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Trio

*La perfezione erotica del numero TRE **

By 1 Febbraio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments


Caro Stefano, la nostra storia &egrave finita da tempo, ma io ricorderò per sempre quel Capodanno
del 2006 che passammo sul Garda, nella casa estiva dei tuoi.

Il 31 gennaio fu una fredda ma splendida giornata.
Mi incantavo a guardare, dal balcone della nostra camera, le acque limpide abbrividite sotto il gelido vento che soffiava dai monti innevati; all’improvviso, nel rosso tramonto, la natura parve incendiarsi: e io interpretai tutto quel rosso come un fausto presagio per la notte di festa che stava iniziando.
Avevamo invitato una trentina di persone; quando sentii un clacson suonare insistente di sotto pensai, con gioia, che era arrivato Giovanni, il tuo amico più caro: infatti vi chiamavano gli inseparabili, come i pappagallini, fin da ragazzi.
Quando entrai nel tuo orizzonte per rimanervi, spesso si usciva in tre, perché Giovanni mi piaceva, mi inquietava trasmettendomi una eccitazione strana al vago odor di proibito e tu parevi non accorgertene.
A volte la sue fraterne carezze -ma quanto fraterne, spesso mi domandavo- avevano il potere di rimescolarmi il sangue e da certi suoi sguardi interrogativi avevo capito che provava per me qualche cosa di più dell’amicizia: ma ti volevamo troppo bene tutti e due, non avremmo mai potuto tradirti.
Se prima eravate gli inseparabili, ora eravamo i tre moschettieri -anche se uno dei tre era una donna- e la lealtà veniva prima di tutto.
Giovanni cambiava spesso ragazza che veniva regolarmente sottoposta al nostro severo giudizio.
Proprio quella sera ci avrebbe presentato Benedetta, il suo ultimo amore.
Con questi pensieri che mi vagavano per la mente iniziai gli intimi preparativi per quel capodanno che avrei ricordato per sempre: doccia e creme profumate a far risplendere la mia pelle scura di bruna e un abito che avevo preparato apposta per te, Stefano, per piacerti come non mai e farti ben figurare di fronte ai tuoi amici che ancora non mi conoscevano.

I capelli li lasciai incolti, riccioluti di natura, a coprire in parte il viso e le spalle, adornai con pesanti gioielli il collo e le braccia ( mi piace lo splendore dell’oro e anche il suo freddo contatto sulla pelle, mi fanno sentire una dea ), indossai un minuscolo slip di pizzo e infine il mio splendido abito di raso nero, senza spalline, aderente come una pelle di serpente, dallo spacco inguinale, depilzero, come direbbe il solito comico.
Insomma, volevo far rivivere il mito di Gilda, guanti compresi: non ero di certo Rita, la rossa bellissima Diva, ma mi difendevo.
Con un paio di sandali dai tacchi alti e sottili e leggere catene d’oro alla caviglia, mi pareva d’esser quasi lei; kajal per esaltare gli occhi e rossogotico per le labbra completarono
la mia trasformazione in femme fatale.
Mi stavo profumando, quando tu bussasti, chiedendomi se ero pronta ; infatti al piano di sotto non c’era solo Giovanni con Benedetta ma anche altri invitati arrivati in anticipo.
Restavano delle cose da sistemare; ti chiesi, voltandomi contemporaneamente verso la
porta:
-Allora la donna nuova di Giovanni come &egrave?-
Immobile sulla soglia , mormorasti :
-Non so, parla in continuazione, ora sta affliggendo Rosangela, poveraccia… ‘
E poi venendo verso di me:
-Amoremio, sei bellissima…-
Mi abbracciasti stretta per infilare rapidamente la tua mano calda dentro lo spacco della gonna, fino a raggiungere, attraverso gli slip, il mio cuore di femmina già eccitato.

Intanto incollata a te potevo sentire la forza della tua erezione sotto i pantaloni.
Il viso immerso nei miei capelli, dicevi con voce rauca:
-Dai, facciamo l’amore, ti desidero troppo, sei così…così…-
e io:
-Stefano c’&egrave gente di sotto e siamo in ritardo ‘-
Ma era una protesta debole la mia, già del tutto intrigata ed eccitata.
Mi spingesti sul letto, per buttarti sopra di me, ma io ti bloccai: feci allungare te sulla bianca coperta, poi ti slacciai i pantaloni e curva sul tuo sesso ti presi in bocca: sai quanto mi piaceva leccarti, succhiarti e berti.

