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Trio

Questa è una storia del cazzo.

By 6 Maggio 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Questa è la storia di un tizio che aveva un amico immaginario.
Non che fosse pazzo, si sbronzava come tutti, faceva lavoretti per campare e correva dietro a cinque donne per volta, come tutti.

Una sera, particolarmente sbronzo si ritrovò seduto sul letto, in mutande con una bottiglia di vino in mano; seduto su una sedia di fronte a lui, il suo amico immaginario stava fumando una sigaretta e leggeva un libro di Pamuk.

Hey amico, questo libro lo devi leggere per forza, è una bomba, parla di Istanbul. E’ scritto benissimo, dovresti leggerlo, anch’io scrivo, di queste cose me ne intendo.

Il tizio sbronzo, diede una lunga sorsata dalla bottiglia e poi esclamò.

Tu non esisti, tu sei il mio amico immaginario, tu esisti solo nella mia testa e basta, molto probabilmente quel libro l’ho letto un sacco di tempo fa e ora la mia mente lo sta facendo riaffiorare tramite te.

Disse queste cose di colpo, senza riflettere troppo, come se fosse una cosa semplice e normale, come se avesse appena abbassato la tavoletta del cesso e si fosse messo a cagare.

Come non esisto? Così mi offendi, amico, ehy, noi siamo amici, ci conosciamo da anni, siamo andati in giro, abbiamo visto un sacco di cose assieme, ehy io ti voglio bene, ti ho salvato anche il culo un sacco di volte con tutte quelle donne che ti fai ronzare attorno.

Non è vero, tu non esisti, non sei reale, gli amici immaginari non sono reali, non hanno un vero corpo, non si possono ne toccare ne altro, tu non esisti, chiaro? E adesso sparisci e non tornare, o se proprio vuoi tornare, vedi di diventare qualcosa di reale.
E adesso fuori dalla palle, lasciami in pace, voglio sbronzarmi da solo.

Ehy ma che cazzo, ma ti sembrano modi di trattare gli amici immaginari?
Abbi un po’ di rispetto e che cazzo, ma guardati, sbronzo e solo e te la prendi con me, sei uno stronzo e un coglione e puzzi di scorregge e solitudine, sai che ti dico, vaffanculo, non sei tu che mi cacci, sono io ad andarmene, vedremo chi sentirà prima la mancanza dell’altro, addio!

E così l’amico immaginario uscì dalla stanza, si mise il cappotto immaginario e scese le scale accendendosi un’altra sigaretta.
Fuori pioveva forte e la città era deserta, poche auto, quasi nessun passante.
Meglio, pensò tra se e si mise a camminare sotto la pioggia, inzuppandosi tutto.
Dopo qualche isolato, entrò in un bar e chiese un whisky liscio doppio.
Il barista naturalmente non lo cagò neanche di striscio.
Ripeté l’ordine un altro paio di volte alzando la voce e sbattendo i pugni sul bancone, ma il barista nisba, non lo considerò nemmeno e continuò a parlottare con una tipa mezza sbronza dall’altra parte del bancone.
L’amico immaginario allora fece per andarsene sbraitando contro tutti, ma venne fermato da una morettina magra, proprio sulla porta.

Anche tu immaginario eh? Benvenuto nel club, vieni siediti al tavolo, aspettami qui che ti porto da bere.

La morettina, attraversò la sala e andò a parlare con la tipa mezza sbronza che stava parlando col barista, tornò dopo pochi minuti con due bicchieri pieni.

I due iniziarono a parlare un po’ del più e del meno.
Come in tutte le conversazioni del mondo, prima o poi il discorso cadde sul sesso e sui suoi derivati.

…non mi dire che non conosci la scappatoia?
Dai, la conoscono tutti, è semplice.

Scappatoia? Ma che dici? Non c’è nessuna scappatoia.

Certo che c’è, dai, non dirmi che non la conosci perché non ci credo, cioè dai è impossibile non conoscerla. Pensaci, è più semplice di quanto pensi, io vado in bagno e poi prendo altri due whisky ok? Tu intanto pensaci.

L’amico immaginario, ci pensò su, si guardò intorno in cerca di un appiglio, di un lampo di genio, guardò gli altri, seduti ai tavoli del bar, ridevano scherzavano, chi in coppia, chi in gruppo, chi da solo, tutti bevevano qualcosa e chiacchieravano e ridevano e si sfioravano o si lanciavano grosse pacche sulle spalle o fumavano sigarette o parlavano, parlavano, parlavano.

Ripensò ad una frase che aveva detto lei, prima di sparire in bagno:
‘Cosa resta di loro che può ospitarci?’
Ripeté la frase venti volte continuando a guardare gli altri e a esplorarli mentalmente cercando qualche punto d’accesso.
Poi un idea gli balenò in testa e qualcosa disse halleluja.
Quando lei tornò, lui stava sorridendo.

E’ il sesso. Giusto?
Non l’atto sessuale in se, ma proprio il sesso, il pene, la vagina, sono quelli i punti d’accesso, giusto?

Esatto.
Tutti loro parlano coi propri organi genitali, chi più, chi meno, la maggior parte di loro gli da persino un nome, è così che li freghi ed è così che anche noi possiamo farci una fantastica scopata, è semplice, ti avvicini e zac, ti infili dentro.
I peni non so se siano comodi, ma per quanto riguarda le vagine ti assicuro di si, poi è solo questione di ridimensionarci e adattarci il tempo necessario.
Una volta ho conosciuto un tale, una specie di asceta del sesso, passò quasi tutta la sua esistenza dentro un pene, non uscì quasi mai.
Se la mia tizia non ci avesse fatto sesso, non l’avrei mai incontrato; che personaggio.

