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Trio

*JAMIE**

By 30 Novembre 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Edimburgo, Settembre: sta per piovere e fa freddo, ho lasciato l’Italia al sole ancora estivo per ritrovarmi nell’inverno scozzese che ben conosco e che peraltro si addice perfettamente a questa antica città di pietra grigia.
Imbocco Princess Street, nella New Town; mi hai dato appuntamento davanti alla Royal Scottish Academy, per essere sicuri di incontrarci, hai detto ridendo: sai bene quanto posso essere svanita
a volte.
Lo sai bene, eccome, perché tu di me conosci tutto, anche i segreti più segreti, il mio corpo e la mia anima sono tuoi, sei uno dei pochissimi che abbia avuto e che avrà mai le chiavi del castello.
Eppure insieme non resistiamo neppure un giorno senza litigare ferocemente perché siamo troppo simili di carattere, due gemelli omozigoti.
Insomme né con te né senza di te, ma a lettoè tutta altra storia, forse proprio per la nostra somiglianza anche tra le lenzuola la nostra intesa è perfetta.

Due anni, due anni senza vederti , toccarti, sentire il tuo odore, le tue mani su di me, il tuo corpo.
Per questo, appena arrivata a Edimburgo ti ho telefonato, sapendo di commettere un grave errore: ma il desiderio di rivederti era troppo forte, anzi, sto pensando che forse anche questo viaggio in Scozia inconsciamente sia stato deciso per riaverti un’altra volta, anche se solo per poche ore.
Noi siamo gli amanti impossibili, faremmo la gioia di qualsiasi sceneggiatore di fiction.

-Amore, solo un’ora, esco solo per un’ora, voglio salutarlo, rivederlo, parlargli, sai quanto è stato importante per me; ma no, è finita, già te l’ho detto, e poi, scusa, non l’hai neppure conosciuto, sì, conosci me, e che vuol dire, credi davvero che ci tornerei a letto, così, dopo due anni, sempre che lui mi voglia ancora, magari è sposato, innamorato, ormai siamo solo amici, insomma io esco, fai tu.
Truccata? ma via, solo un poco gli occhi, come faccio sempre.
Si, vestita di rosso, è un vecchio maglione abbinato a un paio di jeans, spero ancora nel sole scozzese, che ha il mio abbigliamento di speciale?
Aspettami in albergo, se vuoi, oppure esci con Fabienne e Max, fai come credi,
ciao –
Ho mentito spudoratamente e lui se ne è accorto.
Sapeva benissimo che non sarei stata via per un’ora soltanto, aveva sicuramente visto nei miei occhi quella luce pericolosa che si accende quando pregusto l’esaltante nuova avventura e che mi rende leggermente strabica.
Mentre gli parlavo con voce ferma di chi è ben deciso a ottenere quello che vuole a qualunque costo, stavo già con te nella mia mente.

Arrivata in strada due giovani uomini mi sfiorano, poi si voltano e mi rivolgono caldi apprezzamenti: un evento eccezionale per la fredda Scozia.
Un signore di mezza età se ne accorge e mi sorride, ricambio la gentilezza. Prego tutti i miei dei che anche tu possa guardarmi come quei due ragazzi.
Ecco, laggiù in fondo compare la Royal Accademy, accellero il passo.
E finalmente ti vedo, alto e imponente, dirigerti a lunghi passi verso di me.
Non ti sei ancora accorto che ti sto volando incontro.
Penso per l’ennesima volta a quanto sei diverso dal tipo maschile che da sempre mi attrae, quello che ben dipinge con sarcastiche parole Fabienne, la mia amica del cuore : magro, scarno, vagamente malaticcio, meglio con l’aria un tantino fané e sofferente, insomma il tipico stadio pre-tubercolotico ottocentesco.
Forse sono stati i tuoi capelli neri e gli occhi azzurri (mix di geni romani e celti) ad attirarmi o forse semplicemente il mistero di una biochimica inspiegabile.
So soltanto che ti ho desiderato dal primo momento che ci hanno presentati e a te è capitata la stessa cosa.
Mi hai chiesto di accompagnarti fuori per fumare una sigaretta e alcuni minuti dopo dietro a un enorme cespuglio di ortensie mi hai preso tra le braccia e mi hai baciato mormorando frasi in slang assolutamente incomprensibili.
Ma il tuo bacio invece lo capii subito: fu come se al posto delle vere labbra tu stessi baciando quelle altre nascoste del mio sesso, che infatti cominciò a pulsare come un piccolo cuore tra le cosce, tanto da farmi temere che te ne saresti accorto.
Quello fu l’inizio.

