ACCETTARE LE CONDIZIONI
di Glorfindel
28 giugno 2012
CAPITOLO 1
“Purtroppo devo confermarle la diagnosi che le è stata fatta in precedenza, sua madre è affetta da una malattia molto rara, ne è colpita solo una persona su dieci milioni nel mondo, è una malattia mortale che al punto in cui è sua madre le lascia al massimo tre mesi di vita, esisterebbe un farmaco che se preso giornalmente terrebbe sotto controllo la malattia dando alla signora una vita completamente normale ma le case farmaceutiche, vista la rarità della malattia, lo producono solo su ordinazione ed ha un prezzo molto esoso, un anno di trattamento costa 700.000 euro, se non si è in grado di sostenere tale spesa non vi è rimedio al vostro problema”
“ma non è possibili, non è giusto, mi sta dicendo che mia madre è condannata a morte solo perché non siamo in grado di pagare le sue cure? è possibile che non ci sia una soluzione?”
“mi spiace dirglielo ma non c’è via d’uscita, se non trova un modo che vi permetta di pagare le spese la situazione è senza speranze”
“non conosciamo nessuno facoltoso tanto da potersi permettere una cura così esosa e tanto meno conosciamo qualcuno che ci farebbe un regalo così costoso”
Quell’uomo davanti a me, medico, luminare, di mezza età, aspetto elegante, capelli corti e brizzolati, fisico asciutto e muscoloso, seduto nella sua poltrona di pelle con un’enorme scrivania di legno massello a dividerci, abbassò lo sguardo come riflettendo, era la mia ultima speranza, era considerato un genio, uno che fa miracoli e speravo che ne avrebbe potuto fare uno per me, per mia madre ma invece avevo ricevuto la stessa risposta che mi davano da mesi. Rialzò lo sguardo piantandolo nel mio, intenso, magnetico, mi sentivo a disagio mentre mi scrutava, con faccia seria.
“io, signorina, potrei accollarmi facilmente questa spesa se lei fosse disposta a darmi in cambio ciò che le chiederò ma prima di procedere sappia che le mie richieste saranno indecenti e perverse”
Si azzittì dopo avermi ghiacciato con quella frase, continuava ad impalarmi con gli occhi mentre le sue parole mi frullavano in testa lasciandomi stordita. Non vi era stata malizia nel suo parlare, non era apparso viscido ne approfittatore, era stato serio e conciso, quella che mi stava proponendo era una semplice transazione commerciale e così l’avevo percepita, se mi avesse chiesto di scoparmi, sinceramente, disperata come ero, considerando il fatto che quell’uomo mi affascinava, mi sarei concessa quasi volentieri ma per tutti quei soldi avrebbe potuto avere chiunque. Quello che mi aveva bloccato era stato l’intenso modo in cui aveva detto indecenti e perverse, per un istante, mentre parlava, mi era sembrato di trovarmi davanti a un pozzo senza fondo pronto ad ingoiarmi.
“la ascolto dottore”
“è molto semplice, io mi accollerò le spese per le cure di sua madre a vita e lei diverrà di mia totale proprietà e farà per me ogni cosa le chiederò.
Sarà umiliante, quando servirà allo scopo doloroso, depravato e senza limiti. Se decidesse di accettare lei e ogni suo familiare stretto dovrete firmarmi delle cambiali per il valore di un milione di euro ciascuno, io non le incasserò mai ma saranno una garanzia che una volta stretto il nostro accordo mi assicurerà che non abbia la possibilità di tornare indietro. Dovrà anche firmarmi un accordo privato che dimostri che ogni cosa che farà per me sia consensuale in modo da non avere problemi con le autorità.
Tutto questo discorso, comunque, è subordinato in primis al verificare che lei sia adeguata alle mie necessità”
Non so come facesse a dire quelle cose con tanta semplicità, ne parlava come se parlasse della vendita di un immobile, come se fosse la cosa più normale del mondo. Ero frastornata mentre il silenzio ci avvolgeva e poi mi ridestai ricordando le sue ultime parole.
“dottore, la sua proposta mi ha preso impreparata ma credo che sia normale. E’ sicuramente l’unica speranza che ho per salvare mia madre ma è anche vero che quello che mi chiede non è una cosa da nulla, ho bisogno di rifletterci ma prima credo sia il caso di dipanare il dubbio sul fatto che sia o meno adeguata per le sue necessità in modo da avere la certezza che questa opportunità sia realmente a mia disposizione”
L’uomo si lasciò andare all’indietro sospirando, si appoggiò comodo alla sedia dall’alto schienale, continuò a fissarmi ancora per qualche istante e poi si dedicò alle carte che aveva sulla scrivania e senza alzare lo sguardo, in modo un po’ distratto, proprio come farebbe un medico.
“bene, si alzi in piedi e si spogli completamente”
Mentre mi ignorava deglutii e presi un lungo respiro, riflettei un istante e mi resi conto di vedere ancora quell’uomo come un medico, spogliarmi, per quanto imbarazzante fosse, non mi sembrò così difficile quindi mi alzai, feci qualche passo indietro per allontanarmi dalla scrivania e mi liberai dei vestiti appoggiandoli con cura sulla sedia su cui ero fino a qualche istante prima. Non fu uno spogliarello, mi denudai proprio come avrei fatto ad una visita medica e lui, da bravo dottore, non alzò mai gli occhi, non mi degnò di uno sguardo, continuò a fare il suo lavoro anche quando rimasi senza un solo capo. Mi lasciò li, nuda e in silenzio per almeno dieci minuti. In quella situazione mi sentivo un’idiota ma ormai c’ero e tenni duro. Li, al centro del suo enorme studio arredato in stile antico, lussuoso e pieno di oggetti di pregiata fattura spiccavo io nella mia nudità come una statua, come fossi parte dell’arredamento. Avevo ventitré anni, un viso carino con labbra sottili sormontate da un nasino piccolo, lunghi capelli ramati, lisci che mi arrivavano a metà schiena, esile nel mio metro e cinquantacinque, seno sodo, altezzoso, poco più che una seconda ma sulla mia corporatura snella comunque appariscente, areole grosse, scure, in tono con la carnagione olivastra, capezzoli tesi, maledetti, contro la mia volontà come chiodi ad aumentare l’umiliazione. Ventre piatto, vitino stretto e fianchi rotondi, un cespuglietto di pelo rosso scuro che spuntava sul basso ventre, ben curato, giusto una striscia a dimostrare che non ero più una bambina, un culetto prepotente, leggermente sproporzionato rispetto al resto ma giusto di quel tanto che bastava a renderlo appariscente, cosce ben tornite, polpacci tesi su caviglie minute.
Finalmente alzò lo sguardo su di me, mi scrutò attentamente, i suoi occhi percorsero ogni centimetro del mio fisico esposto facendomi arrossire all’idea dei suoi pensieri, indugiò per lunghi minuti e poi:
“si volti per cortesia, mi faccia vedere la schiena e il sedere”
Esegui quasi grata di poter sottrarre i miei occhi ai suoi, ricominciò l’osservazione o almeno così immaginai, l’analisi, lo studio di ciò che voleva acquistare.
“è sessualmente attiva?”
Mi prese alla sprovvista, risposi “si” con la voce un po’ strozzata
“ha un compagno, un marito?”
“no, non in questo periodo”
“ha fatto sesso ultimamente?”
“no”
“da quanto non fa sesso?”
“credo, beh, due anni, da quando mia madre ha iniziato a stare male e io…”
“si, si, ok, continuiamo, pratica sesso orale e nel caso ha mai ingoiato lo sperma maschile?”
“pratico il sesso orale ma lo sperma mi fa ribrezzo, non l’ho mai…”
“se deciderà di accettare dovrà imparare a farlo tranquillamente e in abbondanza!
Pratica sesso anale?”
“no”
“nel caso dovrà imparare anche quello! Ha mai avuto rapporti con più uomini?”
“nnn…, no”
“con una o più donne?”
“no”
“è mai stata frustata, sculacciata o ha mai avuto rapporti di tipo BDSM in generale?”
“nnn…, no”
“si masturba?”
“si, di rado però” fui contenta di dargli le spalle mentre rispondevo a tutte quelle domande.
“si masturba con le mani o usa oggetti o surrogati del pene?”
“con le mani”
“si è mai sottoposta a scopo sessuale a clisteri anali e/o vaginali?”
“no”
“ha mai avuto rapporti sessuali con i suoi familiari?”
Dio mio, che cosa aveva in testa quell’uomo? “no, ovviamente no”
“rapporti sessuali con animali di qualche genere?”
“NOOOO” Sentivo la sua penna che grattava alle mie spalle, ero esterrefatta, pietrificata.
“Signorina, può rivestirsi”
Mentre mi infilavo i miei abiti lui continuò a parlare:
“da quello che le ho chiesto poco fa può farsi un’idea dei compiti che le verranno affidati se accetterà, che non abbia grande esperienza non è un problema ma deve essere conscia che se dovesse accettare poi non le sarà permesso tornare indietro per nessun motivo e dovrà ubbidire ad ogni mio ordine. Qui ci sono le cambiali di cui le ho parlato e il contratto, li prenda e rifletta, se volesse accettare venga qui questa sera alle 19:00 con i documenti firmati e daremo inizio al nostro rapporto”
Mi voltai e me ne andai senza aggiungere una parola, quell’uomo era un pazzo perverso, non sarei mai stata in grado di fare quello che chiedeva, mi ritrovai ad essere più frustrata di prima e presi la strada di casa. Quando arrivai alla mia abitazione scoprii che non vi era nessuno, un biglietto mi avvisava che erano corsi tutti in ospedale perché mia madre stava male, ripartii subito anche io. Passai il pomeriggio al pronto soccorso dove, dopo lunga attesa, un medico ci disse che la situazione era grave e che dovevamo prepararci perché nell’arco di un mese la mamma ci avrebbe lasciato. Disperata guardai l’orologio, erano le 18:30, raccontando ai miei che erano carte per delle analisi particolari che mi aveva chiesto il luminare da cui ero stata feci firmare tutti i documenti, poi scappai via.
Entrando nello studio del dottore rimasi ghiacciata, era seduto ad un tavolo da riunione con altri sei distinti signori:
“io, io, forse è il momento sbagliato, mi aveva detto alle 19:00 ma credo di disturbare”
“no, no, si avvicini, ha riflettuto sulla mia offerta???”
Arrossendo vistosamente risposi: “ho qui le carte che mi ha chiesto firmate, se lei è d’accordo, accetto la sua offerta”
“bene, bene, faccia vedere”
Mi avvicinai e gli consegnai i documenti rendendomi conto solo dopo che mi furono presi di mano che mi ero messa in suo totale potere. I presenti mi fissavano in silenzio scambiandosi sguardi maliziosi. Lui guardò velocemente le carte e poi le ripose in un cassetto, tornando al tavolo mi fermò il cuore dicendo:
“è tutto in regola, possiamo cominciare, si spogli completamente e poi si infili sotto il tavolo, il suo compito per questa sera sarà quello di eseguire una fellatio a tutti i miei ospiti! Faccia attenzione a non sporcarli con saliva o sperma, cerchi di essere silenziosa, ingoi tutte le loro eiaculazioni e li ripulisca ben bene, una volta terminato venga da me.”
Detto questo si accomodò al tavolo, i presenti si alzarono giusto il tempo di sfilarsi pantaloni e mutande e poi si sedettero e tornarono ai loro affari come se tutto fosse normale e come se io non esistessi. Ero ormai senza scampo, non potevo tornare indietro e trattenendo le lacrime mi denudai nel disinteresse generale. Nuda, trovai riparo sotto il tavolo. Intorno a me sei peni, alcuni ancora flosci, alcuni già eretti e pronti per le mie attenzioni. Mi feci coraggio e gattonai fra le gambe del più vicino. Fare pompini mi era sempre piaciuto ma non certo in quel modo e poi lo sperma, avevo paura che avrei vomitato ma poco vi era da fare. Afferrai il cazzo turgido e, controvoglia, vi appoggia la punta della lingua. Leccavo appena, stordita da quella situazione assurda. Piano, piano presi dimestichezza e mi sciolsi, se dovevo farlo meglio farlo bene così che durasse il meno possibile. La lingua iniziò a lappare con più vigore, intorno alla cappella, sul frenulo, facendo sobbalzare l’asta dell’uomo che continuava tranquillo i suoi discorsi. Lo imboccai, mi feci scivolare la cappella in bocca, lavorandola di lingua, succhiando mentre con una mano lo segavo. Risucchio dopo risucchio sentii l’arnese cominciare a vibrare, avrei voluto scansarmi, fuggire al frutto del mio lavoro ma non mi era concesso quindi chiusi gli occhi rassegnata al mio destino, continuai la sega succhiando e in breve, per la prima volta nella mia vita, lunghi getti di sperma caldo mi invasero la gola, conati mi vennero spontanei, li trattenni ma non riuscii ad inghiottire subito tutta l’appiccicosa, densa e lattiginosa sostanza che mi rimase sulla lingua. Dovetti assaporare bene il suo amaro gusto mentre se ne aggiungeva altra e ancora altra. Solo quando ebbe finito di riempirmi, come dovendo mandare giù una medicina schifosa, in un unico, grosso, sorso, deglutii sentendo lo sperma scivolare, viscido nella gola, fino allo stomaco. Dovendo fare attenzione a non sporcare fui costretta a leccare bene il cazzo che avevo soddisfatto spremendo fino all’ultima goccia e asciugandolo per rendermi conto che era solo il primo. Prosegui il mio lavoro, in meno di un’ora avevo fatto godere cinque dei sei peni che mi erano stati assegnati, mi faceva male la bocca e avevo un sapore orrendo in gola, il misto dei vari uomini viaggiava dall’amaro al salato, uno solo era dolce, in confronto era stato quasi piacevole ma l’ultimo non sembrava gradire le mie attenzioni, era già un po’ che lo lavoravo ma era ancora semi moscio fra le mie labbra, avevo provato di tutto, lo avevo scappellato e leccato al meglio che sapevo fare, lo avevo succhiato fino ad averlo tutto in bocca mentre respiravo l’odore dei peli pubici ma a poco era servito. Quando ormai la frustrazione si stava impadronendo di me una mano sgusciò sotto il tavolo, scivolò viscida sul mio corpo fino a trovare un seno, indifeso, afferrò un capezzolo e iniziò a torcerlo in modo doloroso, non potei fare a meno di emettere dei lamenti ma il trattamento ebbe effetto, in poco l’asta si irrigidì. Mi stava facendo male, avevo una tetta in fiamme per i pizzichi e le torsioni sulla carne delicata. Afferrai la parte di cazzo che mi usciva dalle labbra circondandola con una mano, tenendola salda alle labbra iniziai un veloce, disperato, su e giù, fra la mano e la gola. Tutto l’attrezzo spariva ad ogni affondo e io andavo sempre più veloce nella speranza che finisse e così fu, l’ultima dose di sperma mi venne servita insieme ad un pizzicotto terribile al capezzolo già martoriato ma poi mi lasciò e io finii, pulii e poi, indolenzita, uscii dal riparo del tavolo, esposta agli uomini di cui aveva appena bevuto il succo, andai a capotavola, vicino al dottore:
“ho finito dottore”
“bene, ora, per cortesia, inumidisciti bene il sesso per prepararlo alla penetrazione”
Umiliata e imbarazzata, abbassando lo sguardo, mi passai più volte le dita sulla lingua per insalivarle e aprendomi il sesso con l’altra mano mi bagnai le piccole labbra per poi entrare sempre più nella fessura fino a penetrarmi per lubrificare anche l’interno. Continuai a tenere lo sguardo a terra:
“sono pronta dottore”
Lui si alzò, mi prese delicatamente per un fianco e mi fece mettere davanti al tavolo, il bordo che toccava sul ventre, con una mano mi spinse la schiena facendomi appoggiare il seno al freddo piano di vetro affumicato, sentii il rumore della cintura, della lampo e degli indumenti che cadevano a terra poi, con gesto esperto, mi allargò il sesso con una mano e mi penetrò senza riguardo con il suo pene insolitamente grosso, ingombrante. La lubrificazione che mi ero fatta non fu sufficiente e il suo arnese mi strisciò dentro dolorosamente allargandomi abbondantemente e facendomi sentire piena. Mi sfuggì un gemito di sofferenza ma fui subito ripresa.
“faccia silenzio per cortesia, non voglio che disturbi la conversazione”
Mordendomi il labbro inferiore per azzittirmi, rimasi li, piegata a 90 gradi, con tre uomini da una parte e tre dall’altra, guardando avanti dove trovai solo un orologio che scandiva con lentezza estenuante gli oltre venti minuti in cui il dottore, continuando a conversare tranquillamente, mi impalò in modo metodico, ritmato, uscendo e rientrando a fondo in modo robusto. La fichetta mi bruciava terribilmente per il continuo attrito e la scopata che mi veniva somministrata sembrava non avere fine. Il dottore si teneva con le mani al tavolo, non mi toccava minimamente se non per quello che era necessario a penetrarmi fino a che, quando ormai credevo che non sarei più riuscita a non urlare, piantandosi in profondità nel mio sesso, nel silenzio generale, senza emettere un fiato, mi eiaculò a lungo dentro. Sentivo il suo grosso attrezzo sobbalzare fra le mie carni ad ogni getto di sperma con cui mi riempiva. Mi stappò e si rivestì andando verso la scrivania e facendomi segno di seguirlo, mi raddrizzai e incerta mi incamminai sentendo il suo sperma che mi colava fuori lentamente per arrivare in breve a rigarmi le cosce tanto per amplificare la mia umiliazione.
“bene signorina, per questa sera abbiamo finito, questa è una ricetta per la pillola anticoncezionale, la inizi subito, non voglio avere problemi. Da domani riceverà a casa il farmaco per sua madre, sono pasticche, faccia in modo che ne prenda una al giorno e vedrà che si riprenderà subito e in poco più di una settimana sarà perfettamente guarita e continuerà a stare bene finché prenderà il farmaco. Vivrà una vita normalissima. Può rivestirsi ed andarsene, quando avrò bisogno di lei la contatterò”
Presi la ricetta, mi rivestii in fretta e me ne andai mentre le lacrime, finalmente, sgorgavano libere.
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E’ PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN’OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 2
Quattro giorni erano trascorsi da quella prima, umiliante, esperienza di sfruttamento a casa del dottore, quattro giorni in cui la mia vita era cambiata. Dopo aver trascorso gli ultimi due anni a vedere mia madre avvizzire sotto il peso del suo male, in questi ultimi quattro giorni, grazie al medicinale che avevo comprato con la mia sottomissione, era rifiorita, non ancora pienamente in forma ma tanto migliorata da avere del miracoloso ed ora, felice della ricompensa avuta, mi stavo dirigendo verso la villa in cui avrei pagato il mio debito. Avevo una forte ansia in me ma ero più determinata che mai sulla via che avevo scelto.
Mi aprì il maggiordomo che con aria frettolosa e infastidita mi condusse subito nella sala da pranzo, in casa la servitù si muoveva trafelata nel preparare l’ambiente per cena. L’uomo mi intimò di spogliarmi completamente e mi diede un vestito da indossare dicendomi che una volta pronta mi sarei dovuta sistemare vicino a un muro, al fianco della porta da cui si accedeva alla zona notte. Spazientito attese che mi denudassi davanti ai suoi occhi. Arrossendo, esegui in modo impacciato sospinta dai suoi sbuffi. Prese i miei indumenti e se ne andò ai suoi doveri. Il vestito era un costume da cameriera ma, come era ovvio aspettarsi, non era certo un modello classico, la poca stoffa che mi era stata consegnata si rivelò essere una specie di reggiseno senza coppe, una volta allacciato avevo un sottile nastro nero che partiva dalle spalline, scorreva sotto il seno e si univa al centro con un piccolo fiocco nero, sopra le tette scorreva una fascia di pizzo bianca non troppo spessa. Il tutto contornava, mettendole in evidenza, le mie mammelle completamente esposte. Sotto nessuno slip, solo una mini che copriva a malapena la mia fichetta e lasciava scoperta una buona parte di culo e che fungeva anche da reggicalze per le calze nere e trasparenti che avevo avuto insieme all’abito. Scarpe aperte in punta e con un tacco vertiginoso completavano il tutto. In pochi minuti mi trovai agghindata da cameriera sexy e mi misi in posizione come richiesto.
Trascorsi il tempo osservando la servitù che preparava, nessuno si degnava di me come se non vi fosse nulla di strano nella mia presenza. La tavola venne agghindata elegantemente, pochi posti, solo cinque e dopo un’attesa di più di un’ora e mezza in cui potei saggiare la scomodità delle mie calzature arrivò il dottore con i suoi ospiti che entrando nel locale, mi degnarono a malapena di un’occhiata, come stessero osservando un quadro o un vaso e poi si accomodarono. Da quello che capii dalla conversazione erano tutti colleghi, c’era una coppia, lei sicuramente oltre i cinquanta ma molto curata e in forma, lui, ben vestito ma decisamente in sovrappeso. Gli altri due erano molto distinti, eleganti e ben curati, non troppo alti, forse sul metro e settanta, ambedue brizzolati, uno con una folta barba mentre l’altro era stempiato e poi c’era il dottore che come sempre svettava su tutti. La cena trascorse fra varie portate, risa e chiacchiere, la servitù correva qui e la diretta dal maggiordomo mentre io continuavo a fare la bella statuina sempre più indolenzita per le ore trascorse in piedi e sempre più umiliata. Quando la cena fu finita sentii l’uomo in sovrappeso scusarsi per andare al bagno, si alzò e si diresse alla porta al mio fianco e mentre passava, con non curanza, mi prese per un braccio portandomi con lui. I primi passi furono instabili per la lunga immobilità ma poi recuperai e in breve mi trovai in un grande e lussuoso bagno, il mio accompagnatore si era messo davanti al water immobile mentre io ero al suo fianco confusa.
“beh, ti decidi? devo pisciare”
Non riuscivo ancora a capire mentre restavo li impalata a bocca aperta, cosa voleva da me???
“ma non hai proprio idea del tuo ruolo!” Sbuffò “cara, non vorrai che mi tenga l’uccello da solo mentre piscio? Quello è compito tuo”
Frastornata cercai di ridestarmi, mi piegai in avanti, gli slacciai la patta e il bottone dei pantaloni, feci scivolare le dita sotto la pancia prominente per infilarle negli slip e estrassi un pene molliccio. Con una mano tenevo gli slip allargati e con l’altra indirizzai il cazzo verso il water, l’urina non si fece attendere, un odore forte mi arrivò alle narici mentre attendevo che si scaricasse, scrollai le ultime gocce con attenzione a non macchiargli i vesti ma quando mi accinsi a rimettere il membro nelle mutande:
“ma che cazzo fai, sei un animale? devi pulirlo prima, scema”
Accusando il colpo allungai una mano per prendere della carta igienica per eseguire il compito:
“o Dio, che disastro, cosa peserai mai di fare con la carta? devi usare la bocca cagna, si fa con la bocca”
Mentre diceva quelle parole mi afferrò per il naso tirandolo verso l’alto, mi fece male e per cercare sollievo aprii la bocca, lui colse l’occasione i mi infilò il cazzo moscio dentro, ebbi la possibilità di assaggiare le ultime gocce della sua urina, un sapore forte che vista la modesta quantità di liquido rimasto sparì in fretta. Tirata per i capelli mi trovai con tutto il floscio sesso dentro la bocca, la faccia premuta sul grasso della sua pancia, il naso fra i peli del pube mentre lui si strusciava alla ricerca della mia lingua che, umilmente, gli feci trovare. Cominciò a prenderci gusto, sentii il suo sesso crescermi in bocca, diventare ingombrante mentre venivo privata dalle possibilità di arretrare, in breve si fecce strada in me andando a puntare verso la gola, iniziava a soffocarmi e avevo dei conati di vomito, tossii non riuscendo a controllarmi e barcollai all’indietro alla ricerca di sollievo, lui, alla fine, sbuffò e mi lasciò libere le labbra per farmi respirare ma senza mollare la presa dalla mia testa. Giusto un paio di boccate d’aria ed era già li a forzare per rientrare, lo accolsi cercando di avvolgerlo con la lingua ma quell’uomo sembrava poco interessato alla cosa, non appena la cappella mi varcò le labbra iniziò a spingere forte per entrarmi tutto dentro, come se la mia bocca fosse una fica da impalare, il suo pene era cresciuto inaspettatamente da come era da moscio ed ora non vi era abbastanza spazio nella mia bocca per accoglierlo tutto. Usai la lingua come scudo per fermare i suoi affondi e non farmi soffocare, lui, per risposta spinse ancora più forte aumentando la trazione sui capelli ma l’unica cosa che ottenne fu di sbattere sulla lingua ben tesa per essere deviato verso il fianco a gonfiarmi una guancia. Spingeva tanto forte da farmi male alla pelle ad ogni affondo e l’immagine che vidi allo specchio fu quasi buffa, si vedeva il suo cazzo che veniva sparato dentro per poi delineare la sua forma in modo nitido a volte su una guancia e a volte sull’altra, la pelle si tirava tanto da divenire biancastra e faceva male ma almeno respiravo.
“ma sei proprio inutile, non sei buona neanche a farti cacciare un cazzo in gola”
Feci per parlare ma mi arrivò un ceffone, le tozze dita mi presero in pieno, non fu fortissimo ma abbastanza da scaldarmi la guancia:
“non vorrai anche parlare? non hai proprio capito nulla, bah, vieni qui”
Mi spinse con il bacino sul lavandino, mi fece piegare in avanti ad esporre il culo, il sesso, lo vidi prendere del sapone liquido che spalmò poi sul cazzo e poi, senza cura, mi impalò, entrò nella mia passerina chiusa come fosse un oggetto e, per quanto il sapone lubrificasse, l’improvvisa dilatazione fu dolorosa, non trattenni un grido e fui ripagata con una forte sculacciata:
“ho detto zitta, troia”
Prese a scoparmi a fondo, il sapone unito alla forzatura a cui ero sottoposta presto iniziò a bruciarmi, mi mordevo le labbra e stringevo le mani sul lavandino mentre gli affondi si ripetevano robusti e violenti. Ad ogni colpo sentivo la carne delle chiappe sobbalzare e vedevo le tette fare un robusto su e giù. Non ci volle molto e una buona dose di sperma mi fu riversata dentro, l’uomo finì con calma di riempirmi, poi, tirandomi per i capelli mi costrinse a girarmi e chinarmi in modo che potessi leccargli il cazzo quel tanto che serviva a pulirlo, si rivestì e tornò di la trascinandomi al mio posto, si sedette e tornò alle sue conversazioni come nulla fosse. Stare li in piedi dopo il trattamento subito non mi sembra più così scomodo, il sapone che avevo dentro mi bruciava terribilmente ma non ebbi molto tempo di pensarci, la moglie dell’uomo che mi aveva appena scopato mi dedicò le sue attenzioni:
“maritino mio, hai approfittato del giocattolo? guardala, le cola il tuo sperma sulle cosce”
“veramente volevo farmi fare un bel bocchino ma è un disastro quindi mi sono dovuto accontentare di darle una scopata”
La donna si alzò e mi si avvicinò, a un soffio dalle sue labbra, con il suo profumo sensuale che mi riempiva le narici:
“hai mai assaggiato il frutto di un’altra donna?”
Abbassai lo sguardo imbarazzata “no”
“no Padrona cara! impara come rivolgerti ai tuoi proprietari”
“no Padrona” lo dissi con un filo di voce.
La donna mi afferrò i capezzoli torcendoli dolorosamente mentre mi irrigidivo:
“devi parlare un po’ più forte, ascolta, ti va di assaggiare il mio sesso? è buono, te lo assicuro”
“si, si Padrona”
Mi mollò e tirai un sospiro di sollievo mentre mi accompagnava verso un divano, si alzò la gonna mostrando il sesso peloso, non aveva slip, si sedette e mi fece inginocchiare fra le sue gambe.
“forza, leccami tutta, maritino, vieni qui al mio fianco, non sia mai che quando hai voglia di un bel pompino non ti venga concesso”
Mentre iniziavo a dare dei timidi colpi di lingua alla fica che mi veniva offerta, vidi il marito avvicinarsi, liberarsi di pantaloni e slip mostrando il membro già eretto e sedersi al fianco della moglie che subito si chinò su di lui. Sbalordita la vidi ingoiare il cazzo del marito fino alla base senza sforzo mentre lui mugolava:
“vedi come si fa un pompino cara? dovrai imparare e imparerai ma ora lecca, ti sento appena, la mia fica è abituata a attenzioni ben più vigorose, entra con quella lingua, fammela sentire bene”
Come in trans obbedii facendo affondare la lingua fra le grandi labbra per poi superare anche le piccole e iniziare a lappare tutto l’interno del sesso scorrendo dall’entrata della fica su, su, fino al clitoride gonfio per poi ripartire da capo. I mugoli di piacere dei due aumentarono scandalosamente mentre vidi l’uomo stempiato che si denudava:
“se non vi dispiace mi unisco anche io”
Facendomi alzare la gamba, senza mai farmi allontanare dalla fica della Padrona, mi si infilò sotto per penetrarmi prepotentemente. Avevo la fica in fiamme e gemetti per il bruciore della nuova penetrazione ma ero ben premuta contro il sesso della donna e il tutto fu soffocato fra i suoi umori. L’uomo sotto di me, guidandomi con le mani, mi costrinse a muovere il bacino per segargli il cazzo, si avventò sulle mie tette stringendole forte con le mani fino a farle gonfiare per mettere ben in evidenza i capezzoli che iniziò a lappare robustamente per poi somministrarmi forti morsi a volte afferrando tutta l’areola, altre terribili, afferrandone solo la punta fra i denti. Mi faceva malissimo, avevo paura che me li avrebbe staccati ma la sensazione di sollievo quando poi leccava, massaggiava, mi fece effetto e comincia a sentire calore nel ventre. Alla fine anche l’uomo barbuto si avvicinò, senza preavviso o lubrificazione mi infilò completamente un dito nel culo facendomi tendere come una corda:
“ma questa è strettissima, possibile che non abbia mai preso un cazzo nel culo?”
Il dottore sorrise compiaciuto all’amico senza dire una parola:
“te la stai tenendo per un’occasione speciale o posso essere io il primo?”
“se vuoi darle un’inculata veloce sarebbe scortese negartelo ma che sia veloce, non voglio che me la allarghi troppo, in effetti avevo intenzione di organizzare qualcosa di particolare bel quel bel culetto”
Mentre lo strano sapore, metallico e un po’ acido, con una punta salata, della vagina che avevo avuto il compito di leccare si diluiva nella mia bocca fra una lappata e l’altra, mentre lei iniziava a gemere sempre di più del mio lavoro continuando un intenso pompino al marito che sembrava in estasi, mentre l’uomo sotto di me alternava dolorosi morsi a intense lappate ai miei seni senza mai smettere di scoparmi la fica che sentivo stranamente calda, aperta e burrosa, sentii il dottore discutere con l’uomo con la barba di sodomizzarmi. Avevo sempre avuto una paura terribile di prenderlo di dietro e quelle parole mi terrorizzavano ma ben poco c’era da fare. La signora mi afferrò forte per la testa bloccandomi al suo sesso, l’uomo stempiato mi afferrò subito per le natiche allargandole oscenamente per esporre il mio buchetto mentre smetteva di pistonarmi in modo che fossi immobile, sentii il rumore di pantaloni calati, uno sputo subito seguito da un altro, due dita a percorrere il mio orifizio in senso circolare per poi entrare brutalmente fino alla base facendomi urlare:
“senti come urla la cagna per due dita, tenetemela bene che credo dovrò spingere forte per entrarle dentro”
La presa su di me si fece ancora più stretta, ancora rumore di sputi e poi, chiaramente, la cappella dell’uomo che mi veniva puntata sul culo, iniziò subito a spingere verso il basso e verso l’interno per forzarmi, per quanto stringessi i muscoli sembrava che l’uomo sapesse bene come avere la meglio su di me:
“guarda cara che a stringere così ti fai solo più male, di cazzi in culo ne prenderai molti in futuro e non solo di quelli quindi è meglio che ti rilassi, ti sarà tutto più facile”
Vinta abbandonai ogni velleità e mi abbandonai nelle mani di tutti loro, appena rilassai lo sfintere la cappella mi fu dentro, mugolai nella fica della Padrona il mio dolore mentre mi sentivo orrendamente dilatata, l’uomo alle mie spalle non ebbe molti riguardi e continuò a spingere ininterrottamente, sentivo il suo cazzo scivolarmi dentro centimetro dopo centimetro aprendomi la dove non ero mai stata aperta e fra bruciori intensi sentii il suo bacino appoggiarsi sulle mie chiappe, ero completamente impalata. Appena raggiunto l’obbiettivo tutti ripresero a muoversi, io urlavo ormai incapace di fare altro, tenevo la lingua di fuori ma era la Padrona a muovere la mia testa come meglio preferiva per farsi leccare. I due uomini dentro di me presero un veloce ritmo uscendo e rientrando di botto in modo alternato, mi sentivo la pancia strana, ero completamente abbandonata, i buchi in fiamme, le tette martoriate e gli umori in bocca sempre più copiosi, stranamente, sentivo anche caldo, caldo dentro. Dopo cinque minuti così la Padrona cominciò a mugolare sguaiatamente, sentii il suo sesso fremere fra le labbra mentre mi tirava a lei tanto da soffocarmi, leccai e ingerii il suo orgasmo soffocato dal cazzo del marito in gola, fu lungo e intenso e mentre si esauriva, riprendendo attenzione al bocchino che stava facendo portò all’estasi il suo compagno, quando si rese conto che stava per eiaculare però, con un movimento veloce si stappo la bocca, tirò l’uomo verso di me e guidò il cazzo che stava per esplodere fra le mie labbra. Ero ormai completamente abbandonata e non opposi resistenza mentre la testa mi veniva spinta giù con forza, il cazzo non entrò tutto ma per buona parte e mi si piantò all’ingresso della gola bloccandomi il respiro e li spruzzo il suo caldo, liquido succo direttamente nel mio stomaco. Mentre tutto questo succedeva, alle mie spalle, i due cazzi avevano preso un ritmo indiavolato dentro di me e proprio mentre rantolavo per la mancanza d’aria dovuto al pene che mi soffocava, mentre sperma mi scorreva in gola, con un ultimo, poderoso, affondo di coppia, me ne venne somministrato altro sia nella fica che nel culo. Restarono tutti in me per lunghi secondi, i cazzi che vibravano scaricandosi e poi, tutti insieme, si alzarono e andarono a rivestirsi mentre io restavo a terra tremante e ansimante.
“se avete concluso, signori, possiamo accomodarci nell’altra stanza, mi è appena arrivata un ottima cassa di vino che ho fatto mettere a decantare per gustarla con voi”
Tutto gli ospiti se ne andarono, solo il dottore rimase indietro, lo sentii a malapena:
“appena le è possibile vada dal maggiordomo, le ridarà i suoi abiti e potrà andarsene, per questa sera qui ha finito.”
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CAPITOLO 3
Sentivo il cuore martellarmi in gola nel chiudere il telefono, il dottore, in poche semplici parole, aveva dettato le sue condizioni e io non ero nella posizione di oppormi, non lo sarei stata mai più. Con le lacrime che tracimavano dagli occhi cercai di abituarmi a quello che mi era stato appena ordinato. Alle prime ore del pomeriggio avrei dovuto presentarmi alla villa e con me avrei dovuto portare mio fratello, di tre anni più grande di me, a cui avrei dovuto spiegare nei minimi dettagli la situazione. Erano le 11:00, non avevo neanche il tempo di pensare a come dirglielo, guardai la porta della sua camera, chiusa, si sentiva musica provenire dalla stanza, lui era li, feci un respiro profondo, bussai, entrai richiudendo la porta alle mie spalle e gli vomitai tutta la verità addosso.
Prima rimase esterrefatto e poi montò la rabbia, gli insulti, la furia per le cambiali che anche lui aveva firmato, lo schifo nei miei confronti. Dopo venne la disperazione, il senso di impotenza, il chiedermi di sparire ma io rimasi li. Alla fine arrivò la rassegnazione. Per tutto il tempo in cui inveì contro di me io continuavo solo a ripetere:
“la mamma non è morta, la mamma sta bene” Lo dissi e ridissi decine di volte, a testa bassa, incassando le sue emozioni ma alla fine si alzò, mi si avvicinò e abbracciandomi mi ringraziò:
“verrò con te e sarò coraggioso quanto lo sei stata tu”
14:30, suoniamo alla porta ma ad accoglierci è una donna, alta, bella e elegante, austera e impassibile, indaffarata con le sue cose, senza neanche degnarci di uno sguardo, ci spiega la situazione. E’ la moglie del dottore ed oggi sarà lei ad occuparsi di me, andremo a fare spese e mio fratello verrà con noi per portare i pacchi. Con disinvoltura mi si avvicina, con tocco leggero mi fa capire di abbassarmi e in breve mi trovo a quattro zampe, mi mette un collare al collo, di pelle chiara con borchie di metallo e vi attacca un guinzaglio dello stesso colore. Prende mio fratello per la mano e si incammina verso la limousine che ci attende all’esterno. Sembra una mamma che porta a spasso il figlioletto e la sua cagna. Gattonando arriviamo alla macchina, arranco per salire in quella posizione, incrocio per un secondo lo sguardo stupito di mio fratello e mi accomodo nell’ampio spazio davanti ai sedili posteriori, vicino alle gambe dei due ben comodi nei sedili di pelle. Dopo una ventina di minuti ci fermiamo in un vicoletto, la signora scende portandoci al suo seguito, io a quattro zampe sull’asfalto ruvido, fa segno a mio fratello di suonare un campanello, una porta si apre e entriamo all’interno. Ci troviamo in un grosso negozio di abiti e accessori, molto lussuoso, siamo in un ambiente un po’ separato, una specie di grosso camerino con specchi ovunque, due divani e vari tavoli e manichini, una grossa porta da sul resto del negozio dove vedo muoversi molte persone. Un commesso arriva subito trafelato, saluta la signora con deferenza, butta un occhio su di me a terra da brava cagna e poi va per chiudere la tenda sulla porta che ci separa dal resto del negozio ma viene bloccato dalla signora:
“lascia pure aperto, non c’è problema e vammi a prendere del vino bianco, fermo e ben fresco”
Il ragazzo resta sorpreso, è in evidente difficoltà ma ubbidisce e si ripresenta dopo poco con un calice. Io sono viola dalla vergogna, vedo gli sguardi dei clienti posarsi su di me, ho caldo e non ho il coraggio di guadare negli occhi mio fratello che è li in piedi, al fianco della signora che si è messa comoda nel divano. La signora chiede di vedere le ultime novità, il commesso si presenta con un carrello pieno di capi ma quando fa per metterli sui manichini viene di nuovo fermato:
“No, no, usa pure lei come manichino, avrò un’idea migliore degli abiti, toglile pure il guinzaglio, denudala e poi mettile i vari capi, vedrai, è molto ubbidiente”
Il commesso, all’inizio un po’ imbarazzato, ci prese presto gusto, mi fece alzare e poi mi tolse tutti gli indumenti lasciandomi nuda, sguardi sempre più insistenti mi venivano rivolti dagli altri clienti ma quello che mi colpiva maggiormente era quello di mio fratello che era rimasto come ipnotizzato nel vedermi nuda e continuava a sondarmi avidamente. Fui spogliata e rivestita decine di volte, sempre in bella mostra per gli altri clienti e con le mani del commesso che si prendevano sempre maggiori libertà. Quando arrivammo alla biancheria intima ne approfitto per palparmi ben bene i seni per metterli apposto nelle coppe, il culo mentre vi infilava in profondità il filino dei tanga e la figa, strisciandoci bene le dita ogni volta che mi cambiava gli slip. Era visibilmente eccitato, un grosso gonfiore si intravedeva nella patta e arrivò a prendere l’iniziativa:
“se la signora me lo permette vorrei farle vedere un intimo che potrebbe trovare adatto da usare sul suo animale domestico”
La signora fece un segno di assenso e il garzone sparì per tornare poco dopo con una scatola:
“questa lingerie è molto particolare, l’aspetto può sembrare normale ma è fatto di un tessuto estremamente resistente per dare… diciamo… un appiglio sicuro in certi momenti, non so bene come spiegarmi, dovrei farglielo vedere, se vuole…”
La signora capì al volo dove voleva arrivare il ragazzo, si girò verso mio fratello:
“tu che dici? lasciamo che il commesso ci spieghi come usare questi capi sul corpo di tuo sorella?”
Mi fratello, inebetito, non proferì parola allorché lei gli mise una mano sul pacco:
“direi che il tuo cazzo parla per te, va bene ragazzo, usa pure il mio manichino per dimostrarmi le virtù di quei capi ma prima credo sia meglio chiudere la tenda e tu, manichino, vedi di non fare rumore”
Il ragazzo partì come una saetta, chiuse la tenda e fu subito su di me, mi mise tanga e reggiseno con una rapidità eccezionale e poi mi fece rimettere a quattro zampe.
“vede signora, il filo del tanga è fatto con un materiale molto resistente e estremamente ruvido”
Si tirò fuori il cazzo e con non curanze me lo mise fra le labbra che schiusi docilmente mentre gli occhi di mio fratello si dilatavano. La signora gli massaggiava il pacco distrattamente.
“trovandoci nella posizione in cui sono io ora ci è possibile afferrarlo con le mani per avere un appiglio per spingere con vigore e nel contempo fare strofinare il filo ben in profondità ed in modo intenso”
Mentre diceva queste parole iniziò a spintonarmi il cazzo in gola, la presa sul tanga mi impediva di arretrare quindi, ad ogni affondo, mi arrivava in gola soffocandomi ed impedendomi di urlare. Il filino, in effetti, era sprofondato dentro il mio sesso e ora segava il clitoride come fosse una lima, mi bruciava da impazzire e dopo un po’ iniziò a farmi lo stesso effetto anche sullo sfintere anale.
“come vede, anche se do dei forti strattoni, il tessuto tiene perfettamente e mi permette di esercitare la massima forza possibile”
Con queste parole mi piazzò una decina di spinte ancora più violente, credevo che il filino mi avrebbe tagliata in due, lacrime a cui nessuno era interessato mi colavano sul viso fino a cadere sul pene che aveva ormai forzato ogni parte della mia gola.
“la comodità è poi che anche il reggiseno è fatto nello stesso modo, il laccio posteriore può reggere lo stesso sforzo e il tessuto delle coppe è fatto in modo che tirando si eserciti una forte compressione sui seni, ora glielo mostro”
Lasciò finalmente la mia gola, ansimavo profondamente alla ricerca di aria, mi si mise alle spalle, spostò il filino da un lato regalandomi un gran sollievo ma poi mi penetrò senza la minima cautela facendomi sobbalzare, l’interno del mio sesso era, stranamente, umido ma le piccole labbra erano ancora chiuse e mi fece un gran male quando le forzò impalandomi fino in fondo. Si aggrappo al dietro del reggiseno con entrambe le mani e facendo leva iniziò a darmi delle gran impalate uscendo quasi completamente e dandosi lo slancio per penetrarmi di nuovo, ogni affondo faceva risuonare le mie chiappe per l’impatto mentre la carne sobbalzava in tutto il corpo. Il reggiseno, in effetti, mi comprimeva forte i seni ma non era nulla in confronto al dolore del filino. Continuò questa scopata a lungo, ci aveva preso gusto e la signora guardava la scena distrattamente, quello che mi fece effetto fu lo sguardo di mio fratello, era, indubbiamente, pieno di libidine, mi faceva sentire sporca, una puttana da strada, sbattuta senza ritegno. Un forte calore iniziò a crescermi nel ventre, si allargava ad ogni violento affondo, mi mordevo le labbra per impedirmi di urlare mentre sentivo la fica colare di desiderio e poi, improvviso e inaspettato, mi accascia al suolo travolta da un violento orgasmo mai provato prima. Mentre mi contorcevo dal piacere, il commesso, trovandosi inaspettatamente con il cazzo duro in aria:
“ma, ma la sua cagna ha goduto liberamente, ma”
“e si, è proprio maleducata, nessuno le aveva dato il permesso di venire, direi che sia meglio darle una punizione subito in modo che capisca il suo ruolo, mmmmm…, direi che è il caso che sculacci tua sorella, facciamo così, la sculaccerai finché il nostro servizievole commesso non si sarà, giustamente, sfogato nella sua bocca”
In breve fui rimessa a quattro zampe, mi ritrovai il cazzo in gola a trapanarmi mentre la tortura del filino ricominciava. Sentivo mio fratello alle spalle ma non si muoveva.
