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Trio

Addetto ai piani

By 31 Maggio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

Lavorava in quell’albergo da cinque anni, ormai. Addetto ai piani: quante cose aveva visto, quanti tipi diversi
aveva osservato, quante storie aveva immaginato o appena appena percepito. Un grande albergo &egrave una porta
aperta sul mondo, sulla fauna che lo abita’ Un microcosmo &egrave stato definito.
Così aveva imparato ad osservare, a valutare le persone per quanto lasciavano intravedere, per quel poco o tanto
che lasciavano dietro di sé. E questi particolari gli permettevano di imparare sempre di più sull’animo umano, sulle
grandezze o sulle meschinità delle persone, su quello che esibivano come su quello che nascondevano (o
cercavano di nascondere)’ Aveva imparato ad apprezzare o a disapprovare, a condividere o rifiutare. E quasi
sempre sulla base di una intuizione, di pochi particolari lasciati venire in superficie o abbandonati al loro destino,
nei bagni, nei cestini dei rifiuti, nelle pieghe delle lenzuola. Lui entrava, varcando le porte di quelle camere, nella
loro intimità, raccoglieva i piccoli segreti, puliva, svuotava, e accumulava emozioni, capacità di condividere piaceri
e dolori, una grande facilità di leggere nella mente di quelli che chiamava, con affetto e partecipazione, ‘i miei
porcellini’. Lo si poteva definire uno studioso, un attento conoscitore dei risvolti più segreti e più intimi della
sensualità, delle voglie sopite o di quelle più esplosive ed esplicite, dell’erotismo raffinato e del sesso consumato e
goduto quasi con animalità.
Era così riuscito a percepire, sin dalla prima volta la carica di sensualità e libidine che circondava quella strana
coppia. Stava riordinando la camera di fronte quando li aveva visti entrare nella 220: lei giovane, alta, bella, con
uno sguardo strafottente e un sorriso solare, ombreggiato appena da capelli nerissimi e ricci. Lui più anziano,
statura media, brizzolato, con una famelica voglia di sesso arretrato che si leggeva negli occhi vogliosi, dal modo
come guardava il culo della ragazza che stava entrando davanti a lui. Aveva intuito la loro voglia di scopare, la
complicità che si squarciava dagli sguardi di intesa, dal modo di sfiorarsi. Aveva avuto conferma di questo un’ora
dopo passando, quasi per caso, davanti alla loro porta: erano inequivocabili i rumori, i versi, quasi grugniti, che si
sentivano, appena attutiti dalla sottile barriera dell’uscio. E le battute, forse schiaffi, che completavano i ‘rumori di
fondo’ che giungevano alle sue orecchie allenate. Stavano scopando, chiavando, fottendo’ E godevano: si sentiva
il piacere sotteso a quell’ansimare, a quello schioccare di lingue, ai gemiti non trattenuti. Si era abituato ad
immaginarli, i corpi che si intrecciavano, si inondavano di umori e di sudore: la sua testa li stava vedendo, come se
fosse là con loro. E già altre volte gli era capitato di essere effettivamente invitato ad unirsi a occasionali amanti,
a godere con loro, a mischiare effluvi, odori e tanto altro ancora. E la sua natura libertina e godereccia aveva
gioito, esplodendo con loro in sconvolgenti montate, in leccate, sbattendo il suo cazzo in tutti i buchi, allargando,
sfondando e leccando, succhiando tutto quanto gli veniva offerto.
E lui, quei due li stava immaginando intendi a scopare, con il cazzo di lui nella figa della giovane donna, presa da
dietro, con le mani che le allargavano il buco del culo, mentre la sfondava a ripetizione, prendendo a schiaffi,
pesanti e forti, le sue chiappe protese, desiderose di diventare rosse sotto i suoi colpi. I grugniti dell’uomo
uscivano rochi, appannati dal godimento che lo stordiva. Il rumore della figa liquefatta era musica per le sue
orecchie, abituate a interpretare da pochi particolari l’intensità del godimento della donna, la sua voglia esplosiva,
la carica di sfrenata libidine che trovava nell’amante la possibilità di sfogarsi, di esaurirsi. Sarebbe stato poi il suo
buco, l’obiettivo del manico del porco che la stava scavando, provocandole umori irrefrenabili e scomposti. Il suo
buco, che ora dita frenetiche stavano spalancando, preparandolo all’uccello che si andava impregnando della sua
liquidità aspra e salata.
