un certo punto Gianfra’ mi scaccia e mi ordina di dedicarmi “Ar nostro squisito ospite”; così anche a lui estraggo il membro usando solo la bocca, mentre le mani indelicate di Gianfra’ si impadroniscono delle mie intimità.
Piango silenziosamente, umiliata, usata, abbandonata da quel coglione di mio marito Sergio, che non si rende conto di nulla, né di cosa mi stanno facendo, né di in cosa mi stavano trasformando…
Lui parla e beve e non si rende conto che mi stanno piegando alle loro schifose volontà, che mi oltraggiano, umiliano, offendono, usano… e mi fanno eccitare anche, devo dire…

In una pausa della conversazione, gettai un’occhiata a Marica e la vidi chinarsi, forse per raccogliere il tovagliolo caduto. Poi Franco mi fece una domanda e mi voltai verso di lui, concentrandomi per dargli la risposta…

Mentre ho la gola forzata dalla grossa cappella di Monsieur, sento che si rivolge a Paola, della quale aveva toccato e stuzzicato il sesso completamente rasato per –almeno- tutto il tempo che ero stata sotto al tavolo e le chiede un qualcosa che non capisco; lei risponde: «Sì! Non ce la faccio più; la prego…»
Allora Kaperovic mi scosta dal suo pube e mi ringhia: «Lurida fogna, la signora ha necessità di pisciare, ma riconoscerai anche tu che è scortese alzarsi durante una cena così formale –fa una risatina roca- e così adesso tu incollerai la bocca sulla sua fica e lei potrà alleggerirsi… ovviamente, visto che il tappeto è molto pregiato, se dovesse essere bagnato anche da una sola goccia di piscio la mia ira sarà terribile…
Avanti, preparati a bere!!»
Così stampo la bocca sul sesso di Paola, che Kaperovic teneva aperta con due dita e la donna, con un sospiro di sollievo, comincia a scaricarsi; io piango per la suprema umiliazione, ma eseguo attentamente l’imposizione, bevendo tutto, fino all’ultima goccia salmastra del frutto dei reni di Paola…
Finito, vengo autorizzata a risedermi e quindi, emergendo da sotto il tavolo, mi asciugo le labbra col tovagliolo e mi accomodo, piangente, sotto gli sguardi eccitati o divertiti di chi aveva contemplato le mie umilianti prestazioni.

Dopo un po’, guardai di nuovo verso Marica e la vidi rialzarsi da terra ed asciugarsi le labbra col tovagliolo.
Per un attimo lo trovai normale, ma poi mi sembrò che era passato più di qualche istante da quando l’avevo vista chinarsi… Uhmmm…
Che l3e sia caduto un’altra volta???? Forse ho bevuto un po’ troppo.
Bah, beviamoci su, vah!

Kaperovic mi guarda con gli occhi porcini, fa una specie di smorfia divertita e poi schiocca le dita: subito il cameriere gli porta un piatto da portata metallico, col suo coperchio termico e glie lo posa davanti prima di ritirarsi.
Monsieur alza il coperchio ed estrae un oggetto ed una scatoletta nera grande un pacchetto di sigarette: è un oggetto fatto come una sorta di fungo con una specie di base, una specie di cono con la punta e la base arrotondate e con un ‘gambo’ di circa tre dita di diametro, prima della base stretta su un asse e che si allarga lungo l’altro. Sbircio perplessa, ma Gianfranco commenta, con tl tono di chi conosce da sempre l’oggetto: «Ah! Er buttplugghe!»
Kaperovic fa un lieve cenno di assenso e me lo porge: «Adesso, baldracca, ti alzi, lo metti sulla sedia e poi te lo fai entrare nel culo, SUBITO!» mi sibila con sguardo feroce.
Intimorita dai suoi occhi minacciosi e dagli sguardi che mi sento pesare addosso, eseguo, meccanicamente.
Sento l’oggetto che mi allarga, mi dilata lo sfintere, fino a sentire dolore: mi fermo, con gli occhi grondanti di lacrime; allora Gianfranco mi da un forte pugno sulla coscia e mi ordina di lasciarmi cadere.
Una fitta atroce di dolore mi fa mordere il labbro inferiore, ma l’intrusore anale mi penetra nel retto: la parte conica è entrata tutta e le mie martoriate carni accolgono quasi con sollievo il diametro relativamente inferiore del ‘gambo’. Mi fanno sistemare la base oblunga nel solco delle natiche e posso, così invasa, sedermi quasi normalmente.
Poi Kaperovic comincia a giocare con la scatoletta -capisco terrorizzata che si tratta di un telecomando- e subito sento l’oggetto vibrare dentro me; la pressione di un altro tasto mi fece provare la sensazione che si gonfiasse dentro di me e che la base, avvolta strettamente dal mio sfintere, si ingrandisse.
La sensazione dell’oggetto che sentivo vibrare dentro di me e l’umiliazione che gli sguardi degli altri mi facevano provare, mi stava provocando ondate sempre più forti di piacere… Cosa mi stava succedendo????

12
6

Leave a Reply