“forza ragazzo, sculacciate belle forti, è per il suo bene, deve imparare”
I primi colpi furono timidi e impacciati, non facevano neanche male ma poi, poi, ad ogni sberla divenivano più forti, più intensi, sentivo la pelle delle chiappe bruciare mentre qualcosa sembrava essersi impossessata di mio fratello che colpiva sempre più rapido, sempre più frenetico. Il garzone si godeva la mia gola con calma tirando quel maledetto filo sempre più dentro i miei punti delicati. Non so quanti colpi mi furono inferti ma quando lo sperma, finalmente, mi invase la gola, il culo mi bruciava tanto che sembrava andare a fuoco e mio fratello era madido di sudore, si massaggiava le mani doloranti. Mi lasciarono libera e mi accascia al suolo massaggiandomi il culo che era ormai di un rosso accesso. Proprio in quel momento entrò un uomo corpulento, ben vestito, che salutò la padrona con fare affabile, dovevano conoscersi bene e scoprii che era il padrone del negozio:
“cara, che piacere vederti ma, ma hai un nuovo giocattolo e non mi dici niente, sei una egoista”
“accidenti, speravo che non mi beccassi, la verità è che non è ancora preparata, sai com’è mio marito, perde sempre tempo, se vuoi provarla fai pure ma per le tue attenzioni è ancora un po’ inesperta quindi credo che ti farà faticare un po’, volevo portartela dopo averla addestrata meglio”
“ma si, ma si, non preoccuparti però, visto che ormai è qui, mi ci faccio giusto un giretto”
“fai, fai, ci mancherebbe”
Fui fatta stendere a pancia in su, su un basso tavolo, il garzone, senza bisogno di indicazioni mi prese le gambe e me le tirò indietro, verso la testa e li mi bloccò, avevo il sesso completamente esposto e non solo quello. Il padrone del negozio mi si parò davanti, fece cadere i pantaloni e gli slip mostrando un cazzo tozzo e largo, mi sputò sul culo e iniziò a spingerci dentro la cappella ma era veramente grossa, non riusciva ad entrare al che la signora si rivolse a mio fratello:
“caro, vai da tua sorella, leccale bene il culo per lubrificarla e infilale due dita fino a che non la avrai allargata abbastanza da accogliere il mio amico”
Mi fratello, questa volta, non si fece pregare, in un attimo mi trovai la sua lingua che mi lappava con voglia, con gusto, mi cosparse di saliva e poi mi penetrò con due dita, spinse forte, senza riguardo facendomi mugolare di dolore.
“shhh, zitta sorella, non disturbare gli altri clienti”
Girò e rigirò nel mio ano allargando le dita e piegandole al mio interno, le sfilava per aggiungere saliva penetrandomi anche con la lingua per poi reinserire le dita, continuò per dieci minuti buoni finché non fu il proprietario del negozio a dirgli che ormai ero pronta. Lo allontanò e senza perdere tempo mi puntò la cappella e la fece entrare di forza:
“meglio che le tappi la bocca ora” disse rivolgendosi al garzone che eseguì subito poi, con una spinta vigorosa, mi entrò dentro completamente, mi contorsi per quanto potevo mentre il mio urlo soffocava nel palmo che mi azzittiva:
“e si, così è un po’ scomodo, guarda, non sta ferma un attimo”
“ah, io ti avevo avvisato”
“ok, faccio alla svelta che ho anche da fare ma mi aspetto che me la riporti quando sarà più pronta”
I due risero come fosse una barzelletta e poi mi fu inferta una vigorosa inculata, violenta e veloce che per fortuna durò pochi minuti. Sentii sperma caldo nel mio intestino e con un sospiro di sollievo fui stappata.
“bene, direi che possiamo andare”
Pochi minuti dopo ero di nuovo al guinzaglio, mio fratello pieno di pacchi, risalimmo in macchina e ripartimmo. Durante il viaggio, mentre facevo il bravo cagnolino su tappetino, la signora fece un discorso a mio fratello che ascoltai allibita:
“Tua sorella rischia di farmi fare brutte figure e mio marito ritarda sempre nell’educare quindi dovrò pensarci io, per il momento è fondamentale che diventi avvezza nella pratica anale e tu dovrai aiutarmi. Prendi questo fallo, ha le dimensioni di un membro medio, da questa sera e per una settimana dovrà dormire con questo ben infilato nell’ano e sarà compito tuo assicurarti che sia così in più, perché si abitui anche al movimento, prima di andare a dormire e appena sveglia dovrai sodomizzarla, cerca di farlo bene, non essere frettoloso. Mi raccomando, se avrai delle necessità al di fuori di questi orari potrai sodomizzarla a tuo piacimento ma solo e soltanto questo, nessuna altra pratica ti sarà concessa”
Mi fratello, con una prontezza strana e con un sorriso compiaciuto in viso acconsentì subito, la padrona lo carezzò dolcemente mentre lui, già, carezzava il mio culo…
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CAPITOLO 4
Dopo l’avventura nel negozio ero sfinita, tornammo a casa verso le 19, mio fratello sparì in camera sua senza dire una parola mentre io mi concedetti una doccia rilassante. I nostri genitori si erano concessi qualche giorno fuori soli soletti per festeggiare il fatto che la mamma era tornata in salute quindi mi preparai un’insalatona che gustai sul divano, mi guardai un bel film che stavano trasmettendo ma poi il sonno e la stanchezza mi vinsero e decisi di andare a dormire. Feci appena in tempo ad infilarmi sotto le coperte che la porta si aprì facendo entrare mio fratello:
“sorellina, hai dimenticato gli ordini della padrona???”
Guardandolo, stupita, negli occhi, mi resi conto che non stava affatto scherzando:
“davo per scontato che visto che non può controllarci qui a casa le avremmo potuto mentire”
Mio fratello mi guardò in silenzio per qualche secondo, come riflettendo:
“ci scoprirebbero, si accorgerebbe che non ti ho fatto fare i tuoi allenamenti, non possiamo mentire e poi credo che sia giusto che NOI rispettiamo la nostra parte dell’accordo come loro rispettano la loro”
Ero esterrefatta dalle parole di mio fratello fino a che, abbassando gli occhi, non vidi il grosso gonfiore all’altezza dell’inguine:
“ma non ti fa schifo che tua sorella si faccia scopare e trattare come un cane da tutti?”
“no, a dire la verità mi piace molto, guardarti nel negozio è stato fantastico, io ti voglio molto bene sorellina e sono contento di vederti esprimere tutta la tua femminilità, tutta la tua bellezza, credo che sia giusto che tutto il mondo goda di te, sarebbe uno spreco se, bella come sei, ti avessero solo pochi uomini, tu sei un tesoro e tutto il mondo deve poterti vedere, poter godere di te”
Restai a bocca aperta nel sentire le parole di mio fratello, era chiaro che non avrei avuto sconti da lui, abbassai lo sguardo rendendomi conto che anche dentro casa mia sarei stata un oggetto fatto per soddisfare cazzi:
“vuoi davvero sodomizzarmi??? magari potrei farti una sega o un pompino??? mi fa male prenderlo dietro, potresti accontentarti pa… pa… padrone???”
Nel sentire che mi appellavo a lui come padrone il suo cazzo ebbe un sussulto sotto la stoffa:
“no, non posso, abbiamo avuto un compito da svolgere, questa settimana servirà per abituare il tuo buchino ad essere penetrato, è l’unica cosa che posso fare con te e poi non è più tuo diritto scegliere come far usare il tuo corpo. Dai sorellina, spogliati!”
Vinta, tolsi il pigiama, ci vollero pochi secondi:
“come vuoi che mi metta???” Ci pensò un attimo:
“intanto mettiti in ginocchio davanti al letto, appoggia il busto sul materasso, e allarga le gambe poi, con le mani, allargati le chiappe in modo che abbia la via libera, spianata”
Mi misi in posizione, piegata a 90° e con il culo esposto e ben allargato:
“fai piano per favore, non farmi male, si delicato, mi brucia ancora da oggi”
Lui si mise in ginocchio dietro di me, sentivo il suo viso a pochi centimetri dal mio sesso, sentivo il suo respiro, la sua libidine, mi stava facendo effetto e mi trovai a desiderare che appoggiasse la lingua sulla patatina che sentivo gonfia, cosa mi stava succedendo? Avevo goduto in negozio, mi stavo eccitando per le attenzioni di mio fratello ma il mio pensiero mi venne strappato, sentii del liquido colarmi sul buchino, la sua saliva e poi un dito, che roteava piano intorno all’apertura, sempre più stretto, sempre più vicino al centro e d’improvviso:
“ahiiiii, piano, ti prego” Mi aveva infilato dentro due dita di botto quel bastardo, facendole entrare fino in fondo e ora le ruotava, palpava l’interno del canale, spingeva verso la vagina con forza e scavava, scavava:
“fai silenzio per favore, non disturbarmi o dovrò chiedere alla padrona il permesso di punirti per insegnarti a fare silenzio mentre lavoro sul tuo corpo e poi non lamentarti, credi che tutti gli uomini che ti avranno in questo buchino potranno perdere tempo ad attendere i tuoi comodi, mi spiace sorellina ma devi imparare a prenderlo nel culo senza creare disagi a chi ti sta usando quindi non posso essere delicato, ora taci, mordi il lenzuolo se vuoi ma non disturbarmi, ho da fare e tira di più con quelle mani, ho bisogno delle chiappe ben aperte”
Mentre diceva queste parole continuò la sua indagine della mia cavità anale, non potei fare altro che abbassare la testa sul materasso e tirare di più le chiappe in modo che avesse facile accesso, ogni speranza che il mio fratellino fosse un alleato era scomparsa, sarebbe stato anche lui uno di quelli a cui avrei pagato li prezzo delle mie scelte. Continuò a lavorarmi con le dita a lungo, le infilava e rigirava per poi uscire ad osservare il risultato, mi sfiorava con la punta del dito il buchetto mentre si richiudeva e appena iniziava a fare pressione lo ripenetrava a fondo, mescolava bene, palpava ogni millimetro e poi allargava le dita e le tirava fuori, aveva preso sul serio il compito di dilatarmi. La cosa era fastidiosa ma dolorosa poco e niente e il suo respiro che si infrangeva sulle mie parti sensibili mi faceva un strano effetto, la situazione in cui mi trovavo, la posizione oscena, le sue dita a studiarmi come una cavia, il suo respiro come un alito di caldo vento che attraversava il mio sesso mi fecero cominciare a colare, sentivo distintamente i miei umori che fuoriuscivano spontanei dal sesso per scivolare fra le gambe aperte, presi sul serio il lenzuolo in bocca ma non per il dolore, per soffocare i gemiti che mi salivano spontanei ma lui se ne accorse comunque, sentii le mani che spalmavano i miei succhi sulle cosce, saliva piano, sempre più vicino alla fica bollente, mi trovai a desiderarlo, oh, come avrei volute che immergesse la mano in me, in profondità ma non arrivò mai:
“sorellina, le mie attenzioni ti stanno facendo effetto, vorrei tanto potermi dedicare alla tua passerina ma mi è stato vietato, posso avere solo il tuo culo”
Parlai senza rendermene conto, parlai stupendomi delle mie parole:
“non lo dirò a nessuno!!!”
“non dirai a nessuno cosa???”
“se mi scopi non lo dico a nessuno, mettimelo dentro, per favore, mettimi il cazzo nella fica, ne ho tanta voglia”
Continuava a carezzarmi le cosce avvicinandosi sempre di più ma senza mai arrivare, mi sentivo bruciare con quelle cazzo di due dita che mi rovistavano il culo senza sosta e l’odore dei miei umori nell’aria:
“sei proprio disubbidiente, non devi dire queste cose, devi imparare che i tuoi bisogni, le tue necessità, non contano nulla, non ha importanza il fatto che ora hai voglia di essere scopata, il tuo compito è imparare a prenderlo nel culo quindi, l’unica cosa che puoi fare è imparare a godere del fatto di avere un cazzo nel tuo buchetto”
Mentre diceva queste parole si alzò, si spogliò del pigiama in un attimo, dallo specchio vidi il suo sesso eretto, mio fratello aveva proprio un bel cazzo, lo puntò nel mio buchino e si abbassò, non di botto, ma senza pause, prepotentemente, lo vidi che mi sprofondava dentro fino alla base nel giro di tre secondi:
“Ahhhhhhhhhhhhh, mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm”
Lo sentii appoggiarsi di peso al mio culo spaccato, ormai era tutto dentro di me mentre tornavo a mordere il lenzuolo dopo essermi dimenticata di avere la micina grondante. Lui uscì, osservò il risultato, mi carezzo i bordi del buchetto che si richiudeva dopo essere stato spanato dal suo attrezzo e appena lo vide chiuso ripeté il suo affondo nello stesso modo:
“Ahhhhhhhhhhhhh, mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm”
Toccò il fondo, vi rimase qualche secondo e poi uscì di scatto per ricominciare da capo:
“Ahhhhhhhhhhhhh, mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm”
“Ahhhhhhhhhhhhh, mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm”
“Ahhhhhhhhhhhhh, mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm”
“Ahhhhhhhhhhhhh, mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm”
Mi sentivo così aperta, spanata, il dolore era scomparso e anche il fastidio se ne stava andando, stava tornando a farsi sentire la mia fichetta gonfia, ogni volta che mi affondava nel culo le grandi labbra si aprivano, il sesso si esponeva, liquido ne usciva in quantità mentre il cazzo di mio fratello, da dentro, mi stimolava l’utero, in profondità, attraverso il canale anale. Stavo, ormai, mugolando vistosamente:
“che ti succede sorellina? Stai godendo per il mio cazzo nel culo?”
Continuai a mordere il lenzuolo senza rispondere ma mi arrivarono una serie di affondi forti che fecero sprofondare quel cazzo ancora di più:
“si, si, mi stai facendo godere”
“vedi che la padrona aveva ragione, lei sa cos’è meglio per te, ha visto la troia che c’è in te e vuole farla uscire, devi sempre ubbidire ai tuoi padroni perché loro sanno cosa è giusto fare della tua vita”
“si, si, ubbidirò ai miei padroni, sono una troia, sono la vostra schiava, la vostra cagna”
Pronunciando quelle parole lacrime mi solcarono il viso, lacrime mentre mi umiliavo davanti a mio fratello che non solo mi stava sodomizzando ma che vedeva anche che per quanto la mia mente non lo accettasse il mio corpo era veramente quello di una troia, di una cagna ma poi mi lasciò senza fiato stappandomi il culo di botto:
“forza, vieni sopra di me, voglio guardarti mentre ti inculi da sola, voglio vedere il tuo viso sfatto dal desiderio mentre hai il mio cazzo nel culo”
Rossa in volto mi mossi senza pensare, mi alzai e lascia che lui si accomodasse sul letto, steso, il suo grosso cazzo che svettava verso l’alto, gli salii sopra e proprio come mi era stato richiesto, passando una mano dietro la schiena per afferrargli il membro, resistendo al desiderio di mettermelo nella fica, guidai la cappella verso il mio buchino, la puntai e docile scesi facendolo scivolare nel canale posteriore fino alla radice, fino ad accoglierlo tutto sedendomi di peso sopra di lui:
“mhhhh”
Ormai travolta dalla situazione gli presi una mano per guidarla al mio sesso famelico ma lui si ritrasse:
“no, no, non ti è concesso, dobbiamo seguire le regole ma sei mia sorella e ti voglio bene quindi non ti ordinerò di non godere ma se vuoi farlo dovrai farlo solo con il culo, avanti, muovi quei bei fianchi”
Se ne stava comodamente sdraiato, le mani dietro la testa, ad osservare il mio corpo nudo, offerto al suo sguardo mentre iniziavo un timido sue e giù per massaggiargli il pene con lo sfintere. Mi bruciava da matti, non mi ero ancora abituata alla sodomia e per quanto il suo membro si fosse fatto ormai spazio in me continuava a sembrarmi che il culo si dovesse spaccare ma ero una schiava e dovevo obbedire. I suoi occhi rapiti dal mio seno gonfio che ballonzolava su e giù spinto dal cazzo con cui mi spanavo il buchetto mi facevano effetto, mi sentivo sempre più bagnata ed eccitata, quando poi allungò una mano per afferrare il ciuffetto, rossiccio come i capelli, che mi sormontava il pube non potei fare a meno di mordermi un labbro gemendo. Facendo bene attenzione a non stimolarmi il clitoride, usò quella presa per darmi il ritmo, prima mi costrinse a salire fino alla punta del cazzo per poi ridiscendervi piano, tanto piano da assicurarsi che potessi sentire tutto il suo attrezzo che mi percorreva dentro e, dopo un po’, mi fermò completamente impalata facendomi ruotare i fianchi senza risalire perché il cazzo mi allargasse bene all’interno. Con quel movimento scoprii che il suo cazzo andava a toccare punti che mi donavano un piacere estremo, ad ogni rotazione del bacino spingevo in modo che mi premesse proprio li, da dentro e ad ogni rotazione, vergognandomi per le sensazioni che provavo, spingevo sempre più. Ci volle parecchio ma il piacere, lento e inesorabile, cresceva a dismisura fino a che non fui costretta a girare il volto per la vergogna, lui se ne accorse e mi afferrò le tette con le mani, stringendo, massaggiando e premendo sempre più forte:
“devi guardarmi negli occhi, se sei così troia da godere mentre ti sodomizzi con il mio cazzo devi farlo guardandomi o ti stringerò le tette fino a farle scoppiare”
Non scherzava, aveva le mani che sembravano tenaglie e mi forzai a guardarlo, allentò un pelo ma non molto, avevo la bocca spalancata nel gemere, mi colava saliva dai lati, ruotavo sempre più forte, sempre più in fretta, stavo perdendo il controllo del movimento, il bruciore non lo sentivo più, spingevo solo li, sempre più li, tremavo in modo convulso e poi giravo e poi spingevo e poi tremavo, le sue mani a tirarmi le tette verso il basso perché fossi impalata il più possibile e poi mi attraversò, scoppiò come un palloncino di gomma che non riesce più a reggere la pressione e si lacera di botto, i piedi tirati come per i crampi, brividi per tutto il corpo, urlavo, senza accorgermene, a squarciagola e proprio mentre l’orgasmo era al suo apice mi afferrò per i fianchi, di peso mi alzò fino a lasciare dentro solo la cappella e poi, con robusti colpi di reni, prese a stantuffarmi il culo con tutta la forza e la velocità che riusciva. Continuò a sbattermi per almeno due minuti, senza sosta, mentre urlavo per l’orgasmo che non riusciva a calare, tenuto alto dal suo cazzo che mi trapanava in modo folle e poi schizzò, schizzò mentre ancora stantuffava, schizzò mentre continuava a stantuffarmi, il liquido caldo nel mio intestino, le sue mani avvinghiate a fianchi stretti, fino alla fine, fino dopo la fine e poi finì. Mi accasciai al suo fianco distrutta, stremata. Poco dopo lui si alzò, prese il fallo che aveva avuto dalla padrona e me lo infilò nel culo senza problemi, fino alla base, mi infilò le mutandine perché non uscisse, mi coprì mentre ancora avevo i brividi e con un bacio sulla fronte madida mi diede la buonanotte.
La mattina dopo fui svegliata dalla sensazione che mi venissero sfilate le mutande, avevo dormito scomoda per quel coso che avevo piantato nell’ano, mezza insonnolita mi resi conto che mio fratello era sul letto con me, ero ancora nuda dalla sera prima e avevo ancora il suo sperma nell’intestino. Senza dire una parola mi fece mettere a pancia sotto, sfilò il fallo facendomi sussultare, mi bloccò le gambe fra ginocchia e piedi divaricandomi oscenamente e proprio come fossi un mero oggetto mi si piantò nel culo con prepotenza. Il buco era ben dilatato vista la nottata passata ma l’assenza di lubrificazione mi fece urlare mentre mi entrava dentro:
“su, su, devi abituarti, non puoi pretendere che chi vorrà incularti abbia sempre il tempo di lubrificarti, vedrai, imparerai, sei così portata a fare la cagna e poi sta mattina vado di fretta, fra 5 minuti devo uscire, farò alla svelta”
Detto questo cominciò a pomparmi vigorosamente, soffocavo i miei gemiti nel materasso mentre mi schiacciava con il suo peso, affondo dopo affondo sentivo il suo respiro crescere, farsi più affannoso, iniziò a darmi affondi sempre più potenti godendosi poi il mio canale per qualche istante restandoci infilzato dentro fino alla base per poi propinarmi un altro colpo, fece così per una ventina di volte e poi mi eruttò dentro, soffocando il suo piacere nella mia schiena nuda, solo qualche secondo in cui sentii colare il suo seme dentro il corpo poi uscì, si pulì per bene l’uccello sul mio culo, mi allargò le chiappe complimentandosi con se stesso per il risultato di dilatazione che stava ottenendo, mi mollò una bella sberla su una chiappa facendomi urlare e poi, sorridendo, mi diede un bacio sulla nuca e se ne andò. Dopo poco sentii chiudersi la porta di casa, ero sola, finalmente sola e mi concedetti, dolorante, una doccia rinfrancante.
Rientrò all’ora di pranzo, stavo imburrando una padella per preparare della carne, mi salutò giovialmente e io ricambia poi lo sentii venire alle mie spalle:
“scusa sorellina ma ce l’ho proprio duro e sai cos’ha detto la padrona…”
Nel mio silenzio mi prese, mi abbassò i pantaloni e gli slip per poi togliermeli, mi afferrò per i fianchi facendomi indietreggiare perché mi chinassi mentre mi aggrappavo con le mani al top della cucina, prese del burro e me lo passò sul buchino, in abbondanza:
“dopo dovrai metterci un po’ di crema su questo buchino, si sta allargando bene ma è tutto rosso e dovremo usarlo spesso in settimana, trattalo bene”
Mentre mi diceva queste parole mi forzò tranquillamente e mi penetrò per tutta la sua lunghezza, io restai ferma e in silenzio a farmi usare soffocando le mie sensazioni. Se la prese comoda, mi affondava completamente e poi mi ruotava dentro a lungo per spanarmi bene, odiavo sentire i miei umori colare ma così era, mi lavorò il culo con perizia, uscendo anche ogni tanto a controllare come procedeva per poi riempirmi di nuovo. Durante questo lavoro mi raccontò come era andata la sua mattinata, come se sodomizzarmi fosse la cosa più scontata del mondo mi parlò di quello che aveva fatto e di cosa gli era successo esattamente come faceva normalmente con me prima che tutta questa storia avesse inizio. Dopo dieci minuti di questo servizio sentii le sue mani infilarsi sotto il pigiama ed afferrarmi le tette:
“scusa sorellina ma ho fame, concludiamo, ti prometto che la prossima volta dedicherò più tempo al tuo culo, sei contenta?”
Mi strinse le tette facendomi capire che pretendeva una risposta:
“si, sono contenta quando mi inculi, ti prego, inculami il più possibile, puoi farlo quando vuoi”
Fui sorpresa io stessa delle mie parole:
“facciamo così, visto che la mamma e il babbo non ci sono credo che sia meglio che tu resti in casa in questi giorni, potrai stare sempre nuda in modo che possa lavorare su di te in ogni momento senza perdere tempo, ok?”
“si, come vuoi, fai di me ciò che vuoi” e così dicendo mi sfilai la maglia del pigiama restando nuda:
“vedrai, la padrona sarà contenta del lavoro che farò con il tuo culo e mi darà il permesso di avere altre parti di te così ci divertiremo sempre di più”
Mentre pronunciava queste ultime parole, pompandomi velocemente, mi diede un ultimo affondo per depositare ancora il suo frutto caldo dentro il mio ano fino a sentirsi pago poi si rivestì e si sedette al tavolo ad osservarmi mentre, completamente denudata, con sperma che mi colava fuori dall’ano spanato, gli preparavo il pranzo.
Trascorse tutta la settimana, mio fratello si premurò sempre che dormissi con il fallo nel culo e a volte veniva anche a controllare di notte. La sua voglia sembrava non avere fondo ed arrivava a sodomizzarmi anche cinque o sei volte al giorno. Anche dopo che i nostri genitori furono tornati trovava sempre il modo di appartarsi con me per prendere possesso del mio ano. Alla fine della settimana ero in grado di farmi inculare in tutti i modi senza problemi anche per lungo tempo. Una volta era sgattaiolato nella mia camera di notte e mi aveva impalato, continuativamente, fino al mattino, facendo ben attenzione a non venire, fermandosi ogni volta che sentiva l’orgasmo montare ma la cosa più incredibile era che quando voleva, indipendentemente dalla mia volontà, riusciva a farmi venire in un modo intenso, un modo che non avevo mai provato prima. Ormai ero il suo gioco sessuale, completamente abbandonata ero diventata la sua svuota palle ma la settimana passò e una mattina squillò il mio cellulare.
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CAPITOLO 5
Una voce, credo quella del maggiordomo, mi ordinò di presentarmi a casa del dottore assieme a mio fratello il prima possibile. Lo avvisai, ci preparammo e mezz’ora dopo suonavamo alla porta d’ingresso. Appena lo parta si chiuse alle nostre spalle fu proprio l’uomo che mi aveva chiamata a ricordarmi che gli abiti erano un lusso che non mi era concesso. Era passata un’intera settimana e non ricordavo più la sensazione di trovarmi in quella situazione, varie persone della servitù passavano gettando occhiate mentre rimanevo immobile, l’uomo sbuffo infastidito e fu mio fratello a destarmi:
“forza sorellina, spogliati come ti è stato ordinato e sbrigati, il signore ha altro da fare che attendere i tuoi comodi”
Sotto gli occhi del mio fratellino e del maggiordomo che mi scrutavano intensamente mi denudai, mi sentii arrossire mentre uno dopo l’altro mi liberavo dei vari indumenti porgendoli allo scocciato servitore che teneva un braccio teso ad attenderli. Non si fecero problemi nello scrutarmi a fondo e quando fui completamente nuda:
“finalmente, bene, questi le verranno restituiti quando se ne andrà, potete accomodarvi nello studio del dottore”
Varcammo la soglia della stanza, il dottore era seduto alla sua scrivania, indaffarato con le sue carte, restammo immobili ad attendere che ci desse attenzione per almeno dieci minuti in cui gli occhi di mio fratello non si staccarono mai da me, era strano, per quanto negli ultimi giorni fossi stata molto più spesso nuda che vestita con lui non si stancava mai del mio corpo ma poi la voce profonda mi destò:
“buongiorno signorina e tu, se non ricordo male, sei il fratello, puoi accomodarti su quel divano laggiù, ho da fare con tua sorella ma poi vorrei sapere come è andato il compito che vi aveva affidato mia moglie”
“certo signore, quando vuole”
Il dottore si alzò in silenzio, mi fece segno di avvicinarmi e io eseguii fino a giungere di fronte alla scrivania, lui mi girò attorno con non curanza, mi arrivò alle spalle e li mi afferrò una coscia facendomi portare un ginocchio sopra il piano del tavolo. Sentii una zip e subito dopo:
“hauuu…”
Non me lo aspettavo, non ero completamente asciutta, quella situazione continuava ad eccitarmi mio malgrado ma il prepotente affondo che aveva inferto alla mia fichetta con il robusto cazzo mi aveva spiazzato e non ero riuscita a trattenere un urletto mentre mi aprivo al suo passaggio. Lui non ci fece caso. Affondò in me totalmente, con le mani mi teneva per le chiappe per farmi dilatare al massimo mentre roteava al mio interno per stare più comodo:
“signorina, da quando abbiamo stretto il nostro accordo non ho, purtroppo, avuto molto tempo da dedicarle e questo è un problema, quando acquisto qualcosa mi piace usufruirne a pieno quindi credo che nei prossimi giorni saremo costretti a recuperare il ritardo accumulato, è d’accordo?”
La domanda era ovviamente retorica e rimasi in silenzio a lasciargli fare i suoi porci comodi ma una sonora sculacciata mi spiegò chiaramente che non era una buona idea. Mi aveva colpita veramente forte, sentivo la carne di una natica pulsare mentre il bruciore andava allargandosi:
“si dottore, sono d’accordo” quelle parole scandirono l’inizio dei suoi movimenti, tenendomi sempre ben allargata iniziò un lento e robusto dentro e fuori, ruotando, inserendo e scavando con estrema calma:
“bene, visto che è d’accordo con me vorrei mettere in chiaro delle cose. Io non mi considero una persona sadica, non ho alcuna necessità di provocarle dolore ma è ovvio che determinate pratiche, come conseguenza e non come scopo, le faranno male, a volte molto male ma questo è necessario perché possa avere piena libertà nell’usare il suo corpo, è d’accordo?”
Mentre pronunciava quell’agghiacciante frase le sue mani raggiunsero i miei seni, li afferrarono stringendoli, le dita fecero scivolare la morbida carne come le parole scivolavano fuori dalla sua bocca fino a che solo i capezzoli rimasero prigionieri fra i pollici e gli indici che strinsero, parola dopo parola strinsero sempre di più fino a divenire una morsa, fino a comprimere tanto che:
“mhhhhhhh, mhhhhhh, mhhhhhh, ahhhhhh, AAAAAhhhhhh. Basta, la prego basta, non resisto”
Il suo cazzo continuava il suo incessante e lento scavare mentre urlavo come una pazza, mio fratello restava impassibile quanto il dottore che continuava il suo discorso ma poi, concludendo la frase, lasciò la presa, di botto, il sollievo fu tale che mi accascia sulla scrivania, ancora più esposta al suo lento scoparmi. Le lacrime mi rigavano il viso mentre mi stupivo nel rispondere:
“si dottore, sono d’accordo” ciaf, ciaf, ciaf, il suo inguine che sbatteva sul mio culo ritmava il discorso:
“durante i nostri incontri dovremo saggiare le sue capacità fisiche, controllare la profondità e la larghezza che sono in grado di raggiungere i suoi orifizi e anche la bocca, è d’accordo?”
Afferrandomi per i capelli mi fece alzare dalla scrivania per potermi afferrare ancora i seni doloranti, li prese con tutte le mani, girò i polsi in modo che i palmi afferrassero la parte alte delle mammelle mentre le dita andavano a scavare sotto le coppe, infilandosi, impossessandosi. Stringeva tanto, mi doleva ma questo era sopportabile mentre il ricordo del dolore precedente era ancora vivo in me:
“si dottore, sono d’accordo” ciaf, ciaf, ciaf, aggrappandosi al mio seno i suoi affondi stavano diventando più vigorosi anche se non aveva aumentato minimamente la velocità:
“sarà anche necessario appurare quanti e quali liquidi e quanti e quali oggetti è in grado di ospitare in se senza subire danni permanenti e quale è la sua capacità di subire frustate e sessioni di battute, è d’accordo?”
Gli affondi nel mio sesso si stavano facendo feroci, ad un ritmo lento ma violenti, ad ogni colpo sbattevo sul bordo della scrivania che scricchiolava un po’ mentre i seni si infuocavano sotto la sua manipolazione:
“si dottore, sono d’accordo” ciaf, ciaf, ciaf, quella situazione, quell’interrogatorio, avevano smorzato la mia involuta eccitazione, la fica si era asciugata per le numerose penetrazioni e ora quel grosso pene scivolava stridendo in me, la pelle si faceva sempre più sensibile e iniziava a bruciarmi tremendamente:
“è scontato che concederò l’uso del suo corpo a chi vorrò, conosciuto o sconosciuto, di ogni livello sociale, di ogni sesso, in pubblico e in privato, singolarmente o in gruppo ma perché il mio acquisto sia sfruttato realmente in pieno e per il maggior tempo possibile credo sarà opportuno che lei sia usata anche da vari animali che sceglierò per la sua persona, è d’accordo?”
In lento stridere nel mio sesso diveniva sempre più doloroso. Ciaf, ciaf, ciaf. Le ultime parole mi bruciavano il cervello come un ferro rovente mentre rimanevo in silenzio ma poi le sue mani ricominciarono a scivolare sul mio seno dirigendosi, implacabili, verso i capezzoli indifesi:
“si, si, siiiiii, dottore, sono d’accordo” Lacrime si facevano sempre più copiose scivolandomi sul viso, con un ultimo colpo sentii getti caldi scivolare dentro il mio utero, per lunghi secondi si scaricò in me nel completo silenzio poi mi stappò, si pulì con un fazzolettino che getto poi in un cestino, si ricompose e si andò a sedere al fianco di mio fratello lasciandomi li piegata, nuda, dolorante e sfatta:
“bene, ragazzo, dimmi come è andato il compito che ti aveva affidato mia moglie”
Mi fratello iniziò subito a decantare il suo lavoro, spiegò chiaramente come e quante volte aveva lavorato il mio culo, riportò con dovizia i progressi fatti nel tempo, nelle sue parole si leggeva l’orgoglio per il lavoro svolto e poi:
“dottore, se lei me lo permette, credo che riuscirei a spiegare meglio i risultati raggiunti facendole vedere con i suoi occhio”
“ma prego, ne sono lieto”
“sorellina, vieni qui per favore, mettiti in ginocchio sul divano, appoggia il busto sullo schienale in modo da essere ben piegata e apriti bene le natiche in modo che il nostro caro dottore abbia una buona visuale del lavoro che ho svolto sul tuo forellino”
Frastornata e ormai piegata al mio destino eseguii l’ordine, mi posi sul divano fra loro due, mi piegai e con le mani mi allargai il sedere esponendomi al massimo. Mio fratello iniziò subito a lavorarmi con due dita:
“vede, questo buchetto un tempo così inospitale ora è morbido, più elastico e meno resistente, si apre docilmente dilatandosi ma la cosa, secondo me, straordinaria è che per quanto sia ora facile penetrarlo rimane ben aderente, non cede e mia sorella continua ad avere ancora tutte le sensazioni che una penetrazione anale è bene che dia”
Alla fine del suo melenso discorsetto mi caccio due dita dentro di botto, senza alcuna lubrificazione; è vero che entrarono bene ma:
“ahi, ahi, ahi”
Ruotava e palpava il mio interno come, ormai, avevo imparato bene che gli piaceva:
“vede, come riceve bene le mie dita anche se lei si lamenta ancora, credo sia un buon risultato”
“ottimo, veramente ben fatto, sono stupito da come ti sei applicato ragazzo, spero che in futuro vorrai aiutarmi ancora a trasformare tua sorella in un perfetto oggetto sessuale senza limiti”
“certo, certo, con estremo piacere ma non è finita, mi permette?”
“fai pure, sono curioso di sapere”
Sfilandomi le dita dal culo si alzò, estrasse il cazzo dai pantaloni e senza la minima attenzione mi penetrò analmente in pochi secondi fino alla base:
“ahhhhhhhhh, cazzo, ahhhhhhh, mi sfondi’ Nessuno era interessato ai miei lamenti di sofferenza mentre il loro irreale dialogo procedeva:
“la cosa che le volevo mostrare non è tanto la facilità di penetrazione ne il fatto che il suo forellino aderisca ancora così bene al mio cazzo, quello che le vorrei mostrare ora è l’incredibile attitudine di mia sorella per il lavoro che deve svolgere per lei, vedrà che in breve e indipendentemente dalla sua volontà riuscirò a farla venire copiosamente scopandola in culo”
“procedi ragazzo, è una cosa veramente interessante”
Sentii le mani di mio fratello afferrare i miei fianchi mentre il cazzo iniziava lente rotazioni dentro il mio canale posteriore:
“forza sorellina, facciamo vedere al dottore quanto sei troia mentre ti fai inculare”
Il bastardo sapeva bene come fare, lo odiavo profondamente in quel momento, tutto volevo tranne sciogliermi in un orgasmo in quella situazione ma la punta del suo cazzo aveva trovato già quel punto sensibile in me che aveva scoperto una settimana fa ma non sembrava bastargli, nei lunghi giorni di test fatti sul mio culo aveva imparato a far si di stimolare le parti più sensibili mentre mi inculava nel modo più fastidioso in modo che io gemessi tanto di dolore quanto di piacere ed in quel modo mi faceva raggiungere livelli di godimento altissimi. Con calma iniziò il suo gioco, usciva fino a lasciare sola la punta della cappella e con quello iniziava un veloce sue e giù inserendo solo pochi centimetri, così facendo forzava sempre i muscoli all’ingresso del canale ad allargarsi e stringersi dolorosamente, continuava fino a che non cedevo cominciando ad ansimare chiedendo pietà:
“ahi, ahi, basta, ti prego, fa male, mi sembra che si rompa, basta ti prego”
“lo sai cosa voglio sorellina” Ormai non avevo più dignità e mi piegai al suo volere docile mentre il dottore seguiva la scena interessato massaggiandomi a volte un seno a volte l’altro.
“mettimelo dentro, mettimi tutto il cazzo dentro il culo ti prego” A quelle parole mi sprofondò dentro, impalandomi in pieno e ruotando al mio interno cominciò a stimolare dove sapeva che avrei ceduto:
“ahhh, li, si ti prego, li, in fondo al mio culo, proprio li, non smettere, ti scongiuro”
Continuò a pomparmi indietreggiando pochissimo e spingendo sempre di più e sempre nel modo giusto, guaivo come una cagna per il piacere, il viso stravolto dall’estasi, saliva mi colava dalla bocca aperta mentre l’orgasmo si faceva sempre più vicino ma non mi fu concesso, improvviso, indietreggiò per ricominciare la tortura al mio buchino con i suoi millimetrici affondi di punta:
“vede dottore, posso guidare i suoi orgasmi come e quando voglio lavorando semplicemente il suo culo”
“molto interessante ragazzo ma fra breve mi arrivano dei pazienti quindi credo che sia meglio finire la dimostrazione, mi sembri molto eccitato quindi sfogati pure con tua sorella, decidi tu se farla venire o no”
Mentre imprecavo per il dolore al buchetto dovuto alla sua tortura:
“dai sorellina, facciamo un regalo al dottore, facciamogli vedere come sei porca, come godi”
“si, si, ti prego, smetti di farmi male, impalami, inculami con tutto il cazzo, entra dentro quella troia di tua sorella, fammi venire con il culo, ti prego” Mi affondò dentro e con una foga animale iniziò il suo profondo stantuffare, il dottore aggiunse alla mano sul mio seno una fra le gambe, trovò subito il clitoride e iniziò a pizzicarlo, torturarlo.
“ahi, ahi, la fica, il clitoride, mi fa male, ahi, il cazzo, il tuo cazzo nel culo, mi fate impazzire, basta, per favore, fatemi venire, vi prego, non ce la faccio più, ho bisogno di venire” Mi odiavo profondamente ma l’azione combinata dei due mi fece godere in modo assurdo. “iniziai a urlare il mio godimento a squarciagola, li pregavo di continuare, di incularmi, di masturbarmi, avevo perso il controllo in pieno, non mi interessava altro che godere ed in breve l’orgasmo mi travolse, mi avvolse, i due ne approfittarono e mentre urlavo il mio piacere uno intensificò la stretta sul clitoride aggiungendo dolore al godimento mentre l’altro cominciò a stantuffarmi per tutta la lunghezza del cazzo, per almeno un minuto urlai di un mix di sensazioni esaltanti poi mio fratello mi riempì l’intestino con il suo seme con lunghi fiotti, intensi, fino a svuotarsi completamente e, in fine, mi lasciarono libera, sudata, sconvolta e tremante. Sentii appena il bussare alla porta:
“è arrivato il mio paziente, devo assentarmi ma voi restate pure li” Alzando un po’ il tono “PREGO, AVANTI…”
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CAPITOLO 6
FLASHBACK
E’ il giorno del mio diciottesimo compleanno, io e il mio gruppo abbiamo festeggiato fin dal pomeriggio, ci siamo divertiti, abbiamo cenato, ci siamo scatenati ed ora, alle due di notte, siamo rimasti solo in 4, io e tre ragazzi, intorno ad un tavolo a giocare a poker con soldi veri. La partita va avanti da un po’ tra un bicchiere e l’altro, siamo tutti e quattro un po’ brilli, io sono rimasta con pochi spiccioli mentre gli altri tre si sono spartiti le vincite più o meno in modo omogeneo. Decidiamo di fare un’ultima mano, le carte sono già date quando Marco, il solito esagerato, mette sul piatto tutto quello che ha, Andrea e Francesco si chiamano subito fuori ma io ho un full d’assi in mano, è il punteggio più alto visto in tutta la serata ma non posso coprire la puntata con quello che mi è rimasto:
“Marco, fammi credito, tanto vinco io”
Il mio sguardo malizioso e sicuro si piazza in quello del ragazzo, sarà anche un po’ l’alcool che ho in corpo ma mi sento sicura e non voglio tirarmi indietro per nessun motivo.
“No, Tania, non si può proprio fare, mi spiace ma se hai altro da offrirmi al posto dei soldi ti ascolto, tanto sei sicura di vincere”
E’ vero, sono sicura ma il suo sguardo lascivo non è difficile da decifrare e mi sento spavalda, ciò che sottintende mi stuzzica e ho una gran voglia di vedere il suo sguardo deluso quando vedrà il mio full, questa sera solo pippe per te amico:
“dimmi cosa vuoi e lo avrai sul piatto!”
Si lecca le labbra nell’udire le mie parole, mi sembra di vedere il suo sangue buttarsi in picchiata verso l’uccello:
“voglio te, anzi, vogliamo, se perdi faremo di te tutto quello che vorremo fino all’alba ma voglio essere chiaro, ho detto tutto, ogni cosa ci venga in mente, non potrai dire di no a nulla. Se vincerai ti prederai tutto, sia i miei soldi che quelli di Andrea e Francesco”
Deglutii, aveva puntato alto, ora il mio full mi sembrava molto meno forte di prima ma di tirarsi indietro non ne volevo proprio sapere e mi stupii nel sentirmi pronunciare:
“solo se accetti due regole prima, una è che il mio culo non si tocca tassativamente e la seconda è che qualunque cosa succederà questa notte, alle prime luci dell’alba, scomparirà, sarà come se non fosse mai avvenuta, ok?”
Gli occhi di Marco sembrarono infuocarsi alle mie parole ma tacque per qualche secondo poi:
“un dito, hai un culo troppo bello per rinunciarci del tutto, ci sto se accetti di farci giocare con il tuo culo con un solo dito alla volta”
L’alcool rende deboli, rende euforici, rende avventati:
“vedo, Marco, cosa hai in mano?”
Vidi le sue carte calare una dopo l’altra e non vi dico la gioia quando tre miseri due si allinearono uno di fronte all’altro, era così sicuro di vincere con un misero tris di due? ma poi, poi il mio cuore si fermò, un brivido mi percorse la schiena e la cosa più strana è che sentii la mia fichetta sobbalzare, scaldarsi quando apparve un quarto due, poker, Marco aveva un poker e gli bastò guardami in faccia per capire che mi aveva in pugno. Non ero ancora riuscita a reagire quando sentii la sua voce:
“abbiamo in programma una maratona di star trek per questa notte, noi andiamo in sala, tu fa in fretta, spogliati completamente e raggiungici, ci serve un diversivo per tutte queste lunghe ore di film”
Restai gelata nella sedia mentre i tre, sogghignando, mi sfilarono a fianco dirigendosi in sala.