Era poi passato altre volte, davanti a quella porta magica, che l’attraeva irresistibilmente. E sempre aveva sentito
quei rumori inconfondibili, quei risucchi, quelle urla soffocate di sfogo, alternati a pause di un silenzio irreale. Li
aveva classificati come scopatori con fame arretrata, intriganti, appassionati. Aveva rivisto mentalmente i loro
volti, reinterpretando con la sua fantasia il bel volto di lei in una maschera di godimento, e il viso maturo dell’uomo
in un simulacro di piacere e tensione. Quando alle 22 li aveva visti uscire erano quasi uguali a come se li era
immaginati: spettinati, accaldati, felici e stravolti. Pensava fossero usciti per andare a cena, ma non tornarono. Gli
arrivò dalla direzione dell’albergo la richiesta di ripulire la stanza. E nel farlo, trovò conferma delle sue intuizioni e
delle sue fantasie: il letto completamente sfatto, piumini ribaltati, lenzuola stropicciate e con macchie
inequivocabili. C’era il giallino della sborra, il bianco sporco delle secrezioni della figa e il marroncino, segno
inequivocabile dell’inculata che aveva provocato quei grugniti e quei gemiti di dolore e piacere mischiati. Saltò
fuori anche, dimenticato nella foga della passione e rotolato sotto il letto, un flacone di lubrificante. Organizzati e
previdenti, anche se distratti’E nel bagno la conferma dell’intensità della giornata: asciugamani madidi per le
numerose docce, preservativi usati e annodati su se stessi, capelli neri ricci lunghi, capelli tendenti al grigio, corti.
Tracce e testimonianze di un genere di coppia che conosceva bene, che lo facevano eccitare, arrapare al solo
vederla apparire ai piani, che gli facevano indurire il cazzo ed accendere i sensi. Ma soprattutto sapeva che
sarebbero tornati, e che allora avrebbe trovato il modo di entrare a far parte di quel mondo che i due si erano
costruito attorno, il mondo dei sensi e della lussuria, del piacere e dell’estasi: un mondo che gli apparteneva
perché comune era la voglia e la stessa la sensualità. Sì, non sapeva quando, ma sarebbero tornati e allora
sarebbe stato un delirio’.
E tornarono. Aveva visto giusto, erano affamati di sesso, avevano trovato la loro stalla, il loro nido, quindi si
sarebbero fatti vivi di nuovo, avrebbero rioccupato la stessa camera, quasi a rivendicare una qualche proprietà
sugli odori, sulle suppellettili, sul letto. Ma stavolta ci sarebbe stato anche lui, come variabile, come naturale
completamento e integrazione di quella coppia così porca. Avrebbe trovato il modo di rendere ancora più vive le
loro scopate, di prendere parte a quel concentrato di sesso puro, a quell’abbuffata di sessi che si cercano, di buchi
che si dilatano, si schiudono, si riempiono; di cazzo che si arrapa e di gonfia, colma, spalanca, sborra, pronto a
ricominciare e a integrare dita che percorrono, toccano, palpano, lingua e bocca che leccano, succhiano, aspirano
sapori e odori, li trattengono, li godono.
Arrivarono come la volta precedente, alle 12: allegri, tesi, quasi spavaldi nel loro essere clandestini, amanti, pieni
di voglia. Si chiusero in camera, con attaccato alla porta quel ‘non disturbare’ che sapeva valere per tutti tranne
che per lui. Fece in modo di potersi occupare della stanza vicina, ci si chiuse dentro, e cominciò ad ascoltare,
pronto a tradurre in immagini e stimoli le parole, i rumori che sentiva. E quello che giunse alle sue orecchie
allenate era la conferma di quanto li avesse capiti, di come fossero esattamente come li aveva immaginati: una
cagna in calore con il suo maschio, una porca con il suo verro, una vacca con il suo toro, una gran troia con il suo
vecchio porco, bavoso caprone pronto a far andare l’uccello, a godere con tutti i sensi, a gustare umori e sapori,
con una lingua che sapeva dove andare a posarsi per donare e ricevere lampi di godimento e scariche di libidine.