Ora mi hai visto e ti fermi, anche io faccio lo stesso; sotto la pioggia sottile che ha iniziato a cadere sembriamo due cani da punta che hanno fiutato la preda.
Lo so che cosa stai pensando:
-E’ un errore, un grave errore, poi sarà peggio di prima, poi…-
Ci muoviamo insieme, l’uno verso l’altro: l’impatto è un’esplosione, la forza dell’abbraccio è la gioia dei nostri corpi che si ritrovano, dopo due anni.
Non ci baciamo, restiamo lì, sotto l’acqua, stretti, mi pare di sentir scricchiolare le ossa della gabbia toracica.
-Jamie-
-Fede-
Poi:
-Andiamo, abito qui sopra –
Non mi accorgo neppure dove mi porti, capisco solo che tra poco sarai sopra di me, dentro di me, mi duole il ventre al pensiero.
Entriamo in casa, i miei capelli gocciolano, i vestiti sono bagnati.
Non so dove sia la camera da letto ma la trovo a colpo sicuro; non mi guardo intorno per vedere se ci sono tracce di un’altra donna, non me ne importa nulla.
Mi spoglio in fretta gettando il maglione e i pantaloni per terra, resto in slip e ti guardo; allora ti spogli anche tu, fissandomi.
Mi abbandono sul letto nuda e allargo le cosce, maledicendomi.
Un’offerta così esplicita non è da me, aspettare e far aspettare acuisce il desiderio: il piacere sottile di un pizzico di giocosa crudeltà fa parte del mio carattere, per tanti aspetti così simile a quello dei felini.

Ma con te è diverso, io ti desidero da morire, non posso aspettare, sono solo una femmina che vuole un maschio che la riempia, ma non uno qualsiasi, vuole Jamie.
Mi sento bagnata e nuda come l’avocado privo della buccia che ho tenuto in mano questa mattina, a colazione.
Tu sei l’unico uomo che sia riuscito a farmi sentire completamente donna, penetrata, aperta, vulnerabile: utero, femmina, ovulo.
Immobile, in ginocchio tra le mie cosce aperte, il sesso eretto e teso, contempli attentamente
il mio corpo: dalle labbra passi ai seni abbondanti per finire lì, nel cespuglio scuro in cui si apre , rosea, la mia ferita .
-E’ un fiore- dici sfiorando i petali di carne frastagliati e rosei con dita abili, sapienti.
Poi ti chini e continui ad accarezzarmi con la lingua.
E il tempo si ferma : allora attraverso i brividi di eccitazione percepisco i colori del mio cuore di femmina, il viola porpora e il rosa salmonato, li vedo dilagare, diventare sempre più accesi e caldi.
All’improvviso, presa da una voglia improvvisa, sono io ad abbassarmi sul tuo grembo per ingoiarti, tu, il mio lecca-lecca gigante, la mia chicca adorata, il mio enorme bastoncino di zucchero da succhiare per tutto un giorno fino a sentirlo sciogliersi in una dolcezza e squisitezza senza pari.
Mi allontani, all’improvviso:
-Fede, ti voglio, non ce la faccio più- mormori con voce rauca.
Entri in me, lentamente e io mi mordo le labbra a sangue per non arrivare subito al piacere, che cos’è risentire di nuovo il tuo peso sopra il mio ventre, le tue braccia intorno alla mia schiena , così comincio a blaterare qualcosa sulla resa, sul fatto che mi vergogno di aver tanto bisogno di te, di essere così …disperatamente…mi blocco, non posso dire di più.

Ma tu, mentre ti spingi sempre più a fondo dentro di me:
-Dillo, dillo, avanti, dimmelo, disperatamente cosa –
-Innamorata di te- vorrei urlare, ma non te lo confesserò mai, mai.
Improvvisamente passi sotto il mio corpo, ora io ti sto sopra, impalata, sconvolta, i capelli arruffati sul viso, il corpo lucido di sudore, l’orgasmo che preme, mentre tu:
-Dillo-continui -dillo- lo ripeti come una cantilena.
Poi il mondo svanisce : resta solo il pulsare ritmico del mio ventre che per me diventa l’universo, la galassia, un profondo buco nero nello spazio.
Il piacere mi colpisce con un tremito che mi fa urlare e mi costringe ad abbattermi su di te, mordendoti una spalla.
E’un orgasmo cosmico, non solo del sesso, ma anche della gola, della voce, di tutto il mio corpo: per un attimo sono fuori di me, volo, per sempre libera, immortale.
Arriva il tuo piacere, fiume di vita a dissetare una sete antica, inestinguibile.
Infine giaciamo nella pace assoluta dopo il terremoto.

-Allora, che volevi dirmi, Fede ?-mormori accarezzandomi i capelli.
-Niente, Jamie, niente- rispondo con voce ubriaca di piacere – niente, lo sai che arrivo a dire di tutto, in certi momenti-
Tu non insisti, mi sento le gambe e le braccia pesanti, come fatte di mercurio e piombo.
Mi alzo dal letto con fatica:
-Devo andare, amore mio, la mia ora è passata da un pezzo –
Mi allontani da te, per poter guardare meglio il mio corpo, io ti passo una mano sul petto sudato, sui contorni del viso, ti bacio rapida il sesso: è il solito rituale, a significare -ricordiamoci così, chissà quando sarà la prossima volta e se ci sarà-

In Princess Street il traffico è caotico, è quasi ora di cena; torno a piedi all’albergo, dovrò inventarmi qualche cosa, ma non ci voglio neppure pensare.
Cammino lentamente sotto la pioggia leggera e mi pare strano che la gente non si accorga di questo grande sole che ho nel ventre.


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