Restai bloccata qualche minuto, ancora stordita dall’alcool cercavo di mettere insieme le idee, ora che la cosa era reale mi faceva uno strano effetto, ero allibita ma ancora di più ero eccitata e non me lo aspettavo ma poco contava, i debiti di gioco si pagano ed ormai ero in ballo. Dall’altra stanza sentivo i rumori della proiezione che aveva avuto inizio, mi alzai e mi denudai e poi mi forzai ad andare verso il mio destino. I tre bastardi avevano deciso di umiliarmi, quando entrai nella stanza, completamente nuda, non mi guardarono nemmeno tutti intenti con il loro filmetto, infastidita più di quanto fossi imbarazzata mi avvicinai al divano dove erano seduti, attesi un po’ ma non ebbi udienza e inviperita:
“beh, cosa dovrei fare ora”
“shhhhhhh”
In coro mi azzittirono, li stavo anche disturbando i tre porci ma poi Marco mi prese per un braccio, mi portò davanti a lui scostando la testa perché non gli ostruissi la visuale e tirandomi verso il basso mi fece mettere in ginocchio, senza degnarmi di uno sguardo si tirò fuori l’uccello, aveva un arnese imponente, era duro, nodoso, le vene, grosse, pulsavano davanti ai miei occhi, la cappella era viola. Mi prese per i capelli e senza troppi complimenti mi tirò il viso verso il suo sesso fino ad appiccicarmelo sulla faccia poi mi lasciò li e si dedicò allo spettacolo in tivù. In quella assurda situazione, nuda, in ginocchio, davanti a tre dei miei più vecchi amici che non mi calcolavano nemmeno rimanevo solo io e quell’uccello, quello che dovevo fare era chiaro e tanto valeva iniziare. Deglutii, mi bagnai le labbra, mi accomodai meglio attenta a non disturbare, gli calai pantaloni e boxer fino a sfilarli, poggiai le braccia sulle sue cosce e allungai la lingua fuori dalla bocca. Il cazzo vibrò al primo contatto, la punta della mia lingua si era appoggiata alla base del pene, subito sopra la sacca scrotale, scivolando, risalii l’asta insalivandola bene, lenta raggiunsi il frenulo esposto, qualche colpetto di lingua poi un bacio soffice a fargli saggiare le mie labbra, odiavo la loro disattenzione al mio essere li esposta e disponibile e volevo farmi notare ma per quanto il cazzo che lavoravo dava chiari segni di gradire le mie attenzioni, Marco riusciva a rimanere impassibile. Ridiscesi con la stessa lentezza ma poi scesi di più, fino a sotto, con la lingua disegnai il contorno di un testicolo e con delicatezza lo guidai alle labbra, lo aspirai piano, con attenzione, allargando le labbra piano piano fino a che non mi scivolò in bocca dove lo lavorai lentamente e intensamente. Succhiando e leccando aspirai la sacca sempre più fino a che non arrivò anche l’altro testicolo, spalancai bene e lo accolsi, li leccai entrambe, li ospitai al meglio che riuscivo fino a che non furono tanto dentro la bocca che estraendo la lingua fui in grado di leccare il perineo. Sotto quelle attenzioni il cazzo di Marco vibrava davanti ai miei occhi ma lui non aveva la minima intenzione di darmi soddisfazione. Liberai le sue palle per risalire l’asta, ancora fino in cima, trovai la cappella e le girai attorno con la lingua per poi fermarmi ancora sul frenulo, lo imboccai, di colpo, scesi fino a metà asta, gli feci sentire la mia gola, lo lasciai li in profondità e finalmente le sue mani arrivarono sulla mia testa, fra i miei capelli, sorrisi con il suo membro fra le labbra e succhiando, roteando la lingua, risalii, millimetro dopo millimetro fino a che non mi rimase solo la cappella, il suo cazzo lucido di saliva più in basso, lo afferrai con entrambe le mani, incrociando le dita lo cinsi, subito fuori dalla mia bocca, le mani che aderivano alle labbra per divenire un unico canale, attesi, attesi la mia piccola rivincita e quando le sue mani spinsero affondai, fino alla base, accogliendolo tutto fra palmi e bocca, succhiando e leccando, scesi e poi risalii, leccai, scesi e risalii, leccai e ogni volta aumentai il ritmo, avevo perso e volevo pagare il mio debito e poi mi sentivo così calda, bagnata. Non ci vollero molti affondi in quel modo, presto la sua mano sulla nuca si fece più forte, vogliosa, voleva venirmi in bocca, non mi era mai piaciuto lo sperma, mi sembrava viscido ma in quel momento, con quella eccitazione, forse l’alcool, affondai, leccai con tutta la lingua e lui, ansimando, si scaricò nella mia bocca, a lungo, copioso, mi stupii sentendo che non sapeva di nulla ma viscido lo era comunque, ingoiai, tutto, fino alla fine, fu lui a staccarmi e a spingermi di fianco, neanche uno sguardo mentre mi donava, sua vincita e proprietà, agli altri due compari. Troppo presa dal cazzo di Marco non mi ero neanche resa conto che gli altri due si erano spogliati, ero ormai lanciata e mi avvicinai al cazzo di Francesco ma prima che potessi penderlo in bocca lui iniziò a spingermi la testa verso il basso, pensai che volesse lo stesso lavoretto ai coglioni ma mi sbagliavo, sollevò una gamba appoggiandomela sulla schiena e mi spinse più giù, mi trovai con il suo buchetto davanti alla bocca e subito mi ritrassi di scatto ma solo per trovare gli occhi di Marco a sfidarmi. Il suo sguardo era chiaro, aveva detto qualsiasi cosa, non mi era concesso fare la schizzinosa, capitolai, mi rimisi in posizione, sentii le mani venire afferrate per essere guidate sui cazzi dei due che ancora dovevo appagare, comincia una lenta sega distratta da quello che avevo davanti e lentamente appoggiai la lingua al suo orifizio. Mi faceva troppo schifo, non riuscivi a dare più che qualche timida lappata ma la mano forte di Francesco mi tirò vigorosamente e mi trovai a baciare il suo culo, mi muoveva la testa ritmicamente, mi muovevano le mani sui cazzi, mi usavano e lentamente mi eccitai da morire, dopo un po’ gli stavo leccando il buco rumorosamente, mi colava saliva dalla bocca, segavo da sola i loro cazzi duri mentre i tre si godevano il film. Andai avanti per una buona mezz’ora, la posizione scomoda mi impediva di segarli bene e riuscivano a riandare l’orgasmo. Avevo ormai il mento tutto bagnato, la saliva colava sul collo e sui seni e mi faceva male la lingua ma poi arrivò la fine del primo tempo. I due si alzarono, mi fecero mettere in ginocchio, mi fecero aprire la bocca per poi segarsi a pochi centimetri dal mio viso, vidi i loro volti contrarsi sempre più, le seghe farsi più furiose e poi mi investirono, in pieno, la faccia, i capelli, la bocca aperta, lunghi schizzi mi centrarono la lingua e dovetti sputarli fuori a colarmi sul mento, tenevo gli occhi chiusi mentre sentivo il loro seme ovunque, mi ricoprirono completamente tanto che, una volta finito, dovetti togliermi sperma in quantità dagli occhi per poterli riaprire. Mi lasciarono li in ginocchio, sudicia, mentre:
“ragazzi, ci facciamo una birretta, vi va?”
L’idea di Andrea fu subito accolta ma poi Marco:
“prendi un paio di lattine dal frigo e tre cannucce di quelle lunghissime, ho un’idea, ci servirà anche un imbuto”
Andrea tornò con il necessario mentre, in silenzio, lasciavo che Marco mi facesse sdraiare a terra, la pancia in alto, mi fece alzare le gambe fino a mettermi le ginocchia al lato del viso poi, di peso, mi portò con la schiena attaccata al divano, nel mezzo del divano, in modo che non potessi muovermi. Si sedette dietro di me, le sue gambe ai miei lati e si fece passare l’imbuto:
“dai ragazzi, apritele la fica ben bene”
Sentii le mani degli altri due raggiungermi il sesso, ero fradicia e mi vergognavo ma il loro frugare mi faceva impazzire, i tre sghignazzavano:
“così la birra sarà più buona”
Uno da una parte e uno dall’altra mi allargarono prima le grandi labbra, scivolarono nei miei umori e aprirono le piccole, sentii l’ingresso del mio sesso dischiudersi mentre Marco, massaggiandomi il clitoride con un dito, facendomi gemere, mi infilava dentro la punta dell’imbuto con facilità. Quello che successe dopo fu terribile, Marco iniziò a versare il contenuto della prima lattina nell’imbuto, il liquido era gelato, lo sentii scivolarmi dentro e mi diede dei forti crampi, provai a dibattermi ma mi tenevano le gambe ben ferme e non mi rimase che l’urlare disperata mentre venivo riempita. La prima lattina entrò completamente ma per la seconda c’era poco spazio, iniziò a sgorgare fuori colandomi addosso, dandomi altri brividi mentre mi dibattevo ed urlavo, la versarono completamente, mi inzupparono e poi mi tennero ferma fino a che la birra non si scaldò dentro il mio corpo, i crampi cessarono, smisi di urlare, mi calmai e restai ferma, distrutta. A quel punto mi lasciarono, estrassero l’imbuto, si misero comodi e dopo avermi infilato dentro le tre cannucce, si sorseggiarono con calma la loro birra mentre facevano ripartire il film. Il dolore era stato forte ma ora il liquido dentro di me friccicava piacevolmente tanto da farmi apprezzare anche il leggero movimento delle cannucce. Bevvero con calma fino a che la birra non finì, ero stata tramutata nel loro boccale ma quello che mi atterriva era che l’eccitazione in me aumentava sempre più, le cannucce cominciarono a fare rumore di risucchio mentre il liquido si esauriva e quando fu chiaro che ero ormai vuota vennero estratte e Marco si chinò in avanti a leccare le ultime gocce direttamente dal mio sesso. Abbeverandosi in me si rese conto della mia eccitazione ed aumentò il ritmo, mi percorse tutto il sesso con la lingua, mi ripulì per bene mentre mi costringevo al silenzio per non dargli soddisfazione ma in quella posizione aveva accesso al mio clitoride gonfio in modo perfetto e quando la sua bocca se ne impadronì impazzii cominciando a gemere come una cagna in calore. Mi lasciò, spezzò un orgasmo che stava per esplodere, si sporse in avanti cercando il mio sguardo:
“hai voglia di godere, vuoi venire?”
“si” mi sfuggi in un sussurro
“cosa?”
“ho voglia di venire, fammi venire ti prego” avevo abbassato lo sguardo per sfuggire al suo. Mi porse il dito indice davanti alla bocca:
“leccalo bene, sai dove voglio metterlo e quando sarà bene in fondo ti farò godere”
Sentii solo la parola godere, ne avevo troppa voglia, spalancai la bocca e lui vi affondò per farsi insalivare bene. I due compari tornarono su di me, con le mani mi divaricarono per bene poi inserirono due dita a testa nella mia fica tirando per allargarla, ruotavano, divaricavano e affondavano, mi stavano facendo impazzire e quando sentii il dito di Marco sul mio buchino non mi opposi, lascia che mi penetrasse fino in fondo pensando solo alla sua lingua, lo sentii intrufolarsi tranquillamente mentre cercavo di non stringere il culo, lo sentii incontrare le dita degli altri che mi stavano già frugando e mentre tutti e tre sditalinavano qui e la, la sua lingua tornò proprio sul clitoride a stimolarlo, torturarlo. Comincia a urlare come una pazza il mio godimento, non avevo più remore mentre tre uomini giocavano con i miei orifizi esposti, mugolai impazzita fino a che un profondo orgasmo mai provato prima mi avvolse, mi attraversò riempiendomi e salendo sempre più di intensità, la lingua di Marco mi sembrava di fuoco, le dita nella fica mi facevano sentire piena e quella nel culo mi mandava scosse fortissime al cervello. Non volevano smettere e acceleravano sempre più, mi dibattevo inutilmente, inerme sotto la loro presa, le sensazioni divennero insopportabili, chiesi di smettere, che stavo impazzendo, chiesi pietà ma non servì a nulla, continuarono imperterriti a pomparmi tutti e due i buchi come pazzi mentre i miei urli si facevano sempre più acuti, avevo brividi ovunque e facevo fatica a respirare, il corpo lo sentivo come attraversato da corrente elettrica fortissima, mi disperavo e poi arrivò un secondo orgasmo così intenso che mi sembrò di perdere conoscenza, mi contrassi talmente forte da sfuggire alla loro presa per rotolare a terra, ansimante, tremante, scossa da spasmi improvvisi.
Non so quanto rimasi li ma quando mi rialzai frastornata era rimasto solo Marco, mi guardava sorridendo:
“mi odi?”
Scossi la testa in segno di negazione arrossendo e lui mi porse una mano, mi accoccolai accanto a lui sul divano:
“ti è piaciuto quello che ti abbiamo fatto?”
“non so perché ma mi ha fatto eccitare, molto, incredibilmente ma non permetterò mai più a nessuno di usarmi così”
“ma guarda che all’alba manca ancora un po’” Fu come un cazzotto nello stomaco, non ci stavo più pensando ma, purtroppo aveva ragione:
“che cosa vuoi Marco?”
“se non lo avessi capito ho un debole per il tuo culo, so che non posso averlo ma mi piacerebbe molto sculacciarlo, forte ma non ti obbligherò, non te lo ordinerò, ti ho solo confessato un mio desiderio”
Eccola di nuovo, quella strana sensazione, il solo sentire quelle parole mi aveva mandato in fiamme il ventre, mi odiavo, non sarebbe mai più successo, avevo deciso che non sarei mai stata quel tipo di donna ma all’alba mancava ancora un po’:
“all’alba tutto questo non sarà mai successo, questo è il mio dono, in cambio tu dovrai fare in modo che di questa nottata non rimanga traccia in futuro” Dissi quelle parole mentre mi stendevo sulle sue gambe, gli misi il culo proprio a portata di mano, mi stesi bene, afferrai un cuscino in cui nascosi la faccia e lasciai che facesse quello che desiderava. Le prime sculacciate furono leggere, indecise, forse non credeva che avrei accettato, sicuramente non lo aveva mai fatto. Non era neanche sgradevole, carezze intense ma mi sentivo vuota. Alzai un po’ il culo, lo esposi meglio e lui ne approfittò, schiaffo dopo schiaffo i colpi si fecero più robusti, sentivo le sue dita affondare nelle mie morbide carni, sentivo il culo sobbalzare sotto la sua forza, chiazze pulsanti si allargavano, la pelle bruciava ed iniziai a fare fatica a contenere gli urli. Li soffocavo nel cuscino, restavo immobile ma gemevo:
“vuoi che smetta?”
Scossi con forza la testa per dire no, non so perché ma volevo donarmi a lui in tutto quello che voleva. Ricominciò a colpire, il suo respiro si era fatto pesante, sentivo il cazzo marmoreo premere contro il mio corpo, stava perdendo il controllo e si stava lasciando andare, avevo il culo in fiamme mentre i suoi colpi si abbattevano a decine poi, con il fiatone, si fermò:
“hai il culo rosso in modo incredibile, è bellissimo”
Come risposta divaricai le gambe, esposi il mio sesso, sentii la mano che avevo invitato farsi strada, insinuarsi, aprirsi per trovarmi grondante, in modo esagerato, il culo mi faceva un male da impazzire ma ero eccitata in modo incredibile. Trovarmi così bagnata gli mandò il sangue alla testa, mi afferrò come un fuscello, mi sollevò e mi fece sedere sulle sue gambe, il suo cazzo, duro in modo incredibile mi scivolò dentro come fossi burro, sussultai tanto lo desideravo, i nostri visi erano a pochi millimetri:
“Tania, mi sto innamorando di te”
“Non succederà mai più, tu dovrai proteggermi da questo lato di me, non vorrò mai neanche sentirne parlare, sei sicuro?”
“si, sicurissimo”
Purtroppo le cose non andarono come sperato, quella sera scomparve nel ricordo di tutti, Marco riuscì a fare si che anche gli altri due non ne facessero parola con nessuno, noi non ne parlammo mai ma nei tre anni della nostra storia quel peso, quel segreto, quel desiderio ci logorò e alla fine ci lasciammo. Io non volli più sapere niente di quel genere di cose, avevo deciso che non ero fatta così e non ero disposta a cambiare idea per nessun motivo ma poi incontrai il dottore.
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E’ PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN’OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 7
“…PREGO, AVANTI”
Ancora in ginocchio sul divano, con il petto appoggiato allo schienale, piegata e novanta gradi, i miei orifizi completamente esposti, sentii la porta aprirsi e poi un rumore di tacchi.
Ansimavo ancora per l’orgasmo appena subito, mio fratello, seduto al mio fianco, mi carezzava i seni distrattamente mentre seguiva la scena che si svolgeva alle mie spalle e poi sentii la voce di una donna:
“caro Dottore, che piacere rivederti, non so come ringraziarti per aver trovato il tempo per me”
“Pamela cara, è un vero piacere vederti, vieni, accomodati, dimmi pure che problema hai e sentiti libera di esprimerti, noi ci conosciamo ma in questo momento sei una paziente e tutto quello che mi dirai resterà strettamente confidenziale, per telefono mi avevi parlato di un problema imbarazzante”
Nella mia sconcia posizione sentivo la discussione chiedendomi se quella donna avesse notato la mia presenza nuda e esposta sul divano:
“guarda, mi riesce molto difficile parlarne ma la situazione è divenuta per me ormai insopportabile e visto che conosco le tue abitudini per il tempo libero ho deciso di rivolgermi a te come medico e come uomo per cambiare la mia vita. Devi sapere che io non ho mai avuto un orgasmo in vita mia”
Seguirono attimi di silenzio all’affermazione della donna:
“Pamela, per capire il tuo problema ho bisogno di farti alcune domande che potrebbero essere imbarazzanti ma ti prego di essere il più sincera possibile, il tuo è un problema che va affrontato seriamente”
“certo, chiedimi ciò che vuoi, sono venuta da te apposta e voglio andare in fondo alla situazione”
“avrei bisogno di capire se il fatto di non raggiungere l’orgasmo significa che non riesci proprio ad eccitarti o se pur provando desiderio non riesci a raggiungere il tuo obbiettivo”
“ma guarda, è un po’ complicato, non è che eccitarmi sia difficile, ci vuole solo il modo giusto però questo non cambia che anche se ero eccitatissima i rapporti che ho avuto non sono mai sfociati in un orgasmo”
“mi hai detto che per eccitarti basta il modo giusto, potresti essere più chiara”
“beh, diciamo che quando ci siamo conosciuti a quella tua festa qualche tempo fa, i giochini che ho visto mi hanno eccitata molto, rientrati a casa sono saltata addosso al mio compagno ma per quanto io ci abbia provato e lui si sia impegnato è stato un fallimento, non ti dico la frustrazione”
“capisco, e questo vale anche per la masturbazione, sempre se ti masturbi”
“certo che mi masturbo, farei di tutto per un orgasmo ma anche in quel caso il piacere sale, mi sembra di stare per arrivare e poi mi rendo conto che la fantasia che sto vivendo è solo nella mia mente e tutto crolla”
“mhhh… Posso ipotizzare che le fantasie che usi per masturbarti ti ritraggano in veste di donna sottomessa visto quello che hai provato alla mia festa?”
“no, no, hai capito male, io non mi immedesimo in chi subisce, quello che mi eccita è immedesimarmi in chi domina”
Il mio culo continuava a svettare bene esposto, mio fratello aveva preso a pizzicarmi i capezzoli seguendo il discorso e facevo fatica a non mugolare mentre il silenzio tornava a riempire la stanza per lunghi secondi.
“Pamela, da quello che mi dici sono abbastanza convinto che tu non abbia un problema medico o fisico, credo solo che il tuo corpo non abbia mai avuto le stimolazioni giuste ma, se te la senti, credo ci sia un solo modo per scoprirlo”
“Che modo? ti ascolto”
“Credo che dovresti provare a ricoprire il ruolo di dominatrice per vedere che effetto ti fa e se vuoi ho proprio qui la nostra cara Tania di cui puoi approfittare liberamente e senza remore, vero Tania?”
Ero stordita dalla piega che aveva preso il discorso e restai ghiacciata senza rispondere ma mio fratello, sempre attento alle occasioni, mi pizzicò forte un capezzolo, il dolore fu intenso e improvviso:
“ahhhh, si, si padrone dottore, si padrona Pamela, può fare di me ciò che vuole, tutto quello che vuole”
Le parole mi uscivano ormai dalla bocca senza controllo, pronunciavo frasi che non credevo avrei mai neanche pensato ma il silenzio era tornato fino a che, quasi sottovoce:
“si, va bene, vorrei provare”
“vuoi che ti lasci sola con Tania? un po’ di intimità?”
“no, no, vorrei che mi guidassi magari”
“va bene Pamela, dimmi, c’è qualcosa in particolare che ti piacerebbe provare a vedere che effetto fa sul corpo di Tania?”
“alla festa… quello che mi ha colpito… Dio, l’ho sognato per una settimana e mi svegliavo sempre tutta bagnata… quella ragazza che…”
“Pamela, stai tranquilla, nessuno ti giudica qui, sentiti libera, dimmi la tua fantasia”
“alla festa una ragazza è stata frustata con un frustino da cavallo sul sesso, sulla pancia, sui seni, le sue urla mi hanno fatto un effetto incredibile”
“cara Pamela, per così poco, non c’è nessun problema, puoi farlo per tutto il tempo che vuoi”
Il Dottore fece cenno a mio fratello di avvicinarsi e di portare anche me mentre prendeva da un mobile delle corde e un frustino nero che finiva con una parte piatta. Mi tremavano le gambe mentre mi avvicinavo, avrei voluto fuggire ma non sapevo proprio come e dove. Nel totale silenzio venni portata verso un basso tavolino, era lungo come la mia schiena, mi ci fecero sdraiare a pancia in su, il mio corpo tremava visibilmente per la paura ma la cosa sembrava non interessare a nessuno. Mio fratello, sotto la direzione del dottore, mi legò le braccia alle gambe del tavolo, la testa pendeva indietro priva di appoggio mentre il culo spuntava un po’ dalla parte opposta, il frustino venne consegnato a Pamela che guardava in silenzio poi i due uomini mi si misero ai lati, mi presero ognuno una caviglia e mi tirarono indietro le gambe allargandole fino a che non fui completamente esposta dal sesso al collo.
“Prego Pamela, serviti a sazietà”
Pamela, una donna alta, capelli neri, lisci e lunghi fino alla schiena, un bel viso ma dai tratti duri, severi, le labbra sottili delineate da un rossetto intenso, scuro. Indossava un tailleur elegante con una camicia bianca candida allacciata quasi fino al collo, un seno prosperoso, spalle rigide, la vita che si stringeva poco per poi arrivare su fianchi secchi e su un culetto piccolo e muscoloso. La gonna fasciava le gambe fino sopra il ginocchio per poi lasciare alla vista polpacci ben torniti e scarpe nere aperte in punta e con un lungo tacco. Si aggirava davanti a me come uno squalo, faceva avanti e indietro nello specchio visivo che avevo attraverso le gambe tenute divaricate oscenamente.
“Ti chiami Tania giusto?”
“Si signora” La voce tremava sensibilmente.
“Tania, hai sentito qual’è il mio problema?”
“Si signora”
“Riesci a capire quanto sia frustrante per me dover vivere in questo modo Tania?”
“Si signora, mi spiace signora”
“Ti spiace??? Beh, se ti spiace potresti fare qualcosa per alleviare le mie pene Tania?”
“Si signora, tutto quello che vuole signora”
“Bene Tania, sono felice delle tue risposte e approfitterò della tua disponibilità ma devi sapere che la cosa che più mi ha fatto eccitare in vita mia è stata una ragazza come te che urlava disperata sotto i colpi di un frustino proprio come questo, hai capito Tania?”
Mentre diceva quella frase i suoi occhi sembrarono come luccicare, la sua espressione cambiare mentre parlava con me, mentre io, ad ogni istante, mi sentivo più come un animale pronto ad essere macellato. Deglutii e risposi con tono tremante:
“Si signora”
Lei sorrise e vidi il suo braccio allungarsi, vidi la punta piatta del frustino sorvolare il mio corpo a pochi millimetri dalla pelle per poi andarsi a posare fra i miei seni e li iniziare a ruotare piano, giri sempre più larghi, salendo su una coppa per poi ridiscendere e risalire sull’altra, sempre più larghi fino ad incontrare i capezzoli turgidi, passarvi sopra, schiacciarli e poi fermarsi:
“Non preoccuparti Tania, non dovrai fare nulla per accontentarmi, faro tutto io, userò il tuo corpo come è giusto che sia usato, tu sarai perfetta per il solo fatto di esistere, sarai perfetta nella semplicità del tuo ruolo di oggetto, non avrai responsabilità alcuna, rilassati e lascia che ti usi esattamente come è giusto che tu sia usata”
Quelle parole mi trafissero la mente, sarai perfetta per il solo fatto di esistere, non avrai responsabilità alcuna, mi avevano colpito anche se non ne afferravo in pieno il senso e non ebbi molto tempo per pensarci. Pamela iniziò a colpire con il frustino, lo alzava di pochi centimetri e lo riabbassava velocemente, dava quei piccoli colpi in modo molto veloce sfruttando l’elasticità del frustino, presi singolarmente non erano poi molto dolorosi ma il ripetersi serrato iniziò presto ad irritare la pelle sensibile del capezzolo su cu si abbatteva.
Iniziai a tendermi in tutto il corpo per resistere, cercavo di muovermi per sfuggire al veloce susseguirsi dei colpi sullo stesso punto ma le braccia erano legate strette e le gambe tenute saldamente quindi non facevo che contorcermi inutilmente per il piacere dei miei utilizzatori.
In breve il dolore divenne insopportabile, comincia a mugugnare:
“mmmmmhhh, mmmmhhhh, ahi, ahi, brucia, basta, mmmmhhhh, per favore signora, brucia” Sciafffff “ahhhhhhhhhhhhhhhhhh, ahh, ahh, ahhhhhhh” Come risposta alle mie supplice la signora aveva alzato il frustino sferrando un forte colpo al seno destro, lo strumento si era abbattuto non con la punta piatta ma con la parte dura e cilindrica colpendo il seno per lungo qualche centimetro sopra il capezzolo e lasciando una lunga riga rossa. Il dolore era stato fortissimo e l’urlo che avevo fatto lo dimostrava, ora singhiozzavo continuando a contorcermi per il dolore intenso che mi riempiva il seno, il desiderio di massaggiarlo, lenirlo ero forte ma le corde non mi lasciavano questa possibilità. Pamela, per fortuna, aveva fermato il suo colpirmi, mi guardava con il viso stravolto, visibilmente ebbra di eccitazione, un piatto sorriso sul volto mentre si sfilava il vestito. Aveva occhi solo per il mio corpo, guardava il seno su cui si era accanita, il capezzolo era rosso e gonfio e poco sopra vi era una lunga riga violacea, in breve rimase solo con l’intimo e si riavvicinò a me, frustino in mano. Feci un respiro profondo cercando di calmarmi, non avevo possibilità di scampo e volevo mantenere un po’ di contegno anche se il mio corpo non voleva smettere di tremare.
Lo strumento sorvolò il mio corpo di nuovo, questa volta andò diretto sopra il capezzolo sano, vi si appoggio delicato ma io sobbalzai comunque al contatto:
“Sei pronta per i desideri della tua padrona Tania?”
“Padrona, fa tanto male, la prego, padrona”
“Mi stai dicendo che non vuoi più aiutare la tua Signora Tania? Che il tuo dolore è più importante della ricerca di un orgasmo per me Tania?”
La disperazione mi avvolse completamente, non vi era scampo al mio ruolo ma quello che mi prese alla sprovvista fu che mentre mi veniva chiesta quella cosa mi trovai non solo a rispondere ma a credere a ciò che rispondevo:
“No padrona, mi scusi padrona, sono stata una stupida a pensare al mio dolore, farò quello che è giusto perché io serva a qualcosa, perché io le sia utile”
Pamela sorrise, prese a muovere la frusta lentamente, colpetti leggeri, lenti ma che aumentavano millimetricamente, presto ogni colpo diede vita ad uno schiocco sulla carne del capezzolo, presto la frusta ricominciò a piegarsi aumentando la velocità, il ritmo, presto la pelle bruciò e il dolore si fece intenso:
“mmmmhhhhhh, mi brucia padrona, ahi, ahi, fa tanto male, brucia, mmmmmhhhhh”
“vuoi che smetta Tania?”
“mmmmhhhhhh, no padrona, ahi, ahi, brucia tanto ma io non conto nulla, mmmmhhhhh”
Pamela aumentò ancora il ritmo, i colpi si fecero più forti, intensi, mi entravano dentro, il seno colpito mandava scariche al cervello mentre mi contorcevo:
“aaahhhhh, aaaahhhhh, non ce la faccio, pietà, pietà”
Continuò a farmi urlare come una pazza mentre continuava a colpire sempre lo stesso punto, sempre lo stesso capezzolo che sembrava andare a fuoco, non so quanto continuò mentre mi disperavo ma poi, improvvisa, sferro tre fendenti per seno, sempre con la parte rigida, mi fiacco il respiro per il dolore terribile, già il primo affondo mi fece impazzire ma quando arrivarono gli altri in rapida successione non riuscii più a respirare, stavo li, tesa come una corda, tremante, la bocca spalancata da cui colava saliva mentre cercavo di ricominciare a respirare inutilmente, pensavo sarei annegata nel dolore ma poi l’aria arrivò assieme alle lacrime e ai miei lamenti. Pamela mi lasciò il tempo di riprendermi un po’, mentre respiravo gemendo mi carezzava dolcemente i seni offesi, seguiva con le dita i lunghi solchi violacei che mi rigavano entrambe le mammelle, girava intorno ai capezzoli che sentivo pulsare e dopo un po’ si calò su di me con la bocca, ingoiò i capezzoli alternativamente massaggiandoli con la lingua con una delicatezza che non mi sarei mai aspettato da una donna così dura, continuò a lenire la mia sofferenza con la lingua per lunghi minuti fino a che il mio respiro non tornò normale, mi fece rilassare e il lungo massaggio alla fine mi eccitò terribilmente. Si staccò, si portò vicino alla mia testa che pendeva senza supporto, si sfilò gli slip che caddero a terra davanti ai miei occhi mettendo in mostra un sesso peloso, un folto triangolo di peli neri che terminavano sulle grandi labbra evidentemente gonfie.
“Tania, vuoi sapere che effetto hanno fatto le tue urla alla mia fica?”
Mi ero rilassata sotto le carezze di quella donna, la stessa che mi aveva inferto tanto dolore lo aveva poi lenito e nel farlo mi aveva piegata, mi sentivo sua, al suo servizio, non solo poteva fare quello che voleva di me ma desideravo che lo facesse, che mi usasse:
“Sono ai suoi ordini padrona, farò tutto quello che vuole padrona”
Vidi le sue gambe divaricarsi mentre si posizionava sopra la mia testa poi sentii una mano afferrarmi i capelli con fermezza per tirarmi verso l’alto, mi ritrovai a baciare il sesso della padrona perfettamente e senza neanche pensarci dischiusi le labbra per ospitarlo e con la lingua mi insinua al suo interno. Appena sfiorai le grandi labbra quelle si dischiusero riversandomi in bocca copiosi umori salati e acidi che ormai non riuscivano più a contenere. Li accettai felice e li laccai avidamente sentendomi orgogliosa di aver provocato quell’eccitazione.
“Senti Tania come sono bagnata? le tue urla, i tuoi lamenti mi hanno eccitata in modo incredibile ed ho bisogno di venire, di raggiungere l’orgasmo, di sfogarmi finalmente”
Al sentire quelle parole spinsi la testa in su per aderire al massimo al sesso della padrona e la leccai con tutto l’impegno che riuscivo, percorsi tutto il sesso, vi introdussi la lingua spingendola in profondità tanto quanto mi era possibile e le leccai il clitoride gonfio con tutta l’energia che avevo mentre Pamela mi tirava la testa per i capelli ruotando il bacino e allargando le gambe più che poteva, mentre mi carezzava i seni doloranti:
“mhhh Tania, sei brava, ti impegni, mi piace tanto quella tua lingua da cagna ma non arriva, come al solito non riesce ad esplodere, manca qualcosa”
Volevo che godesse, desideravo far godere la mia padrona e girando la testa da un lato per riuscire a parlare biascicai:
“mi frusti ancora padrona Pamela”
Lei si fermò e allentò la presa sui capelli in modo da staccarmi la bocca dal sesso e:
“che cosa hai detto Tania?”
Presi un profondo respiro: “vorrei che mi frustasse ancora per farla eccitare, se le mie grida possono servire vorrei che mi facesse urlare mentre si masturba con la mia bocca”
“ma Tania, in questa posizione mi resta scomodo frustarti il seno, come pretendi che raggiunga l’orgasmo se sto scomoda?”
Aveva fatto un passo indietro nel dire questa frase e ora mi guardava dritto negli occhi sorridendo, avevo capito chiaramente dove voleva arrivare e ne avevo una paura folle ma ancora di più desideravo darle piacere. Rilassai le gambe che si divaricarono ancora di più di come le tenevano il dottore e mio fratello che assistevano impassibili alla scena e poi:
“se il dottore e mio fratello potessero essere così gentili da tenermi bloccata in questa posizione e da tenermi allargata la fica lei potrebbe frustarmi proprio li in modo comodo, credo che mi farebbe molto male e che urlerei molto”
Pamela sorrise sadica e scambio uno sguardo con i due uomini che spostarono la mano che tenevano sulle mie cosce più in basso e poi divaricarono tirando forte, sentii le grandi labbra aprirsi seguite poi dalle piccole e l’aria fresca raggiungere l’interno del sesso madido. Mi afferrarono meglio per le caviglie in modo da tenermi ben ferma e Pamela rimise la mia testa ben attaccata alla sua fica grondante tirandomi sempre per i capelli. Io ripresi subito il mio lavoro di lingua impegnandomi al massimo, continuai anche quando sentii la parte piatta del frustino carezzare il mio sesso, il mio clitoride, cercai di pensare solo fica che avevo in bocca ma poi si sentì un sibilo e un forte schiocco, la frusta si abbatté proprio sul mio clitoride gonfio, tutto divenne bianco mentre un urlo disumano si soffocava nelle morbide carni del sesso della padrona, mi contorsi tutta ma mi tenevano ben stretta e non riuscii a muovermi gran che, tremavo e urlavo dibattendo la testa ottenendo solo di strofinare di più la fica della padrona, il dolore sembrava non voler finire mentre sentivo le gambe di Pamela stringersi ai lati del mio viso, mentre sentivo i suoi gemiti misti ai miei urli soffocati fino a che, lentamente, il dolore cominciò a scendere lasciandomi sfinita e inerme:
“devi leccare Tania, mi devi leccare o sarò costretta a frustarti la fica per tutto il giorno”
Un secondo affondo mi colpì in pieno, il dolore fu ancora più forte ma mentre mi sbattevo mi forzai a tenere fuori la lingua, a leccare disperatamente mentre umori misti a saliva mi colavano per tutto il viso.
“brava Tania, continua così”
Arrivò un terzo colpo che fu così intenso che mi convinsi che sarei impazzita, ero disperata, chiedevo pietà piangendo mentre leccavo come una furia, mi insinuavo nel sesso che stavo mangiando, spingevo la lingua talmente tanto da farmi male ma i colpi divennero quattro mentre tutto il corpo sembrava andare in pezzi, mentre le mie parole di supplica divenivano rantoli incomprensibile, mentre le mie urla divenivano lancinanti.
“oh si, oh si Tania, oh Tania ti sento urlare nella mia fica, ti sento soffrire nella mia fica, mi sta facendo impazzire, voglio farti male, voglio che il tuo dolore mi faccia godere”
Ormai ero completamente persa, il dolore partiva dal sesso ma aveva raggiunto tutto il corpo, tremavo tutta e l’unica cosa che riuscivo a fare era tenere la lingua ben fuori dalla bocca. I due uomini mi tenevano saldamente bloccata ed esposta mentre Pamela mi tirava e muoveva la testa sul suo sesso per masturbarsi e continuava a frustarmi la fica con ferocia alternando colpi secchi a colpi più leggeri ma molto più veloci e ravvicinati. Era vero che Pamela aveva problemi a raggiungere l’orgasmo, per quanto stesse provando un grande piacere nell’usarmi in quel modo ci volle un tempo infinito prima che esplodesse, mi frustò senza sosta tanto che alla fine non mi dibattevo neanche più, avevo il viso ricoperto completamente di saliva e di umori e mi sentivo bagnati anche i capelli poi, improvviso, arrivò finalmente il suo orgasmo, si accasciò sul mio corpo tremante mentre mi teneva la bocca ben salda alla fica pulsante. Con l’altra mano mi afferrò in pieno il sesso stringendolo con tutte le forze, avevo la passera completamente irritata e la sua presa fu terribile, mi sembrava che le dita mi entrassero dentro la carne mentre la padrona si contorceva su di me in un lungo orgasmo liberatorio e poi finì, Pamela si sollevò e mi lasciò mentre mi liberavano le gambe che caddero inermi e persi i sensi.
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CAPITOLO 8
Quando ripresi i sensi mi resi conto di essere sdraiata sul divano dello studio del dottore, una morbida coperta mi copriva e avevo la testa appoggiata sulle gambe di mio fratello. I nostri occhi si incontrarono, c’era apprensione nei suoi:
“stai bene Tania, hai fatto una cosa incredibile, sono orgoglioso di te”
Rimasi stupita del suo sguardo, mio fratello non mi aveva mai guardata così, c’era un misto di preoccupazione, stima e eccitazione che mi fecero sentire lusingata:
“finché non mi muovo sto bene ma spero che sia finita per oggi, non riuscirei più a sopportare neanche una carezza e credo che avrò bisogno di una mano per tornare a casa”
Mi distrassi un attimo e mi resi conto che sulla porta il dottore e Pamela si stavano salutando, guardai quella donna sparire e mi stupii a provare ansia, mi stupii nel rendermi conto di sperare di rivederla:
“non preoccuparti sorellina, ho già parlato con il dottore, avrai un periodo di riposo per riprenderti e io mi prenderò cura di te, ci ha chiesto di aspettare qualche minuto prima di tornare a casa, deve parlarci”
Chiusi gli occhi e mi lascia andare alle dolci carezze di mio fratello, ero sfinita. Dopo poco il dottore fu da noi, si sedette su una poltrona, piantò i suoi scuri occhi profondi nei miei sorridendo:
“cara Tania, sono contento del tuo comportamento di oggi, certo, sei ancora inesperta e devi imparare tante cose ma il tuo impegni mi fa credere di aver fatto un buon investimento con te, l’esperienza di oggi è stata molto dolorosa, ti dico subito che queste sono cose che possono succedere ma che il dolore sarà solo una parte marginale del tuo compito, come ti dicevo non amo infliggerlo ma in certe situazioni non è evitabile. Ti dico questo perché tra poco te ne andrai, ti concedo una settimana di riposo per riprenderti dalla sessione di oggi e ti anticipo il compito che ti verrà affidato fra sette giorni. Devi sapere che io possiedo una villa fuori città dove tengo una scuderia di cavalli di razza. Fra una settimana sarà necessario prelevare lo sperma dei maschi per degli accoppiamenti, di norma se ne occupa uno specialista ma trovo giusto, visto il nostro patto, che sia tu ad occupartene. Ti spiegherò poi meglio il tuo compito quando saremo sul posto. Un’auto ti passerà a prendere alle nove di mattina, fatti trovare pronta e puntuale. Detto questo ti puoi congedare, curati e riprenditi, mi servirai in forma”
Sapevo che questo momento sarebbe arrivato ma il fatto che mancassero solo sette giorni mi lasciò allibita. Il dottore uscì dallo studio, ci vennero portati i miei abiti e mio fratello si occupò di vestirmi con una cura e una delicatezza che non gli avevo mai visto. Giunta a casa mi rinchiusi in camera mia, volevo stare sola, non riuscivo ad accettare il mio destino. Passai le ore distesa immobile nel letto, a fatica mi ero denudata, non riuscivo a sopportare il bruciore che il pigiama mi dava sul corpo irritato dalle frustate e ogni movimento rischiava di darmi fitte allucinanti. Sul bianco soffitto della stanza si dipinsero le scene che si formavano nella mia mente, anche con la fantasia mi era difficile immaginare quello che mi attendeva, presto il mio corpo sarebbe stato concesso a dei cavalli, le lacrime scendevano piano sulle guance mentre, lentamente, le fatiche della giornata avevano la meglio su di me consegnandomi a Morfeo.
Ero distrutta, come in un sogno sentii mani morbide massaggiarmi il corpo, una sensazione di unto, fresco a lenire la dove la pelle era più infiammata, dita affusolate mi parvero percorrere i capezzoli in ampi cerchi mentre le punte si facevano turgide, gemetti mentre la sensazione si impadroniva del mio sesso, lo ricopriva, dischiudeva, penetrava. Nella penombra della stanza, nella penombra della mente mi sembrò di intravedere un sorriso ma il sonno ero troppo e le energie ormai esaurite. Al risveglio la sensazione di quello che avevo vissuto nella notte era ancora presente in me ma troppo offuscata per capire se si fosse trattato solo di un sogno. Mio fratello si prese cura di me, mi portava da mangiare, mi aiutava nel muovermi e mi curava la pelle offesa dal frustino. Quel giorno mi godetti le sue cure, rimasi sempre completamente nuda, i vestiti mi infiammavano la pelle troppo delicata, la cosa aveva un effetto evidente sul fratellone come dimostrava il grosso bozzo nei pantaloni. Mentre mi massaggiava una pomata lenitiva sul corpo le sue mani si fecero sempre più avide di minuto in minuto e incomincia a temere che presto si sarebbe preso quello che desiderava. L’idea mi terrorizzava, infiammata com’ero sarebbe stato terribile farlo sfogare ma devo ammettere che lo avrei fatto volentieri, volevo ripagarlo per le cure amorevoli e farlo facendogli usare il mio corpo iniziava a venirmi spontaneo. Il suo massaggio durò a lungo, io rimasi immobile, quasi tesa ma alla fine non successe nulla, mi diede un bacio sulla fronte e se ne andò a dormire in camera sua.
Quella prima giornata fu strana, mi stavo abituando alla mia situazione e ricevere attenzioni, cure, invece di essere semplicemente presa e usata era stato rinfrancante, nella mia vita c’era sempre stato qualcuno a prendersi cura di me, gentilmente, con amore, fino a poco tempo fa davo questa cosa per scontata, non la apprezzavo a pieno ma ora che ero diventata un oggetto al servizio di altri, avere attenzioni solo per me aveva il valore di un prezioso tesoro.
Questo è quello che mi ritrovai a pensare mentre il sesso rigido di mio fratello mi penetrava la gola, un solo giorno era durato il suo prendersi cura di me in modo altruistico, già dal secondo aveva iniziato a curare i miei lividi mentre fotteva la mia bocca a suo piacimento.
Era entrato mentre ancora dormivo, con delicatezza mi aveva spostata sul materasso, ero ancora stanca per l’avventura vissuta con Pamela e non mi destai, mi fece scivolare fino a far sporgere la testa dal materasso lasciandola cadere all’indietro, la bocca mi si aprì spontaneamente e lui introdusse il suo arnese in profondità mentre con le mani iniziava a massaggiarmi con gli unguenti lenitivi. La sua ingombrante presenza mi destò in fretta, l’insieme di sensazioni dato dalle mani che mi carezzavano nei posti più sensibili e dalla verga che mi scavava fino all’ugola mi lasciò frastornata, non riuscivo a capire dove fossi e cosa stesse succedendo poi la sua voce mi riportò alla realtà:
“Buongiorno sorellina, questa mattina vado un po’ di fretta, fra una mezz’ora devo essere fuori casa, tu continua pure a riposare, penso io a te”
Il lento andirivieni del suo pene fra le mie labbra dava un senso preciso di cosa intendesse dicendo che avrebbe pensato lui a me ma le sue mani dolci erano piacevoli sul corpo e visto che la mia vita era ormai votata a soddisfare i miei padroni mi trovai a pensare che mio fratello fosse uno di quelli a cui mi dedicavo più volentieri. Richiusi gli occhi, serrai le labbra attorno alla sua asta, poggiai la lingua con forza in modo che strofinasse bene mentre lui scivolava in me e provai a rilassarmi ma venni subito ripresa.
“no, no, Tania, ti ho detto di continuare a rilassarti, non voglio che fai nulla con quella bocca affamata di cazzi, sei proprio viziosa, non si riesce ad accontentarti. Voglio che tu stia ferma con la bocca ben aperta, più spalancata che puoi e attenta ai denti”
Spiazzata allentai la presa delle labbra e divaricai la bocca al massimo lasciandogli spazio, lui continuò il suo lento massaggio in sincrono con l’entrare e l’uscire da me. Mi massaggiò accuratamente i seni mentre una buona metà del suo cazzo mi scivolava nella bocca aperta oscenamente. Con le dita ben unte si prese cura dei miei capezzoli, ci girò attorno, li fece inturgidire per poi pizzicarli delicatamente e tirarli verso l’alto, erano ancora molto sensibili per le frustate che avevano ricevuto e a lui ci volle poco per imprimere la giusta pressione per portarmi al limite fra piacere e dolore, li tirò verso l’alto con cautela lasciando che lo seguissi inarcando la schiena per evitare che la tensione divenisse dolorosa e smettendo solo ai primi gemiti emessi dalla mia bocca ingombra. Massaggiò le mammelle con scrupolo coprendo ogni parte in cui il frustino aveva lasciato i segni e poi iniziò a scendere verso il basso, verso il mio sesso che sentivo pulsare, mi sentivo fradicia, le sue mani, il suo uccello, avevo una gran voglia ma non osai dire una parola e restai li distesa, impalata in gola a sperare, anelare che le sue mani virili giungessero alla mia fica, che la aprissero, che la massaggiassero e penetrassero. Non me ne resi neanche conto ma mentre le mani scendevano avanzando in me anche l’uccello mi veniva spinto più in profondità avanzando nella mia bocca. Quando le mani raggiunsero il ventre, la cappella raggiunse il fondo della gola, si appoggiò tappandomi, l’aria smise di affluire ai polmoni mentre conati di vomito sopraggiunsero per l’ingombro inaspettato. Lui si fermò, smise di scendere sulle mie carni, le mani si allargarono fino a cingermi i fianchi, si ancorò bene e poi ritrasse un po’ il bacino, l’aria tornò rumorosa in me, quello che stava succedendo mi spaventava ed eccitava allo stesso tempo, ero rigida come una corda, la mascella mi faceva male tanto la tenevo tesa ed aperta, le sue mani quasi non le sentivo un po’ come la sua voce che mi parlava del più e del meno, della sua vita, del lavoro e degli amici. Come se non stesse accadendo nulla di particolare spinse con forza, un nuovo affondo trovò e tappò la parte profonda della mia gola, lui continuava a parlare di inezie come nulla fosse e continuava a spingere, avrei voluto vomitare ma non potevo, spingeva forte facendosi strada la dove strada non ve ne era più, rumori di tosse e strangoloni uscivano attutiti da me, le sue mani mi impedivano di fuggire mentre sobbalzavo per i conati, lentamente, molto lentamente, sentii il suo pene scendere, ancora un po’, ancora più in fondo, facendosi spazio mentre l’ossigeno stava diventando una necessità impellente, troppo impellente, lacrime mi colavano sul viso, avevo la lingua fuori a cercare di fare spazio per lui dentro, scendeva millimetrico, mi dibattevo inutilmente in cerca di un respiro ma si era ancorato bene e spingeva, spingeva forte per allargarmi, nel soffocarmi, rantolavo, rumori strani uscivano dalla mia gola ostruita, guidati dal desiderio, dalla disperazione fino a che non sentii le sue mani scendere un po’ più giù, fino a lambire i miei glutei morbidi e, finalmente, si ritrasse lasciandomi respirare. Tossivo, saliva mi usciva a fiotti dai lati della bocca colandomi sugli occhi, sui capelli, era indietreggiato ma non tanto da uscire dalle mie labbra che ero costretta a tenere spalancate, sempre spalancate ma almeno respiravo. Una pacca mi raggiunse su una coscia:
“dai sorellina, ti ho detto che ho fretta questa mattina, la tua bocca è un casino, non sei affatto ospitale, sto facendo una gran fatica a farmi spazio, non è carino da parte tua, forza, almeno qualche altro centimetro, devo arrivare alla tua fichetta per spalmare la crema lenitiva e non ci riesco se non mi fai entrare un po’ di più, lavoreremo poi sull’infilartelo in gola fino all’ultimo centimetro, ci dovremo lavorare tutta la settimana, pensa se lo avesse voluto fare il nostro caro Dottore, che figuraccia, magari gli vomitavi pure addosso ma non preoccuparti, so che ti impegnerai, per quando arriverà il giorno dei cavalli sono sicuro che la tua gola sarà diventata bella accogliente”
I cavalli, mi ero scordata dei cavalli, fu come un cazzotto allo stomaco seguito dal suo uccello che ripiombava in me con ancora più forza di prima, diceva il vero, non aveva tempo, mi si piantò in profondità e cominciò a dare forti spinte per forzarmi, nemmeno un filo d’aria mi era concesso, mi agitavo involontariamente ma non avevo speranza di sfuggire alla sua forte presa, sembravo un pesce che si dibatte spasmodicamente cercando di riguadagnare l’oceano, disperata lo sentii avanzare in me millimetro dopo millimetro mentre attendevo di svenire per il soffocamento, sentivo la mia gola gonfiarsi come quella di un rospo al passaggio della sua cappella e poi le sue mani si spostarono, raggiunsero il mio sesso, lo afferrarono come appiglio per un ultimo, straziante, affondo. Mi sembrò di ingoiare la sua cappella, come se l’ultima spinta me la avesse fatta deglutire instradandola verso lo stomaco e poi si ritrasse, solo un attimo ma abbastanza da far passare un lungo, rumoroso, respiro di sollievo. Iniziò il suo massaggio lenitivo al mio sesso mentre, ritmicamente, affondava con forza qualche secondo e poi mi stappava, ogni volta era come se il suo sesso sfondasse l’ostacolo della mia gola, lo violasse e poi si ritraesse, la quantità di saliva che mi usciva dalla bocca aumentava, mi sentivo il viso come coperto da una maschera mentre lui:
“ma senti qui, sei fradicia, hai la fica tutta aperta, mi risucchia le dita, sei proprio una porcellina, se non sto attento mi entra tutta la mano, hai voglia ehhh? Mi spiace ma non posso scoparti, almeno qualche altro giorno, devi prima guarire bene e poi porta pazienza, vedrai che sarai ben ripagata, sono sicuro che gli stalloni del Dottore ti scoperanno fino allo sfinimento, non vedi l’ora di prendere quei cazzi enormi e maleodoranti vero?”