Percepiva nettamente le parole dell’uomo, le sue frasi scelte accuratamente per caricare, per eccitare, per far
sbrodolare la porca meravigliosa che gli si donava, che trasformava gli stimoli ricevuti in versi di godimento, in
rumori liquidi provenienti dalla figa, dal culo. Che rispondeva ai suoi grugniti con incitamenti a sbatterla più forte,
a spalancarla, ad allargare i suoi ricettacoli allo spasimo, a picchiare le sue chiappe fino a farle diventare rosse.
Sentiva gli incitamenti a farla sbrodolare sempre più, a leccarle il buco nero, che voleva essere goduto, allargato,
succhiato, sfondato a più non posso, reso pronto a ricevere fin nel più profondo quel manico che si ergeva
maestoso, rosso, con le venature in evidenza. Immaginava le posizioni dei corpi, sfrenati, sudati, a sconvolgere
piumini e lenzuola, le mani impregnate di umori e di sapori che lasciavano traccia del loro posarsi, del loro
aggrapparsi. La voce di lui diventava sempre più roca, sempre più profonda, i rantoli diventavano grugniti: e lei
rispondeva con incitamenti ad allargare sempre di più, a sbatterla, a fotterla senza pietà, a farle sentire i coglioni
sbattere sul culo, a sborrare. Sì, voleva vederlo sborrare, voleva sentire la sua carica trasformata in eruzione
violenta e convulsa, vedere i suoi occhi attraversati da lampi di lussuria, sentire i suoi grugniti farsi sempre più
forti, profondi’ Li sentì godere contemporaneamente, con grida quasi di liberazione, un’esplosione di sesso puro,
liquido, intenso’ Li sentì rantolare per un po’, percepì il rumore delle bocche appiccicate, delle lingue intrecciate,
e poi per qualche minuto il silenzio, lo svuotarsi che genera appagamento, estasi, necessità di rifiatare. Sapeva
che non sarebbe durato a lungo, troppa la fame di sesso e di corpi nudi che leggeva nei loro occhi. Porta del frigo
bar che sbatte, rumore di una bottiglietta d’acqua stappata, schiocco di lingue che godono l’effervescenza del
liquido bevuto. E poi la voglia che esce nuovamente, il suo ordine perentorio: ‘Vieni in bagno che ci pisciamo
addosso. E prendi la macchina fotografica”
Rumori attutiti dalla lontananza, gemiti di arrapamento e di piacere, gli scrosci e il gorgoglio del piacere’ Li
immaginavo in vasca, pisciarsi addosso, in bocca, godere del calore dei propri liquidi, immortalare momenti di
grande erotismo, di sensualità particolare e sconvolgente. E poi la doccia, il toccarsi con mani colme di schiuma,
l’assaporare il piacere di percorrersi in tocchi morbidi, carezzarsi, insinuarsi in tutte le pieghe, riprendere energia
dall’alternanza di doccia calda e fredda’.
Stava quasi per arrivare il suo momento: se non aveva interpretato male la carica e la voglia che usciva da quei
due assatanati di sesso, tra un po’ la sua presenza, la sua troiaggine che non aveva nulla da invidiare alla loro,
sarebbe stata indispensabile, logico completamento di un triangolo amoroso destinato ad esplodere in una
ammucchiata carica di odori, di umori e di sapori. Sì, tra un po’ ci sarebbe stato anche lui a sconvolgere la coppia,
ad irrompere nelle loro fantasie, a chiavare e godere.