Tu gemesti forte.

Allora mi alzai, tolsi gli slip, arrotolai il vestito intorno alla cintura, per danneggiarlo il meno possibile, e ti salii sopra, prendendoti dentro di me, tutto, fino in fondo, caldo e pulsante:mi parve di svenire dal piacere.
Cominciai a muovermi lentamente, ondulando i fianchi,mentre con le mani mi stringevi i seni e sollecitavi il clitoride, pronto a scoppiare come un acino d’uva maturo.
A un tratto, pur nello stordimento, mi accorsi di qualcosa o qualcuno alle spalle: mi voltai e vidi Giovanni sulla porta, lo sguardo fisso, come assente a contemplar la scena.
Allora capii che quella sera saremmo stati come Artù, Lancillotto e Ginevra, che una leggenda vuole siano giaciuti , per una notte, tutti e tre nello stesso letto.
Era scritto così, da qualche parte: tu non ti saresti opposto, Stefano, non avresti potuto.
Così mi piegai sopra di te, mettendoti in bocca i capezzoli che cominciasti a succhiare avidamente, a occhi chiusi, mentre il mio culetto si offriva spudorato a Giovanni, sempre immobile sulla porta.

Con uno scatto mi voltai,allontanando i capelli dal viso e gli sorrisi, invitante: lui capì.
Anche tu intuisti qualche cosa, ma ti zittii immediatamente, mangiandoti le labbra con le mie.
Sentii nitido il rumore della porta e lo scatto della serratura, poi un frusciar di vestiti per terra e il letto abbassarsi sotto il peso del ‘terzo uomo’ per una notte.
Giovanni mi aprì le natiche e fece una cosa che mi fa impazzire, sempre: cominciò a leccarmi avidamente il buchetto: poi sentii il suo membro duro premere su di me.

Mi entrò dentro con un colpo secco, violento, che mi fece gemere forte -piacere e dolore in continua altalena- e che mi spinse ancor più verso di te: allora tu, aperti gli occhi, non sembrasti affatto sorpreso.
Il tuo ora era lo sguardo di un complice, rassegnato e voglioso.
Le mani di Giovanni mi tenevavo i fianchi, le tue la schiena, ma ad un certo punto le sentii stringersi sopra il mio corpo, in un unico abbraccio.
Le vostre mani si univano sopra di me, in una ambigua alleanza, mentre i vostri due sessi cercavano nel mio ventre la stessa calda umida ospitalità
Io, piena di tutti e due, mi avvicinavo al piacere assoluto: sapevo che questo sarebbe stato l’orgasmo più bello e lungo della mia vita.
Il primo a venire fosti tu, con un grido, poi Giovanni si abbatt&egrave su di me, svuotandosi in silenzio, mordendomi il collo e mormorando:

-Ti amo…-

Io, tra i due maschi, restai un attimo in bilico, sull’abisso del piacere, poi volai giù, e su, in un cielo di stelle colorate, fuori dal tempo e dal mondo, per ricadere sopra di te.
Infine tutti e tre restammo in silenzio, immobili , l’uno sull’altro, per qualche minuto.
A farci rapidamente ricomporre fu il clacson di altri invitati che arrivavano.
Vi cacciai fuori dalla camera, le spiegazioni a dopo , se mai ce ne fosse stato bisogno: dovevo risistemarmi adeguatamente.
Ma non furono necessari grandi restauri: i miei occhi brillavano come non mai e anche la mia pelle: con un dito, prima di lavarmi, raccolsi un po’ di seme tuo e un po’ di quello di Giovanni e lo portai alle labbra, leccandolo avidamente: avevate un buon sapore, insieme, proprio un buon sapore.
Sistemato il vestito, solo un po’ sgualcito, mi guardai allo specchio che mi rimandò l’immagine di una bella donna, sensualmente affaticata, con uno strano segno rosso sul collo: pareva proprio un morso, come lo avrei giustificato?

-E che importa?-mormorai tra me, sorridendo, mentre scendevo le scale incontro agli ospiti
sentendomi davvero Gilda -chi ha detto che solo Artù e Lancillotto portassero sulla pelle memoria delle battaglie combattute…?


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