Continuava il suo massaggio mentre le parole mi frustavano la mente, mentre le mani mi infuocavano il sesso:
“ok, direi che ti ho massaggiata abbastanza, un minuto che mi scarico e poi fuggo, chiudi bene le labbra ora e appoggia la lingua Tania, dai, dai, ho fretta”
Vinta esegui, sentii la sua carne calda e pulsante scivolare a contatto con le mie labbra, con la lingua ruvida, non ne potevo più e succhiai come una disperata per far finire quella tortura e infatti, in breve, finì. Accompagnato dai suoi rantoli di piacere per l’essere piantato in profondità come non mai, mi schizzo il suo seme direttamente nello stomaco, lunghi schizzi mi colpivano le pareti della gola per poi scivolare lentie dentro di me, eiaculò a lungo prima di liberarmi, tanto a lungo che credetti di soffocare per la seconda volta fino a che non si staccò lasciando, finalmente, libera la mia bocca. Improvviso un conato di vomito mi costrinse a girarmi per riversare tutto a terra, lui, intanto, si ricomponeva in fratta fra i miei colpi di tosse poi si abbassò verso di me per baciarmi e fu come se mi vedesse per la prima volta.
“ma che hai combinato Tania? sei piena di saliva e vomito, fai schifo lo sai? Dai vatti a lavare che io devo scappare, questa sera lo rifacciamo ma cerca di comportarti meglio, non saranno tutti pazienti come me, lo sai”
Mi diede un bacio su una spalla nuda e scappò via lasciandomi distrutta.
In effetti le sue cure amorose ebbero il loro effetto, il mio corpo guarì completamente già dal giorno successivo, mio fratello aveva preso il compito di curarmi sul serio e ci si era impegnato molto almeno quanto si impegnava a spanarmi la gola con il cazzo, tutti i giorni mi scopava in bocca più volte, come minimo due, la mattina appena sveglia e la sera prima di addormentarmi, mi diceva che il suo sperma era un’ottima colazione per me e che mi avrebbe fatto dormire meglio la notte. Se poteva però, mi nutriva con la sua asta turgida anche fino a cinque volte al giorno e in ogni sessione non perdeva occasione per guadagnare centimetri di profondità nella mia gola, in questo, devo ammetterlo, era molto fantasioso. Il mio fratellino aveva la passione della lettura, innumerevoli i tomi che aveva sviscerato parola per parola, quando la vita glielo permetteva passava ore a leggere e io divenni la sua compagna in questo passatempo. Inizialmente si organizzò in modo tale da farmi accomodare sotto il tavolo dove era solito leggere, nella sua stanza, nuda, ovviamente, sul freddo pavimento. Si era procurato delle mollette di metallo con dei denti arrotondati e una vite che permetteva di serrarle con forza, me le aveva applicate ai capezzoli stringendo fino a farmi contorcere per il dolore. Alle mollette aveva attaccato due sottili corde che aveva poi fatto passare attraverso i braccioli della sua sedia per fissarle alle gambe del tavolo in modo che i capezzoli fossero ben tesi e che io non potessi indietreggiare neanche di un millimetro. A questo punto si era accomodato, nudo dalla cinta in giù e mi aveva fatto imboccare il suo sesso fino alla profondità massima a cui ero riuscita ad arrivare. Ad ogni sessione segnava con una penna il suo membro subito fuori dalle mie labbra in modo da poter controllare i miei progressi.
Alla fine della preparazione mi trovavo in ginocchio sotto il tavolo, la testa inclinata sopra il suo inguine, ben incastrata dalle corde che mi tiravano i capezzoli tanto che credevo mi si sarebbero strappati, il suo cazzo ben bloccato in bocca e incapace di indietreggiare. Lui si metteva a leggere tranquillo, ad alta voce, diceva di essere felice di poter leggere per me e di condividere quel suo hobby ma mentre leggeva appoggiava i piedi sopra le mie cosce e si spingeva indietro dondolando sulle gambe posteriori della sedia, quel movimento tirava le corde e di conseguenza i miei capezzoli costringendomi ad avvicinarmi a lui e al suo sesso perché non mi si strappassero dai seni ma il prezzo da pagare per allentare la tensione delle mollette era di far scivolare ancora un pezzo del suo cazzo nella gola. Quando iniziammo c’erano ancora almeno dieci centimetri del suo sesso fuori dalla mia bocca ed ero sicura che mai e poi mai sarei riuscita a farli entrare tutti ma mio fratello era di un’altra opinione. Accompagnata dalle sue morbide parole che leggevano frasi per me senza senso, ad ogni dondolio, con un dolore straziante ai seni, sentivo la sua grossa e calda cappella forzare il fondo della mia gola tanto da costringermi e spingere la lingua fuori dalla bocca, mi sentivo allargata come nel tentavo di ingoiare un boccone troppo grosso, veramente troppo grosso. Con suoni assurdi esprimevo il mio sentirmi tappata e poi stappata di continuo, come una bottiglia sotto pressione, ad ogni affondo, con perizia, qualche millimetro in più mi veniva fatto ingoiare a forza tra il soffocamento e i conati di vomito. Perché mi adattassi, il fratellino, si attardava in profondità in me togliendomi il diritto al respiro, anche questo parte dell’allenamento, a suo dire, non poteva pretendere che imparassi a non respirare per far meglio i bocchini ma era il minimo aspettarsi che imparassi a trattenere il respiro il più a lungo possibile per il piacere dei cazzi che avrei succhiato nella mia vita. Il suo lento leggere aveva come sottofondo il rumore del mio tossire, del mio deglutire inutilmente la sua cappella con parte del suo cazzo e il gocciolare della saliva che mi impiastrava la faccia. Questa pratica non durava mai meno di due ore tanto che la mascella arrivava a diventare insensibile ma solo dopo avermi fatto provare dolori allucinanti almeno quanto quelli che mi regalavano i seni stirati e deformati dalla tensione delle corde. Alla fine, quando era ormai stanco di leggere, scusandosi con me per dover interrompere gli allenamenti mi faceva uscire con delicatezza da sotto il tavolo ma solo dopo aver segnato la lunghezza massima che avevo ingoiato, mi faceva sedere ai piedi del letto in modo che la testa mi fosse bloccata dal materasso e mi penetrava di nuovo fino al mio limite massimo ma in modo veloce e prepotente. Sentivo il suo arnese entrare, raggiungere il fondo, rallentare non tanto per sua volontà ma per la resistenza prodotta dalla gola che comunque cedeva, si allargava lasciandolo entrare e sprofondare. L’unico vantaggio di questa pratica era che tra un affondo e l’altro ero divenuta brava nel prendere il respiro e quindi non rischiavo di soffocare. Per un buon quarto d’ora il mio “gh, gh, gh, gh, gh”’ ad ogni suo affondo era l’unico rumore che si sentiva nel silenzio della stanza, almeno fino al comparire dei suoi rantoli e alla nuova dose di sperma somministratami. Da brava, poi, pulivo il suo sesso fino a lucidarlo ben bene, ringraziavo e me ne tornavo alla mia vita. La mia vita, si, in effetti era vero, a parte il continuo lavoro di bocca il resto era tornato normale e in casa c’era un clima sereno, avevo solo notato, non so, come una sensazione quando eravamo tutti assieme ma non ci diedi peso.
Mancavano solo due giorni all’appuntamento con i cavalli del dottore e mancavano ancora cinque centimetri del cazzo di mio fratello da farmi ingoiare così lui decise di cambiare metodo, un po’ perché non voleva rovinare il mio seno e un po’ perché aveva deciso che era troppo tempo che i miei orifizi non venivano usati. Il ragazzo non era mai mancato di inventiva e aveva studiato un metodo particolare per continuare il mio allenamento. Aveva approntato una specie di basamento su cui erano montati due utensili tipo trapano che finivano con dei grossi dildi in gomma, il diametro non era esagerato, non raggiungeva i cinque centimetri mentre la lunghezza era sproporzionata, a occhio li avrei misurati in mezzo metro. Fui fatta posizionare sotto il tavolo, a quattro zampe, con cura e con calma il fratellino mi penetrò la fica e l’ano con quegli strumenti, la dilatazione improvvisa non fu piacevole ma avevo provato di peggio, piano piano fece scivolare quei due arnesi fino a trovare il fondo dei miei orifizi e poi li calibrò. Alla fine di un lungo lavoro mi trovai, una volta accesi gli utensili, con il dildo nella vagina che mi stantuffava uscendo per trenta centimetri e poi rientrando fino a spingere sul mio utero alla velocità di una scopata virile mentre il fallo nel culo, sempre piantato al massimo delle sue possibilità, ruotava lento in senso rotatorio, proprio come un trapano, rimescolando i miei intestini. Una volta soddisfatto del lavoro si sedette presentando il suo cazzo alla mia bocca e sistemandosi in modo tale da farmelo ingoiare fino al mio massimo poi lo vidi, con la coda dell’occhio, appoggiare il piede su un pedale che azionò un meccanismo che spingeva gli utensili verso di me e di conseguenza che spingeva i due falli ancora più dentro costringendomi ad avanzare e ad ingoiare il suo sesso sempre più. La sua lettura riprese mentre, scopata come non lo ero mai stata, mi costringevo ad ingoiarlo sempre più per paura di essere sfondata da quel suo arnese malefico. Con il lento trascorrere dei minuti gli affondi nella mia fica si moltiplicavano, il trattamento, come al solito, mi stava facendo colare come una cagna ma avevo una paura folle che i violenti affondi della macchina mi sfondassero se non facevo attenzione ad ingoiare sempre più carne così, un millimetro alla volta, mentre le mie labbra si muovevano come un lento bruco nel tentativo di penetrarmi la gola, avanzai sempre più verso la meta del suo pube peloso. Il peggio era però il fallo che mi ruotava nel culo, in breve la lubrificazione iniziale che mi aveva fatto divenne insufficiente, sentivo il mio buchino aderire sempre di più al cazzo che ruotava in me inculandomi, la pelle si faceva sempre più calda fino alle profondità del mio intestino e bruciava sempre più. Era passata solo un’ora, lui leggeva tranquillo, io ingoiavo disperata ma non c’era spazio e non riuscivo a raggiungere la fine, gli arnesi mi torturavano gli orifizi e indifesa cominciai a mugolare per il dolore che diveniva ogni secondo più insopportabile, passarono altri cinque minuti in cui mi convinsi che o la gola o il mio ventre si sarebbero sfondati, mi contorcevo e frignavo sempre più poi mio fratello si tolse di botto e infastidito:
“Tania, io sono contento di condividere le mie letture con te ma non è proprio possibile farlo mentre frigni continuamente, volevo essere delicato con te mentre ti insegnavo ad ingoiare cazzi ma sembra che la delicatezza non ti si addica quindi credo che dovremo impiegare le maniere dure in modo che poi io possa avere un minimo di tempo libero per me, ti voglio bene ma non posso dedicarti ogni secondo della vita, dai, mettiti in posizione vicino al letto”
Sgomenta avanzai piano fino a stapparmi dalle due macchine che continuavano a scoparmi e incularmi imperterrite, solo una volta stappata lui le spense. I buchi mi bruciavano terribilmente ma raggiunsi la mia posizione e mi misi con la testa ben appoggiata come piaceva a lui, impossibilitata di indietreggiare, lui si avvicinò:
“tieni la bocca ben aperta, più che puoi, è ora di finirla, adesso te lo sbatto in gola fino in fondo così poi posso dedicarmi un po’ a me”
Mi affondò dentro con vigore e iniziò a stantuffare con violenza, io tossivo disperata e sbavavo come una cagna mentre impassibile mi scavava, ci vollero almeno una cinquantina di affondi decisi ma alla fine, con un suo sospiro di soddisfazione, sentii il mio naso affondare nei peli del suo pube, mi teneva per la testa e sotto il mento mentre spingeva forte in modo che ogni millimetro mi fosse dentro, avevo provato ad allungare le labbra verso l’esterno per facilitarmi il compito ma la sua forza mi sovrastava e mi schiacciò la faccia contro il suo ventre, con rabbia, per un lungo minuto, non pensavo di riuscire trattenere il fiato così a lungo ma mi sbagliavo, resistetti e così mi potei sorbire la lunga scopata che inflisse alla mia gola uscendo fino a lasciar dentro solo la cappella e poi risprofondando fino all’ultimo centimetro, iniziò con un ritmo lento, salì piano, estenuante, non avevo più forze ma lui continuò imperterrito fino ad arrivare a sbattermi talmente forte che il naso mi faceva male quando incontrava il suo ventre e poi schizzo, mi riempì con il suo seme e solo allora mi resi conto che per quanto mi avesse fatto bere il suo sperma di continuo per tutta la settimana era sempre venuto così in profondità in me che non avevo la minima idea di che sapore avesse. Fui cacciata in malo modo e, finalmente, andai a riposare, sfinita, dolorante ma felice di aver raggiunto quell’obbiettivo. L’ultimo giorno mi fu concesso di riposare tutta la mattina ma dovetti passare il pomeriggio a spompinare mio fratello, lui leggeva tranquillo sdraiato sul letto mentre a me era stato ordinato di ingoiarlo fino alla fine per poi estrarlo fino alla cappella in modo da abituarmi e da non mandare sprecato il lavoro del giorno prima, mi posizionai sopra di lui, come volessi fare un sessantanove ma senza salirgli sopra e inizia il mio lungo lavoro. I primi affondi non furono facili ma non ci impiegai molto a raggiungere l’obbiettivo, quando mio fratello sentì le mie labbra alla base della sua asta si distolse un attimo dalla lettura, lo vidi sorridere e accarezzarmi il culo nudo con affetto, sorrisi anch’io e misi più energia nel mio compito. Per quattro ore non feci che ingoiare e stapparmi mentre lui leggeva, aveva l’abitudine di prendere appunti con penne a evidenziatori ma ogni volta che li appoggiava nel letto faceva poi fatica a ritrovarli così, avendo i miei buchi a portata di mano, iniziò ad usarli come porta penne. Io ingoiavo il suo sesso mentre lui mi rigirava distrattamente vari oggetti nella fica e nel culo, devo dire che la cosa mi faceva anche un certo effetto. Per quanto mi fosse stato ordinato di eseguire i miei ingoi lentamente ogni tanto schizzi di sperma mi venivano somministrati, ero stata avvisata che poteva succedere e in quel caso ero attenta nel bere tutto senza sporcare per poi continuare con il mio lavoro mentre il pene mi si ammorbidiva in bocca per poi tornare rigido a sfondarmi la gola fino all’eiaculazione successiva. Nelle quattro ore ricevetti tre dosi direttamente nello stomaco mentre i miei buchi venivano rimestati tanto che quando mi venne detto che potevo smettere provai a chiedergli se gli andava di scoparmi o incularmi fino a farmi venire perché era tutta la settimana che non raggiungevo l’orgasmo. Lui sorrise amorevole:
“Tania, che puttanella che sei, se fosse per me ti accontenterei ma devi capire che il tuo piacere non è importante, non conta nulla, tu sei un oggetto e non devi avere desideri, se raggiungi l’orgasmo è solo una conseguenza che con il tempo dovremo insegnarti a controllare e poi vedrai, domani, i cavalli del dottore, ti faranno venire a volontà, ne sono certo”
Con quest’ultima frase in testa mi addormentai, la mattina dopo sarebbe arrivata la macchina del dottore.
Puntuale, coperta solo da un soprabito e nuda sotto come richiesto uscii dalla porta di casa, la macchina mi stava attendendo ma rimasi sbalordita quando vidi mio padre parlare con l’autista poi si staccò dal finestrino e prese la via di casa venendo verso di me sorridente, mi arrivò davanti, io ero rimasta a bocca aperta e lui ne approfittò per baciarmi appassionatamente e per far scivolare la lingua dentro la mia bocca, stavo pomiciando con mio padre mentre sentivo due sue dita schivare il soprabito e trovare, esperte, il mio sesso che improvvisamente grondava. Dopo lunghi secondi si stacco da me e annusando le dita grondanti dei miei umori disse:
“vai Tania, tuo fratello Matteo ti aspetta in macchina, so che mi renderai orgoglioso di te”
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E’ PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN’OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 9
Il viaggio durò meno di un’ora, Matteo era seduto davanti con l’autista mentre io ero sola nel retro della limousine con il dottore che dopo avermi chiesto di spogliarmi e accomodarmi non mi aveva più degnata di alcuna attenzione sempre preso in conversazioni telefoniche di affari. All’inizio cercavo di seguire quello che diceva al telefono anche se poco ne capivo ma in breve la mia mente cominciò a vagare su quello a cui stavo andando incontro ma, soprattutto, sul bacio appassionato di mio padre, vi era poco da ragionare comunque, anche mio padre era al corrente del contratto con il dottore e mi aveva addirittura detto di essere orgoglioso di me. Questa situazione mi faceva sentire umiliata più che mai, ero la sua bambina dolce, ai suoi occhi casta e pura ed ora mi ero trasformata in una donna oggetto che come unico scopo nella vita aveva quello di soddisfare cazzi e perversioni altrui. Come sarebbe stato il nostro rapporto una volta tornata a casa?
La macchina imbocco un lungo viale e un pesante cancello si chiuse alle nostre spalle, ci fermammo in uno spiazzo e scendemmo. Ad attenderci c’era tutto il personale della villa, almeno trenta persone a cui io mi presentai nuda come un verme senza che nessuno di loro facesse il minimo cenno di sorpresa, dovevo essere proprio una cosa scontata. Un uomo in abiti da lavoro, aspetto rude, si avvicinò al dottore:
“Signore, è tutto pronto come ha richiesto, quando vuole possiamo cominciare”
“bene Mauro, iniziamo pure” si voltò verso di me: “cara Tania, lui è Mauro, è il responsabile della mia scuderia, seguirai le sue istruzioni oggi, ti accompagnerà nel tuo compito. E’ un uomo molto educato e gentile ma ha delle tendenze un po’ sadiche, mi aspetto che lo accontenti in tutto”
Mentre il dottore e Matteo si allontanavano Mauro mi prese, delicatamente, per un braccio incominciando a guidarmi, ero terrorizzata, ora che il mio destino si avvicinava la paura prendeva il sopravvento, mi stavo irrigidendo sempre più ma poi le parole di Mauro:
“Tania, mi pare sia questo il tuo nome, ti vedo molto tesa e impaurita ma vorrei che ti rendessi conto che non c’è rimedio al tuo destino, oggi tu sarai al mio servizio e al servizio della scuderia, se hai paura dei cavalli posso rassicurarti che non permetterò che ti accada nulla di male, ho il controllo completo su quegli animali e vedrai che saranno estremamente docili mentre tu espleterai i tuoi compiti, se poi sarai accondiscendente ti prometto che farò in modo che tutto quello che ti accadrà oggi accada nel modo meno traumatico possibile.
D’altro canto però, se non ti rilasserai e non sarai collaborativa ti assicuro che non sarà un problema per me trovare il modo di renderti più docile, proprio come i miei cavalli, hai capito Tania?”
La sua voce era rude proprio come il suo aspetto ma il tono era mellifluo, non mi aveva guardato negli occhi neanche per un istante ma il suo sorriso esprimeva bene ciò che intendeva. Quell’uomo mi trasmetteva un senso di autorità e non so perché mi trovai a pensare che le sue parole fossero semplice verità quindi feci un respiro profondo e mi abbandonai a lui, il cuore decelerò e mi sentii meno stordita:
“si signore Mauro, spero solo che mi guiderà perché non so quale sia il mio ruolo”
Lui sorrise e non mi rispose mentre ci avvicinavamo alle stalle, in lontananza molteplici nitriti.
In uno spiazzo all’aperto era stata sistemata una vasca stile antico, di quelle con le gambe, Mauro mi ci condusse e mi ci fece entrare dentro, in piedi per poi dirmi di aspettare. A breve distanza, sotto uno splendido gazebo, comodi in divani di pelle bianca riconobbi il dottore, mio fratello e al suo fianco Pamela. Vederla mi fece uno strano effetto che non so descrivere ma che sono certa fosse l’esatto opposto dell’effetto che mi fece vedere sul divano il padrone del negozio di vestiti in cui mi aveva portato la moglie del dottore, l’uomo che mi aveva sodomizzato senza riguardo. Al suo fianco la moglie del dottore, i tre uomini e la donna che avevano usato il mio corpo dopo una cena e almeno altre cinque persone che non avevo mai visto. Praticamente c’erano tutti quelli che mi avevano usata da quando ero divenuta un oggetto più altre persone, un nutrito pubblico ad assistere alla mia esperienza animal. Il mio sguardo venne catturato da Mauro, stava tornando verso di me e con lui portava uno stupendo purosangue nero e marrone, enorme, pelo lungo alla base delle zampe come pesanti stivali. La schiena dell’animale era alta almeno quanto me, fiero, elegante nel suo lucido pelo percorreva a passo sicuro la distanza che lo separava da me, la donna che gli era offerta in sacrificio. Mauro lo fece fermare davanti a me, perpendicolare alla vasca, la stupenda creatura si mise subito a brucare distrattamente mentre io non riuscivo ad alzare lo sguardo, Mauro mi si avvicinò:
“bene Tania, possiamo cominciare, il tuo compito è quello di usare la bocca per far venire i vari cavalli che ti porterò, succhiali con vigore o ci impiegheremo giorni a farteli assaggiare tutti e non farti problema e bere il loro sperma, vedrai, ne avrai a sazietà, quello che colerà dalla tua bocca finirà nella vasca e sarà più che sufficiente per i nostri scopi, non credo che servano altre spiegazioni, inizia pure, gli ospiti stanno attendendo”
Un istante, un istante lungo un’eternità mentre tutto quello che avevo intorno spariva, mentre rimanevo solo io, spaventata, schifata, bloccata ma avevo avuto una settimana per pensarci, pensiero fisso in ogni momento di ogni giorno, una settimana per prepararmi, una settimana per rendermi conto che quello che voleva Tania non contava più nulla, che Tania non contava più nulla, la mia strada era segnata, avevo fatto una scelta e non me ne pentivo, io ero, sono, la schiava del mio padrone e quello che lui vuole da ma è l’unica cosa che conta, è l’unica cosa giusta. Sorrisi appena mentre quel pensiero mi attraversava la mente, come cambiano le persone se viene mostrata l’ora una via che non sapevano esistesse. Mi girai verso il cavallo, percorsi con lo sguardo l’immenso corpo muscoloso e poi il suo inguine.
Non vi era molto, solo un bozzo, non dovevo essere molto eccitante per lui, non sapevo che fare, come fare, allungai, titubante, le mani, sfiorandolo appena, ne appoggia una sotto il bozzo e con l’altra, con estrema delicatezza, mi allungai fino a raggiungere gli enormi testicoli. Cominciai a carezzare piano, la pelle calda mi scorreva sotto le mani mentre l’animale rimaneva impassibile, non provocavo alcuna reazione nel suo membro e provai a stringere un po’ di più sull’abbozzo del suo pene, a masturbarlo un po’ senza mai smettere di massaggiargli i coglioni.
“non temporeggiare Tania, ti è stato ordinato di farlo con la bocca, non con le sole mani, esegui!”
Mauro, carezzandomi i capelli per poi scendere, sfiorando una guancia, trovando le labbra e penetrandole a fondo con due ruvide e tozze dita mi aveva ricordato i miei compiti. L’odore delle sue mani ero quello forte dei cavalli con cui lavorava, il sapore delle sue dita su cui roteava adesso la lingua, non so, che sapore hanno i cavalli? lo avrei scoperto a breve. Mi liberò dandomi una spintarella dietro la testa, spingendomi versoi l cavallo, instradandomi. Mi piegai a novanta gradi, le gambe tese per essere all’altezza dell’animale e avvicinai la testa la suo bozzo mentre con le mani cercavo di tirarlo a me, l’odore animale si faceva sempre più forte mano a mano che la distanza diminuiva. Segavo, massaggiavo i suoi gioielli e allungando la lingua, con la sola punta, conobbi il sapore del sesso di un cavallo o almeno così credevo. Per un attimo conati di vomito mi raggiunsero ma poi mi concentrai sul mio ruolo, su quello che ero diventata e leccai, lappai in punta di lingua quell’accenno di ciò che mi aspettava, di ciò che non riuscivo a stimolare poi si sentì fendere l’aria, un rumore forte, un dolore intenso e subito altri due che mi costrinsero ad appoggiare le mani sulle ginocchia irrigidendomi per resistere. Mauro, con uno scudiscio, mi aveva inferto tre violente frustate sulle natiche.
“Tania, ti è stato detto di usare la bocca, non le mani, non la sola lingua, ora esegui i tuoi compiti e soddisfa i miei cavalli se non vuoi che ti dimostri ancora il mio disappunto”
Cominciò a carezzarmi il sedere con lo scudiscio ed io, io mi allungai, presi il pene dell’animale con entrambe le mani, aprii la bocca e ci inserii la punta del sesso equino, la succhiai, attirai in me pompandola, con la lingua giocavo sull’enorme buco al centro, senza chiedermi più nulla, senza pensare più nulla, segai e succhiai avidamente mentre sentivo la scudiscio lasciare la mia pelle, mentre sentivo quel membro iniziare a pulsare, aprii gli occhi e vidi quel pene venir espulso, mostrarsi, allungarsi fino a divenire lungo in modo indicibile, fino a divenire quello che nella mia fantasia era il cazzo di un cavallo. Mostruoso ma ancora morbido lo segavo per tutta la sua lunghezza con entrambe le mani mentre ne succhiavo la punta come in un avido bacio, la cappella era diventata tropo grossa per farla entrare tutta e così mi trovavo costretta a pomiciarci ma Mauro non era d’accordo con me, le rinnovate carezze del suo scudiscio chiarivano bene il so pensiero. Approfittai del fatto che il pene era morbido per comprimere la cappella fra le labbra fino a farla entrare tutta nella bocca, riuscii ad ospitarla anche se la sua presenza mi teneva le labbra tese, Mauro spostò la punta triangolare della frusta dalle mie natiche fino sotto la mia fica, divaricai un po’ le gambe per fargli posto da brava schiava e lui si trastullò stuzzicando il mio fiore. L’odore forte di animale, il sapore di un cazzo non umano, le sue ingombranti dimensioni nella bocca, quei coglioni giganti che era mio compito svuotare e la frusta a scavare il mio sesso. Iniziai a sentire caldo, mi sentivo bagnata, mi sentivo sporca, vogliosa, mentre segavo più veloce, mentre succhiavo più forte, mentre spingevo la lingua più in profondità fino a che non sentii un getto caldo, bollente, invadermi la bocca, prepotente, abbondante. Impreparata estrassi il pene enorme, il liquido mi aveva riempito completamente la bocca e si riversò fuori non appena la stappai ma al contempo un altro getto venne espulso dall’animale e mi investì in pieno la faccia, caldo e trasparente, liquidò quasi come acqua. Tossendo mi girai verso Mauro cercando il suo assenso, mi guardò stupito, come si chiedesse cosa volessi e poi rise, rise divertito:
“piccola ragazzina, non hai finito, quella è una pre-eiaculazione, non vedi che è trasparente, forza, succhia che il lavoro è ancora lungo e se non ti sbrighi dovrai ricominciare tutto da capo, non preoccuparti, quando sarà ora di cambiare cavallo ci penserò io, tu devi solo succhiare oggi” e con un colpetto alla fica mi rimandò al mio lavoro.
Il pene mi attendeva abbandonato verso il basso, lo afferrai, feci un respiro profondo e rispinsi a forza la cappella nella bocca. Lo sperma che avevo sul viso scivolava copioso verso il basso ricoprendo quell’enorme cazzo nella zona in cui mi usciva dalla bocca. Succhiai, leccai e segai, con una mano stimolavo prima un testicolo e poi l’atro, con l’altra percorrevo l’enorme lunghezza e ciucciavo, ciucciavo più forte che potevo come volessi succhiare lo sperma dai testicoli attraverso un’enorme cannuccia. Non so quanto ci volle, mi faceva male la bocca che dovevo tenere sempre divaricata al massimo e poi l’animale nitrì, il cazzo che fino a quel momento era stato sempre morbido in breve divenne duro come la pietra, bollente. Accolsi il segno come positivo, non morivo dalla voglia di farmi eiaculare in bocca ma sapevo che non c’era scampo e se ci fossi riuscita avrei avuto un po’ di riposo per la mia mandibola dolorante, lo segai a succhia in modo assatanato e come risposta quel cazzo aumentò ancora di diametro, mi si incastrò in bocca, non riuscivo più a muoverlo, a tirarlo fuori, strabuzzai gli occhi convita che mi avrebbe fracassato la mascella tanto me la sentivo allargata e poi sentii il suo sperma, denso questa volta, lattiginoso, un fiotto enorme mi si riversò in bocca, non poteva uscire, le labbra erano serrate sul pene gigantesco come guarnizioni, non pensai neanche al sapore e provai e deglutire ma la posizione me lo impediva mentre un secondo, infinito, getto mi si riversava in gola strozzandomi, facendomi gonfiare le guance per la pressione e un terzo ove non vi era più spazio, ormai convinta di scoppiare come un palloncino, il liquido mi era entrato anche nei polmoni ma arrivò anche il quarto getto, il bianco sperma iniziò ad uscire schizzando dai lati delle bocca e dal naso mentre io cercavo solo di stapparmi per respirare e fu proprio la pressione di tutto quello sperma che mi veniva riversato dentro a far uscire quell’enorme e turgido arnese con uno scoppio di bianco liquido, caddi a sedere nella vasca e inizia a vomitare sborra equina, tanta che quando i conati finirono il mio corpo ne era ricoperto e nel fondo della vasca se ne era accumulato almeno un dito. Tossivo ancora cercando di riprendermi quando sentii la voce di Mauro che mi intimava di tornare al lavoro, non mi ero neanche accorta che mentre mi riprendevo il cavallo era stato portato via e un nuovo stallone stava arrivando di fronte a me e attendeva la mia bocca. Piegata, vinta, mi alzai in piedi, divaricai le gambe in caso Mauro avesse voluto trastullarsi con la mia fica, mi guardai intorno per notare che oltre al dottore e ai suoi amici si era riunito tutto il personale della villa ad assistere allo spettacolo, sospirai, mi chinai a novanta gradi, il cazzo del nuovo animale pendeva già verso terra, l’odore dello sperma di chi lo aveva preceduto doveva aver creato l’atmosfera giusta per lui, lo raccolsi e lo imboccai ricominciando il mio lavoro.
Dopo due ore avevo fatto godere cinque cavalli, avevo la bocca distrutta ed ero ricoperta di sperma che mi colava da tutte le parti, nella vasca vi erano almeno dieci centimetri di liquido bianco ma almeno avevo imparato ad intuire quando l’animale stava per arrivare al suo apice, in quel momento facevo in modo di avere solo la punta del suo arnese in bocca in modo che lo sperma entrasse, mi invadesse ma potesse poi uscire agiatamente dei lati. Ero allibita dalla quantità di sperma che producevano, i getti forti come fossero tubi per annaffiare, ogni volta una parte mi finiva in gola ma poco, il grosso transitava nella mia bocca, scivolava viscido sulla lingua e usciva a cascate dalla bocca. Pensavo che Mauro mi avrebbe ripreso per questo mio modo di evitare di farmi strozzare dalle sborrate ma non mi disse nulla però sparì, dopo avermi portato il quinto animale si allontanò e tornò solo con il sesto, in mano aveva un’asta come quelle che si usano per le flebo e un grosso sacchetto con un tubo di gomma. Chiedermi a cosa servissero quelle cose non sarebbe servito a nulla quindi mi misi subito al lavoro succhiando il nuovo membro equino e mentre il grosso cazzo mi si piantava in gola, mentre i suoi enormi coglioni mi scivolavano fra le dita ormai esperte, mugolando mi resi contro che il tubo di gomma finiva con una grossa cannula, me ne resi conto perché Mauro me la infilò in profondità nel culo.
“io capisco, Tania, che tu debba fare in modo che lo sperma non ti finisca fino nei polmoni, lo trovo comprensibile, soffocare non è il tuo compito però così facendo eviti anche che te ne finisca una quantità adeguata nello stomaco e questo mi sembra ingiusto verso questi stupendi animali e, in generale, ho sempre pensato che un bocchino sia degno di essere chiamato tale solo quando il suo frutto finisce nella pancia di chi lo esegue quindi, per porre rimedio a questo problema, non potendo far passare lo sperma dalla tua bocca già piena di cazzi lo farò passare dal tuo culo” Non mi diede neanche il tempo di capire quello che diceva, immerse la grossa sacca nella vasca poi la alzò appendendola al sostegno e iniziò a comprimerla per spingere il bianco liquido nei miei intestini più velocemente. Mentre il sesso del cavallo si andava facendo sempre più rigido sotto i colpi della mia lingua potevo sentire chiaramente la cannula sprizzare a forza dentro di me, il liquido scendere, pervadermi e invadermi completamente, la sacca doveva contenere almeno un litro di sperma e quando fu vuota la mia pancia incominciò a tirare per l’inaspettato ingombro. Un grosso schizzo di pre-eiaculazione equina mi investì la bocca, distratta da quello che succedeva nel mio culo non me ne ero resa conto e mi trovai con la bocca piena, costretta a deglutire tutto, l’esperienza mi servì da lezione, mentre Mauro riempiva di nuovo la sacca mi costrinsi a concentrarmi sui peni alla base del mio compito cercando di non pensare ad altro. Prima che riuscissi a far venire l’animale che avevo davanti Mauro fece in tempo a spingere un altro litro di sperma nei miei intestini, mi sentivo gonfia, ero gonfia, la pancia era pronunciata in modo visibile, ero piegata a novanta gradi e il liquido dentro di me premeva verso il basso, i crampi iniziarono mentre fiotti bollenti di sperma si riversavano di nuova nella mia bocca per poi scivolarmi sul corpo e nella vasca. Feci attenzione a non inghiottire nulla per evitare di aggiungere altro nel mio stomaco che mi sembrava scoppiare ma Mauro non era d’accordo, mentre un altro stallone veniva condotto alle attenzioni della mia bocca lo vidi, terrorizzata, riempire un’altra volta la sacca. L’uomo spinse il liquido con tutte le sue forze ma dovetti far eiaculare altri tre cavalli prima che riuscisse a far dilatare tanto il mio stomaco da ospitarlo tutto, gemevo disperata, piangevo copiosamente per i crampi che non volevano attenuarsi e intanto succhiavo, massaggiavo e soddisfavo un destriero dopo l’altro ormai priva di volontà. Una volta piena la cannula venne estratta ma prima che lo sperma uscisse dai miei intestini gonfiati a pressione Mauro mi tappò con un grosso plug anale. Doveva essere enorme per tenere ben tappato il mio culo che sentii allargarsi contro voglia per far spazio all’oggetto. Sembravo incinta tanto il mio ventre era gonfio, cercavo di muovermi il meno possibile per non farlo oscillare ma:
“le tue performance hanno attirato le attenzioni dei miei colleghi e visto che tu sei qui piegata a novanta gradi, visto che per il tuo compito ti serve solo la bocca non vedo problemi se mentre lavori ti scopano un po’ così sarai ancora più utile e verrai sfruttata meglio”
Voltando lo sguardo vidi che la trentina di uomini che lavoravano in villa avevano estratto tutti i loro cazzi ma poi arrivò un nuovo destriero e l’unica cosa che potei fare fu prendere il suo sesso enorme ed infilarlo fra le labbra mentre sentivo il primo pene umano entrare nella fica. Nelle successive quattro ore feci eiaculare non so quanti cavalli, la vasca era quasi piena, i miei lamenti disperati non avevano fine mentre uno dopo l’altro tutti gli uomini mi scoparono facendo attenzione a farlo nel modo più virile possibile. Questo provocava grosso scossoni al mio ventre rigonfio che oscillava incredibilmente dandomi crampi assurdi e provocava anche che io perdessi l’equilibrio infilandomi spesso il cazzo del cavallo di turno fino in gola, se accadeva mentre l’animale eiaculava mi era impossibile sottrarmi in tempo e mi trovavo con sperma che mi schizzava fuori da ovunque. Il mio corpo morbido e bianco, i miei seni che dondolavano avanti e indietro seguiti dal ventre rigonfio per tutto lo sperma che mi era stato inserito a forza nel culo, il povero orifizio anale tappato e dilatato da un’enorme oggetto di gomma dura, il viso ricoperto di sborra di cavallo, la bocca sempre aperta e dilatata a dare libero accesso a quei membri enormi. Tutto questo doveva eccitare molto i presenti che si sfogarono sulla mia fica più volte ognuno, stantuffandola selvaggiamente per ore, mi vennero dentro tante di quelle volte che dopo un po’ lo sperma mi schizzava fuori ad ogni affondo, mi chiavarono fino allo sfinimento io, donna addetta a sbocchinare i cavalli, ripiena del loro sperma, ospitai nella fica tutti i cazzi di chiunque volesse infilarlo per tutte le volte che vollero. La tortura non sembrava avere fine, i cazzi, umani e animali, non sembravano avere fine, gemevo e mi contorcevo priva di ogni controllo fino a che non sentii la voce di Mauro:
“dolce Tania, è rimasto l’ultimo stallone da soddisfare e sono rimasto solo io da far godere, hai quasi finito, immagino tu sia stanca, vieni, prendi qualcosa da bere”
Docile mi lasciai guidare in ginocchio nella vasca, lo sperma mi ricopriva fino all’ombelico, vidi Mauro immergere un grosso boccale nella vasca per tirarlo fuori tracimante di sperma, delicatamente mi prese per i capelli tirandomi la testa indietro e alzò il boccale alto sopra il mio viso. Senza neanche riflettere aprii la bocca e lui cominciò a versare un lungo, lattiginoso, rivolo di sperma nella mia gola, lento perché avessi il tempo di ingoiare, con calma e precisione, sorso dopo sorso mi diede il tempo di deglutire fino all’ultima goccia andando a gonfiare ancora di più il mio stomaco e poi mi rimise in posizione, fu lui a guidare il membro del cavallo alla mia bocca, a cacciarcelo dentro, non usavo neanche più le mani tanto ero sfinita. Mauro si denudò dalla vita in giù accanto al mio viso, un grosso e lungo cazzo dal diametro di una lattina svetto ai miei occhi poi lui sparì alle mie spalle. Lo sentii armeggiare con il tappo nel mio culo, lo estrasse di colpo dilatandomi oscenamente e poi mi sodomizzo di botto per non farmi svuotare. Il mio urlo straziante si smorzo sul pene dell’animale che andava irrigidendosi fra le mie labbra. Mauro mi avvolse con un braccio, trovò il mio sesso martoriato da non so quante scopate, vi puntò il plug che aveva tappato il culo fino a poco prima, diede due o tre spintarelle di prova e poi con un colpo secco me lo sbatté tutto nella fica mentre gli ultimi centimetri del suo cazzo mi sfondavano il culo, mi afferrò poi per i fianchi e iniziò una violenta inculata. I suoi forti colpi lavoravano per me, mi facevano oscillare avanti e indietro dando il ritmo al bocchino che stavo facendo al mio ultimo stallone, facendo oscillare il mio ventre rigonfio come un’altalena. Ogni affondo nel culo comprimeva tutto il liquido nei miei intestini dandomi dolori lancinanti, il cazzo in bocca stava ormai sfondando la mia gola, io gemevo disperata:
“devi pazientare Tania, non posso ancora venire, almeno fino a quando non avrai finito il tuo lavoro”
Sfinita allungai le mani e presi a segare disperatamente il lungo cazzo nero, lo succhiavo a più non posso mentre con la lingua ne stuzzicavo il buchino in profondità. L’animale nitriva soddisfatto, Mauro aumentò ancora di vigore e di velocità, io ero convinta che sarei scoppiata poi l’ultima copiosa sborrata mi raggiunse la gola, Mauro se ne accorse e con un violento affondo mi spinse il cazzo dell’animale fino in gola e mentre lui iniziava e venire nel mio culo violenti getti di sperma mi venivano riversati direttamente in gola. Sentii lo stomaco gonfiarsi ancora per i liquidi che mi venivano aggiunti contemporaneamente dalla bocca e dal culo. I due maschi continuarono a sborrare dentro il mio corpo per un tempo lunghissimo, Mauro mi afferrò per il ventre rigonfio stringendolo per tenermi ferma e così aumentando ancora la pressione mentre con una mano aveva raggiunto il plug e mi scopava la fica furiosamente uscendo ed entrando di botto, spanandomi il buco oscenamente. Quando credevo che sarei morta fui invece travolta da un violento orgasmo che fece tremare convulsamente il mio corpo. In quel momento Mauro mi stappo tutti i buchi gettandomi a terra fuori dalla vasca, li rimasi in preda alle convulsioni mentre fiotti di sborra uscivano in lunghi getti dalla mia bocca e dal culo e dalla fica fino a formare una grossa pozzanghera intorno al mio corpo scosso dai brividi. L’ultima cosa che sentii fu la voce di Mauro:
“il tuo compito, per oggi, è finito Tania”
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E’ PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN’OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 10
Fu mio fratello a prendersi cura di me, mi fece alzare da terra e mi accompagnò nella mia stanza nella parte alta della villa, mi lavò accuratamente e io rimasi inerme, sfinita dall’esperienza appena fatta mentre lui si assicurava di togliere lo sperma animale da ogni angolo del mio corpo con particolare attenzione agli orifizi che passò e ripassò in profondità con le dita. Mi depose poi, nuda, sul letto, si accomodò fra le mie gambe e mi penetrò distrattamente mente non smetteva mai di tessermi le sue lodi per il lavoro stupendo che secondo lui avevo fatto, diceva di sentirsi molto orgoglioso mentre pompava il cazzo turgido nel mio sesso. Mi scopò con estrema calma, in modo accurato, mi lasciai andare inerme facendomi cullare dalla sua voce che melodiosa tesseva lodi sulle mie naturali attinenze da zoccola e facendomi pervadere dal suo cazzo che mi scavava sempre più a fondo. Continuò per una buona mezz’ora, non fu un’esperienza sgradevole, non ebbi orgasmi, quella situazione sembrava essere divenuta troppo soft per il mio corpo ma il lasciarmi usare, l’abbandonarmi a lui come fossi una bambola mi rilassò e non potei fare a meno di sorridere serenamente quando sentii il suo sperma invadermi l’utero. Appena finito di scaricarsi mi coprì con una coperta e mi salutò con un bacio sulla fronte, pochi secondi dopo dormivo beatamente.
Erano le dieci di sera quando fui svegliata da Matteo:
“svegliati Tania, hai riposato abbastanza, tutti ti aspettano al piano di sotto, il dottore ha detto di avere bisogni di te. Li, in fondo al letto, ti ho messo il vestito che ha ordinato di farti indossare, mi raccomando, non farmi fare brutta figura, preparati in fretta e non fare attendere i tuoi padroni”
Sparì dalla mia stanza mentre ancora dovevo riuscire a rendermi conto se fossi sveglia o meno.