Continuarono così per un’altra buona mezz’ora, poi la morettina lo liquidò con un bacio e un ‘ci vediamo presto!’
L’amico immaginario, reso euforico dai whisky, si incamminò verso la casa del tizio sbronzo, deciso a mettere in pratica i consigli della morettina immaginaria.
Salì le scale ed entrò nella stanza da letto, non era solo.
Con lui, una delle sue solite cinque donne, la bionda, quella che ogni tanto gli prestava un po’ di soldi.
Stavano scopando, perciò decise di aspettare, quando gli urletti di lei si trasformarono in respiri profondi, entrò.

Diventò invisibile, si assottigliò e si rimpicciolì, fino a diventare più piccolo di un granello di polvere, incominciò a volteggiare nella stanza e mentre il tizio si fumava una sigaretta, col cazzo ancora gocciolante, ci si fiondò dentro.
Una volta dentro, si accorse che riusciva a vedere l’esterno, come se tutto il pene fosse trasparente.
Poi provò a muoversi, provò uno scatto verso l’alto e il pene si mosse, un poco.
Il tizio non più tanto sbronzo, si guardò il pene, aveva recepito il movimento e ora se lo guardava in maniera interrogativa.

Non vedi l’ora di ricominciare eh? Questa biondina ti piace proprio.
Disse a bassa voce al proprio pene.

Puoi ben dirlo amico, su cosa aspetti, gli rispose il pene.

Il tizio finì la sigaretta e la spense maldestramente nel posacenere.
La biondina era sdraiata a pancia sotto, le gambe leggermente aperte.

Strusciami un po’ su quel bel culetto, continuò l’amico immaginario da dentro il pene, era eccitato da questa nuova sensazione e voleva godersela al meglio.

Il tizio si alzò e si appoggio sopra la biondina, strusciando il pene nel solco tra le natiche.
La biondina emise un leggero gemito di approvazione.
Il tizio prese a baciarle il collo e poi la schiena.
L’amico immaginario, provò la singolare sensazione di allungamento e di rigidità al tempo stesso, rise di gusto mentre si figurava come un piccolo missile lungo poco più di venti centimetri, che andava su e giù, schiacciato tra quelle, per lui enormi, montagne di carne.
Vedeva tutto, prima il piccolo forellino anale e poi l’apertura tra le labbra.
Ci si immergeva un poco e poi ritornava su.
La biondina ansimava sempre più profondamente e sussurrava al ‘bastardo’ che la stava facendo impazzire.
Quando il tizio si decise e affondò in lei, iniziarono i gemiti acuti.
L’amico immaginario si sentì avvolgere in una morbida e calda morsa vischiosa.
Scivolò dentro gridando ‘Geronimo’ e si ritrovò immerso nel soffice rosa.
Qui, ebbe un ulteriore sorpresa.
Un immagine di una seconda vagina aperta e una faccia sorpresa quanto la sua.
Non fece neanche in tempo a dire salve, che si sentì risucchiato all’indietro, verso l’esterno e poi spinto di nuovo all’interno, in maniera più decisa.
La sensazione della morsa morbida si fece un pochino più accentuata.
Questa volta, salutò garbatamente e si presentò all’inquilina immaginaria.
All’affondo successivo lei concluse le presentazioni e iniziarono a divertirsi.
Parlare tra di loro ad intermittenza era praticamente impossibile, ridevano di gusto però al fatto che entrambi i corpi in cui alloggiavano, ignoravano dei rispettivi occupanti abusivi.
Poi il tizio cambiò posizione e l’amico immaginario si sentì roteare per la stanza, vide dapprima il culo che si allontanava poi una porzione di stanza che si allargava sempre di più, fino a che si ritrovò, sempre eretto, al centro del letto.
Poteva vedere a trecentosessanta gradi, la porta in fondo, il tizio sotto di lui (cosa che un po’ lo fece preoccupare), la biondina che avanzava carponi, con quelle fantastiche tette ballonzolanti, sempre più vicine.
La biondina lo avvolse con una delle sue manine morbide, in una stretta delicata ma salda ed iniziò un lento su e giù.
L’amico immaginario si sentì accarezzare tutto il corpo, poteva sentire il calore delle singole dita e il piccolo spazio tra di esse.
La biondina dopo un po’ di su e giù avvicinò le labbra e fece scorrere un po’ di saliva sul glande, prima di avvolgerlo completamente tra le labbra e poi prenderlo tutto in bocca.
Un uovo spaccato in testa che ti cola bollente su tutto il corpo.
L’amico immaginario non riuscì a descrivere diversamente la sensazione che stava provando. Quando la biondina iniziò a giocare con la lingua poi, fu una cascata di sensazioni che lo investirono in pieno.
E di nuovo la sensazione di essere risucchiato via e poi spinto di nuovo giù.
Qualcosa però stava cambiando in lui, si sentiva agitato e frenetico, da sotto di lui sentì qualcosa crescere e ribollire.
La biondina se ne accorse e accelerò il ritmo e l’intensità della lingua.
L’amico immaginario si sentiva come se fosse imprigionato dentro uno yo-yo gigante e venisse spinto in alto e poi scaraventato in basso ma mai abbastanza da cadere, poi successe, eruttò.
Come un geyser enorme, come un vulcano dopo anni di inattività, un denso fiotto biancastro uscì da lui, o almeno così gli sembrò, per andare a perdersi tra le accoglienti labbra dischiuse della biondina.
Poi altri, due, tre, quattro, finché solo poche gocce fecero capolino risucchiate prontamente da quella fantastica lingua.

Lentamente si rimpicciolì di nuovo, stremato, estasiato ma felice.

Ehy, amico, disse l’amico immaginario, questa è stata fantastica.

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