‘Servizio in camera’ si preannunciò. Bussò e, senza attendere risposta, entrò con il suo passe-partout. La scena
che gli si presentò era esattamente come se l’era immaginata: erano a letto nudi, lui rannicchiato alle sue spalle
che la carezzava e la massaggiava. Erano scarmigliati arrossati e con gli occhi segnati dal godimento appena
assaporato. Lei era girata verso la porta, così le si avvicinò, tenendo in mano la bottiglietta d’acqua che
rappresentava la scusa per infilarsi in camera con loro. Portava pantaloni e una casacca da lavoro: le portò fin
sotto il naso l’evidente rigonfiamento del suo sesso e le tese la bottiglia. Non sembravano troppo stupiti da questa
intrusione, quindi si fece ancora più vicino alla ragazza e cominciò a carezzarle le splendide tette, che non
sembravano aspettare altro per ergersi maestose. Mentre l’uomo alle sue spalle continuava a massaggiarle le
spalle e i fianchi, lei gli aprì la cerniera dei pantaloni e cominciò a lavorare sul suo cazzo: le sue mani, la sua
bocca, la sua lingua sembravano non aver mai desiderato altro che toccarlo, succhiarlo, leccarlo, soppesargli le
palle, ingoiarlo fino alla radice. Intanto notava che l’affare dell’uomo compariva, eretto e maestoso, tra il culo
della ragazza, che sembrava godere immensamente la sensazione di quei due affari che lavoravano per lei e con
lei. I risucchi che riservava al suo cazzo dipendevano sicuramente anche dal piacere di quel palo che le sfiorava il
buco, che si inerpicava tra le sue chiappe, oltre che delle mani che accarezzavano, premevano e strizzavano. Gli
abbassò i pantaloni e li fece cadere a terra, gli chiese di sfilarsi la casacca e si accostò ancora meglio a quel cazzo
sconosciuto che le sembrava di conoscere da sempre. Le mani dei due uomini a volte si incrociavano attorno ai
punti più sensibili della ragazza, le cosce, le tette, la figa, che sembrava impazzita e che emetteva rumori di
risacca ogni volta che qualcuno ci infilava le dita. Il suo uomo le parlava, le diceva quanto fosse puttana, quanto
dimostrasse di essere baldracca lì, con due cazzi che la stuzzicavano, che la facevano mugolare di piacere. Le
infilava la lingua nelle orecchie, ne leccava i lobi, le strizzava i capezzoli, le accarezzava con un massaggio lento e
insinuante i fianchi, il culo, che si ergeva bello e maestoso in fondo alla valle della sua schiena. L’invasore
rispondeva alle leccate e al pompino che lei gli stava facendo infilandole una mano in bocca e cercando con l’altra
la sua fessura. Sentiva i fremiti di passione e di estasi che la percorrevano tutta: se fosse stata in piedi, anziché
sdraiata, le sue gambe non l’avrebbero retta. Era stretta in una morsa, quasi, con i due maschi che la
comprimevano e la schiacciavano, la palpeggiavano e la strizzavano, la leccavano e la facevano arrapare sempre
più. Il palo dell’uomo alle sue spalle trovò da solo la strada per entrare nella sua fessura madida e straripante di
umori. L’altro se ne accorse dalla golosità con cui gli aspirò ancora più profondamente le palle, massaggiandogli la
punta dell’uccello con dita che ghermivano, soppesavano, godevano il piacere di quel turgore, le vene evidenti che
rigavano quel palo diritto, maestoso. Sembrava quasi che quei tre non avessero mai fatto altro che scopare
assieme, leccarsi, chiavare e spompinare, fottere e succhiare all’unisono, producendo rumori e mugolii, emettendo
versi estasiati, sudando e producendo odori e afrori inconfondibili, aspirandosi e odorandosi. Le mani erano
impazzite, vagavano alla ricerca di quei punti che ancora erano in grado di accrescere la voglia e la tensione. I culi
non venivano risparmiati: la donna aveva un dito dell’uomo alle sue spalle ben piantato nel suo fragrante buchino,
mentre lei a sua volta non trascurava l’anfratto vicino al manico che stava succhiando con un accanimento
spasmodico. Questi le teneva la testa premuta verso la punta del suo cazzo, non voleva che neanche per un
secondo la sua lingua e la sua bocca smettessero di dargli piacere.
L’orgasmo arrivò a cascata, quasi una catena di sconvolgenti spasmi che partendo dalla giovane passò alla sua
bocca e all’uccello che conteneva, che la inondò di una sborra calda e densa, che le inondò la gola e che formò
quasi un piccolo rivolo colando sul mento. E venne anche l’uomo che la stava fottendo, con veemenza crescente e
che, sentendo le scosse che la stavano squassando, si liberò dentro di lei con colpi sempre più profondi e veloci.
Per qualche minuto la catena che si era formata emise rantoli, mugolii, versi sempre più profondi, grugniti quasi,
poi via via l’intreccio si sciolse, i due sul letto si distesero e si staccarono mentre l’intruso depositava un bacio
sulle labbra della giovane donna, si ricomponeva e lasciava la camera, con i suoi desideri sopiti e con i gemiti
ormai smorzati.
A testimoniare la sua presenza, una bottiglia d’acqua minerale depositata ai piedi del letto, muta testimone di un
pomeriggio di passioni intense, di voglie scatenate e di emozioni sfrenate.

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