Il vestito era un semplice tubino nero senza spalline e molto aderente, il tessuto era fantastico, fasciava in modo perfetto, la gonna mi arrivava tre dita sotto le natiche. Oltre al vestito c’era un perizoma in pizzo nero neanche troppo succinto, copriva a fasciava il mio sesso mettendo in risalto le curve delle grandi labbra e il filo posteriore era largo quasi due dita. Il tutto completato da un paio di scarpe laccate e chiuse in punta con un tacco vertiginoso. Niente per il mio seno che rimaneva libero di mostrare i capezzoli già rigidi attraverso la stoffa del vestito. Mi pettinai con attenzione, niente trucco, un sospiro profondo e mi incamminai verso il mio destino.
Nella grande sala vi erano radunate tutte le persone che avevano assistito al mio spettacolo con i cavalli da sotto il gazebo, erano tutti da un lato, vicino al camino, in mezzo a loro, su una lussuosa poltrona vi era il dottore mentre ai lati, sui vari divani, vi erano gli altri. All’altro capo della sala c’erano tutti quelli che lavoravano nella tenuta, al centro, cosa che non mi sarei mai aspettata, c’era Pamela, vestita esattamente come me, ferma, in piedi, immobile.
Certo, su di lei il vestito aveva un effetto diverso, soprattutto per il seno enorme che sembrava dover scoppiare. Era una donna più morbida di me, non certo grassa ma più abbondante nelle sue curve e aveva un’immagine più matura e navigata, un’eleganza innata che contrastava con la mia bellezza acerba. Su un lungo tavolo accostato ad un muro intravidi una miriade di oggetti, era un misto fra strumenti di tortura medievale e l’assortimento di un sexy shop. Ad un cenno del dottore mi andai a posizionare al fianco di Pamela, il brusio di voci di sottofondo sparì ed il dottore parlò ma non lo fece rivolgendosi a me ma ai presenti:
“cari amici, questa sera voglio realizzare il desiderio di una donna che io considero meravigliosa, Pamela, grazie a lei assisteremo ad una gara, una sfida fra Tania che ci ha già dimostrato alcune delle sue capacità e Pamela che conosce il mondo della dominazione e sa cos’è una schiava da molto più tempo. Le nostre concorrenti partono da situazioni diverse, Tania si trova qui ad allietarci per necessità, la sua è stata una scelta volontaria, non è costretta da nessuno ma non si troverebbe qui se la vita non l’avesse messa in una situazione difficile. Pamela frequenta il nostro club da molti anni, ha visto molte schiave ma non è mai stata lei stessa una di loro e vuole fare questa esperienza almeno una volta. Le regole della gara sono semplici, ci saranno varie fasi, io ve le spiegherò una per volta ma tutte avranno in comune una sola cosa, tutto sarà ammesso, nulla escluso ma all’inizio di ogni fase si dovrà specificare come quest’ultima avrà fine. Per capirci meglio, se una delle prove fosse la fustigazione bisognerà dichiarare esattamente quanti colpi saranno inferti, durante la battitura, alla vittima. Potrà essere fatta qualunque cosa ma se arrivati all’ultimo colpo, la vittima, non si sarà arresa la prova sarà superata. L’ultima prova di questa gara, qualora ci si dovesse arrivare, sarà ad oltranza perché alla fine ci dovrà essere una vincitrice. La gara avrà termine quando una delle due concorrenti dirà BASTA, non sono ammessi errori, se la parola BASTA venisse pronunciata per qualunque motivo si avrà perso. Essendo una gara trovo giusto vi sia un premio in palio anzi, per essere più precisi, ci sarà una punizione per la perdente.
Chi si arrenderà, il prossimo fine settimana, sarà messa a disposizione per tutta una notte dei clienti di una discoteca che mi appartiene e dovrà eseguire qualunque cosa le venga chiesto da chiunque sia nel locale. Detto questo credo che possiamo iniziare, la prima prova è semplice, le concorrenti dovranno auto infliggersi una punizione, essendo auto inflitta non è necessario stabilire quando si concluderà la prova, saranno loro stesse a decretarne la fine.
Chi si infliggerà, a mio insindacabile giudizio, la punizione peggiore, avrà vinto e potrà iniziare la vera gara sottoponendo lei stessa la perdente al primo test. Comincerà Pamela, visto che è stata lei a volere questa situazione credo sia giusto sia lei ad aprire le danze”
Quando nella stanza tornò il silenzio non ero certa di aver capito a cosa andavo in contro ma Pamela sembrava molto più sicura di me. Con passo sicuro si portò ad un angolo della grande stanza, fissando dritto negli occhi il dottore afferrò con le lunghe dita il bordo del vestito proprio davanti al seno, spinse appena verso il basso e la natura fece il resto. Le grosse tette balzarono fuori in tutta la loro magnificenza, non erano minimamente cadenti e rimasero li sotto gli occhi di tutti, sode, imponenti ed appetitose. Un sommesso brusio accompagnò la loro comparsa, gli occhi di tutti erano fissi sulla candida e morbida pelle esposta, sulle grosse areole scure che terminavano con punte turgide. Pamela lasciò ai presenti il tempo di godersi la vista del suo seno poi con fare altezzoso si girò con la faccia contro il muro, afferrò le mammelle da sotto e le spinse a forza contro la parete. La stanza era lunga almeno quindici metri ed era stata intonacata con del cemento grezzo, il risultato era che i muri erano di quel tipo molto ruvido, ricoperto di una miriade di asperità appuntite, di quelli che basta appoggiarci una mano con troppo peso e già ti pungi un po’. Pamela vi appoggiò i seni scoperti, li spinse con le mani ad aderire bene e vi ci aggiunse il peso del corpo poi, con lenti ma decisi passi, iniziò a spostarsi lungo la parete, tenendo indietro la testa, i lunghi capelli che cadevano liberi mentre il seno veniva trascinato, fatto strisciare, centimetro dopo centimetro. Impiegò diversi minuti a percorrere tutti i quindici metri e a metà strada non riuscì più ad evitare di mugugnare il suo dolore. Qui e la, lungo la strada, piccole chiazze rosse imperlavano la parete bianca ma la donna non alleggerì mai la presa, arrivò fino all’ultimo centimetro digrignando i denti e poi si staccò. Restò ferma qualche secondo, rivolta verso l’angolo, come a riprendere fiato e poi si girò orgogliosa, come avesse compiuto un’impresa eroica. I suoi bellissimi seni erano cosparsi di lunghi graffi che andavano ad intrecciarsi uno sull’altro come la tela di un ragno con il fulcro sui capezzoli. La pelle bianca ora era visibilmente arrossata e qui e là qualche piccola goccia di sangue usciva dai graffi più profondi. La donna, in fine, piazzo i suoi occhi nei miei, mi sia avvicinò con il solito passo deciso, la sfida che lanciava era chiara e di fronte alla sua sicurezza, guardando ancora lo splendido seno martoriato della donna che mi aveva fustigato con tanta ferocia, non potei fare a meno di sorridere.
Sono sempre stata una tipa competitiva e quella situazione smosse qualcosa in me, lasciai i suoi occhi e mi diressi verso il tavolo con gli oggetti, mi ci volle un poco ma alla fine trovai ciò che cercavo, lo presi e mi diressi verso il dottore, gli arrivai davanti, feci un respiro per prendere coraggio e:
“padrone, posso chiederle di usare le sue mani per infliggermi la mia punizione?”
Il dottore mi guardò fra lo stupito ed il divertito e poi mi porse le mani che con delicatezza misi una affianco all’altra con i palmi all’insù. Aprii la scatola che avevo preso sul tavolo e con estrema attenzione cominciai a disporre sulle sue mani delle puntine da disegno, ovviamente, con la punta rivolta verso me. Ci impiegai più di un quarto d’ora ma alla fine entrambe i suoi palmi erano coperti completamente da puntine. A quel punto, guardando solo nei suoi occhi pieni di curiosità, come ci fossimo solo noi due, scoprii il mio seno sodo, mi piegai verso il mio padrone e con attenzione feci aderire le sue mani a coppa alle mie mammelle. Sentii le decine di piccole punte incontrare la carne sensibile, perforarla appena, spinsi quel tanto che mi serviva per essere certa che le puntine non si muovessero più, volevo essere certa di non bucare per sbaglio una mano del dottore, il metallo entrò appena nei seni quel tanto che bastava. Tutte quelle piccole punture erano molto fastidiose, quelle sui capezzoli soprattutto, il caso aveva voluto che una puntina centrasse in pieno la punta di un capezzolo, quella era veramente dolorosa ma la mia prova era appena all’inizio.
Allungai le mani, slaccia la sua patta e la cintura ed estrassi il lungo e robusto pene già rigido, lo puntai verso le mie labbra ancora lontane e inizia a scendere con la testa. Non mi persi in inutili giochi di lingua, non era il momento, aprii la bocca e accolsi la sua cappella mentre le mani si abbassavano spinte dal mio corpo che scendeva ad ingoiare il cazzo con le puntine a fare da cuscinetti che penetravano sempre più in profondità. Quando mi trovai con metà del suo arnese in bocca le sue mani si poggiarono sulle cosce, ora non potevano più scendere. Continua ad ingoiare la lunga mazza centimetro dopo centimetro. Mentre me lo spingevo in gola aumentavo la pressione del mio seno contro le puntine, sentivo il metallo farsi strada nelle mammelle, sentivo i capezzoli trafitti da infiniti spilli, sentivo le puntine sempre più in profondità fino a che, mentre piccole lacrime di dolore mi solcavano le guance, ogni singolo spillo non fu inserito perfettamente nei miei seni fino alla base ma il cazzo del mio padrone non era ancora tutto nella bocca. Lui restava impassibile, mi lasciava fare e io volevo arrivare fino alla fine, spinsi ancora, i seni cominciarono a comprimersi contro le mani, a schiacciarsi mentre il metallo si faceva spazio in me, il dolore era forte, mi sentivo le tette andare a fuoco, non c’era un solo centimetro di pelle che non sentissi perforato ma continuavo a spingere, ad affondare nella carne, a farlo affondare nella mia gola ormai abituata alla penetrazione e lo presi tutto, appoggia le labbra sul suo pube, lo assaggia fino all’ultimo millimetro, lo tenni in me qualche istante, lo sentii pulsare involontariamente nella gola ostruita, resistetti fino a che il bisogno di aria non fu più rimandabile e mi rialzai, dritta in piedi, gli occhi nei suoi divertiti. Mi girai verso il pubblico, mi girai verso Pamela, sulle mie mammelle decine di tondini dai vari colori, come bizzarre coppe di un reggiseno, tutti gli aghi ben piantati in profondità e saldi ma non avevo ancora finito. Senza più lasciare gli occhi della mia sfidante raggiunsi i lati della gonna con le mani, comincia a farla scivolare verso l’altro fino a denudare completamente il mio sedere ben esposto davanti al viso del padrone, afferrai il filo del tanga con una mano e lo tirai da una parte per liberare i miei orifizi, cercai e trovai il cazzo del dottore con l’altra mano e davanti agli occhi di Pamela mi sedetti fra le sue gambe larghe facendo scivolare tutto il suo pene dentro il sesso grondante, mi accomodai impalandomi, gustando quel grosso pezzo di carne che mi si inseriva dentro fino alla radice. Una volta accomodata presi le mani del dottore, le appoggia ai miei seni, sentivo la sua pelle calda nello spazio fra una puntina e l’altra, lo invitai a massaggiarmi le tette martoriate, poggiai le mie mani sui braccioli della poltrona e comincia a scoparmi con calma mentre le tette mi venivano torturate dagli aghi mossi e spinti sempre più giù. Inizialmente mi limitavo a ruotare il bacino per far muovere il cazzo in me mentre lui mi massaggiava le tette senza troppa energia. Facevano male ma era sopportabile soprattutto perché la mia fica iniziava a prendere il controllo della mente ma poi il padrone cambiò ritmo, sentii le sue mani stringere con forza tanto che iniziai ad urlare per il dolore che decuplicò, sentii la sua bocca appoggiarsi al mio collo e iniziare a baciarlo mentre premeva il mio seno verso l’altro per farmi alzare il bacino e poi con forza verso il basso per impalarmi di nuovo. Non aveva certo attenzione per il mio dolore ed in breve, il mio esile corpo, divenne oggetto nelle sue mani, mi guidava attraverso il seno come se le puntine non ci fossero, mi sembrava di sentire il metallo arrivare tanto in profondità da toccare le ossa, mentre mi costringeva a scoparmi con foga le sue mani stringevano come morse. I miei gemiti erano un misto di piacere e dolore perfettamente mischiati, la solita disperazione si fondeva con una sensazione di pienezza che mi invadeva il cervello, avevo iniziato io quel gioco ma ora ero solo uno strumento fino a che non mi ricordai della gara. Spinsi la testa all’indietro inarcando la schiena in modo da appoggiare la nuca sulla sua spalla, il collo sulla sua bocca avida, aggiunsi le mie mani alle sue, lui stringeva tanto da farmi urlare ma al contempo io lo guidavo a fare anche un movimento rotatorio sui seni. Spinsi il culo su e giù più velocemente che riuscivo, scopandomi con foga, sempre più veloce mentre il suo respiro accelerava, mentre le sue mani mi facevano sempre più male, mentre il suo cazzo vibrava in me. Lo scopai, mi scopai, mi facevano male anche le cosce per la velocità a la forza con cui lo sbattevo nella fica, il mio culo tondo e sodo era come una pistone sul suo uccello e alla fine esplose, mi si riverso dentro aggrappandosi al seno tanto da farmi gridare come una pazza, rimase avvinghiato per oltre un minuto scaricandosi in me, io rigida e immobile a mordermi le labbra con violenza e poi mi lasciò, sudata, distrutta rimasi accasciata sul suo corpo per qualche secondo prima di riprendermi. Poco dopo mi alzai, lo sperma colò fuori dalla fica e si cosparse sul pene ancora turgido. Leccai e pulii tutto con attenzione e con mani tremanti lo rivestii e lo ricomposi da brava schiava, ora non riuscivo più a guardarlo negli occhi, fu difficile anche raggiungere il tavolo con gli oggetti e impiegai una vita ad estrarre ogni puntina dalle carni delle tette ma almeno ebbi il tempo di riprendere il controllo. Tornai al fianco di Pamela, ora avevo lo sguardo basso e attesi il giudizio del dottore:
“credo non vi siano dubbi, la vincitrice è Tania”
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CAPITOLO 11
Un lampo di rabbia attraversò gli occhi di Pamela, lo vidi chiaramente, la bella donna, abituata a dominare e ad abusare di altri aveva perso la sfida ed ora si trovava a doversi sottomettere ai miei capricci, a me che ai suoi occhi ero solo una ragazzina che fino a pochi minuti prima la chiamava padrona. Questa era la mia occasione, dovevo riuscire a farla cedere, a farle dire ‘BASTA’ e avrei vinto senza dover affrontare ulteriori prove, la guardai, senza tacchi sembrava meno alta, capelli neri, lisci e lunghi fino alla schiena, un bel viso ma dai tratti duri, severi, le labbra sottili delineata da un rossetto intenso, scuro. Un seno prosperoso, spalle rigide, la vita che si stringeva poco per poi arrivare su fianchi secchi e su un culetto piccolo e muscoloso. La guardai e ripensai al nostro primo incontro e di colpo fui sicura di una cosa e parlai:
“la mia prova per Pamela finirà quando lei raggiungerà l’orgasmo”
La mia avversaria si girò a guardarmi di scatto, credo che si fosse appena accorta di quanto fossi determinata, non immaginava che avrei usato la sua difficoltà a raggiungere il culmine del piacere a mio vantaggio. Non la considerai nemmeno, mi guardai intorno e trovai Mauro davanti alla schiera dei lavoratori seduti da un lato della stanza. Con naturalità, come se la mia nudità fosse la cosa più scontata del mondo mi avvicinai a lui e gli sussurrai nell’orecchio come volevo che venisse preparata Pamela, lui sorrise e io mi diressi verso il tavolo dei giocattoli. Cercai a lungo mentre vari rumori arrivavano da dietro le mie spalle, cercai più che altro un’idea vincente, scrutavo i vari strumenti pensando all’uso che potevo farne e alla fine misi insieme ciò che mi serviva e mi girai. Pamela era stata sistemata su una panca imbottita con il ventre all’insù, le avevano legato i polsi con le caviglie e le ginocchia con i gomiti in modo tale che le gambe le rimanessero tirate su e divaricate così da lasciare completamente esposti e indifesi i suoi orifizi. Mi avvicinai a lei e su un apposito tavolinetto appoggiai uno speculum vaginale, un grosso fallo di gomma con le cinghie per essere indossato, un barattolo di lubrificante, un ovulo vibrante e una scatola di puntine come quelle che avevo usato sui miei seni. Pamela era troppo in basso per riuscire a vedere e si ostinava a tenere lo sguardo al soffitto, io mi posizionai fra le sue gambe e con due dita raggiunsi il suo sesso ancora chiuso, lei sobbalzò appena al primo tocco e poi si immobilizzò, aveva il respiro regolare e si vedeva chiaramente che cercava di mantenere la calma pur trovandosi in una situazione a cui non era abituata. Io mi sentivo molto calma, ero sicura di avere la vittoria in tasca e volevo godermela, le massaggia il sesso, lo strusciai con le dita alternandomi fra le grandi labbra e il folto ciuffo di peli neri che le sovrastava. Massaggiai con tutta la mano mentre lei si ostinava a non emettere un fiato, aumentai la pressione e dopo pochi minuti lo scrigno si schiuse naturalmente mostrando il frutto delle mie attenzioni che subito cominciò a colare verso il basso, sorrisi, delicata introdussi due dita nelle profondità di Pamela che reagì con un respiro profondo, vidi il suo ventre ritrarsi mano a mano che penetravo, la vidi mordersi un labbro ma non emise un fiato, sorrisi ancora e ritrassi le dita per dirigermi al tavolino. Presi lo speculum, intercettai il suo sguardo per un attimo, temeva le mie intenzioni ma non voleva farlo vedere e si ostinava a fissare il soffitto. Spalmai lo strumento di lubrificante in abbondanza e poi tornai fra le gambe della mia preda. Con due dita le aprii la fica quel tanto che bastava ad esporre il suo canale e poi puntai lo strumento, lo spinsi piano, diedi al sesso della donna il tempo di abituarsi, allargarsi fino a che il freddo metallo non iniziò a sparire in lei. Pamela era testa, potevo sentire i suoi muscoli vibrare ma manteneva la calma. Lo speculum le invase il sesso facilmente affondando fino alla radice, il suo fiore era bellissimi mentre incorniciava il freddo attrezzo. Iniziai a stringere la vite per aumentare la dilatazione, ad ogni giro vedevo il canale della donna espandersi, schiudersi davanti ai miei occhi, a pochi centimetri dal mio viso, arrivata a metà della dilatazione mi fermai, il primo gemito, il primo gemito di Pamela, era stato solo un istante, ora lei era fredda e distaccata come prima ma lo avevo percepito chiaramente. Girai intorno al suo corpo, mi avvicinai al suo orecchio e sotto voce le sussurrai:
“sarò dolce, farò tutto con estrema attenzione, io voglio solo farti venire, farti venire un’altra volta”
Quando mi allontanai dal suo orecchio mi stava fissando, stupita, chiaramente non sapeva cosa pensare e non potei fare a meno di baciarla, appassionatamente, la lingua nella sua bocca che rispose spontanea per lunghi istanti e poi tornai al mio lavoro lasciando un rivolo di saliva a colare sul suo volto. Ripresi a ruotare la vite che aumentava la divaricazione, quello che fino a poco prima era uno stretto buchino stava diventando enorme, la pelle era tesa e si tendeva ancora di più, avevo superato i tre quarti della dilatazione massima e Pamela iniziò a gemere, a contorcersi per quel tanto che le era permesso. “mhhhhh” Continuavo il mio lento girare. “mhhhhhhhhhh” Vedevo il metallo allontanarsi e allargare sempre di più l’interno della mia preda. “ahhhhhhhhhhhhhh” Pochi giri mancavano alla fine mentre il sesso di Pamela mi si mostrava incredibilmente aperto a accogliente. “ahi ahi ahi, si spacca, ahi, allenta, ti prego, allenta” La vite aveva percorso tutta la sua strada, la dilatazione era oscena e Pamela non riusciva a stare ferma e implorava un po’ di sollievo. “shhhh, tranquilla Pamela, ora passa, ora ti abitui, lascia che ti aiuti” Mentre lei si dimenava avvicinai la bocca al suo sesso, il clitoride era ben esposto e iniziai a lapparlo con vigore, con metodo, a titillarlo con la lingua per lunghi minuti fino a che i mugoli di dolore non si attenuarono, non si placarono per divenire mugoli di piacere. Quando vidi che la donna si era rilassata mi staccai dal suo bottoncino, la guardai negli occhi e le sorrisi prima di baciare il suo ventre e di rimettermi all’opera. Tornai al tavolino, presi la scatola con le puntine, i suoi occhi si spalancarono, credo che avesse capito cosa avevo in mente o almeno una parte. Lo speculum ben piantato e allargato nella fica creava una specie di imbuto, lei iniziò ad urlare:
“sei matta, sei matta, non vorrai buttarmele dentro, non farlo, non farlo”
Rimasi immobile a guardarla negli occhi seria:
“se vuoi puoi arrenderti in ogni momento altrimenti stai ferma e zitta”
Lei rimase a bocca aperta qualche secondo, tesa come una corda poi chiuse gli occhi e si immobilizzò. Aprii la scatola e con attenzione iniziai a far cadere le puntine nel suo orifizio dilatato, il metallo tintinnava sul metallo dello speculum e poi le puntine andavano a fermarsi nelle profondità del suo sesso, continuai a versare finché la donna non fu piena fino all’orlo, l’immagine di quel sesso ripieno di dischetti colorati e di punte aguzze era strana, Pamela rimaneva immobile e vista la dolcezza con cui l’avevo riempita non aveva avuto problemi fino ad ora. Afferrai lo speculum per il manico, lo afferrai saldamente e poi mi rivolsi a lei:
“ora stringi i denti”
Strabuzzò gli occhi ma prima che avesse il tempo di dire nulla tirai lo strumento con forza estraendolo da lei, la fica si allargò a dismisura per permettere allo speculum di uscire e poi si richiuse di botto, lei urlò come una pazza e cominciò a divincolarsi furiosamente. In breve cadde dalla panca finendo sul freddo pavimento dove continuò a urlare e ad inveire contro di me. Il suo sesso, restringendosi di botto era andato a premere sull’ammasso di puntine che si era infilzate ovunque, da come si dibatteva il dolore doveva essere veramente intenso.
Rimasi in piedi a guardarla, sicura della mia vittoria, attesi fino a che non smise di dibattersi, di urlare, immobilizzandosi per evitare di provocarsi altro dolore fino a che non la sentii dire con voce tremante:
“non è regolare, la prova doveva finire quando avessi raggiunto l’orgasmo ma lei non sta facendo nulla per provocarlo”
“ma io ho appena cominciato, questa è la preparazione, a meno che tu non voglia arrenderti ora ti farò rimettere sulla panca, sarà un po’ doloroso ma poi vedrai che mi impegnerò nel farti venire, procedo o vuoi smettere?”
Pamela non rispose mai ma fece un segno di assenso con la testa, sinceramente non me lo aspettavo ma poco cambiava, ero sicura che avrebbe ceduto presto…
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CAPITOLO 12
Accompagnata da un lungo mugolo di dolore sommesso la donna venne rimessa in posizione sulla panca, io guardai tutta la scena fra l’affascinata e lo spaventata poi mi scossi e proseguii il mio piano. Tornai al tavolino dove presi gli ultimi strumenti che avevo preparato per Pamela, quando mi girai verso di lei avevo un grosso cazzo di plastica che mi pendeva davanti, lungo almeno venticinque centimetri e con un diametro di cinque e in mano tenevo l’ovetto vibrante. Pamela mi guardò, strabuzzò gli occhi poi li chiuse e parlò:
“vuoi vincere la gara uccidendomi? perché se mi infili dentro quel coso è quello che succederà e non credo sia molto regolare”
“ohh, ma no tesoro, questo è per il tuo culo, quel canale è libero no?”
Un lampo di rabbia apparve negli occhi della donna che aveva già superato il limite delle suppliche:
“quel coso non entrerà mai nel mio culo” abbassando lo sguardo sussurrò “non sono abituata”
“ohhhh, anche io pensavo la stessa cosa del mio culo fino a poco tempo fa ma ascolta, mi spiace molto ma, a meno che tu non ti arrenda ti assicuro che questo coso finirà dritto dentro il tuo culo e poi ti sodomizzerò fino a che non godrai”
Pamela tornò a fissare il soffitto, non capivo cosa le desse tanta tenacia ma non poteva resistere all’infinito. Presi una buona dose di lubrificante, lo spalmai bene sul fallo di gomma e poi mi spalmai una mano. Mi misi in posizione fra le sue gambe e iniziai a lavorare il suo stretto buchino. Ci girai attorno con calma con due dita, giri sempre più stretti poi iniziai a spingere, a forzarlo, era stretto, lei stringeva involontariamente i muscoli ma la lubrificazione mi permise di penetrarla facilmente. Feci scivolare le due dita fino alla base e poi iniziai a rigirarle. Lei stava immobile per impedire alle puntine di trafiggerla di più ma quando piegai le dita verso il suo sesso premendo sulla vagina rigonfia di acuminato metallo sentii chiaramente i piccoli oggetti spostarsi e Pamela imprecò maledicendomi in tutti i modi ma restò immobile. Fu in quel momento che si sentì la voce del Dottore:
“Tania, stai tirando la cosa un po’ troppo per le lunghe, in effetti la tua prova prevedeva che Pamela avesse un orgasmo mentre per ora la stai solo torturando, inizia e tieni presente che se lei non si arrenderà e se tu non riuscirai a farla venire entro quindici minuti lei avrà superato la prova e in più io personalmente ti infliggerò una punizione per scorrettezza prima di continuare”
Avevo esagerato, abbassai lo sguardo a terra:
“si padrone, mi scusi”
Con rabbia infilai un terzo dito nell’ano della mia vittima che sussultò per l’improvvisa dilatazione cacciando un grido di dolore. Sentivo lo stretto ano spingere forte sulle dita nel tentativo di richiudersi, spinsi ancora più a fondo, con rabbia fino a sprofondare fino all’ultimo millimetro ma avevo appena iniziato a dilatare il culo della mia amica. In modo frettoloso rigirai le dita in lei per allargarla quanto mi serviva poi la liberai e puntai la grossa cappella del fallo di gomma. Pamela era veramente stretta, la punta non voleva entrare mentre lei frignava, dovetti spingere con tutte e due la meni, spingere ai lati, farmi spazio piano piano. Riuscivo a puntare appena l’attrezzo al suo culo per quanto lo avessi già dilatato con le dita, lo puntavo e spingevo verso il basso per far cedere i muscoli poi, risalendo, spingevo forte in avanti per forzarla. Ad ogni giro il suo sfintere cedeva di un pelo ma il palo che avevo fra le gambe era veramente grosso per lei. La donna rimaneva immobile ma si disperava per il dolore, facendo le mie manovre era inevitabile stimolare la zona piena di puntine e facendolo lei sussultava punta dagli infiniti aghi che aveva dentro. Dopo cinque minuti la cappella valicò lo stretto anello di carne facendo urlare la donna ma io avevo il tempo contato, non volevo essere punita, il dottore non sarebbe stato leggero e dopo di lui sarebbe toccato a Pamela infierire su di me. Afferrai le cosce della donna e senza troppi complimenti le feci sprofondare i venticinque centimetri di cazzo nello sfintere. Vidi il fallo sparire nel corpo della mia vittima in un tempo infinito, per quanto lo spinsi forte le scivolò dentro allargandola chiaramente in un modo che non aveva mai provato. Per tutto l’affondo la donna restò con la bocca e gli occhi spalancati, senza respirare. Quando il cazzo le doveva essere ormai arrivato allo stomaco sentii il mio ventre sbattere sulle sue chiappe e allora diedi un’altra, violenta, spinta con cui cacciai tutto l’arnese nel suo culo fino all’ultimo millimetro. Lei caccio un urlo disperato ricominciando a respirare. Passando il fallo andò a mescolare tutte le puntine dentro il sesso e in contemporanea le spalancò il canale anale, lei urlava come una disperata, tremava tutta come in preda alle convulsioni mentre pronunciava parole incomprensibili. Schiava del tempo non potei godermi la cosa come avrei voluto, accesi l’ovulo alla massima vibrazione e con una mano glielo premetti forte contro il clitoride mentre iniziavo a sodomizzarla con vigore. Avevo ancora la possibilità di vincere, cercai di sfruttare al massimo le puntine che le avevo messo dentro, facevo uscire il fallo quasi fino alla fine in modo che la punta andasse a premere il sesso di Pamela dall’interno rimescolando gli appuntiti oggettini. Un paio di volte indietreggiai troppo uscendo da lei e mi ritrovai a doverle forzare di nuovo lo stretto anello dell’ano ma non potevo permettermi la delicatezza avuta la prima volta quindi puntai e spinsi più forte che potevo sprofondando in lei. Pamela dal canto suo sembrava in trans, piangeva, si disperata e si dibatteva per quanto le corde le permettevano, dovevo stare attenta a non lasciarla cadere a terra mentre le pompavo in culo con tutta la forza che potevo ma piano piano l’ovulo che le stimolava con forza il clitoride iniziò a fare effetto. Ad ogni lungo affondo nel culo sentivo la sua voce cambiare, i suoi muscoli, prima tesi e contratti iniziavano a vibrare, come a tremare, vidi la sua schiena inarcarsi come se inconsciamente cercasse di farsi penetrare ancora di più. Avrei potuto togliere l’ovulo ma lo sguardo del dottore mi congelò quasi avesse intuito cosa avevo in mente e allora potei solo continuare a impalarla il più forte possibile. Ero sudata, i muscoli mi facevano male, erano quasi dieci minuti di seguito che sfondavo il culo della donna come una pazza e lei, trafitta nel sesso, aperta oscenamente nell’ano stava ormai ansimando vistosamente, tremava tutta, si mordeva le labbra. Sconfitta sgancia il pene dalle cinghie che lo legavano a me e continuai a pomparglielo nel culo a forza con entrambe le mani mentre mi abbassavo con la bocca sul suo sesso. Mi misi a leccarla furiosamente, percorsi il suo sesso ovunque, la lingua le entrò dentro tanto che incontrai le puntine che si rimescolavano in lei senza sosta poi mi concentrai sul clitoride, lo accolsi fra le labbra, lo succhiai, lo allungai fino ad afferrarlo e serrarlo fra i denti in modo da poterne lappare la punta con la lingua in modo sempre più intenso. Lei si agitava e gemeva sempre di più in quel misto di dolore e piacere in cui l’avevo portata e alla fine lasciai che esplodesse in un devastante orgasmo fra le mie labbra e ingorda succhiai avidamente tutti i suoi umori.
“la prova è finita, Pamela l’ha superata, liberatela, adesso è il turno di Tania subire ma ci prederemo una mezz’ora di pausa per dare il tempo alla nostra amica di ricomporsi un po’”
Avevo perso e non me lo aspettavo, in più avevo esagerato e ora sarei stata ripagata con la stessa moneta, me ne stavo li, seduta ai piedi della poltrona del Dottore che mi carezzava i capelli, alzai lo sguardo e trovai quello di Pamela, sadico, incattivito mentre si toglieva, ad una ad una le puntine da dentro il sesso…
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CAPITOLO 13
Seduta a terra, vicino ai piedi del dottore mio padrone che mi carezzava i miei capelli come avrebbe carezzato la testa di un cane, guardavo, in lontananza, Pamela, la donna di cui avevo abusato in modo indicibile, la donna che aveva sopportato una tortura che credevo insopportabile, la donna che aveva sostenuto l’espressione di un sadismo che non sapevo neanche di avere e che ora, appena ripresasi, mi avrebbe avuta schiava della sua inevitabile vendetta. Mentre, con calma disarmante, estraeva le puntine al suo sesso era come se, per ogni oggetto di cui si liberava recuperasse parte della sua austerità, parte della sua rigidità.
Il corpo che avevo martoriato riprendeva tono, vigore; il viso su cui avevo dipinto la disperazione più nera ritrovava il suo modo, unico, di essere inespressivo, come il viso di una statua. Guardavo la mia vittima trasformarsi in aguzzina e mentre questo accadeva quella parte di me che si era sentita forte, padrona, andava sgretolandosi lasciando spazio al fascino che Pamela aveva sempre avuto su di me. La mezz’ora concessa dal dottore non fu sufficiente alla donna per ricomporsi ma lei non si fece problemi, si vedeva che si sentiva in diritto di prendersi il tempo che le serviva e comunque, alla fine, recuperato un elastico con cui raccolse i lunghi capelli in una stretta e tirata coda, recuperate le scarpe dall’alto tacco, Pamela fu pronta, statuaria, bellissima, per quanto completamente nuda, per quanto avesse subito un trattamento svilente davanti agli astanti, la dignità con cui attraversò la stanza fino a pararsi davanti al dottore fu insuperabile. Lo guardò negli occhi, seria:
“immagino di non avere nessuna fretta per la mia prova, giusto?”
Più che una domanda era stata una presa di posizione. Il dottore sorrise e fece un cenno di assenso al che Pamela allungò la mano dalle lunghe dita che si andarono ad infilare fra i miei morbidi capelli, la presa si serrò senza violenza ma con forza così che la mia chioma divenisse il guinzaglio con cui prese possesso di me, con cui mi guidò al centro della stanza. Con la stessa delicata decisione mi fece mettere davanti alla lunga panca su cui lei aveva subito la sua prova e con autorità, nel silenzio generale, mi legò nella stessa identica posizione in cui io avevo fatto legare lei. Fece tutto da sola, con calma meticolosa, mai i nostri occhi si incontrarono mentre lavorava concentrata con le corde. Ci mise tempo ma alla fine mi trovai perfettamente immobilizzata e stretta saldamente alla panca, la testa che penzolava all’indietro oltre la fine del sostegno, senza supporto. Le gambe alzate all’indietro e fissate con le braccia, corde sui lati mi costringevano divaricata in modo osceno mentre attendevo la mia sorte.
“la mia prova è molto semplice” la voce di Pamela, ferma e sicura, riempì il silenzio della grande stanza “la prova di Tania avrà fine quando avrà deglutito completamente lo sperma di dieci uomini, se farà cadere solo una goccia di seme quell’uomo non verrà contato. Mentre lei si dedicherà al suo lavoro” Pamela avvicinò un basso sgabello fra le mie gambe, avvicinò un carrello su cui aveva preparato oggetti che non avevo visto e si accomodò “io mi diletterò con i suoi orifizi” La stupenda donna si guardò attorno, puntò il suo sguardo sulla servitù, senza neanche avere bisogno di chiedere, dieci uomini si fecero avanti e si misero in fila per approfittare della mia bocca. Alzai la testa, cercai lo sguardo della mia aguzzina, volevo sfidarla, mi stavo scaldando, legata, esposta, sottomessa, mi stavo eccitando e non avrei perso ma poi incontrai il sorriso di lei che teneva in mano un fallo di gomma dalle buone dimensioni con annessa una pompetta. Non conoscevo quell’oggetto ma non era difficile capire come funzionasse, mentre gli uomini si avvicinavano per dare inizio alla prova vidi le labbra di Pamela muoversi, i suoi occhi piantati nei miei scintillavano, fu solo un sussurro che nessuno udì ma io capii perfettamente le sue parole:
“dopo la tua fica non sarà più la stessa”
Abbandonai la testa all’indietro, abbandonai ogni velleità e mi preparai alla prova mentre il primo glande, turgido e violaceo si appoggiava alle mie morbide labbra. Sentii la cappella bollente dell’uomo farsi spazio nella bocca proprio mentre sentivo il fallo di gomma nera penetrarmi il sesso. Non avevo idea di chi si stesse godendo il mio primo pompino, non avevo neanche visto la sua faccia tanto ero distratta da Pamela. L’uomo si volle subito accomodare completamente, spinse senza attenzione fino ad arrivare alla mia ugola, lo inghiottii a fatica facendo un suono gutturale e resistendo ai conati di vomito, lo sentii penetrare la mia gola per un bel pezzo. Il naso mi affondò nello scroto di lui, aveva un odore forte, di uomo, si sudore, di lavoro manuale ma poco mi interessava, la mia priorità era già divenuta cercare aria. Intanto, all’altro capo di me, il silicone mi aveva invasa completamente, mi aveva riempito il sesso e sentivo la base piatta e larga dell’oggetto sbattere contro le grandi labbra. L’uomo spinse forte, si assicurò che ogni millimetro del cazzo mi fosse entrato in gola e poi indietreggiò un po’, non tanto, quel che bastava perché la sua cappella fosse proprio all’inizio della gola e li iniziò a muoversi su e giù, veloce ma con affondi corti in modo da costringermi a deglutirlo e farlo uscire continuamente, non potevo che tenere la bocca spalancata e resistere mentre emettevo suoni gutturali al ritmo del suo scoparmi mentre sentivo la mano di pamele appoggiarsi di palmo al fallo che mi aveva ficcato nella fica in modo da tenerlo ben piantato in me, mentre sentivo per la prima volta un rumore, la pompetta che, premuta, fischiava immetteva aria dentro il fallo, dentro di me. Ci volle veramente poco perché il continuo strofinare della turgida cappella sulla parte più sensibile della gola facesse il suo effetto, lo sperma mi venne spruzzato direttamente in gola e il difficile fu riuscire a deglutire tutto senza tossire ma negli ultimi tempi avevo ricevuto quel trattamento diverse volte e anche se gli occhi iniziarono a lacrimare riuscii a far finire nel mio stomaco fino all’ultima goccia di bianco liquido, lasciai che la lingua venisse usata per ripulire il cazzo che avevo soddisfatto e venni liberata solo per fare spazio al secondo della fila. La fica, intanto, era stranamente piena, non provavo dolore ma mi sentivo invasa, sentivo quel fallo occupare ogni millimetro del sesso teso. Comunque per il momento le cose andavano bene, la prova non sembrava poi terribile e iniziai il secondo fellatio in modo più rilassato. Il cazzo numero due non era molto lungo, stava bene in me e l’uomo non sembrava volermi sbattere con rabbia, si limitava a starmi in bocca muovendosi un po’ su e giù tanto che, sforzando il collo, decisi di aumentare io il ritmo per cercare di farlo venire il più in fretta possibile. Spinsi forte la lingua sul suo frenulo e allungandomi ritmicamente agevolai il suo movimento, l’uomo apprezzò, il suo godere divenne sempre più evidente e presto avrei avuto la mia ricompensa. Dal canto suo Pamela continuava a tenere ben saldo il cazzo dentro di me e a pompare, non potevo vedere ma mi sentivo dilatata in modo incredibile, dilatata dentro, però non potevo dire che fosse doloroso, strano ma sopportabile. Lo sperma mi venne servito in punta di labbra, dovetti succhiare avidamente per assicurarmi di non perderne neanche un po’ e lo feci scendere nella gola con soddisfazione, era stato facile ma il terzo della fila era eccitato, spostò di forza il suo predecessore e mi presentò un nerboruto attrezzo di almeno venti centimetri, spalancai la bocca per fargli spazio e lui ne approfitto ber sbattermelo tutto dentro con violenza. L’arnese mi spalancò la gola facendomi un male cane, sussultai ma le corde che mi cingevano il corpo non mi permisero di andare lontano, tossii ed ebbi conati ma all’uomo non frego niente, indietreggiò lasciandomi dentro solo la cappella e poi risprofondò in me senza il minimo riguardo. Continuò il suo servizio a ritmo indiavolato mentre io tossivo, lacrimavo e mi contorcevo, mi scopò la gola proprio come fosse una fica, smisi di pensare a cosa succedeva sotto di me, la gola che veniva violentata senza tregua era l’unica cosa che sentivo in quel momento, ad ogni affondo mi sembrava mi spaccasse, cercavo di spostare la testa per permettergli di entrare in modo meno distruttivo ma non c’era modo, lui si era ancorato alle mie tette, sentivo le dita affondare nelle morbide carni che usava per darsi lo slancio per entrarmi dentro, continuò e continuò senza sosta, i rumori che emettevo erano orribili e il trovare aria quasi impossibile fino a che non lo sentii affondare e rimanermi dentro, ero completamente asfissiata, tappata, lui restava piantato e dava piccole spinte in profondità, inizio a mollarmi violenti schiaffi sulle tette, mi bruciavano terribilmente, aveva mani grosse e ruvide che sembravano incidere la pelle delicata poi si fermo, i mie capezzoli stretti fra le sue dita come morse, avrei urlato se avessi potuto, sentivo la sua sborra schizzarmi direttamente in gola e scendere densa per il collo mentre la mancanza d’aria stava avendo il sopravvento su di me poi si tolse di botto. Respiri profondi, disperati, ossigeno finalmente, mi sentivo stordita, la gola in fiamme, il seno dolorante, la testa che girava e il ventre, non so, il ventre era strano ma non capivo ma poi sentii una mano infilarsi fra i miei capelli, mi venne tirata su la testa, era Pamela, sorridente:
“guarda amore, guarda cosa ti sto facendo”
Vidi il mio ventre, era incredibile, ero gonfia in modo assurdo, sembravo incinta di 5 mesi:
“ora te lo tiro fuori, senza sgonfiarlo”
Sentii quelle parole ma non ne afferrai il senso, ero spiazzata, ero spaventata, la donna mi lasciò la testa che ricadde all’indietro, subito un cazzo venne a bussare alle mie labbra, meccanicamente gli feci spazio e per mia fortuna trovai un uomo che non voleva sfondarmi, la gola mi bruciava ancora da matti ma lui si limitò a scoparmi con mezza asta in modo neanche troppo violento, socchiusi le labbra e inizia a succhiare per agevolare il suo orgasmo quando sentii la fica aprirsi come mai prima. Pamela stava lentamente tirando indietro il cazzo di gomma che avevo dentro che ora si era trasformato, grazie all’aria che ci aveva spinto dentro, in un pallone con il diametro di un CD. Mi dimenticai completamente della bocca, ero terrorizzata, sentivo la pelle del sesso tendersi, come stridere, ero certa che si stesse per strappare, ero certa che mi avrebbe squartata ma la donna sapeva il fatto suo, fece tutto con lentezza metodica, senza strattoni, senza mai esagerare, lavorò i tessuti delicati della fica con calma, sentivo le sue dita massaggiare la pelle tesa a contatto con il pallone, sentivo che passava sulla carne che percepivo tirata all’estremo. Il dolore era pazzesco urlavo disperatamente per il piacere del quarto uomo mentre fitte lancinanti mi arrivavano dalla fica dilaniata. Quando lo sperma mi venne versato in bocca non mi accorsi neanche, non so se lo ingoiai ma ricordo bene le mani del quinto uomo che mi afferrarono la testa ai lati per fermarla, non riusciva ad infilarmi il cazzo in bocca tanto mi sbattevo disperata. Pamela continuò tranquilla il suo lavoro di dilatazione mentre io riempivo la stanza con il suono della mia disperazione tanto che l’uomo che mi scopava la bocca si stufò e decise di piantarmi il cazzo in gola per azzittirmi così che potei esprimere il mio dolore solo mentre riprendevo fiato fra un affondo e l’altro.
Sentivo la gomma comprimersi per uscire dal mio buco che non voleva saperne di allargarsi più di così, se me lo avessero chiesto avrei giurato che la fica mi si fosse strappata in più parti, ci volle un tempo che ricordo come infinito e poi sentii il pallone schizzarmi fuori improvviso proprio mentre l’uomo eiaculava piantato nella mia gola. Urlai talmente forte che spinsi il suo cazzo fuori assieme a buona parte del suo sperma che mi ricadde sul viso andandosi a mescolare con le lacrime. Mi dibattevo disperata sentendomi come vuota, il sollievo era incredibile, alzai la testa sconvolta trovando Pamela che sorridente teneva quell’enorme affare che mi aveva appena fatto passare dalla fica:
“Tania, questo non vale, hai sputato tutto il suo nettare, dovremo rifarlo”
Non so se capii esattamente le sue parole, ricordo solo che rimasi sconcertata nel guardare l’arnese che mi era stato strappato fuori dalla vagina. Era li, nelle mani di Pamela, ancora gonfio, era grande come un pallone da rugby.
Sorridendo sadica si alzò dallo sgabello che allontanò, si avvicinò al carrello, io dovetti abbassare la testa, il collo non riusciva più a sostenerla, ci fu un attimo di pausa mentre lei preparava non so cosa e mi trovai a pensare che non ero neanche a metà della prova e le cose sarebbero di certo peggiorate, mi trovai a pensare che forse non ce l’avrei fatta, che forse avrei dovuto arrendermi ma poi, proprio mentre questa idea si faceva spazio in me mi sentii come osservata, voltai lo sguardo, il dottore mi guardava con i suoi occhi magnetici e io, io, io non volevo deluderlo, io non volevo perdere. Mi sentii la testa afferrata bruscamente e alzata, la mia boia era tornata, aveva indossato un fallo di media dimensione che ora le penzolava davanti al sesso, teneva in mano l’altro fallo che aveva sgonfiato e che era tornato alle dimensioni normali, fece in modo che io vedessi bene tutto, che capissi, poi:
“se non vuoi arrenderti, Tania, io continuerei la prova”
Fissai gli occhi nei suoi e quando mi lasciò la testa la abbassai lentamente, chiusi gli occhi ed aprii la bocca. Da quel momento tutto divenne confuso, sentii un pene sprofondarmi in gola mentre in rapida successione mi venne spinto nella fica il dildo gonfiabile che entrò senza problemi e nel culo il fallo attaccato alla vita di Pamela. Cercai di sbocchinare al meglio di cui ero capace per arrivare alla fine della prova nel più breve tempo possibile e in effetti ci vollero pochi minuti perché mi potessi gustare un’altra dose di sborra calda ma ci vollero anche pochi minuti perché mi sentissi già ingombra. Ero abituata al sesso anale ormai, il mio fratellino mi aveva presa in quel modo non so quante volte e cmq, da quando mi ero messa al servizio del dottore, diversi erano gli uomini che avevano avuto il mio culo in totale libertà ma questo non cambiava il fatto che un cazzo nell’ano occupa posto e quindi che il dildo gonfiabile era divenuto molto ingombrante ancora più in fretta. Quando sentii il sapore dello sperma un’altra volta avevo già il ventre che tirava e il continuo stantuffare di pamela nel secondo canale aumentava la sensazione di ingombro del grosso pallone incastrato dentro di me. Il cazzo nel culo lo spingeva qui e la, la sodomizzazione a cui ero sottoposta smuoveva in continuazione la grossa massa nel mio sesso.
Era una vendetta, chiara, semplice e lineare. Avevo inculato selvaggiamente quella bellissima donna per far si che passando attraverso il suo culo venissero rimestate le puntine che aveva nella fica e lei, a suo modo, stava facendo la stessa cosa me.
Pamela questa volta però continuò a pompare per un tempo infinito, avevo i crampi, non solo mi tirava la fica ma anche la pancia, mi sembrava che la pelle si tendesse e il fallo nell’ano strideva nel suo avanti indietro dentro il mio buchino divenuto strettissimo.
Sperma mi veniva servito in bocca in quantità, la mascella mi faceva male ma era nulla in confronto a quello che sentivo sotto. La donna continuava a pompare aria. Tutto si sfuocò, diverse volte, urlando, devo aver sputato sperma, ne avevo i capelli intrisi, li sentivo pesanti ma nuovi cazzi mi venivano sempre offerti nel mio disperato tentativo di berne dieci poi sentii la voce stupita della donna:
“ohhhh, credo che non ne entri più, la pompetta e diventata durissima, non riesco più a premerla, ora dovremo tirarlo fuori”
“no, no, ti prego, mi uccidi, è troppo grosso, mi squarti”
“quindi ti arrendi???”
Alzai la testa, la guardai, era inebriata, euforica, tutto il suo sadismo si era liberato, era affamata delle mie urla, abbassai la testa, aprii la bocca e attesi. Ripresi a succhiare, leccare mentre attendevo, disperata, che il grosso oggetto mi fosse estratto a forza, ero certa che non fosse possibile ma non volevo cedere. Pamela, invece di tirarlo fuori come la prima volta, usò una grossa cinghia per legare il fallo che aveva alla cintura parallelamente a quello gonfiabile e poi riprese a sodomizzarmi ottenendo di muovere tutti e due gli oggetti assieme. Indietreggiava fino a lasciarmi solo la cappella nel culo e facendolo mi sembrava che mi stesse strappando la fica, la sentivo dilatarsi, tendersi, faceva un male lancinante, come se mi scopasse con delle lamette e poi riaffondava e ricominciava da capo. In breve prese un ritmo forsennato, sentivo il mio buco aprirsi, tendersi e poi richiudersi per quanto possibile, il cazzo nel culo scivolava molto a fatica per l’enorme pressione e mi bruciava da matti ad ogni movimento mentre sperma mi finiva fra le labbra.
Il dolore era forte e io urlavo senza controllo, quando me ne accorgevo cercavo di resistere e deglutivo tutto ma spesso lo sperma lo sputavo assieme alla mia disperazione, ero certa di aver già superato i venti pompini ma la prova non sembrava avere fine. Pamela continuava il suo scatenato stantuffarmi senza sosta, ero sudata, sfinita, stremata e stordita.
Tutto il mio corpo era pulsante di dolore, la fica bruciava come lava ma poi lei staccò i due falli, uscì dal mio culo senza che sentissi differenza e iniziò a tirare il grosso pallone per farlo uscire. Ora aveva i capelli sciolti, la lunga chioma le fluttuava intorno al volto sudato e trasfigurato dalla lussuria, aveva perso il controllo e continuava la sua lenta opera atta a spalancarmi la fica come non era umano fare. Tirava forte ma era troppo grosso e io ero certa che sarei svenuta, sentii una mano afferrarmi sotto la testa e sostenermi, un pene entrarmi in gola e un’altra mano sotto il mento a tenermi chiusa la bocca, lo scorrere della calda carne fra le labbra, le grida sommesse per l’impossibilità di aprire la bocca, il dolore che mi invadeva ovunque, Pamela che tirava ormai senza controllo, urlava anche lei senza ritegno:
“daiiiiii, esci, maledetto cazzo di gomma, esci fuori e spana la fica di questa troia bastarda, voglio che non torni più la stessa, voglio sfondarla tanto che si ricordi di me ogni volta che qualcuno la inculerà perché mettendoglielo nella fica non sente nulla…”
Il sesso mi si stava aprendo in modo disumano e poi sperma, ancora, nella mia gola, lo avrei sputato se avessi potuto ma le mani mi serrarono e dovetti deglutire, fino all’ultima goccia e quando la sentii colare nella gola tutto si fermò. L’uomo uscì da me ma mi rimase vicino, sentii il dildo sgonfiarsi velocemente, il dolore sparire per lasciare spazio al sollievo poi sentii quel diabolico affare venirmi estratto e fui vuota. Respiravo pesantemente, ero un bagno di sudore, la faccia ricoperta di sperma, distrutta, aprii gli occhi e mi resi conto che l’ultimo uomo che mi aveva avuta era il dottore, era lui li vicino a me, lui il decimo che deglutii, il dildo che mi aveva torturato nelle sue mai, lui lo aveva sgonfiato, lui lo aveva estratto, Pamela lo guardava inferocita ma il mio padrone la fissava indifferente e con tono basso e deciso:
“Tania ha superato la prova, ora una pausa di tre ore poi la gara continuerà”
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CAPITOLO 14
Fui accompagnata nella mia stanza da qualcuno, adagiata sul letto e lasciata sola, intorno a me solo silenzio e il ticchettio di un orologio che scandiva il tempo che mancava al riprendere di quella gara che aveva raggiunto limiti inaspettati. Rimasi immobile, riflettevo, riflettevo sul fatto che avrei perso se il dottore non fosse intervenuto e forse sarebbe stato meglio, almeno ora la gara sarebbe finita. Certo avrei dovuto pagare per la mia sconfitta con chi sa quale sconcia perversione ma poi alla fine era così importante? Non era ormai quella la mia vita, schiava di un accordo che aveva fatto di me un mero corpo atto a soddisfare le perversioni altrui? In dormi/veglia quel pensiero rimbalzò nella mia mente per lunghi minuti, ero esausta, distrutta, lo strato di sperma che mi ricopriva il viso si andava raddensando e mi tirava la pelle. Quando mi ridestai completamente erano passate più di due ore e mezza, indolenzita mi alzai, lo specchio davanti a me mi restituì l’immagine di una donna sfatta e la cosa non mi piacque affatto, era vero che ormai ero solo una schiava ma era anche vero che la situazione nasceva da una mia scelta e poi, il dottore era intervenuto, perché? perché non aveva lasciato che perdessi la gara? Mi alzai, decisa, se questo era il mio ruolo lo avrei ricoperto nel modo migliore possibile e poi Pamela, ora non la vedevo più come prima, aveva perso il suo potere, la sua eleganza ai miei occhi. Il suo perdere il controllo durante la mia prova la diceva lunga su quella donna e a me non andava di perdere una sfida contro di lei. La doccia mi attendeva, era ora di prepararsi per far proseguire il gioco del padrone. Il vapore dell’acqua bollente mi restituì allo specchio con un’immagine che mi piaceva molto di più. Il viso, ora perfetto e pulito, risaltava grazie alla sottile linea rosso scuro che ricopriva le labbra morbide andando in pandan con la pelle olivastra e perfetta. La cornice fatta dai capelli ramati, lisci che arrivavano vino alla schiena era perfetta per il trucco sottile ma allungato che avevo dato agli occhi contornandoli di scuro, di nero. I mie ventitré anni spiccavano impetuosi sul mio fisico snello come dimostrava il seno non abbondante ma sodo e teso, le grosse areole scure completavano la perfezione della scena. L’orologio chiamava, mi vestii e sicura di me mi diressi verso la stanza della prova dove gli altri, compresa la mia sfidante, attendevano ansiosi. Appena raggiunsi il mio posto il dottore si alzò e con tono sicuro:
“è mia opinione che la gara fino a questo momento si sia svolta in totale parità quindi sarò io a scegliere la prossima prova per entrambe in modo da uscire da questa situazione di stallo. La prova si svolgerà contemporaneamente per tutte e due le concorrenti che dopo aver sentito la mia scelta potranno decidere se parteciparvi o se ritirarsi, ovviamente, perdendo.
***LA PARTE CHE SEGUE E’ LIBERAMENTRE ISPIRATA AD UN RACCONTO CHE LESSI TEMPO FA E CHE MI PIACQUE***
Ci muoveremo e raggiungeremo la vicina stazione ferroviaria, siamo in piena notte, le due concorrenti verranno lasciate dentro i bagni degli uomini, nude e con le mani legate dietro la schiena, un piccolo gruppo di noi attenderà sull’ingresso e avviserà chiunque dovesse entrare che le donne sono a completa disposizione per qualunque e ripeto qualunque cosa. Nessuno interverrà per nessun motivo, solo le concorrenti, arrendendosi, potranno fermare lo svolgere degli eventi. Allo scadere di due ore, se nessuna avrà ceduto, torneremo qui e procederemo ad una prova ad oltranza che porrà fine a questa gara. Le concorrenti accettano? Accettammo entrambe, probabilmente senza riflettere, senza capire ed in breve ci trovammo in ginocchio sul freddo pavimento di piastrelle di un maleodorante bagno, sole nel silenzio della notte e completamente nude. Non ci guardavamo mentre il freddo si faceva strada in noi, mentre attendevamo. Non ci volle molto perché entrasse un ragazzo, alto, grosso, capelli rasati, addosso un giubbotto di pelle pieno di spille di ogni genere, al guinzaglio un grosso alano che subito iniziò ad annusare la miriade di odori in cui eravamo immersi. Si guardò attorno un po’ incredulo poi guardò noi che eravamo a circa un paio di metri di distanza. Sorrise, legò il cane ad un termosifone e si avvicinò a me, mi prese per i capelli e mi trascinò di forza addosso a Pamela dicendo:
“beh, cmq dovevo pisciare”
Ci costrinse in ginocchio spingendoci i visi uno accanto all’altro, le guance a contatto, gli angoli della bocca a sfiorarsi:
“forza puttane, aprite la bocca” tirò fuori l’uccello flaccido e dopo pochi secondi ci inondò i visi di calda urina dall’odore disgustoso, guidò il getto per annaffiarci bene i visi e poi fece si di riempirci ben bene le bocche fino a far tracimare il giallo liquido dalle nostre labbra.
Finito, con l’uccello ancora gocciolante, ci chiuse le bocche con le mani costringendoci, a malincuore, a deglutire la sua urina mentre rideva. Avendoci li a portata di mano, non appena le nostre bocche furono libere, ci presentò il suo pene da ripulire, entrambe ci affannammo a soddisfarlo consce che fare un pompino era il meglio che ci potesse capitare durante quella gara. Il membro si irrigidì man mano che passava dalle mie labbra a quelle di Pamela fino a diventare turgido, svettava in mezzo a noi che lo coccolavamo con le lingue che non potevano fare a meno di incrociarsi. Il ragazzo, mentre si godeva le nostre attenzioni, prese a torturarci un capezzolo a testa, li stringeva forte e li torceva, faceva male ma era sopportabile. Noi due, a turno, ci infilavamo la sua asta in gola il più possibile donandogli un veloce su e giù, mentre una lo teneva in bocca, l’altra si occupava dei testicoli. Ad un certo punto lui iniziò a torturare i capezzoli che avevamo vicini, li tirò fino a che non riuscì a sovrapporre quello di una sull’altro e a stringerli assieme in una stessa mano e poi, come avesse avuto un’illuminazione, si ritrasse alle attenzioni delle nostre labbra e si accucciò davanti a noi con un sorriso sadico sulle labbra. Stacco una spilla tonda dal suo giubbotto e con ancora i nostri capezzoli stretti assieme nella sua mano, li perforò entrambe da parte a parte assicurandoli assieme e chiudendo la spilla. Il metallo ci attraversò lento mandando dolori forti, pungenti, in tutto il corpo mentre ci mordevamo le labbra per resistere. Appena finito prese una seconda spilla e con la stessa lentezza la infilzò nell’altro capezzolo di Pamela che mentre resisteva, tesa, sudata, appoggiò la fronte alla mia mentre mugolava il suo dolore. Finito con lei, ovviamente, tocco a me e all’altro mio capezzolo. Lo prese fra due dita, lo tirò forte, allungandolo e poi, con la solita, lenta, sadicità, lo perforò da parte a parte. Il dolore fu forte e per resistere, senza pensarci, mi trovai a gettarmi sulle labbra di Pamela per un profondo, intenso e bagnato bacio a bocca aperta, lingua che si intreccia su lingua mentre gemiti di dolore e di piacere riempivano l’ambiente. Così, nude, nella toilette di una stazione, braccia legate, seni inchiodati assieme da una spilla, ci trovammo avvolte in un appassionato bacio senza fine, come se la sensazione delle labbra che si fondono potesse cancellare il dolore. La scena dovette piacere molto al nostro aguzzino che infilò il suo cazzo in mezzo alle nostre bocche e iniziò a stantuffare finendo a volte in lei e a volte in me. La scena durò a lungo, noi ci perdevamo una nella bocca dell’altra mentre lui si perdeva nelle nostre in un miscuglio di saliva e umori. Dopo un po’, mentre sentivamo che il suo orgasmo stava per esplodere, quasi con rabbia, si stacco. Sganciò la spilla che ci teneva assieme facendoci urlare e ci divise. Tirandomi per i capelli fece stendere me a terra, la schiena a contatto con tutto lo schifo che ricopriva quel freddo pavimento, solo le braccia legate a dividermi dalle piastrelle gelide, mi allargò le gambe e tirò la testa di Pamela sul mio sesso, mettendola a quattro zampe e costringendola a leccarmi la fica. Pamela non si fece pregare e iniziò un minuzioso lavoro di lingua che mi fece ululare subito di piacere mentre il ragazzo spariva dalla nostra visuale. Pochi secondi dopo, mentre la lingua di Pamela entrava in profondità nel mio sesso bollente, restai sgomenta mentre il muso del grosso cane appariva da sopra la schiena della mia rivale che emise un suono soffocato mentre la sua faccia, non potendo usare il supporto delle braccia, veniva schiacciata di peso sulla mia fessura dalla mole del cane. Le grosse zampe anteriori penzolavano sui fianchi di Pamela mentre il cane, spasmodicamente, cercava la via del suo sesso con possenti colpi di reni. Ci impiego un po’, forse aiutato anche dal suo padrone ma poi, mentre Pamela lanciava un urlo agghiacciante, il suo grosso sesso animale sprofondò di botto in lei sottoponendola ad una cavalcata dal ritmo allucinante come solo un’animale può fare. Il ragazzo riapparve mentre gli urli della mia avversaria si soffocavano nella mia fica, si mise a cavalcioni sulla mia testa, con il culo rivolto verso l’altra donna e mi infilò il grosso cazzo in gola spingendolo fino in fondo. Non so quanti minuti durò, non credo molti ma trascorsero con una lentezza estenuante. Avevo la gola piena, il ragazzo si era piantato in me in profondità e mi scopava velocemente senza mai arretrare troppo così che riuscivo a respirare veramente poco, ogni tanto poi si sedeva di peso spingendomi il suo coso tanto in fondo da farmi sentire un gran dolore alla gola che faceva fatica ad ospitarlo. Tra le mie gambe, sulla mia fica bagnata e aperta, si perdevano le grida di Pamela che a bocca aperta, con la lingua di fuori, colando bava, subiva le attenzioni dell’alano che trovata la via per la sua fica, non aveva mai smesso di stantuffarla in modo spietato, velocissimo mentre si ancorava con le grosse zampe alle sue carni lasciando lunghi graffi rossi sulla pelle perfetta. Animale e padrone godettero assieme di noi, l’uomo, con un ultimo, spietato, affondo nella mia bocca dolorante mi getto lunghi getti di sperma direttamente nello stomaco facendomi tossire ripetutamente mentre il suo liquido mi strozzava e mi usciva anche dal naso. L’animale, eiaculò il suo liquido nel ventre di Pamela tanto che dopo un po’ iniziò a colarle per le cosce. I due si godettero la situazione fino alla fine, il cazzo mi rimase in gola tanto che credetti di svenire ma poi, per fortuna, si afflosciò lasciandomi libera di respirare mentre alle spalle di Pamela che ancora leccava, senza controllo, la mia fica, il cane, con la sua lingua ruvida, le strappava altri gemiti ripulendo il suo stesso sperma mescolato agli umori della donna, dalla sua vagina. Alla fine il ragazzo si rivestì, prese al guinzaglio il suo compagno e, soddisfatto, uscì dal bagno lasciandoci li, a terra, sfatte, in un miscuglio di sperma e urina.
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CAPITOLO 15
Questa paradossale gara si era protratta troppo a lungo, sfatta, a terra in un miscuglio di urina e sperma, con la mia rivale al fianco mi ritrovai a pensare all’assurda situazione che stavo vivendo. I respiri pesanti risuonavano all’unisono facendo alzare e abbassare lentamente i nostri ventri nudi. Che senso aveva tutto questo? A cosa serviva giungere a tali estremi? Per dimostrare cosa? Eravamo sfinite, non vi era più energia in me ed ero certa che non ve ne fosse neanche nella mia compagna, i contorni del mondo che ci circondava iniziavano a sbiadirsi, offuscarsi mentre la stanchezza prendeva il sopravvento sulla volontà. Fu in questo stato che, come lontane, udii voci:
“via via, svelti” “cazzo, ma le lasciamo qui?” “non c’è tempo” “aspetta, Pamela, almeno lei, non ce lo perdonerà mai” “ci penseremo poi, cazzo, svelti” “fermi, che succede, fermi”
Tutto diventava sempre più indistinto:
“ma che cazzo di puttanaio, guarda qui” “dai, carichiamole” “le portiamo all’ospedale?” “non so, carichiamole e vediamo come sono messe”
Stoffa asciutta sulla mia pelle nuda, mani caldi in contrasto con il lercio pavimento gelato, leggera, quieta, vinta, finalmente. Persi i sensi o mi addormentai? non saprei dire come, non saprei dire per quanto tempo ma quando mi destai ero avvolta dal calore, ci impiegai un po’ per ambientarmi e rendermi conto che ero distesa su un divano, a coprirmi una rozza ma pesante coperta, appena cercai di muovermi fitte mi percorsero tutto il corpo risvegliando i ricordi della gara, delle torture. Lentamente mi misi a sedere, avevo indosso un lungo camicione e null’altro ma soprattutto avevo una sete incredibile ma dove mi trovavo? Un ufficio, una scrivania dozzinale su cui ronzava pigro un vecchio computer, fogli in quantità, cartoleria varia, una sedia girevole con un alto schienale e alle sue spalle, appesi in preciso ordine, una lunga serie di calendari, di quelli dei carabinieri, con il cordoncino a rilegarli. Un armadietto in metallo, una cassettiera e poco altro. La porta si aprì lasciando entrare una lama di luce che rischiarò la penombra dell’ambiente, entrò un uomo abbastanza alto, fisico atletico, in divisa. I miei occhi ci misero un po’ ad abituarsi alla nuova luce, il volto dell’uomo si mise a fuoco lentamente in lunghi secondi e rimasi a bocca aperta quando lo riconobbi:
“Ciao Tania, come ti senti?”
Le parole non mi uscivano dalla bocca, confusa muovevo le labbra senza emettere rumori e poi:
“acqua per favore” davanti a me c’era Marco, il mio ex, l’unico uomo che avessi amato in vita mia. Rispose alla richiesta con un sorriso, andò all’armadietto e tornò con un bicchiere di plastica colmo d’acqua che mi porse alle labbra aiutandomi a bere. Stordita non mi mossi lasciandomi imboccare e mentre deglutivo lui iniziò a parlare:
“è parecchio che non ci vediamo e non pensavo certo che ti avrei rincontrata in questo modo, sei stata trovata da due miei colleghi nei bagni della stazione ferroviaria, tu e un’altra donna di nome Pamela. Siete state portate qui, eravate entrambe coperte di ecchimosi ma nessuna delle due richiedeva cure mediche quindi vi abbiamo coperto e vi abbiamo lasciato riposare. Pamela, non so se la conosci, si è ripresa prima di te, circa quattro ore fa, non ha voluto dirci che cosa vi sia successo e non ha voluto sporgere alcuna denuncia, per quanto abbiamo insistito se ne è voluta andare e io non avevo motivo di impedirglielo. Ora immagino che tu sia un po’ stordita, non so cosa ti sia successo ma facendo il lavoro che faccio di cose strane ne ho viste tante e dalla reazione dell’altra donna una mezza idea di cosa sia successo me la sono fatta quindi ti vorrei fare poche, brevi, domande a cui vorrei che rispondessi se puoi”
Era vero, ero stordita e lui non mi stava lasciando il tempo di raccogliere le idee, la mia situazione era strana e non mi ero mai soffermata a pensare se fosse legale, mille dubbi mi sommersero in quel momento mentre Marco, con quel suo solito sguardo sicuro che ricordavo ancora così bene, continuava la sua requisitoria:
“sei stata aggredita?”
Mi dovetti costringere a distogliere gli occhi dai suoi per poter rispondere: “no”
“ti è stato fatto qualcosa contro la tua volontà?”
“no”
“vuoi sporgere una qualche denuncia contro qualcuno?”
“no”
“hai bisogno dell’assistenza che posso darti come colonnello dei carabinieri?”
“no” ogni volta la mia voce si affievoliva un po’ mentre mi sentivo sempre più come una bambina davanti a quell’uomo nella sua divisa immacolata. La scena era piuttosto umiliante, lui al meglio di se, nel suo ambiente che con calma mi parlava e scrutava. Io vestita di una camicia da uomo e una coperta ruvida con il corpo ricoperto dai segni della gara e di vari liquidi fisiologici di cui alcuni appartenevano ad un alano.
“bene, per quello che riguarda il mio dovere ti ho chiesto tutto quello che dovevo e voglio che tu sappia che in ogni momento l’arma è a tua disposizione per qualsiasi necessità. Detto questo però ora vorrei farti una domanda da uomo, da amico; non so cosa ti stia capitando e non so se tu abbia bisogno di aiuto, del mio aiuto però so una cosa; indipendentemente dalle possibili situazioni, indipendentemente da motivi, cause o casualità, indipendentemente da tutto se tu avessi bisogno di aiuto e non mi ritenessi degno di essere io quell’aiuto questo vorrebbe dire che non sono neanche la metà dell’uomo che vorrei essere quindi, la mia domanda; Posso fare qualcosa, qualsiasi cosa, per te?”
Rialzai lentamente, la testa, incontrai i suoi occhi penetranti, mi facevano sentire sicura, protetta e normale, lacrime uscirono dai miei occhi in risposta alla commozione che le sue parole mi avevano fatto provare, lui sorrise tenero, speranzoso, a quelle lacrime e fu con un filo di voce che risposi:
“avrei bisogno di fare una doccia se puoi”
L’acqua bollente scorreva sul mio corpo lavando via tutto il lerciume di cui ero ricoperta, ci rimasi almeno un’ora, mi sembrava impossibile eliminare ogni traccia. La casa di Marco era carina, non grande ma arredata con gusto, la casa di uno scapolo, lo si leggeva in ogni particolare. Uscii dalla doccia, mi misi un accappatoio troppo grande per me, mi asciugai un po’ i lunghi capelli lasciandoli poi umidi a ricadere, leggermente mossi, sulle spalle. Feci qualche passo lasciando l’impronta umida dei piedi nudi sul percorso. Uscii dal bagno e mi guardai intorno, era stato un lungo periodo per me segnato solo dal mio essere usata per soddisfare le deviazioni altrui, non c’era più normalità nella mia vita ma li, in quel momento, nella penombra di quel caldo appartamento, all’improvviso mi sentii semplicemente una donna, una normalissima donna e tutto sparì, la mia vita, i ricatti, gli abusi, le scelte e le conseguenze. Tutto il peso che portavo addosso da troppo tempo mi abbandonò proprio mentre Marco appariva nel corridoio, davanti a me, senza divisa, una maglietta a delineare il fisico atletico e un paio di pantaloncini. Un normale ragazzo e una normale ragazza. Mi avvicinai a lui in silenzio, restò immobile, mi avvicinai tanto da appoggiare la testa china al suo petto, le sue braccia forti, calde, mi cinsero con dolcezza, ancora lacrime dai miei occhi, mi ero resa insensibile in quell’ultimo periodo, insensibile per superare tutto quello che accadeva e ora… ora mi stavo crepando, fragile stavo per esplodere, un groppo in gola, ancora lacrime a lavare le lacrime.
Aveva capito qualcosa, non sapeva cosa mi stesse succedendo ma aveva intuito che qualcosa c’era ma non fece domande, rispettò le mie scelte con il silenzio, mi abbracciò e basta per lunghi minuti dandomi calore, dandomi affetto, dandomi quello di cui avevo bisogni e scoppiai, piansi a dirotto come una bambina disperata, rumorosamente, a lungo, lasciai che le lacrime scendessero lungo il mio viso fino a depositare il loro amaro sapore sulle labbra. Approfittai del riparo insperato che avevo trovato in quella buia sera per lasciare, finalmente, che tutto il mio dolore si mostrasse e lui non si mosse di un millimetro, come un caldo rifugio che avrebbe resistito ad ogni tempesta mi accolse e mi tenne a se fino a che non mi calmai, non mi rilassai e non mi svuotai e il rumore della tempesta che avevo dentro di me smise di fare paura. Alzai la testa, trovai il suo volto sereno, ispirai profondamente e poi, per la prima volta da quando ci eravamo incontrati, parlai io:
“non posso spiegarti, non posso accennare, non posso farti capire, l’unica cosa che posso dirti è che è tutto per mia scelta e che mi va bene, è giusto, è necessario ed è importante ma sono stanca, sfinita, logorata ed avrei un gran bisogno di normalità, di calore, di amore.
Marco, se puoi, se ti va, se te la senti, ti prego, amami”
“io non ho mai smesso di amarmi, non eravamo affini, compatibili ma dal mio cuore non sei mai uscita”
Le sue mani lasciarono le mie spalle, risalirono accarezzando i rossi capelli ancora umidi, li scostò con i pollici fino a liberarmi il viso e poi appoggiò le labbra alle mie in un morbido, intenso bacio mentre l’accappatoio scivolava a terra lasciando scoperto e nudo il mio dono a quell’uomo che mi aveva donato una rosea parentesi di normalità nel grigio del mio essere un mero oggetto atto a soddisfare capricci. Facemmo l’amore con passione, con intensità, dopo tanto sesso, tanta depravazione la naturalezza con cui quei gesti intimi nacquero fra noi mi lasciò quasi stupita. Un fuoco intenso mi pervase mentre gli sfilavo la maglietta, la mia lingua percorse quel corpo muscoloso con avidità, con le mani lo spinsi contro la parete del corridoio e iniziai a scendere lentamente fino a trovare un suo capezzolo che ingoiai famelica leccando avidamente, la punta della lingua titillava quello scuro bottone mentre la mano, piccola e morbida, scendeva sul suo addome fino ad incontrare i pantaloncini, forzai un po’ la mia spalla per trovare lo spazio ed infilare le dita che subito incontrarono la sua cappella bollente, alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi mentre la mano scivolava sull’asta e nel momento in cui la afferrai forte mi gettai ancora fra le sue labbra, la lingua nella sua bocca mentre con forza stringevo e scorrevo verso il basso e poi in alto segandolo mentre lui ricacciava la mia lingua per affondare in me con la sua. Scorrevano le mie unghie sul suo petto mentre sentivo il cazzo pulsarmi in mano, la saliva colava dal nostro bacio. Non riuscivo a staccarmi da lui, dal quel suo volermi amare così intenso, così reale, mi sentivo un incendio dentro. Improvvisa gli calai pantaloncini e boxer d’un colpo, osservai la sua asta possente ergersi e puntare verso di me, mi allontanai maliziosa mordendomi un labbro fino a trovare con la schiena l’altro lato del corridoio, scivolai piegando le gambe e acquattandomi, spalancai le cosce per fargli spazio, la mia fica, esposta, colava letteralmente umori a terra e guardandolo negli occhi spalancai la bocca più che potevo, invitandolo a farsi ingoiare. Restò fermo un istante, quasi incredulo poi si avvicinò piano fino a che la sua cappella non fu proprio di fronte alle mie labbra, non mi mossi, non distolsi lo sguardo e finalmente la sentii appoggiarsi, la sentii sulla punta della lingua, entrare e la accolsi leccandola, succhiandola. Ne saggia il sapore di uomo, la esplorai cercando il frenulo, percorrendolo per poi risalire e girarci intorno, trovai il buchino, lo stimolai con la lingua e poi lo succhiai forte facendolo ululare di piacere. Mi vietai di usare le mani mentre lo pompavo con passione, mentre lo sentivo gonfiarsi ma era presto per farlo godere, volevo ancora dargli tanto e inizia ad avanzare, lo feci entrare in me, con uno sforzo ormai abituale sentii la sua cappella toccare e superare l’ugola, sentii l’aria diminuire ma per la prima volta fu con piacere che lo lascia penetrare fino a gonfiarmi la gola, fino a tapparmi fino a che anche l’ultimo millimetro non fu in me e solo allora alzai lo sguardo per incontrare i suoi occhi stupiti. Ero orgogliosa di me. Raggiunsi i suoi fianchi con le mani e lo feci indietreggiare un po’ solo per poi farlo riaffondare, ancora indietro e poi dentro fino a che non si rilassò, fino a che non capì che poteva farlo, che volevo che lo facesse, che desideravo lo facesse, fino a che sentii che mi sfondava la gola senza più preoccuparsi di rompermi, di danneggiarmi e allora lo spinsi indietro. Sorridente, gli occhi negli occhi, con sguardo di sfida gli presi le mani, le portai alla mia nuca in modo che mi afferrasse bene e spalancai ancora la bocca portandomi le mani dietro la schiena. Impiegò qualche secondo a capire il mio invito e poi:
“sicura?”
Io sorrisi, a bocca aperta, per questo uomo che desiderava ma non rubava, che desiderava più il mio bene di quanto desiderasse con il pene:
“si, si, ti prego si, mille volte si”
Mi scopò la bocca con forza, all’inizio ancora titubante poi, resosi conto che potevo accettarlo, con sempre maggio forza, vigore fino a non aver più remore, fino a lasciarsi andare completamente ma si fermava, prima di perdere il controllo si fermava per guardarmi, per assicurarsi che tutto andasse bene tanto che dovetti sgridarlo:
“se ti fermi ancora giuro che ti mordo” lo dissi arrossendo, facevo la dura ma mi sentivo così insicura, lo avevo fatto decine di volte ma non avevo mai voluto, desiderato farlo e non sapevo come farglielo capire: “ti prego, giuro che se dovesse servire ti fermerò io” lo dissi con tanta sincerità che mi credette.
Lo lascia fare mentre sentivo la gola spalancarsi, mentre quel dolore che spesso avevo subito diventava un dolore desiderato, un dolore che mi eccitava sempre più, felice di essere quello che ero senza essere costretta ad esserlo. Continuammo per più di due ore, mi scopò con forza, con passione, con amore, mi fece sentire donna e mi fece sentire amata tanto che, sentendo che stava per svuotarsi nella mia fica, sdraiato sopra di me, sdraiato fra le mie gambe spalancate, mentre mi baciava con passione:
“aspetta, aspetta, voglio farti felice”
Stupito si fermò: “ma tu mi stai facendo felice”
“Posso farlo di più, posso darti quello che hai sempre voluto, è il minimo”
Lo feci alzare un po’ e poi tirai indietro le gambe fino a mettere i piedi, incrociati, dietro la testa, le lunghe sessione con in miei aguzzini mi avevano fatto diventare molto snodata.
Con le mani gli afferrai il cazzo e poi lo guidai verso il mio buchino che ricordavo desiderava tanto. Lui, inebetito mi guardava stupito. Utilizzando gli abbondanti succhi della fica gli lubrificai il cazzo e lo tirai a me, sentii la cappella incontrare il buchino per poi affondarci docilmente, mi godetti l’asta tesa che scivolava nel mio ano centimetro dopo centimetro tirandosi dietro il padrone fino a farlo cozzare contro le mie chiappe:
“non trattenerti, ti prego, fallo come vuoi, finché vuoi, lo desidero infinitamente, voglio darti tutto quello che posso, sodomizzami senza alcuna remora, dammi il peggio di te, non vi è cosa che desideri di più in questo momento” e lui mi sodomizzò a lungo, senza cattiveria ma con passione, in modo profondo, in modo forte ma anche in modo amorevole. Lasciai che mi sfondasse il culo per non so quanto tempo e in non so quanti modi e alla fine, quando mi stappò puntando verso la mia bocca per eiaculare, mentre, avida, succhiavo la sua sborra fino all’ultima goccia lo specchio di fronte a noi mi rimandò l’immagine del mio ano aperto e dilatato che tardava a richiudersi e questo mi fece sorridere soddisfatta di me. Ci addormentammo sudati e sfiniti ma al risveglio io non c’ero più, dovevo tornare alla mia vita, alle condizioni che avevo accettato.
Erano passate tre settimane da quella notte infuocata, ci stavo ancora ripensando mentre triste tornavo a casa dopo aver passato il pomeriggio dal dottore, non avendo bisogno di me mi aveva dato alla servitù che mi aveva usata per sei ore a piacimento fra scopate, inculate e torture di ogni genere. Avevo le tette in fiamme, la cuoca si era divertita a colpirle un centinaio di volte per mammella con un cucchiaio di legno, diceva di volerle ammorbidire e avevo una gran sete, dovevo aver ingoiato almeno un litro di sperma quel pomeriggio e mi sentivo la bocca impastata. Prendendo la posta dalla cassetta notai che c’era una lettera consegnata a mano e indirizzata a me, dentro un foglio con poche parole:
“ti stanno ingannando, posso aiutarti, credimi. Marco”
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E’ PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN’OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 16
“mmmm, mmmm, mmmm, mmmm, mmmm” non riuscivo a gemere liberamente, mio fratello mi teneva con una mano dietro la nuca e con l’altra mi tappava la bocca. Non voleva che facessi rumore mentre, nuda, ero a cavalcioni su di lui che con ritmici e possenti colpi di reni mi infliggeva affondi pesanti nella fica. Doveva parlare con mio padre, era dietro di me, non lo vedevo ma sentivo la sua voce, si stavano organizzando per il viaggio che avrebbero fatto in giornata. Mi teneva la faccia un po’ girata verso un lato in modo che non potessi guardarlo mentre tranquillamente mi scopava e chiacchierava ormai già da una buona mezz’ora. Era arrivato in camera che ancora dormivo, come da ordini ero sempre completamente nuda in modo da essere pronta all’uso, mi aveva spinta da un lato del letto, si era steso al mio fianco e mi aveva tirato sopra di se impalandomi la fica asciutta senza troppe attenzioni. Quella penetrazione ruvida mi aveva destata rapidamente, avevo appena fatto in tempo a metterlo a fuoco che mi ritrovai la sua lingua in bocca. Venni coinvolta in un profondo bacio che ricambiai automaticamente, mi strinse a se e iniziò a chiavarmi mentre mi sussurrava in un orecchio:
“sono venuto un po’ in anticipo che poi dobbiamo andare, ti chiavo un po’ finché non arriva papà, non vorrei che scopassi troppo poco oggi. Ti dovremo scopare in due questa mattina, sai, il dottore ci tiene che ogni tua giornata inizi e finisca con il sesso ma visto che poi partiremo e che questa sera sarai sola ci è stato dato il permesso di scoparti in due questa mattina così avrai la dose per tutto il giorno e sarai apposto anche per la rata serale”
Detto questo mi aveva girato la faccia da una parte e aveva iniziato un lento andirivieni nella fica che si era allagata, aveva recuperato il telecomando e aveva acceso la TV, uno di quei canali che piace a lui con tutti servizi da uomini su come si fa questo e come si costruisce quello. Se ne stava li comodo, sdraiato, muovendo solo il bacino per limarmi la patatina mentre io, abituata, mi lasciavo andare ai miei doveri appoggiando la testa e accettando docile il suo cazzo che mi scavava e le sue mani che mi frugavano qui e la.
Piagnucolavo un po’ solo quando mi torturava i capezzoli, li adorava e aveva giurato di allungarli il più possibile quindi ad ogni seduta gli dedicava molta, dolorosa, attenzione. In effetti mio padre arrivò dopo una mezz’oretta, non lo vidi visto che la porta era dietro di me ma lui ebbe di certo una visuale perfetta del mio culo aperto e della mia fica sfondata, mio malgrado ero bollente e sentivo gli umori colare lungo le cosce, ero certa di averne ricoperto anche il cazzo che avevo dentro fino alle palle. Mio padre mi salutò distrattamente e iniziò a parlare con il figlio che subito:
“dai che è tardi, muoviti, ora facciamo sul serio, io voglio partire”
e fu con quelle parole che i suoi affondi divennero cattivi, violenti e che io incomincia a gemere forte, fu in quel momento che mi chiuse la bocca con la sua mano costringendomi ad un sommesso:
“mmmmmm, mmmmmm, mmmmmm, mmmmmm”
Mentre il piacere mi avvolgeva sentivo rumore di vestiti che scendono seguiti poi “schiaff, mmmmm, schiaf, mmmmm” due sonore sberle, mani forti, ruvide, sui miei bianchi e sodi glutei, la pelle che si scalda, che si arrossa e ora le mani mi afferrano il culo, lo aprono con forza, “ahi”, lo sento che si allarga, la rosellina in mostra, più sensibile all’aria e poi umido, bagnato, scivola sul mio ano scendendo verso la fica martoriata, la saliva sul culo poi più niente, solo una mano ad imbavagliarmi e un cazzo a scavarmi. Un rumore secco, lo schiocco di qualcosa di plastica, forse un tappo, passi poi la punta di un dito, umida, no unta, sul forellino, ci gira attorno poi penetra, tutto, un grosso dito tutto nel mio culo, è unto, mi sta lubrificando e gira, rigira, esce un po’, palpa bene tutto intorno, ma cosa sentirà dentro il mio culo? riaffonda e poi esce solo per ritornare raddoppiato, due dita tutte dentro, girano e si allargano, questo fa male, più di un cazzo, ahi, quando le allarga sento il culetto seguire la loro forma e cedere e poi esce. So già cosa sta succedendo, servizio doppio per coprire tutta la giornata aveva detto, i due chiacchierano tranquillamente dell’itinerario mentre sento le mani di mio padre appoggiarsi pesantemente sul culo, si fa posto fra le mie gambe e quelle di mio fratello, si mette comodo e sento la sua cappella turgida sbattere contro di me:
“aspetta, smetti di sfondarla per un attimo, solo un attimo o non le centro il culo”
La cappella si punta la mio buchino, spinge, penetra, “ahi”, si fa spazio, mi allarga, all’inizio è sempre strano, doloroso, andrebbe fatto piano, cerco di rilassarmi ma lui piano non fa, dicono tutti che è per il mio bene, che devo abituarmi per essere pronta a prenderlo nel culo in ogni momento ma non funziona proprio così e io sento la pelle del mio anellino tendersi, “mmmmmm”, una fitta, molto forte, come se mi si strappasse ma orma dura un attimo e lui è tutto dentro di me. Sono li, sdraiata fra due uomini, schiacciata dal loro peso, con i buchi così pieni, mi sento così dilatata, sfondata e loro, nel ricominciare a chiacchierare su quale fosse la strada migliore da seguire mi scopano forte ma così forte, senza un ritmo preciso, ogn’uno come vuole e io, in un miscuglio fra la tristezza del mio cuore e il non capire il mio corpo che ne gode mi abbandono contro la mano di mio fratello che continua a soffocare sia i lamenti che i gemiti. Non si rivolgono a me, non c’è cattiveria ne amore, è come se stessero facendo un lavoro, mi chiavano in quel modo, mi aprono per una buona mezz’ora, mi sfiniscono e poi mi riempiono entrambe i canali con la loro sborra mentre si abbandonano di peso, schiacciandomi in mezzo ai loro corpi caldi e sudati. Non hanno smesso di chiacchierare un secondo, neanche ora che si sono messi in piedi davanti a me, neanche mi guardano mentre aspettano. Un po’ indolenzita mi alzo, mi inginocchio e pulisco i loro cazzi alla perfezione, fino ai coglioni, lavandoli con la lingua e la saliva ed asciugandoli sul mio viso. La mia colazione stamani è sborra, anzi, avanzi di sborra mischiata agli umori della fica, a lubrificante e al sapore del mio ano, il tutto servito su due cazzi che mi hanno appena lasciata con i buchi che ancora sento aperti e pulsanti. Una volta finito mi salutano con il solito bacio sulla fronte e se ne vanno dicendo
“ci vediamo domani”
Sola, sarei stata sola fino all’indomani. Niente dottore, niente famiglia, niente condizioni da accettare, sola e normale, finalmente una ragazza normale. Colazione all’ora di pranzo, pigiama, dio, non credevo potesse mancarmi un pigiama ma sempre nuda è un po’ come sempre indifesa e ora il pigiama mi sembrava l’armatura di un cavaliere medievale. Alla fine alle 16 ero ancora nel divano a guardare la tv a gambe incrociate con un pacchetto di patatine giganti sulle cosce e una vecchia puntata di E.R. in TV, George, amore mio ma la mente non era con me, non riuscivo proprio ad evitare di pensarci, di pensare a Marco e alla sua lettera:
“ti stanno ingannando, posso aiutarti, credimi”
Il cellulare era li, nel cuscino affianco a me e la tentazione, la speranza, Marco, tutto era troppo forte. SMS Posso vederti? Pochi secondi, neanche il tempo di andare in ansia, di pentirmi di aver premuto invio; SMS Alle 18 a casa mia, puntuale.
Alle diciotto ero davanti alla porta di casa sua, avevo imparato ad essere ubbidiente negli ultimi mesi, lui mi aprì, non ebbi neanche il tempo di dire ciao, mi afferrò per la camicia e mi tirò a lui deciso facendomi affondare nelle sue labbra, le sue forti braccia che mi alzarono di perso per il culo e mi misero in braccio a lui mentre mi perdevo in un intenso, romantico e lussurioso bacio li sull’uscio. Risi, risi di gusto assieme a lui mentre ci sbaciucchiavamo, lasciai che mi portasse in casa e che mi adagiasse nel divano, mi dovette staccare a forza da lui e poi, stupita, mi fermò mentre gli slacciavo i pantaloni:
“aspetta, non sei qui per questo, vero?”
Un alone di tristezza e ansia mi avvolse “già”, non sono qui per questo. Lui vide il mio sguardo cambiare, lesse la tristezza in me:
“ti ho detto che posso aiutarti, fidati di me, non diventare triste, risolveremo tutto se lo vorrai”
Quelle parole non ebbero molto effetto, come poteva lui cambiare le cose, la scelta in fondo era stata mia e non avevo nessuna intenzione di rimangiarmela, come poteva salvarmi da me stessa?
“non è così semplice Marco, adoro che tu voglia proteggermi, salvarmi ma non puoi. Se vuoi, per favore, dimmi quello che sai e io ti dirò tutta la verità, la meriti”
I suoi occhi fissi, sicuri, nei miei che luccicavano un po’:
“vorresti dirmi tutta la verità? Non mi hai ascoltato? Ti ho detto, chiaramente, che posso aiutarti, posso risolvere. Ia so già la verità, non vuoi credermi? Affar tuo ma la so e non dico che sia una cosa semplice ma posso assicurarti e giurarti che è molto meno complessa di quanto tu creda.
…
Ahhhh, lo vedo dai tuoi occhi, non mi ascolti, ho giurato e io mantengo sempre la mia parola, lo sai bene, ne faccio un principio di vita ma tu, saccente ragazzina, non vuoi credermi. Con te devo dimostrare ma se andremo avanti sappi che dovrai avere molta più fiducia in me, sappi che dovrai credere in me senza avere bisogno di alcuna prova ma per ora vediamo cosa succede se ti dico che so come curare tua madre senza l’aiuto di quel sedicente dottore”
Rimasi a bocca spalancata, il mio cervello era vuoto, sapeva e diceva di poter risolvere e… e io avevo così bisogno di una luce di speranza dove vi era solo buoi. Non riuscivo a parlare, stavo li a guardarlo a bocca spalancata e questa volta non era per ingoiare il suo cazzo.
Sorrideva, aveva affondato la saccente ragazzina e sorrideva, giustamente. Provai a dire qualcosa, muovevo la bocca ma non usciva niente e lui sorrideva e mi fece cenno di tacere con il dito:
“prima, però, dimmi una cosa! Tu, Tania, vuoi l’aiuto del pubblico ufficiale che è a tua completa disposizione, in modo completamente gratuito e che farà l’impossibile per te o vuoi l’aiuto dell’uomo che potrebbe innamorarsi di te ma che dovrai ripagare?”
Finì quella frase con un tono malizioso dal significato inconfondibile e mi fece sorridere di gusto, mi sentivo così sola, abbandonata da tutti, anche da quella famiglia per cui avevo accettato tutta quella storia, avevo così bisogno di qualcuno che mi amasse.
Non potei non notare che vi era un contrasto però, dovevo ripagare, ancora, come se passassi da una gabbia ad un’altra e credo che lui se ne accorse perché smise di sorridere e parlò:
“perdonami, sono stato stupido a non pensare a quello che stai attraversando, stupido a non pensare che un mio gioco malizioso per te potesse equivalere ad una situazione simile a quella da cui ti sto promettendo di liberarti. Scusa, mi rimangio tutto, conosci i miei segreti privati ma mai e poi mai potranno essere più importanti di ciò che vuoi tu, che desideri. Mai e poi mai io ti forzerei, mai e poi mai…”
Non la smetteva più, era nel panico, gli dovetti tappare la bocca con la mano:
“shhhhh, sorrisi, ho capito, non ho frainteso, so ciò che vuoi ma so che rispetterai sempre la mia volontà, ho capito e se me lo permetti vorrei risponderti e farti una domanda:
“io voglio l’uomo ma tu, Marco, vuoi essere ripagato dalla donna che potrebbe innamorarsi di te o dalla schiava che ormai sai esserci in me?”
Ci mise un istante, rifletteva:
“Tania, voglio la schiava che potrebbe innamorarsi di me, quella che sa che se mi dicesse no a tutto mi avrebbe comunque al suo fianco, quella che mi dice si perché desidera ardentemente accontentarmi e non perché è costretta”
Mi tolse il fiato, in me c’era qualcosa che non capivo, la dominazione su di me aveva un forte fascino, un forte effetto ma la dominazione che stavo subendo mi disgustava e in quel momento, per la prima volta mi trovai ad intravedere, come di sfuggita, migliaia di sfumature diverse che potevano essere chiamate dominazione:
“sono ai tuoi ordini padrone Marco”
Marco aspettava di essere il mio padrone da anni, da quando stavamo assieme, da quell’esperienza di una notte. Marco era sempre stato convinto che in me ci fossero delle tendenze sado maso e voleva esplorare insieme quel mondo che tanto lo affascinava e lo attraeva e ora sentirsi chiamare padrone era stato come dare un calcio ad una mina inesplosa e sepolta da troppo tempo. Mi prese per le spalle, senza fatica mi alzò, mi girò e mi costrinse a novanta gradi, le mani appoggiate al divano, le gambe distese e affiancate.
Rapido sentii le sue mani cercare all’altezza della cinta, trovare il bottone dei mie pantaloni, slacciarlo per poi, d’un colpo, tirarli giù fino alle caviglie assieme agli slip neri di pizzo. Mi trovavo prona, con le chiappe nude esposte e quell’uomo alle mie spalle, quell’uomo a cui avevo appena dato carta bianca e cosa aspettarsi da un uomo che desidera provare la dominazione da una vita? Vista la posizione mi ero già rassegnata a riceve una sonora dose di sculacciate, sentii le sue mani prendere con forza i miei glutei, palparli e stringerli come appropriandosene per poi allargarli, se avessi potuto avrei divaricato le gambe per agevolarlo ma i pantaloni me lo impedivano e quindi fu con la forza che mi divaricò tanto che alla fine sentii le labbra della mia fica aprirsi lasciando libero un fiume di umori.
Tremavo appena, avevo paura e voglia e non sapevo se e quanto sarebbe stato in grado di controllarsi ma, inaspettatamente, dove attendevo che calasse la mano arrivò la sua bocca, sospirai rumorosamente sentendo la lingua lapparmi il culo con ardore, percorrere l’ano lentamente e con forza cospargendolo di saliva, forzare appena l’apertura con la punta e poi leccare ancora, insistente, scendendo sempre più in basso. Quel lavoro di lingua mi aveva messo una voglia incredibile mentre lui mi percorreva ovunque, sfiorando le grandi labbra, passando rasente al clitoride che sentivo come dovesse scoppiare, girando attorno a tutto il mio sesso per poi tornare ancora all’ano, ancora giù, ancora su.
Miagolavo come una gatta in calore, mi teneva aperta con le mani e leccava, avrei voluto spalancare le cosce ma non riuscivo e allora spingevo il culo indietro, cercavo di muovermi quando era vicino alla fica per fargliela leccare, per far si che la smettesse di evitarla, ero sfinita, piegavo le gambe e scodinzolavo speranzosa, come a supplicare e fu li che una sculacciata, forte ma veramente forte mi raggiunse. Sentii la forma della sua mano stamparsi nelle mie carni, pulsava il dolore, si allargava il bruciore facendomi eccitare ancora di più:
“stai ferma puttana”
“si padrone, perdono è che ho tanta voglia di te”
Si fermò, non potevo vederlo, sentivo solo le sue mani che mi tenevano aperto il culo ma sapevo che mi stava guardando e poi affondò tutto il viso dentro di me, la lingua si immerse nel lago che ero in mezzo alle gambe e iniziò a leccarmi come un forsennato, come un pazzo, con forza, con passione, in profondità, spingeva talmente sul clitoride che riuscivo a sentire la ruvidità della sua lingua. Urlavo come una pazza, involontariamente mi muovevo e sculettavo tanto che lui perdeva la presa e gli sfuggivo di bocca e allora mi afferrò per le cosce e mi alzò di peso. Era in piedi, completamente in piedi, le mie cosce sigillate dalle sue mani che stringevano forte e alzavano in modo che il mio culo fosse a portata della sua bocca. Con le mani mi tenevo al divano in quella strana posizione, piegata in avanti come una bambola senza volontà mentre lui, imprigionatami, attanagliò i miei orifizi con la lingua e mi leccò senza sosta fino a che, tremante, senza fiato, venni travolta da un orgasmo così violento e così lungo che quando cessò mi ci vollero almeno dieci minuti per smettere di tremare. Mi tenne sua prigioniera leccandomi per tutto il tempo dell’orgasmo, le sensazioni divennero così forti che lo implorai di smettere ma lui non mi ascoltò minimamente, solo quando anche respirare divenne difficile mi lasciò e mi fece accasciare sul divano.
Stavo ancora tremando quando lo vidi accovacciarsi vicino a me:
“è ora che ti racconti quello che ho scoperto ma devi sapere che a me piace giocare quindi le regole sono queste; quando ti sarai ripresa io mi siederò sul divano e tu, da brava cagnetta, ti metterai in ginocchio fra le mie gambe, mi tirerai fuori l’uccello e te lo infilerai in bocca. Non devi farmi il classico pompino ma solo guadagnarti il mio aiuto, le mie informazioni. Sappi che io parlerò solo quando avrai tutto la mia asta in gola, non devi avanzarne neanche un millimetro e parlerò solo fino a quando la terrai li, se la farai uscire mi fermerò e aspetterò che tu mi ingoi di nuovo per continuare. Ora riposati mia incredibile donna, per te ho tutto il tempo del mondo”
Lo guardavo negli occhi un po’ divertita per il gioco, uomini, tutti maiali ma poi, mia incredibile donna, beh, non era poi molto ma il mio cuore perse un battito.
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CAPITOLO 17
Freddo metallo, liscio e duro a contatto con i miei denti, una sensazione strana, inizialmente fastidiosa ma che presto sparì eclissata dai muscoli mandibolari sempre più indolenziti per la lunga e forzata posizione in cui lo spider gag che avevo in bocca mi costringeva. Un anello di lucido acciaio con alle estremità delle aste che si andavo a fissare ad un cinturino di cuoio che schiacciando i miei lisci, rossi capelli me lo teneva incastrato nella bocca oscenamente spalancata. Come se ci fosse bisogno del cinturino per tenerlo incastrato, le dimensioni di quell’anello sfioravano i cinque centimetri di diametro ma per farci passare in mezzo il possente cazzo di Marco quello era lo spazio che serviva. Avevo dovuto spalancare la bocca fino a farmi un male cane perché riuscisse ad infilarcelo ed ero certa che non si sarebbe mosso di lì anche se il cinturino non ci fosse stato, sinceramente ero più preoccupata di come e se sarebbe riuscito a togliermelo di bocca che non del suo arnese che dovevo trovare il modo di farmi sparire in gola. Marco, il mio Marco, se ne stava comodo nel divano e attendeva con calma, il viso perso nei documenti di lavoro che stava studiando, non mi guardava neanche, sereno attendeva che facessi la mia parte ed in effetti era giusto, prima che toccasse a lui, prima che iniziasse a spiegarmi come mi avevano ingannata dovevo ingoiare letteralmente la carne pulsante del suo possente arnese fino alla base. Ero lì, in piedi e nuda fra le sue gambe divaricate, mi aspettava un lavoro solo di bocca quindi le mani erano legate dietro la schiena, mi piegai a novanta gradi cercando di far centro con il suo cazzo nell’anello che avevo fra i denti, sarei stata più comoda in ginocchio ma non sarei mai riuscita ad ingoiarlo quindi tenni le gambe ben tese in modo che la bocca fosse allineata con la gola e potesse far passare il sesso di quell’uomo per intero. Sentii la calda, liscia e pulsante pelle della cappella oltrepassare l’anello di metallo e incontrare il mio palato senza sfiorarmi minimamente le labbra, avevo la bocca spalancata tanto come mai in vita mia ma non era un pompino quello che dovevo fare ma una specie di gioco a nascondino; lui avrebbe svelato i suoi segreti solo e soltanto se non fosse riuscito a vedere neanche un centimetro del suo cazzo e l’unico posto in cui mi era concesso nasconderlo era la gola. Continuai a piegarmi e nel piegarmi la sua carne penetrò dentro di me, il lungo membro entrò senza fatica scivolando fra il mio palato e la lingua umida, la irrigidii lasciando che la punta tesa sfiorasse il glande durante il passaggio e continuasse percorrendo ogni centimetro della lunga asta. Dal suo volto non trasparì nulla ma il cazzo vibrò nella mia bocca a riscontro del piacere che gli donavo. Presto, troppo presto, sentii la cappella incontrare l’ugola infastidendola, fino a pochi mesi prima i conati di vomito mi avrebbero costretta a farla indietreggiare ma erano ormai molti i cazzi che mi avevano solleticato in quel modo e spesso con molta meno gentilezza ma restava comunque il problema principale, oltre metà del suo cazzo era ancora fuori dall’anello e se volevo che mi spiegasse la verità sulla mia situazione doveva sparire fino all’ultimo millimetro. Verrebbe da pensare che non era certo la prima volta che mi cimentavo in quella pratica ma c’è una bella differenza fra il farsi cacciare a forza un membro in gola senza potersi opporre o fuggire e cacciarselo da soli volontariamente. E’ la stessa differenza che c’è fra l’essere costretti ad essere la schiava di qualcuno senza avere scelta e il desiderare di essere la schiava di qualcuno. Ci vuole molto più impegno quando ti viene lasciata la possibilità di scegliere. Iniziai lenti movimenti con il collo, avanti e indietro per far abituare la bocca alla sua presenza, spingevo il suo membro in me sempre un po’ di più ad ogni oscillazione come a voler cercare la strada per farlo entrare. Ingoiare un cazzo non è facile, è inutile, a meno che non sia un cazzo minuscolo nella bocca di una donna non ci entra tutto e quello di Marco era tutto tranne che minuscolo; l’unico modo per accontentare il mio padrone era ingoiarlo letteralmente e fargli scopare la mia laringe.
Continuai il mio leggero su e giù e un colpo un po’ più deciso fece saltare al suo arnese il confine e altri cinque centimetri buoni sparirono in me accompagnati dal un suono sordo come quello che emettiamo quando ingoiamo un boccone troppo grosso e che fa fatica a passare. Strabuzzai gli occhi cercando di resistere, incontrai il suo sguardo, stava verificando la situazione ma c’erano almeno altre due dita di uccello da ingoiare quindi tornò ai suoi affari lasciandomi al mio lavoro. Indietreggiai liberandomi la gola, feci un respiro profondo e riaffondai arrivando al punto di prima poi chiusi gli occhi, era la prima volta, per assurdo era la prima volta che dovevo farlo da sola, non sapevo più in quanti mi avevano piantato il loro cazzo in gola con forza fino alla base ma non avevo ricordi di averlo dovuto fare mai da sola. Faceva male, male alla gola gonfia per l’intruso e toglieva il fiato, spinsi, rantolando, continuando come ad inghiottire un boccone incastrato, muovevo le labbra d’istinto, come a volerle usare per aggrapparmi e tirare, come a volerle usare per scalare la sua lunghezza, ma il metallo me lo impediva; spingevo e lo facevo affondare, copiose lacrime mi colavano dagli occhi disegnando ragnatele con il rimmel, spingevo ad occhi chiusi e a ogni millimetro l’aria diminuiva, le narici si allargavano in cerca di ossigeno, la lingua si ritirava istintivamente ma volevo sapere e ad essere sincera volevo accontentarlo, renderlo orgoglioso, ingoiarlo tutto come a dimostrargli che il mio corpo era perfetto per il suo stupendo cazzo. Rimasi sorpresa nel sentire la sua voce e solo in quel momento mi resi conto che avevo il naso piantato nel suo ventre:
“Quello su cui ti stanno ingannando è la verità sul farmaco per tua madre, non è vero che viene prodotto su misura ad un prezzo astronomico solo per chi se lo può permettere, è un farmaco sperimentale non ancora approvato che sta dando risultati ottimi come ben sai ma che viene dato salo a pazienti selezionati per il trial clinico necessario alla certificazione”
Un respiro profondo, tosse, conati di vomito, la saliva mi colava copiosa dal mento sul seno, sui capezzoli turgidi, gli occhi mi lacrimavano tanto da rendere tutto appannato, mi ero dovuta sfilare il suo cazzone di bocca per non soffocare, dritta in piedi davanti a lui cercavo di capire il senso di quello che mi aveva detto:
“che co..a vuol ..i..e que..o” Cercai di parlare ma lo spider gag me lo impediva e lui mi fece subito cenno di tacere, non era il momento di parlare ma di ascoltare, mi chinai, ingoiai.
La speranza che ora la strada fosse aperta svanì immediatamente, ci volle lo stesso sforzo, la stessa sofferenza, la stessa ostinazione perché tornassi a sentire la sua voce da dietro i documenti:
“non viene sborsato un solo euro per quella medicina, l’unica cosa che il dottore ha fatto è stata far entrare tua madre della lista dei pazienti del trial e non gli è stato difficile visto che lui fa parte del progetto”
Un altro respiro, aria, gli occhi a cercare i suoi inutilmente. Tutto il corpo dava cenni di cedimento, la schiena per la posizione a novanta gradi, la gola per la penetrazione forzata, la bocca spalancata da troppo e la testa per quelle informazioni assurde che comunque non miglioravano la mia posizione. Un altro respiro profondo e ancora la pelle tesa del suo sesso a strofinare la lingua stanca, la cappella turgida e violacea a violarmi in profondità, l’aria ad abbandonare i polmoni:
“immagino i tuoi dubbi, le tue domande ma devo ancora dirti due cose; la prima è che informandomi ho scoperto che non ha modo di buttare fuori tua madre dal trial, gli accordi per la certificazione del farmaco prevedono che i pazienti che iniziano debbano arrivare fino alla fine dello studio medico, se la buttasse fuori dovrebbe ricominciare tutto da capo, un lavoro di anni, non glielo permetterebbero mai. La seconda è che la casa produttrice del farmaco si è impegnata a fornire gratuitamente il medicinale a tutti i pazienti del trial a vita in cambio della loro partecipazione e le carte che sto leggendo adesso sono la prova legale di quello che ti ho appena detto” Gettò via le carte mentre io, rumorosamente, estraevo il suo attrezzo dal mio collo per ritrovare l’aria, da quando il gioco era iniziato era la prima volta che ci guardavamo in viso e sono certa che il servizietto che mi stavo facendo avesse ridotto il mio in uno stato pietoso. Ero lì in piedi, nuda, legata, a bocca spalancata, la saliva che mi colava su tutto il corpo, che gocciolava dai miei seni tesi, che colava fino alle cosce, lo guardavo e lui guardava me, avevo mille domande e lui, quasi sussurrando come se le regole di quel gioco fossero importanti e il suo parlarmi senza impalarmi la bocca fosse regola imprescindibile che stava violando per me:
“non hai più bisogno del dottore”
Non avevo più bisogno del dottore, non dovevo più accettare le condizioni di nessuno, non ero più schiava, mesi di torture, abusi, umiliazioni. Mesi passati quasi interamente ad accontentare uomini sconosciuti, donne sadiche, animali, amici e parenti; non avevo più bisogno del dottore e non riuscivo neanche a razionalizzare cosa volesse dire e poi, come un macigno nello stomaco tutto divenne tristezza, tutto divenne nebbia e ricordai, le cambiali, quelle maledette cambiali, nulla era finito. Il mio sguardo nel suo, la tristezza del mio volto accolta dalla tristezza del suo come se mi avesse letto nel pensiero. Si alzò in piedi davanti a me, delicatamente slacciò il cinturino dello spider gag mi liberò la bocca, fu facile, non credevo ma il sollievo di poterla chiudere, dei muscoli che si rilassavano fu come dieci orgasmi contemporanei. Le mani sul mio volto a massaggiare la mandibola indolenzita e la sua voce sottile ma decisa:
“lo so, le cambiali, lo so benissimo; non ho ancora risposta per questo ma la troverò, la cosa importante è che non abbiamo bisogno di lui, per le cambiali si può trovare rimedio, sono solo fogli di carta, basta aspettare l’occasione giusta e io per te aspetterei anche tutta la vita”
Non posso dire che la tristezza passò ma quelle parole, quel sentimento così forte nei miei confronti da poter essere palpabile mi fecero vibrare, riaccesero una flebile speranza che era stata spenta ormai da troppo tempo, ero ancora in trappola ma almeno ora potevo sognare di scappare ed era tutto quello di cui avevo bisogno, sorrisi, euforica:
“ma adesso schiava, il mio cazzo ha bisogno di sfogarsi, stare nella tua gola mi ha fatto venire voglia di sborrare ed è una cosa di cui ti devi occupare tu”
Gli sorrisi sorniona mentre mi liberava le mani abbracciandomi, la sua bocca vicina all’orecchio:
“ho in mente un altro gioco, quando avrò finito con te vorrei vedere un film insieme, quasi come fossimo una coppia normale e per decidere chi di noi due sceglie il film direi che è il caso di fare la conta”
Continuò a sussurrarmi all’orecchio la sua idea mentre non riuscivo a trattenermi dal ridere e poi si sdraio nel divano. Andai al cassetto che mi aveva indicato e ne estrassi un vasetto di lubrificante, lo aprii per farlo colare dall’alto sul suo cazzo eretto, al contatto con il liquido freddo sobbalzò un po’, iniziai a massaggiargli tutta l’asta con le mani ungendolo bene e abbondantemente, ne avrei avuto bisogno, ne approfittai per fargli una lenta sega, tenevo con la mano la pelle ben tesa per lasciare scoperta la cappella e con l’altra lo percorrevo per tutta la lunghezza facendo attenzione ad essere decisa dove serve e più leggera e lenta nei punti più delicati cercando di tenerlo sul confine che sta fra una sensazione molto intensa e una fastidiosa. Un volta lubrificato a dovere gli salii sopra, lui con le braccia dietro la testa a godersi lo spettacolo del mio corpo nudo e esposto, guidai il suo pene verso la mia fica, ero grondate di desidero, lo feci entrare in me bollente, lo sentii farsi spazio ed aprirmi lentamente come da ordini ricevuti, fu estenuante scendere così piano, ne avevo una voglia assurda tanto da inarcare tutto il corpo nel cercarlo, trasfigurata dal piacere con la lingua fuori dalla bocca in un lungo gemito, lo feci entrare tutto e poi mi sistemai bene perché penetrasse ancora mentre lui con il bacino mi infliggeva gli ultimi millimetri, lo sentivo così in profondità in me da farmi impazzire ma il gioco doveva continuare. Risalii facendolo uscire lentamente e contando, questo era l’ordine che avevo ricevuto, dovevo impiegare almeno cinque secondi a penetrarmi e almeno cinque a tirarlo fuori e così via ma mancava ancora un pezzo al suo gioco. Lo sentii uscire dalla fica vogliosa mentre pronunciavo il cinque, il cazzo era così teso che scatto come una molla verso il suo addome una volta libero, lo riagguantai con le mani e lo riposizionai ma questa volta verso il mio forellino, mi rilassai, appoggiai bene la cappella, la mossi un po’ perché penetrasse appena, come per instradarla e poi spinsi piano sentendo l’orifizio allargarsi, prendere la sua forma e farsi penetrare mentre dalle mie labbra, gemendo, uscivano lenti quei cinque numeri mentre lui entrava fino alla base, mi apriva bene invadendomi per poi ricominciare ad uscire. Non mi furono concesse pause, le gambe mi facevano un gran male per sostenermi mentre mi impalavo prima in un buco e poi nell’altro con quella lentezza e in più facendolo così piano ci volle anche una vita perché lui mi sborrasse dentro. I mesi di addestramento davano comunque il loro frutti, quando avevo il suo cazzo piantato nella fica il desiderio di tenerlo dentro e muovermi come una scatenata per godere era quasi insostenibile ma docile continuai ad eseguire gli ordini impartiti e ben presto il mio culo divenne morbido e mansueto come l’altro buco, me lo impalai talmente tante volte da sentire che non si richiudeva più aspettando slabbrato il nuovo assalto. Lo scopo del gioco alla fine era decidere chi avrebbe scelto il film della serata, se mi avesse sborrato nel culo avrebbe scelto lui, nella fica io ma alla fine scelsi io semplicemente perché me lo concesse per premio, alla fine del gioco era così eccitato e godette talmente tanto da fare una sborrata incredibile, infinita e io non mi fermai neanche in quel momento, mentre ululava spruzzandomi getti di liquida e bollente sborra dentro io continuai il lento gioco in modo da far impazzire il suo cazzo tanto che iniziò a sborrare in un buco e finì nell’altro. Tra le sue braccia, sfinita, nel dormi veglia con il film in sottofondo non riuscivo a smettere di pensare che non avevo più bisogno del dottore, che se non fosse stato per le cambiali avrei potuto liberarmi di lui. E adesso?
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CAPITOLO 18
Il tempo trascorreva placido in quella che stava diventando una routine, la mia vita si divideva fra Marco e il dottore con il suo pervertito enturage.
Dopo aver scoperto la verità sulla mia situazione avevo vissuto un momento di speranza ma per quanto Marco sembrasse sicuro di potermi liberare io non riuscivo a vedere via d’uscita.
Sapere di essere stata ingannata aveva reso il mio ruolo di oggetto passivo ancor più difficile da subire, le condizioni che avevo accettato mi erano state estorte e il dovere di tenere fede alla parola data, agli impegni presi, non mi sosteneva più. Ora mi sentivo solo tradita e incastrata.
Anche Marco che mi aveva promesso la luce si stava solo limitando a riempirmi di domande sul dottore, la vita del dottore, la casa del dottore, gli oggetti del dottore ma tutti e due sapevamo che le cambiali che mi obbligavano all’obbedienza erano ben chiuse in una cassaforte che non avevamo modo di raggiungere.
Era stato proprio il dottore a dirmi la loro ubicazione, visto il mio, come disse lui, recente poco entusiasmo nello svolgere i miei compiti, una sera, volle ricordarmi che avevo ben poche scelte e lo fece proprio prendendo dalla cassaforte la documentazione inerente a me. Me la sbatté in faccia un paio di volte e poi la andò a riporre consigliandomi di muovermi a finire il mio lavoro che quella sera consisteva in un allenamento muscolare per la fica.
In pratica aveva avvitato un grosso fallo nel mio sesso, dico avvitato perché l’oggetto era fatto come un grosso bullone che tutto intorno era percorso da uno spesso filetto in gomma e, all’estremità, aveva un anello che era l’unica cosa che era rimasta fuori di me.
Mi aveva fatta sdraiare a gambe ben divaricate e alzate, niente lubrificante perché era importante che una volta entrato restasse fermo, mi aveva spinto dentro la prima parte, cinque centimetri privi di filetto e dello spessore di una lattina di coca cola. Fatto questo aveva iniziato a ruotare il fallo in modo che il filetto, incontrata la morbida carne delle labbra della fica, iniziasse ad entrare portandosi dentro gli altri venti centimetri, poco alla volta, giro dopo giro.
Bruciava da morire, per quanto quella troia della mia fica fosse sempre grondante di umori il giocattolo era enorme e quella parte di gomma più sottile penetrava dentro di me stridendo e facendomi guaire.
Ci lavorò per un pezzo e faticò non poco ma, incurante dei miei urli, me lo avvitò ben bene fino a tapparmi la fica fino all’utero.
Il lavoro che dovevo finire non era quello però, riempirmi in quel modo era solo la preparazione.
Iniziò ad appendermi dei pesi all’ anello, partendo da 500 g e volendo salire fino a 10 Kg; metteva un disco da mezzo kilo alla volta per poi mandarmi a fare il giro del tappeto, tondo, del diametro di 2 metri, che c’era in mezzo alla stanza.
Ero ridicola mentre cercavo di camminare, con le gambe divaricate per far spazio al grosso cazzo nella mia fica e ai pesi appesi, nuda, con le braccia legate dietro la schiena.
Lo scopo era trovare il mio limite che ho scoperto essere di 5,5 Kg. Durante il giro di tappeto con i 6 Kg, strappandosi a forza dalla fica, con un dolore lancinante, la vite uscì e il gioco finì non senza che mi venisse assicurato che avremmo raggiunto risultati migliori.
Il ricordo di quella serata era anche il ricordo del non poter raggiungere quei dannati documenti e Marco che non faceva altro che farmi domande su particolari di cui non capivo il senso senza spiegarmi nulla di quello che aveva in testa, però, nei suoi occhi, così sicuri, così certi di potercela fare, trovavo il mio rifugio, la mia pace e non potevo fare a meno di credergli con totale fiducia e devozione.
Neanche perdendomi in questi pensieri riuscii a dimenticare di essere stata appena convocata alla villa. Come da prassi, come da sue direttive, chiamai Marco e gli dissi del mio impegno. Lo facevo ogni volta dalla sera in cui mi aveva detto che mi avrebbe liberata, era stato lui a chiedermelo ma di norma ascoltava il programma che mi aspettava con poca empatia, chiaramente infastidito mentre quella sera, dopo un primo approccio poco entusiasta, i miei programmi lo incuriosirono e si fece spiegare e rispiegare quel poco che sapevo tre volte, chiedendo dettagli e facendo domande per poi salutarmi con un noncurante “ok, vai!”.
Quella sera sarei stata sola con il dottore, non accadeva spesso ma visto che gli era saltato un impegno disse di voler approfittare della serata libera per occuparsi di insegnarmi norme di igiene e di preparazione che, a suo dire, una buona schiava deve ben conoscere.
Consegnati, come di rito, tutti i miei indumenti all’antipatico maggiordomo venni condotta nella stanza padronale al piano terra dove trovai il dottore, disteso sul letto, immerso nella lettura di un libro di medicina, con indosso una vestaglia dalla pregiata manifattura.
La stanza era essenziale se pur arredata con gusto. Una grossa vetrata su una parete che dava sul parco interno, un enorme letto tutto di un bianco candido, due poltrone rosse e un grosso televisore affisso al muro di fronte al letto. Due porte socchiuse, una cabina armadio e la porta che dava in un enorme bagno privato.
Non era certo la prima volta che stavo in quella stanza, il tappeto su cui mi trovavo era proprio quello del gioco della vite, la stessa stanza in cui vi era la cassaforte che non potevo raggiungere.
Il maggiordomo lo salutò e ci lasciò soli.
“Ben arrivata Tania, cominciamo subito”
“Si Dottore”
“Do per scontato che lei sia già perfettamente lavata e pulita giusto?”
“Si Dottore, come ogni volta, come da sue istruzioni. Mi sono lavata accuratamente e non ho messo ne profumi ne deodoranti in modo da non mascherare i segnali del mio corpo”
“Bene, ora si dovrà occupare di lavare me”
Mi fece entrare nel bagno, mi ammanettò le mani dietro la schiena e mi fece estrarre la lingua il più possibile per bloccarla con due legnetti, uno sopra e uno sotto la lingua, tenuti ben stretti da degli elastici in modo che non potessi ritirarla o chiudere la bocca. Mentre lavorava mi diede le sue istruzioni:
“In primo luogo dovrà lavare ogni parte del mio corpo con la sola lingua, facendo attenzione ad arrivare in modo completo ovunque, io le guiderò la testa nel caso fosse necessario, per il resto gradirei assoluto silenzio mentre mi rilasso! Inizi pure”
Dicendo questo lasciò cadere la sua vestaglia restando completamente nudo.
Leccai ogni parte di lui, partendo dal collo fino ai piedi. Quando serviva mi muoveva la testa per portarmi in un altro punto o farmi insistere in una zona.
Mi fece leccare le sue mani, inserendomi in bocca un dito per volta e ruotandolo in modo da lavarlo bene sulla lingua esposta, lo spingeva più in profondità possibile fino ad arrivare a giocare con le unghie sulla mia ugola provocandomi conati che, vista l’impossibilità di ritrarre la lingua dentro la bocca, emettevo in modo veramente ridicolo.
Mi fece leccare tutto il suo torace per poi tenermi per almeno dieci minuti sui capezzoli, non potevo appoggiare le labbra quindi ero costretta a leccarli con la lingua ben tesa aumentando il dolore che i legnetti mi procuravano, ogni secondo sembravano più stretti mentre la saliva mi colava, copiosa, dal mento per poi cadere sui seni sodi e scivolare giù, sempre più giù dove la fica, incontrollabile, colava ancora di più liquido sulle cosce.
Per quanto riguarda la zona genitale si assicurò che lavassi tutto, allargò le cosce in modo da darmi accesso ad ogni millimetro, mi fece leccare tutto il pelo che sovrastava la sua asta, l’asta stessa e mi spinse ben bene lo scroto in faccia, tirandomi la testa e strofinandomelo ben bene sulla lingua ma non mi scopò mai la bocca, neanche per un secondo, era una sessione di pulizia e lui era ligio allo scopo.
Finita la parte davanti, dopo aver leccato bene le gambe fino ai piedi ed aver imboccato e pulito dall’alluce al mellino si girò in modo che potessi dedicarmi alla schiena. Me la fece leccare tutta, centimetro per centimetro come un pittore che imbianca una parete, lo stesso per le gambe mentre mi tenne almeno un quarto d’ora a leccargli l’ano. Me lo fece fare con calma, millimetro per millimetro, spingendomi la testa contro i suoi glutei in modo che affondassi e leccassi il più possibile, fino all’ultima pieghetta. Era un uomo pulito, distinto e se non fosse stato per il male assurdo che avevo in tutto il corpo per le varie, pesanti, posizioni che dovevo prendere per fare il mio dovere, se non fosse stato per la bocca sempre spalancata e la lingua tenuta al suo esterno a forza tanto che stavo perdendovi la sensibilità. Se non fosse stato per questi motivi e anche considerando questi motivi, quella non era certo la sessione peggiore che mi fosse capitata.
Finito il lavoro igienico su di lui mi liberò braccia e lingua, quest’ultima era talmente intorpidita che mi sembrava morta e i muscoli della mandibola si richiusero con un dolore lancinante, come fossero arrugginiti.
Non sarei riuscita a parlare ma questo non era un problema.
Il mio possessore entrò nella doccia e si fece lavare ed asciugare da me poi volle che mi lavassi anch’io in modo da togliere tutta la saliva che mi ero colata sul corpo mentre ero forzata a tenere la lingua fuori dalla bocca.
Una volta pulita mi prese, gentilmente, per la mano e, sgocciolante, mi fece entrare nell’enorme vasca in cui si accomodò anche lui:
“Per quanto lei, giustamente, si sia igienizzata prima di venire qui è bene che sia qualcuno più competente a completare la sua pulizia quindi ora le somministrerò un accurato lavaggio vaginale ed anale.
Sono zone delicate e sensibili che vanno trattate con cura quindi preferisco lavaggi più lunghi e ripetuti con sola acqua all’uso di qualsiasi sostanza pulente che potrebbe alterare la naturalezza del suo corpo andando ad intaccare questa mia proprietà.”
Nella mia testa si illuminarono tutte le pratiche sadiche che i miei orifizi avevano subito in quei mesi che stonarono non poco con il suo discorso sulla delicatezza e la sensibilità, ma sapevo già che mi avrebbe risposto che il fatto che certe pratiche fossero necessarie e potessero ledermi non cambiava l’importanza della cura che stava per somministrarmi.
Mi fece mettere a quattro zampe nella vasca, si piazzò dietro di me e prese il doccino che sembrava apposito per il lavoro di quella sera. Era di metallo lucido, cromato, un’asta dritta dello spessore di un sigaro ma, all’estremità, finiva con una palla piena di fori per far uscire l’acqua che aveva un diametro di almeno 5 centimetri.
Aprì l’acqua molto piano in modo che uscisse appena scorrendo e ricoprendo l’oggetto.
Con una mano mi aprì le labbra del sesso per puntare al suo ingresso l’ingombrante palla.
Iniziò a muovermela per tutta la lunghezza, andando dal clitoride che tenne ben scoperto al perineo. Passò e ripassò premendo con forza in modo da strofinarmi bene ogni parte.
Per quanto l’acqua lubrificasse un po’ il freddo metallo mi tirava la pelle ma questo, mi fu spiegato, era necessario per pulire a fondo.
“aaaaahhhhhhhhhhh, mmmmmmm, aaaahhhhhh”
Senza nessun preavviso mi aveva spinto dentro l’intera palla e continuava a spingere.
L’acqua non lubrificava abbastanza in fretta e la pelle mi rimaneva attaccata al metallo per un po’ prima che il liquido la facesse scivolare e lui spingeva. Guardando da sotto il mio corpo potevo vedere l’asta di metallo entrare a forza fino a che la mano del mio torturatore non mi toccò, spremendolo, il sesso.
Era tutto dentro e sentivo la palla spingere sull’utero. Si fermò e l’acqua iniziò ad accumularsi dentro di me dandomi sollievo.
“Il lavaggio interno, al contrario, va fatto con una buona pressione e con acqua ben calda in modo da dilatare i tessuti e pulire bene ovunque”
Non feci in tempo neanche a capire cosa volesse farmi, sentii solo il rumore del rubinetto e poi l’acqua sparata a forza nella mia intimità. Mi sentivo invasa mentre l’acqua schizzava sulle pareti interne. Potevo vederne una gran quantità che usciva da me e si riversava, come un’erotica cascata, nella vasca.
Ogni forellino del doccino creava un minuscolo getto che con la pressione che aveva sembrava come fatto di rigida plastica, sembrava volermi bucare.
Mi lamentavo come una matta, rigida, sudata, attenta a non muovermi mentre la fica mi si spaccava e lui muoveva quel coso come fosse uno spazzolino con cui puliva un forno incrostato. Me lo muoveva ovunque e l’acqua si stava scaldando. Lo spingeva a fondo con tutte le forze e lo inclinava in modo da raggiungere ogni anfratto.
“scotta, scotta, basta, per favore”
“tesoro, tranquilla, la temperatura è limitata a 43°, posso capire che per te possa essere faticoso ma stai pur tranquilla che non subirai danni”
Vedevo il vapore uscire dalla fica e non so come facessi a rimanere in posizione mentre lui, con calma, completò il suo lavoro passando e ripassando ogni parte più volte.
Non facevo che ripetere, sommessamente, “pietà”, quasi come una cantilena che nessuno ha mai ascoltato fino a che non uscì da me.
Lo vidi ruotare la punta del doccino e il getto cambiò, divenne uno unico ma molto più intenso. Mi venne ordinato di mettermi con il ventre sul lato della vasca, le spalle e le tette fuori, il culo dentro. Mi bloccò le caviglie con le sue gambe e il collo con una mano in modo che non potessi scappare e poi, con quell’unico getto tremendamente forte e bollente mi pulì a fondo le grandi e le piccole labbra per poi finire con il clitoride. Il getto era così forte che il mio bottoncino si scoprì per la pressione e lui lo pulì con insistenza colpendolo in pieno. Urlavo e piangevo mentre cercavo di liberarmi ma la sua mano stringeva sempre più forte, quasi con rabbia permettendogli di continuare a lavarmi fino alla sua completa soddisfazione.
Chiuse l’acqua e mi lasciò; ansimava per la fatica che aveva fatto per bloccarmi ma si disse soddisfatto del risultato.
“Ora le lascio un attimo di riposo e poi penseremo al lavaggio anale”
Io non avevo neanche le forze di alzarmi dal bordo della vasca, vinta, piegata ed esposta mentre lui si andò a fumare un sigaro alla finestra.
Quando tornò mi ero rialzata e messa in ginocchio, senza parlare mi fece piegare in modo da appoggiare il seno sul bordo della vasca e poi si accomodò sulla mia schiena, restandone fuori, schiacciandomi con il suo peso, le tette fra il bordo e lui e costringendomi all’immobilità. Facevo fatica a respirare perché mi schiacciava il torace e mi sentivo le mammelle scoppiare.
Prese il doccino e, in quella posizione, ricominciò il lavoro che aveva fatto alla fica ma nel culo.
Senza lubrificante ci mise almeno quindici minuti a forzare il mio forellino con la grossa palla umida e a farla penetrare nello sfintere fino alla fine del manico ma una volta lì si limitò ad aprire l’acqua, non forte come nella fica ma abbastanza da sentirla premere e farsi spazio nel mio culo poi si alzò e intimandomi di non muovermi di un millimetrò se ne andò.
Passarono lunghi minuti prima che tornasse, a me sembrarono una vita. Potevo respirare e la mancanza del suo peso dava sollievo al seno ma sentivo lo stomaco gonfiarsi.
Potevo sentire chiaramente l’acqua invadermi il culo per poi riversarsi nell’intestino ma non era bollente. All’inizio la sentivo calda ma poi, a mano a mano che mi gonfiavo, divenne sempre più fredda fino a che non iniziarono i crampi.
Gonfiata come un pallone sentivo il ventre tendersi e pesare verso il basso. L’acqua fredda tendeva a contrarre mentre i litri di acqua in me spingevano per farsi posto.
Tremavo per il freddo, per i crampi tremendi mentre non potevo fare altro che lamentarmi ed implorare.
La grossa palla nel culo era ben incastrata ed impediva al liquido di uscire ma ero certa che presto sarebbe saltata fuori per l’enorme pressione che sentivo alle viscere ma lui arrivò prima che accadesse.
Senza chiudere l’acqua si risiedette sulla mia schiena, premendo sulle tette indolenzite e togliendomi l’ossigeno. Controllò la situazione saggiandomi lo stomaco, lo cinse con le braccia e fece pressione, credevo che l’acqua mi sarebbe schizzata fuori dalla bocca mentre lui faceva ondeggiare la mia pancia rigonfia. Facevo il rumore che fa un otre quasi pieno, sentivo l’acqua rimescolarsi in me sotto le spinte delle sue mani sul ventre poi si disse soddisfatto. Chiuse l’acqua e iniziò a tirare fuori a forza il doccino.
Per quanto la palla che indietreggiava nel mio culo aprendolo mi facesse male non riuscivo a pensare che a liberarmi. Per quanto avessi vergogna e paura di quello che sarebbe successo una volta stappata non riuscivo a pensare ad altro che all’essere sgonfiata e come una bottiglia di champagne, con uno schiocco assordante, tutto quel liquido sgorgò fuori riversandosi nella vasca.
Il dolore e il sollievo furono tali che riuscii solo a stare con la bocca spalancata, gli occhi girati, la lingua di fuori mentre mi svuotavo rumorosamente con un getto che non sembrava avere fine.
“ora pulisca tutto e poi ripeteremo il procedimento”
Per cinque volte subii quel supplizio. A volte con acqua fredda, a volte con acqua calda, a volte con la pressione al massimo, cosa che fu veramente insopportabile perché il mio corpo non ebbe neanche il tempo di adattarsi a tutta la massa di liquido.
L’ultima la subii con una lentezza straziante. Ci volle mezz’ora perché fossi piena al punto giusto. Nel frattempo, mentre venivo rabboccata, il dottore si rivestì, si sistemò e lasciò la stanza. Quando tornò venne da me e mi disse di stapparmi da sola, svuotarmi, pulire e poi andare da lui in modo che potesse godere della mia pulizia.
Non riuscivo ad estrarmi quel coso dal culo e ci misi una vita mentre il desiderio impellente di svuotarmi mi attanagliava ma schioccai, per l’ultima volta ed eruttai acqua limpida come di fonte. C’è da dire che a livello igienico, indubbiamente, il processo aveva funzionato.
Barcollante cercai di trascinarmi da lui, entrai nella stanza dove mi aspettava senza sapere cosa mi attendesse ma poi un rumore improvviso, urlai, la porta della camera si spalancò ed entrò il maggiordomo strattonato da due uomini mascherati:
“Dottore, mi perdoni, ho aperto la porta e mi hanno aggredito, li ho dovuti portare qui, mi avrebbero ucciso, mi perd…”
Un colpo secco, uno dei due malviventi aveva colpito il maggiordomo facendolo svenire.
Chiusero la porta, armati, una pistola, un lungo coltello, ci intimarono il silenzio e quello con il coltello si rivolse al Dottore:
“Stronzo, dammi tutti i soldi che hai e le cose di valore”
“Si, si, prendente tutto, i soldi sono nella giacca”
L’uomo prese la giacca, la palpò bene e ne estrasse una mazzetta di banconote poi iniziò a guardarsi intorno, scrutando, frugando e trovò due anelli preziosi, un braccialetto e l’orologio a cui il dottore era tanto affezionato, non se ne separava mai. Quando lo prese vidi la tristezza negli occhi del mio torturatore. Il malvivente appoggiò il malloppo sull’angolo della pesante scrivania.
“Ti stavi divertendo con la tua puttana eh? Guarda che bella figa tutta nuda”
Io ero immobile e impietrita in mezzo alla stanza, nuda mentre il suo compare ci teneva sotto tiro.
“…ma non ho tempo per questo adesso, la tua servitù avrà ormai chiamato la polizia, dov’è la cassaforte?”
“Non c’è, ve lo assicuro, nessuna cassaforte”
“Uno stronzo ricco come te ha sempre una cassaforte ma se non vuoi dirmelo lo chiederò a lei”
Lo sguardo del Dottore cadde su di me, come ad intimarmi di fare silenzio mentre il tipo mi prendeva per i capelli tirandomi, con la schiena, contro la scrivania. Mi fece inarcare all’indietro, la posizione mi rese inerme mentre lui mi puntava il lungo coltello verso la fica:
“sta buona se non vuoi farti male, ora dimmi dov’è la cassaforte o te lo infilo nella fica e ti apro fino alle tette”
Ero terrorizzata e sentivo già il lucido metallo contro una coscia:
“dietro quel quadro, è dietro quel quadro”
“Troia” La voce del dottore ad inveire contro di me mentre l’uomo armato strappava il quadro scoprendo quello che cercavano.
Il tipo con il coltello fu addosso al dottore, lo buttò con la pancia a terra e gli bloccò un braccio con le ginocchia. Gli prese il mignolo della mano, lo allungò e vi posò sopra il coltello:
“te lo chiedo una volta e poi ti taglio un dito, te lo richiedo e un altro dito. La combinazione?”
“ok, ok, ve la dico”
In lontananza rumori di sirene, io mi ero accasciata a terra di fianco alla scrivania, aprirono la cassaforte trovando solo carte e, non ci avevo pensato, le mie cambiali.
I due cominciarono ad urlare mentre urla venivano dal piano di sotto:
“Carabinieri…. Dove sono? Da che parte?”
I due, furiosi per aver trovato solo carta nella cassaforte, stavano imprecando contro di noi minacciando di ammazzarci. Rumore di passi pesanti:
“dai, prendi quelle cazzo di carte, magari valgono qualcosa, prendi soldi e preziosi e scappiamo”
Raccolsero la roba, lanciarono una delle poltrone contro la vetrata, infrangendola e si lanciarono alla fuga proprio mentre la porta si spalancava facendo entrare due agenti.
Era Marco, il mio Marco, uno dei due carabinieri era lui. Sono convinta che non mi vedette neanche mentre io lo guardai scattare all’inseguimento dei malviventi. No, hanno le cambiali, lasciali fuggire e tutto sarà finito, per loro è solo carta straccia e la getteranno liberandomi, finalmente. Avrei voluto urlarglielo ma non potevo in quella situazione.
Marco prese il pesante orologio del Dottore rimasto sulla scrivania, i due uomini avevano almeno 20 metri di vantaggio. Lanciò l’orologio e colpi uno dei due che però continuò a fuggire con lui alle calcagna.
L’altro agente si fermò a soccorrere noi, mi coprì con la sua giacca mentre sentivamo le urla di Marco nel nero del parco di notte.
Era tutto irreale e dopo circa dieci minuti lo vidi tornare e lui vide me.
“Li ha presi?”
“Purtroppo sono scappati però….” Smise di parlare ma intervenne il dottore:
“però vedo che ha recuperato delle cose”
“si… si, sono cadute ai malviventi mentre scappavano”
Il suo sguardo incrociò, per un istante, il mio mentre riconsegnava i documenti, l’orologio e le cambiali al Dottore che mi guardò, l’ira nei suoi occhi per aver detto dov’era la cassaforte davano un valore tutto nuovo alle carte che gli erano state appena riconsegnate assieme al possesso che aveva su di me.
Il Dottore raccontò che eravamo assieme per una visita di controllo fuori orario, disse che erano stati i malviventi a farmi spogliare e in giro non vi era nulla di compromettente.
Inventò una bella storia che io appoggiai da brava schiava e congedò i carabinieri con un appuntamento per il giorno dopo, in centrale, per lo svolgimento delle pratiche di rito.
Quando se ne furono andati il Dottore mi informò che avrei alloggiato alla villa per un po’, me lo disse con uno sguardo che non gli avevo mai visto, mi disse che aveva bisogno di tempo per studiare una punizione adatta a quello che avevo fatto ma che mi voleva a disposizione e nel dirlo un brivido mi percorse la schiena.
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E’ PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN’OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 19
Il tempo trascorreva, tre giorni passati nel temere quello che mi sarebbe successo, nell’attendere il momento in cui avrei dovuto espiare l’aver tradito.
Tre giorni di angoscia e null’altro. Tre giorni in cui non avevo visto nessuno se non chi mi portava il cibo. Tre giorni chiusa in una stanza, neanche male devo dire, comoda, spaziosa, silenziosa. Iniziavo quasi a sentirmi al sicuro fra quelle quattro mura e Dio solo sa quanto avevo bisogno di sentirmi al sicuro. L’unico problema? Marco. Tre giorni senza di lui, senza sentirlo, senza spiegargli e poi… come mai non mi cercava? cioè, non so se mi stesse cercando, ero isolata dal mondo ma santo Dio, sapeva dov’ero, mi ci aveva lasciata lui proprio mentre restituiva al Dottore quelle cazzo di carte che erano l’unica catena rimasta. Tre giorni, meglio andare a dormire aspettando il quarto…
Piena notte, profondamente addormentata mentre mi prendevano, tirata su di peso, incappucciata, che cosa strana, vestiti per il corpo mai, ero così abituata a stare nuda che stava divenendo quasi noioso però un cappuccio si, a coprirmi gli occhi, a celare cosa? Non era mai accaduto, nessuno si era mai preoccupato di non farmi vedere qualcosa tanto, per loro, ero solo una cagna ubbidiente che non si sarebbe mai lamentata, che non poteva lamentarsi o forse qualcosa era cambiato?
Che strani pensieri ma intanto stavamo viaggiando, io ero distesa da qualche parte senza sapere dove e senza sapere dove fossi diretta…
Dio, ma quanto tempo è che sono qui? un giorno? avevo visto il sole spuntare e poi nascondersi di nuovo, avevo male ovunque.
Il viaggio era durato un’oretta, venni scaricata e quando la luce artificiale raggiunse i miei occhi mi accorsi di essere in un bagno ma non era il bagno di una casa era tipo quello di un autogrill o una cosa del genere. Vari lavandini uno di fianco all’altro, tante porte a nascondere altrettante latrine e poi toilette, water di quelle appesi ai muri in cui gli uomini fanno pipì in piedi.
Alla fine c’ero io ben agghindata. Dopo aver trascorso la giornata chiusa in quella stanza, all’imbrunire, affamata, assetata, ero stata raggiunta da due uomini mai visti. Non mi avevano rivolto una sola parola mentre, con diligenza, mi preparavano.
Ero stata messa e bloccata proprio su un water di quelli classici da appoggiare a terra. Le gambe, lisce e tornite, erano ai lati del WC, i piedi tirati indietro in modo che le piante puntassero verso il muro alle mie spalle, le caviglie bloccate con una robusta corda che le cingeva passando dietro alla toilette.
Alle spalle del sanitario era stato aggiunto un robusto schienale dietro il quale erano stati legati insieme i miei polsi poi uniti con le caviglie. Già non mi sarei potuta muovere gran che ma la mia preparazione era ben lungi dall’essere completa.
Beh, parlavo di quei water attaccati al muro, quelli per fare la pipì in piedi, ecco, quelli hanno una specie di vaschetta davanti, tipo una grossa ciotola nel cui fondo c’è lo scarico. Subito sotto il mio seno era stata attaccata una cosa del genere con una fascia che mi cingeva lo sterno per allacciarsi dietro lo schienale bloccandomi completamente. E lo scarico? si, c’era ed era proprio in fondo a questa vasca su cui ora penzolavano le mie tette. Unica differenza, al di la dello scarico c’era un tubo, mi ero ormai fatta un’idea di quale fosso il mio ruolo in quel posto e in effetti uno scarico vuole un tubo che porti via quello che nello scarico finisce solo che non mi sarebbe mai venuto in mente che quel tubo, l’estremità opposta di quel tubo potesse andare a finire nel mio culo, nel mio buchino mentre a qualcun altro, vista la situazione, era venuto in mente. Erano almeno due ore che ero legata in quel modo, non era la posizione più comoda del mondo, il tubo del diametro di 5 centimetri nell’ano mi teneva spanata senza sosta, non so bene come lo avessero bloccato, mentre me lo infilavano a forza ben in profondità avevo sentito come delle cinghie sulle cosce ma una cosa era certa, non sarebbe uscito facilmente da dentro di me. La fascia che teneva la vasca subito sotto le tette e subito sopra lo stomaco era ben stretta tanto da fare resistenza ad ogni respiro e se questo non fosse bastato anche la testa era stata bloccata allo schienale con una cinghia. Avevo un divaricatore in bocca, di metallo, tipo due lunghe aste che passavano tra i denti spingendo per allontanarli a tenermi la bocca spalancata. Erano regolati su un lato, ora non riuscivo a vederlo ma i due tipi erano stati ben attenti ad allargarlo tanto da far si che non si muovesse di un solo millimetro. Più di così la mia bocca non poteva aprirsi di sicuro.
Quella, per assurdo, era la cosa più scomoda, la bocca mi faceva male da morire per la posizione mentre dall’esterno iniziai a sentire della musica.
Doveva essere una discoteca o un qualche locale notturno. Quando la porta si apriva vedevo gente ballare nel buio, luci colorate, il volume era molto alto.
Io ero uno dei water del bagno degli uomini e riscuotevo veramente molto successo, gli altri orinatoi erano praticamente intonsi, lustri. Vi era una fila assurda solo per venire da me, sembrava la fila che di solito c’è per il bagno delle donne.
Gli uomini per queste cose si sanno adattare e dopo un po’ iniziarono a utilizzarmi in due o tre alla volta.
Feci il mio lavoro di latrina per molte ore tanto che iniziai e riconoscere dei comportamenti ricorrenti.
In primo luogo molti mi arrivavano davanti per pisciare ma poi il trovare le mie grazie, nude, in quella situazione, faceva crescere i loro uccelli e iniziavano a far fatica ad orinare. Restavano davanti a me sbattendomi la cappella turgida sulle labbra spalancate ma senza riuscire a pisciare. Qualcuno, i più rapidi, finivano per segarsi e sbattermelo in bocca per schizzare incuranti dei fischi di quelli che stavano in fila. Questo tipo di cliente però tornava sempre, se era arrivato da me era perché gli scappava e una volta sborrato, in breve, la necessità tornava e al secondo giro il loro piscio era tutto per me.
C’era il tipo classico, non mi guardava mai negli occhi, fissava la bocca aperta oscenamente e le tette in bella mostra. Iniziava sempre pisciandomi proprio sopra quelle, prima le ricopriva tutte poi puntava i capezzoli, saliva, quasi timido, il collo, un po’ insicuro ma alla fine, quasi tutti, finivano per pisciarmi direttamente in bocca, dritto sulla lingua e li scaricarsi godendosi i miei inutili tentavi di non ingoiare o di ingoiare senza strozzarmi. Piscio dorato a caldo mi finiva ovunque, nel naso, negli occhi, nei capelli ma soprattutto in gola. Inghiottivo pregna di quell’odore pungente, di quel sapore intenso ma era impossibile tenerla tutta, mi usciva a cascate dalle labbra spalancate e, colando sui seni, finiva nella vaschetta e poi nello scarico e poi nel tubo…
Il tipo classico, titubante all’inizio ma in fondo… Sinceramente, ripensandoci, lo capisco. Non dico che a tutti debba piacere pisciare addosso ad un’altra persona, sono gusti però credo che una cosa sia certa. Se ti piace farlo per l’ovvia situazione di sottomissione, di degradazione, per mille motivi beh, se ti piace farlo credo che l’accontentarti di pisciare sulle tette, sul ventre o anche sulla fica spalancata lasci un senso di incompiuto, di incompleto. Se ti piace farlo sono certa che la completa soddisfazione la sia abbia solo vedendo la tua orina uscire dalle labbra spalancate della tua sottomessa dopo averle riempito la bocca tanto da farla tracimare, ne sono certa perché in centinai quella sera fecero tracimare il loro getto dorato dalle mie labbra e anche quelli che al primo giro erano stati troppo timidi per puntare i loro cazzi direttamente sul fondo della mia gola tornavano, li vedevo, immobilizzata, inondata, li vedevo in fila che attendevano. Vedevo il fremere dei loro occhi, il ripensamento per non averlo fatto, per essersi trattenuti. Vedevo il rimpianto e quando finalmente arrivava il loro turno la voglia, il desiderio, aveva cancellato qualsiasi titubanza, qualsiasi timore. Mi piazzavano la cappella a pochi millimetri dalle labbra, non dentro, credo volessero godersi l’immagine del loro piscio che entrava. Senza perder tempo pisciavano tutto nella mia bocca, niente tette, capezzoli o cazzate varie, tutto nella gola e a lungo. Credo che si preparassero prima tanto era il rimpianto, che si riempissero di liquidi prima di tornare da me a recuperare quello che si erano così pentiti di non aver preso. Pisciavano a lungo, sembrava non finire mai, tanto giallo liquido da ingoiare, tanto che mi colava addosso e li, bloccata, li osservavo, osservavo i loro occhi finalmente soddisfatti, inebetiti, sazi. Erano raggianti nel piacere di aver sfogato la loro perversione, quasi svuotati dalla soddisfazione di una lunga, sfacciata e abbondante pisciata sulla mia lingua. Se avessi potuto, per quanto avvilita, avrei sorriso nel vedere quegli occhi.
Questi erano i tipi classici, la mente umana è strana, nel non poter far nulla la mia si era messa a enumerare la psicologia del pissing ma c’era anche la mente degli altri, di quelli davanti a me e non mancarono di certo di sadici.
Si andava dai più disinibiti che incuranti dell’urina e dello sperma che mi ricoprivano avevano il coraggio di gingillarsi contorcendomi i capezzoli o stringendoli ma lo scopo era sempre lo stesso, farmi urlare.
Uno era talmente eccitato dalla situazione che dopo avermi pisciato addosso iniziò a mordermi le tette lasciandomi dolorosi segni. Si masturbava apertamente mentre chinato su di me massacrava le mie mammelle con i denti. Continuò tranquillamente mentre gli altri in fila mi urinavano in faccia, urina che poi cadeva su di lui sempre più eccitato fino a che non mi spruzzo una copiosa sborrata su petto. Se ne andò urlando come un folle per la discoteca.
Quelli più raffinati dirigevano il dorato getto con calma e precisione. Puntavano il naso impedendomi di respirare o meglio, costringendomi a respirare aria mischiata al loro piscio. Ci fu un gruppo di sei ragazzi che fece questo gioco a tre a tre per un tempo che mi sembrò infinito. Una vera e propria tortura, credevo sarei svenuta. I loro getti puntati al naso e alla bocca rendevano il prendere aria impossibile. Urina mi finiva ovunque, su di me ma anche dentro di me, nello stomaco, nei polmoni. Tossivo disperata sparando pipì ovunque, piangente.
La lunga fila di uomini però sembrava quasi proteggermi, nessuno si poteva attardare troppo essendo pressato da quelli che attendevano dopo di lui. Ci fu chi si allungò a cercare il mio sesso esposto, chi mi cacciò dentro con fretta e brutalità più dita che poteva, chi mi mollò delle sonore sberle proprio in mezzo alle gambe, chi mi pizzicò il clitoride tanto forte da farlo pulsare ma nessuno poteva attardarsi per più di qualche secondo.
Così almeno fu per la prima parte della serata ma man mano che l’ora si faceva tarda le persone nel locale iniziarono a diminuire.
Non so che ore fosse ma tutto quello che mi stava succedendo era aggravato da una cosa che avevo sottovalutato. Il recipiente legato al mio sterno non ero colmo per un solo motivo, scaricava per andare a finire nei miei intestini. Solo quando il bruciore allo stomaco iniziò a farsi sentire capii che nulla era stato fatto a caso. La bacinella era legata subito sotto il mio seno ma era più in alto rispetto alle mie viscere. Era un gioco di vasi comunicanti. Il tubo nel culo era ben in profondità in modo che tutto il caldo liquido non trovasse ostacoli nell’entrare in me e visto che la vasca era in alto l’urina mi si stava riversando dentro gonfiandomi per effetto della gravità.
Quel liquido acido contenente ammoniaca stava irritando tutto ciò che incontrava dandomi crampi allucinanti. L’enorme quantità che me ne venne servita mi gonfiò letteralmente. Non potevo vederlo ma sentivo chiaramente il mio ventre tendersi sempre di più fino ad aderire alla parte inferiore della vasca e alle cosce.
Era assurdo, io mi sentivo dilatata, dilaniata orrendamente e non riuscivo a capire come facesse altro liquido ad entrare eppure la gravità faceva il suo lavoro e io mi gonfiavo sempre di più.
Fu in questa situazione, lurida, stremata, gonfia e disperata che incontrai quelli che ricordo come i mostri di quella pratica.
La poca gente nel locale e il fatto che ormai credo che tutti avessero fatto la mia conoscenza sfogandosi più volte creò un po’ di privacy e di tempo per alcune menti sadiche.
Un uomo sulla quarantina si prese il tempo di osservarmi con calma, prese della carta e con del sapone pulì le parti del mio corpo che stavano sotto il recipiente. Credo che non volesse sporcarsi. Con calma e molta decisione mi penetrò il sesso ristretto dal tubo nel culo con diverse dita allargandolo più che poteva, a fatica e con impegno e una volta soddisfatto prese lo spazzolino per pulire il water da uno dei bagni chiusi.
Ci mise veramente una vita, la poca lubrificazione e l’ingombro notevole resero il suo lavoro complicato mentre il tutto veniva farcito dalle mie urla disperate.
Insistette con incrollabile caparbietà e non fu pago fino a che non riuscì ad infilarmi tutta la testa appuntita dello spazzolino nella fica.
I robusti fili di plastica di cui era ricoperto quell’oggetto sembravano volermi provocare centinaia di fori nella passera. Le sue spinte decise e spietate a farli scivolare millimetro dopo millimetro in me provocavano fitte allucinanti che mi si allargavano per tutto il corpo.
Se avessi dovuto descriverlo avrei giurato che più che penetrarmi nel sesso lo stessero forando ovunque ma quando quel sadico si rialzò dalle mie gambe le sue mani erano candide, credevo che lo avrei visto ricoperto di sangue ma non lo percepivo colare e lui non ne era sporco. Una cosa era certa, lui sorrideva soddisfatto e lo spazzolino aveva come fodero la mia fica.
Divaricò le gambe per mettersi a cavalcioni sulla ciotola, più vicino a me. Mi appoggiò le palle alla bocca e l’uccello sul naso, fra gli occhi e pisciò, direttamente sulla mia fronte e sui capelli, inondandomi. Sentivo il liquido colare su tutta la testa, sul viso e sul suo cazzo. Scivolare tiepido fra me e lui, nella ciotola, nel mio culo, nei miei intestini.
Si pulì e soddisfatto se ne andò lasciandomi nella disperazione dell’acuminato attrezzo che aveva incastrato in me.
L’ultimo ricordo atroce di quella sessione va ad un ragazzo visibilmente ubriaco. Credo uno degli ultimi rimasti nel locale. Ormai non vi era più la musica e l’eco delle mie urla si sentiva chiaramente.
Barcollava ma voleva divertirsi però sembrava vagare senza meta. Mi pisciò ovunque non tanto per volontà ma perché l’alcool che aveva in corpo non gli permetteva di prendere la mira.
Mi schiacciò il culo nudo sulla faccia per farselo leccare, cercai di tirare fuori la lingua il più possibile per accontentarlo ma il suo dondolare instabile lo portava a schiacciarmi le natiche al viso soffocandomi.
Ad un certo punto si accorse dello spazzolino nella fica, rise, rise come un pazzo mentre ci giocherellava, lo muoveva, lo strattonava divertito dalle mie suppliche. Voleva toglierlo ma era veramente incastrato, tirava e tirava incerto sulle gambe ma l’unica cosa che riusciva ad ottenere fu di allungare le labbra del mio sesso in modo disumano.
Ad un certo punto cadde, in ginocchio, in mezzo all’urina e per non sbattere la testa si afferrò di peso allo spazzolino tirandolo verso il basso.
Il dolore fu così intento che le urla mi si bloccarono in gola con il respiro. I fili dello spazzolino che nell’entrare in me si erano piegati dal centro verso l’esterno dovettero girarsi di 180 gradi per uscire e nel farlo si allargarono spingendo, acuminati, sulle morbide pareti interne della fica. Uscì, trafiggendomi mi stappo ma solo dopo lunghi secondi riuscii a riprendere aria piangendo, disperata.
Rideva, rideva felice vantandosi con me di avermi liberata.
Fu in quella posizione, in ginocchio a fianco a me che si rese conto dello stato del mio ventre rigonfio. Rimase a bocca aperta, stupito, senza capire. Vide il tubo, lo seguì e lo vide sparire nel mio ano. Ci impiegò un po’ e poi come un bambino che ha avuto un’epifania, lentamente, appoggiò una mano sul mio ventre, la appoggiò e spinse piano.
Ero talmente gonfia, così innaturalmente gonfia che quella leggera pressione mi diede dei dolori inimmaginabili, tentai di divincolarmi disperata ma poco vi era che potessi fare.
Ero talmente piena che con quella leggera pressione vidi urina ritornare indietro nel tubo ed affacciarsi nella ciotola creando una minuscola pozzanghera. La vidi io e la vide lui, a bocca aperta, la mia bloccata e la sua estasiata.
Fino a quel momento era stato un ragazzetto ubriaco senza controllo ma ora nei suoi occhi vidi qualcosa di sadico.
Appoggiò entrambe le mani al mio ventre e spinse, senza fretta ma con decisione. Il liquido iniziò a defluire dai miei intestini e a riemergere nella tinozza. La pozzanghera divenne sempre più grande, io urlavo man mano che il livello saliva, lui era concentrato. Spinse fino ad avere cinque cm dita di profondità e poi lasciò, di botto e lento, il giallo liquido, miscuglio di centinaia di pisciate, rientrò in me.
“ora riempiamo la bacinella”
Lo sentii dire queste parole mentre ricominciava a spingere. Per fare tornare indietro tutto quel liquido serviva tanta pressione, pressione da fare sul mio ventre rigonfio. Le sue mani sembravano affondarci come mani nella creta fresca. Mi sbattevo, urlavo, sputavo, cercavo di divincolarmi in tutti i modi più per disperazione che nella speranza di sfuggire.
Respiravo a fatica, a tratti urina mi tornava in gola dallo stomaco, il dolore era agghiacciante ma lui non si fermò fino a che non riempì la vaschetta fino all’orlo e poi, con un ghigno, levò le mani di botto, levò la pressione che teneva tutta quell’urina fuori da me, sentii il ventre ballonzolare riallargandosi dolorosamente e mi dovetti subire tutto il lento defluire di quel maleodorante liquido nel mio corpo, tutto in una volta.
Ci volle una vita per svuotare quell’otre ripugnante, ero disperata, avrei chiesto la morte se mi fosse stato concesso ma lui non sembrava conoscere pietà, stava a guardare il piscio riempirmi ed ero certa che lo avrebbe fatto ancora e ancora e ancora.
Si girò di scatto, all’improvviso, per vomitare e poi cadde, in mezzo al suo vomito, svenuto, vinto dall’alcool.
Non so quanto passò, non ero perfettamente cosciente ma ad un certo punto le luci si accesero. Nel bagno entrò il Dottore, Pamela, Il padrone del negozio di vestiti con sua moglie e degli energumeni in giacca e cravatta.
Il dottore ordinò agli energumeni di portare via il ragazzo svenuto e parlò:
“Allora Tania, come ti senti? Sono molto deluso da come ti sei comportata, molto deluso dal tuo tradimento. Non posso più credere in te quindi da oggi tu espierai i tuoi peccati in questo locale di mia proprietà. Tutti i giorni sarai l’attrazione di questo posto. Tutti i giorni ti verranno fatte cose barbare, medievali. Tutti i giorni la tua vita peggiorerà fino a che, come accade a molti, sparirai, per sempre, ho già organizzato tutto.
Non potrai fuggire e poi non sai dove sei ma posso dirti che sei in un posto molto isolato. Senza sapere la strada giusta non arriveresti da nessuna parte e nessuno ti troverà mai qui ne nessuno della mia scelta clientela verrà mai in tuo soccorso.
Non preoccuparti di tua madre, manterrò i miei impegni e in cambio la tua famiglia non farà problemi per la tua sparizione e poi, anche se volessero, con quello che so di loro potrei rovinarli.
Qui in questo posto finisce la tua vita cara Tania, nessuno mi tradisce però una cosa non è ancora finita. Prima di lasciarti a consumarti fino a spegnerti in questo posto devo ancora finire con te, finire di punirti”
Diede ordine ai presenti di liberarmi, svuotarmi e pulirmi per bene per poi condurmi da lui per proseguire la festa con pochi intimi.
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E’ PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN’OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 20
…fui svuotata e ripulita da testa a piedi, fuori e dentro. Non fu piacevole, affatto ma cosa aspettarsi di diverso?
Ero sfinita, frastornata, vinta. Fui portata in una grande sala che ora era ben illuminata. Al suo interno riconobbi i miei aguzzini, c’erano tutti, tutti i principali carnefici di quella mia lunga agonia. Non vidi ne mio padre ne mio fratello, probabilmente era stato pensato che per quanto complici non sarebbe stato bene farli partecipare a quella serata. Non si trattava solo di sevizie e umiliazioni, il dottore era stato chiaro, non me ne sarei mai andata da quel posto, la mia vita finiva li e mi ritrovai a chiedermi se avendo questa cosa davanti agli occhi i miei famigliari la avrebbero accettata.
Ero sola, davanti a me una lunga scala che conduceva al piano superiore, una specie di terrazza dalle cui balaustre tutti, in silenzio, guardavano me, aspettavano me.
La lunga scala era di legno massiccio, scura, due corsie di scalini divise da una ringhiera imponente, alta, un lungo scivolo interrotto a spazi alterni da grosse decorazioni. Erano come delle grosse perle ovali di liscio legno scuro decorate sulla base dalle riproduzioni di foglie strette intorno a quelle grosse uova. La parte superiore tendeva a stringersi come il collo di una grossa bottiglia. Dalla scala stavano scendendo Mauro, il responsabile della scuderia del dottore e un altro uomo che mi sembrava di ricordare di aver conosciuto alla prima cena, alla mia iniziazione. Gradino dopo gradino vidi Mauro appoggiare una mano su quei grossi cunei. Non potei fare a meno di notare che le sue dita, quando il palmo era appoggia sulla sommità di quelle decorazioni, non raggiungessero neanche la metà della lunghezza di quell’oggetto che aveva il diametro di una bottiglia di acqua da 2 litri.
Fece tutto il percorso fissandomi negli occhi con un ghigno agghiacciante ben stampato in volto, arrivarono al mio fianco ed in silenzio si voltarono alzando lo sguardo sul dottore in attesa di indicazioni.
“Cari amici, a voi che siete i più fidati della mia cerchia, questa sera, è dedicato uno spettacolo speciale. Tania, qui dinnanzi a voi, Tania che tutti conoscete in modo molto approfondito”
Ci fu una risatina generale tra il pubblico. Il ghigno di soddisfazione di quegli esseri che tante atrocità mi avevano inferto.
“Tania si è macchiata del peggiore dei crimini. Nella mia generosità ero corso in suo aiuto quando nessuno poteva aiutarla. Nella mia generosità avevo placato la disperazione in cui stava affogando. L’avevo salvata e cosa avevo chiesto in cambio di questa generosità?
Richieste semplici e chiare ma tutti conoscete la storia e diciamocelo, a nessuno frega nulla della sua storia.
L’unica cosa che conta è che mi ha tradito e facendolo ha donato a voi tutti due cose. La prima è il piacevole spettacolo a cui fra breve parteciperete e la seconda è una chiara dimostrazione di cosa succede a tradirmi”
Quest’ultima frase fu detta con un tono tale da cancellare l’ilarità che regnava in quel luogo. Tutti i presenti, nessuno escluso, abbassarono lo sguardo e si presero un attimo per riflette sulla loro reale situazione.
“La traditrice non uscirà mai più da qui, io la condanno alla schiavitù a vita. Da oggi lei sarà il dono che farò a chi mi compiacerà di più e sarà un dono senza regola alcuna, senza limite alcuno ma forse devo essere più chiaro. Tania sarà un giocattolo da rompere in modo irrecuperabile e quando sarà talmente devastata da non essere più utile a nulla potrà finire di espiare la sua colpa morendo”
Ora la voglia di ridere aveva lasciato definitivamente quel posto. Era ormai chiaro che lo spettacolo non era un dono ma un avvertimento concreto per tutti. Io ero solo un mezzo.
“Ma basta con le parole, diamo inizio alla festa, è ora che Tania ci raggiunga qui sopra”
Venni presa dai due lati, mi afferrarono con un braccio sotto le ascelle e con l’altro sotto le cosce alzandomi da terra. I due uomini presero la via della scala trasportandomi con loro. C’era silenzio. Salirono sui primi gradini, uno sulla rampa di sinistra e uno su quella di destra, io ero in mezzo, nuda, con il corrimano sotto le cosce tenute ben spalancate. Si fermarono in modo che fossi sopra la prima di quelle grosse uova di legno. Immobili fissando il dottore che voltò lo sguardo su Pamela facendole un segno con il capo.
La donna prese la via delle scale venendo verso di me con un grosso barattolo in mano. Si muoveva con la solita eleganza ma non mi guardava, era strano, guardava a terra e nei suoi occhi non c’era la solita libidine, non c’era il solito sadismo. Sembrava triste o forse… spaventata?
Mi arrivò vicina, stappò il contenitore e la vidi versare un’abbondante dose di liquido denso sul legno. Lo spalmò bene sulle tutta la superficie fino alla base dopodiché, con le mani ben unte iniziò a massaggiarmi la fica in modo meccanico, entrando ben dentro con due, tre, quattro dita. Allontanò la mano e la vidi ungerne bene l’esterno, il dorso, il pollice, fino al polso per poi chiuderla a cuneo, il pollice nascosto dietro le altre quattro dita ben serrate e poi, abbassandosi con un ginocchio su uno scalino, iniziò a infilarla in me, ad infilarci tutta la mano.
“ahi, ahi, ahi, non entra, e troppo grossa, non ci stà”
Impassibile alle mie lamentele iniziò a girare la mano che era dentro di me fino alle nocche, la faceva ruotare per fare spazio e spingeva forte verso dietro, verso l’ano per allontanarsi dall’osso pelvico che si opponeva alla penetrazione. La sentivo scivolare in me millimetro dopo millimetro ma la fica era già tesa fino alo spasmo:
“basta ti prego, non ci sta, non ci entraaaaaa….”
Dissi quelle parole quasi sottovoce, stavo parlando a lei, a lei direttamente stavo porgendo la mia supplica e solo allora mi guardò dritto negli occhi, uno sguardo gelido ma non severo, rattristato:
“zitta, sto facendo quello che posso per aiutarti”
Rimasi a bocca aperta mentre lei riabbassava lo sguardo e dopo un profondo sospiro spinse, forte, verso l’altro, vincendo ogni resistenza del mio corpo, della fica, sprofondandomi dentro fino al polso. Avevo la bocca spalancata in un urlo che non riusciva ad uscire, gli occhi sbarrati a fissare il bianco soffitto.
Restò ferma finché non mi sentì riprendere a respirare fra le lacrime e poi iniziò a muovere la mano nella cavità, a ruotarla per farsi spazio, ad aprire le dita per dilatare di più.
Io piangevo e mi lamentavo per il forte dolore ma lei non si fermò più. Iniziò ad uscire fino a far riapparire le nocche e poi riaffondare provocandomi crampi terribili. Continuò questa manovra fino a che non fu in grado di estrarre la mano dalla fica e riaffondarci agevolmente, senza trovare più resistenza. Si girò, a testa bassa:
“è pronta” e dicendo quelle parole incominciò a risalire la scalinata fermandosi ogni volta che incontrava uno di quei grossi ornamenti, fermandosi per lubrificarli bene dal primo all’ultimo fino a tornare sulla balconata per riprendere il suo posto.
Il dottore:
“bene, ora provvederemo a sfondare per bene la traditrice così che poi possiate godervela meglio o per meglio dire in modo più ampio”
I due uomini iniziarono a calarmi sopra il primo cuneo, la parte iniziale, più affusolata, mi sparì rapidamente nel sesso slabbrato e vi penetrò a fondo fino ad incastrarvisi. Sentivo le braccia dei duo uomini fare poco sforzo per sorreggermi, più che altro mi tenevano a gambe spalancate ma ero ormai appoggiata di peso sul quel coso che era entrato nella vagina neanche per metà. Il buco dolorante si sarebbe dovuto dilatare ancora molto e lo stava facendo, tutto il mio peso in quell’unico punto insieme alla grossa dose di lubrificante stavano facendo si che penetrasse lentamente in me facendosi strada, spietatamente, nelle carni che se pur al limite non potevano sostenere tutto quello sforzo e si arrendevano permettendo la penetrazione.
Scendevo con una lentezza estenuante, urlavo disperata per il dolore della pelle delicata che sembrava strapparsi mentre si dilatava, mentre non potevo sottrarmi.
La gravità faceva il suo lavoro incurante delle mie lacrime, il sesso si apriva sempre più, mi sentivo il ventre gonfio in modo spasmodico, sentivo quel grosso uovo spingere a forza sull’utero, al mio interno, schiacciarlo sempre di più. Non mi resi neanche conto della parte dove vi erano intagliate le foglie, parte più ruvida che si trovava però in una zona in cui l’oggetto non aveva il massimo diametro. Entrarono nella vagina come nulla fosse, il foro dove era passato quell’oggetto era talmente aperto da non opporre resistenza e lentamente, delicatamente, sentii il legno del corrimano sfiorarmi i glutei per poi spingervi con sempre maggiore pressione mentre gli ultimi millimetri di turgido legno mi fottevano la fica. In breve mi trovai seduta su quella lunga lingua che era il corrimano con un oggetto enorme sparito dentro il sesso.
Respiravo a fatica e non osavo muovermi, ogni millimetro del mio corpo era tirato e ogni minima vibrazione mi faceva esplodere il ventre teso dall’ingombro inumano. Cercavo solo di concentrarmi sul respirare, continuare a respirare, l’unica cosa che mi era concessa ma poi mi fu tolta anche quella.
Gli uomini, di botto, con presa salda, mi tirarono verso l’alto con tutta la loro forza mozzandomi il fiato. L’oggetto uscì da me, nel silenzio generale si udì un forte schiocco, il rumore dell’aria che all’improvviso andava a riempire quella parte del mio corpo che era stata liberata. Iniziai a dibattermi fra le loro braccia come un’indemoniata per il forte dolore ma la presa era forte e ottenni solo di sembrare un pesce che si dibatte sulla banchina.
Aspettarono che mi calmassi e una volta ferma fecero si che la mia schiena andasse indietro e i miei glutei si alzassero in modo da mettere in bella vista per gli astanti il risultato di ciò che mi era stato inflitto:
“ohhhhhhhh…..”
Ci fu un brusio generale da parte degli invitati che ammiravano la mia vagina sfondata. Io non potevo certo vederla ma oltre al dolore sentivo chiaramente aria fresca arrivare la dove normalmente il sesso stava chiuso a riprova che la dilatazione forzata mi aveva lasciata ben aperta.
Il dottore: “bene, procediamo”
In breve fui condotta al secondo palo che mi fu cacciato dentro a forza proprio come il primo. Speravo sarebbe stato meno doloroso ma al contrario, salendo le scale piolo dopo piolo, la mia fica era sempre più irritata e l’enorme pezzo di duro legno che vi veniva ficcato dentro faceva sempre più male.
La rampa sembrava infinita e io ero distrutta. Incapace, ormai, di ogni tipo di reazione subivo quella tortura lamentandomi in modo indicibile, implorando pietà senza più implorare precisamente nessuno.
A ogni tappa urla di dolore, a ogni violenta estrazione uno schiocco insieme alle mie lacrime, ad ogni esposizione brusii sempre più increduli.
Quando venni appoggiata sull’ultimo dilatatore vi caddi sopra senza resistenza. Mi entrò dentro talmente in fretta che sbattei il coccige sul duro legno in modo doloroso e poi fui lasciata li. Incastrata su quel corrimano talmente alto che le mie gambe restavano penzolanti a due lati. Facevo fatica a tenere il busto eretto tanto che dovetti sostenermi con le mani al legno davanti a me.
Il dottore:
“bene, direi che la suo fica è stata preparata in modo ottimale e a breve potrete goderne…
però…
stavo pensando…
forse è meglio se ci spostiamo tutti al piano di sotto dove avremo più spazio!”
Tutti iniziarono a muoversi passando ai miei fianchi per scendere. Io li come una statua sfinita, inerme come un ornamento:
“Fate scendere Tania, ovviamente, allo stesso modo in cui è salita”
Tutti si bloccarono sbigottiti, io non riuscivo più ad avere nessuna reazione:
“però di buchi ne ha due, fatela scendere con il culo!”
Vociare nella stanza, parole, incredule, dette sotto voce che subito si zittirono incontrando lo sguardo incattivito del dottore.
“eseguite”
Gli stessi uomini tornarono al mio fianco, con lo sguardo basso mi ripresero e mi alzarono di peso. L’ingombrante legno uscì facilmente dalla fica martoriata fra i miei sommessi lamenti. Salirono gli ultimi gradini per raggiungere la balconata, girarono di 180 gradi per invertirsi le posizioni, scesero al punto in cui erano fino a poco prima.
Li vidi guardarsi fra loro, indecisi e poi appoggiarmi in modo che il cuneo iniziasse ad entrarmi nell’ano impreparato ed esposto agli occhi di tutti. Mi guardavano sconvolti dalla sodomizzazione estrema che stava per essermi inflitta.
Mi penetrò dentro per i primi 10 centimetri dilatandomi il culo tanto che ci sarebbero potuti stare comodamente due cazzi di buone dimensioni.
“basta, vi prego, basta”
La mia voce era talmente debole che si sentiva a malapena, non avevo più la forza neanche di urlare.
L’oggetto mi penetrò spanandomi il culo ancora per qualche centimetro ma poi si fermò, la gravità, il mio peso, il lubrificante non erano sufficienti a far entrare quell’enorme arnese nel mio ano. Rimasi li, appesa, impalata ma non impalata abbastanza.
Provarono anche a fami girare un po’ a sinistra e a destra per far procedere la sodomizzazione forzata ma servì solo a far stridere il mio buchino sul legno che vi si premeva dentro a forza. Non scendevo più, non mi aprivo più.
Mauro guardò il dottore senza sapere cosa fare e lui, infastidito:
“beh, che fate? prendetela per le caviglie e tirate fino a che non riuscirete a ficcarle quel cazzo di coso tutto dentro il culo”
I due erano increduli, si abbassarono lentamente appoggiandomi le mani sulle caviglie incerti. Io dovetti sostenermi con le braccia per non cadere in avanti:
“no, vi prego, no, basta, vi supplico, basta”
…
…
…
Urla.
Improvvise.
“CARABINIERI, fermi tutti, faccia a terra”
…
Stavo cadendo, lentamente, non vi era più nessuno a tenermi, a sostenermi e le mie braccia… ero troppo stanca, stavo cadendo dal corrimano e poi, braccia a salvarmi, a sorreggermi. Ero quasi svenuta ma riconobbi il suo volto.
MARCO
…CONTINUA. IL RACCONTO TI E’ PIACIUTO? LO HAI ODIATO O ALTRO? DARE UN’OPINIONE AIUTA A MIGLIORARSI glorfindel75@gmail.com
CAPITOLO 21
“Tania ma sei sicura ?”
“si Marco, credo di doverlo fare, di averne bisogno, dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che ho dovuto lasciare che succedesse, dopo tutto quello che mi sono forzata a dare non è questo il momento di farmi sconti. Ora devo forzarmi ad affrontare quest’ultima prova per ritrovare me stessa e devo farlo da sola, vorrei tanto averti al mio fianco ma sai che non sarebbe giusto, devo farlo io”
“lo capisco, ti ammiro, sei una donna incredibile e sono fiero di essere il tuo uomo”
“sei sicuro al 100% che saremo soli, io e lui e che nessuno potrà mai venire a sapere nulla di quello che accadrà?”
“si, non preoccuparti di nulla, pensa solo a ciò che devi fare”
…
Erano passati tre giorni da quando ero stata salvata dai Carabinieri. Ero in uno stato pietoso e ci era voluto tempo perché mi riprendessi. A dire il vero ero ancora in uno stato pietoso ma almeno riuscivo a stare in piedi sulle mie gambe, quello che dovevo affrontare lo volevo affrontare a testa alta.
Marco mi aveva accompagnato alla stazione dove lavorava, erano tutti li, detenuti in attesa di processo, tutti i miei aguzzini, arrestati la sera della festa. Quando le forze dell’ordine avevano fatto irruzione molti avevano provato a scappare ma tutte le uscite erano presidiate.
Il Dottore con la moglie, Pamela, i proprietari del negozio di abiti, lo stalliere Mauro e un’altra decina di persone tra i più fedeli di quell’uomo che mi aveva soggiogata, ingannata e che ad un certo punto avevo pensato addirittura di amare. A loro si erano aggiunti in una retata avvenuta in contemporanea i vari servitori del Dottore, il maggiordomo, la cuoca, tutti quelli che avevano approfittato della mia situazione o che erano stati a guardare senza fare nulla sia nella villa che in campagna.
Mancavano i miei famigliari, ero stata io a chiedere a Marco di darmi tempo per pensare, per pensare a loro ma non mi andava proprio di farlo ancora, non ci riuscivo.
Per me era stata riservata una stanza particolare alla stazione dei Carabinieri, una stanza senza occhi ne orecchie, così la chiamavano. Era una stanza che in teoria doveva essere un magazzino ma che in realtà serviva per quelle pratiche per cui era bene che nessuno vedesse e nessuno sentisse.
Entrai, un ambiente vuoto, totalmente. Qualche scaffale per dare la parvenza di magazzino sui lati. Un tavolo al centro, due sedie di metallo agli estremi del tavolo. Una era già occupata dal dottore, in camice da detenuto con cui mandava un’immagine molto diversa da quella solita. Le manette incatenate al tavolo gli donavamo meno del suo amato orologio.
Era la prima volta che ci vedevamo da quell’ultima sera. Mi guardò entrare, il suo sguardo era sempre fiero, non certo vinto ma da lui si espandeva una profonda rabbia che cercava di celare. Potevo capirlo, o si che potevo capirlo, un uomo così potente, abituato a comandare e dominare doveva aver digerito veramente a fatica gli ultimi tre giorni passati in prigione in pigiama a righe.
Mi sedetti, lentamente, cercando di celare i dolori che ancora provavo per il trattamento a cui mi aveva sottoposta:
“Salve Alessandro, che strano, è la prima volta che ti chiamo per nome, Dottore, Dottore”
“infatti non dovresti Tania, non te ne ho mai dato il permesso, la situazione è temporaneamente strana ma i miei avvocati risolveranno molto in fretta e presto ritorneremo la dove eravamo pochi giorni fa”
Che strano, aveva cambiato completamente luce. Certo, anche li in quel luogo cercava di sembrare l’uomo distinto che avevo conosciuto ma non ci riusciva, non ci riusciva più o forse io non lo vedevo più così:
“Alessandro, non credo che andrà così, anzi, diciamo che posso anticiparti che non andrà così. Non posso essere sicura che non rivedrai mai più casa tua ma posso assicurarti che non riavrai più la tua libertà per tanti, tanti anni”
Esplose, era la prima volta che lo vedevo urlare, la maschera si era rotta, l’uomo intangibile era diventato un semplice uomo che affrontava la situazione, le sue paure, come tutti gli altri uomini; avendo paura e dimostrandola con la rabbia:
“stupida puttana, chi ti credi di essere, sarò fuori di qui in un attimo, non avete nulla contro di me, non ho fatto nulla di male” abbassò la voce, tanto da poter essere udito appena, sicuramente aveva paura di essere registrato. Dovetti quasi leggergli le labbra per capirlo:
“ho un contratto che dice chiaramente che tu VOLEVI fare ciò che i carabinieri ti hanno trovata a fare. Rimarrà solo la tua parola contro la mia, contro me e un esercito di avvocati. Ti seppellirò in tribunale e poi distruggerò te e la tua famiglia. Davvero mi credi così sciocco, pensi che io mi sia mosso senza avere pensato ad un’eventualità come questa? E’ fastidioso oggi ma tutto si sistemerà in brevissimo, sono in una botte di ferro e tu non puoi farmi nulla”
Qualche istante di silenzio per guardare quell’uomo che quasi sbavava:
“Alessandro, veramente non hai capito? Non ti sei reso conto di nulla? Non hai usato questi giorni di cella per riflettere? Non ti sei reso conto di quello che è successo nell’ultimo periodo e che nulla è successo per caso?”
“che vuoi dire?”
“ti faccio una domanda. Come ci hanno trovato i carabinieri? Tu stesso avevi descritto quel posto come sicuro, introvabile ma ci hanno trovato, come”
Ora era a bocca aperta, rifletteva sull’ultimo periodo, sull’ultima sera:
“non lo so ma poco cambia, resta il fatto che non mi può essere addebitato alcun che, sarò fuori a breve”
“Alessandro, ora facciamo un gioco” lo vidi sorridere per il sarcasmo della mia frase, io che sceglievo un gioco per lui:
“ti prego, ascolta prima le regole e poi gioca come vuoi.
Io ora ti racconterò una storia e tu potrai scegliere se ascoltarla fino alla fine e sapere tutto ma proprio tutto quello che ho contro di te oppure potrai interrompermi, dire anche solo una sillaba e io smetterò di raccontare, smetterò di dirti tutte le cose che non sai ok?”
Non mi rispose, ne si ne no, semplicemente appoggiò la schiena sullo schienale e incrociò le braccia per quanto le manette glielo permettevano:
“la storia, per te, inizia la sera in cui i ladri sono entrati nella tua casa” spalancò la bocca, stava per parlare ma alzai un dito come monito e si trattenne: “quelli non erano ladri, erano uomini ingaggiati per un lavoro, pensa, neanche io lo sapevo, anche io ne ero all’oscuro così che la mia reazione fosse la più spontanea possibile. Quella sera quegli uomini presero i soldi dalla tua giacca, doveva sembrare una rapina in fondo. Poi presero i documenti dalla cassaforte e fuggirono”
Di nuovi un suo sussulto in avanti e il mio dito ad ammonirlo e rimetterlo al suo posto:
“lo so, vorresti dirmi che i documenti, le fottutissime cambiali ti sono state rese ma ti ripeto, era tutta una cosa organizzate. Il carabiniere ti ha riportato delle cambiali ma sono false, se avessi controllato bene il timbro ti saresti accorto che erano fasulle”
Ora non cercava più di parlare, era spiazzato:
“siamo solo all’inizio ma intanto le cambiali, Alessandro, non esistono più, le ho bruciate molto tempo fa. Questo però non bastava, c’era il problema del contratto che non sapevo dove avessi riposto e che potrebbe, come dicevi poco fa, fungerti da scappatoia, da alibi”
Era molto attento e silenzioso:
“Immagino che tu sappia molto bene che nessun contratto può costringere qualcuno a fare o subire pratiche illegali. Certo, lo so, il concetto di pratiche illegali è labile e voler subire pratiche BDSM non è reato quindi, in assenza di prove che dimostrino che la persona che le subisce sia costretta contro la sua volontà, il tuo bel contratto ti terrebbe al sicuro da ogni accusa.
…
Però, però il problema è che sei una persona abitudinaria, legata ai suoi riti, ai suoi oggetti, ai suoi orologi”
Vidi rughe apparire sulla fronte di Alessandro
“non ci crederai ma dopo l’arresto, come previsto per legge, le forze dell’ordine hanno controllato i tuoi beni personali e hanno scoperto che il tuo amato orologio in realtà registrava ogni cosa che sentiva, conteneva una microfono, Alessandro, è stato stupido registrare tutto quello che hai detto quella sera”
Uno scatto in avanti a bocca aperta, non alzai neanche il dito, alzai solo le sopracciglia, non emise fiato:
“già, quell’orologio che la stessa sera della rapina il carabiniere prese e tirò contro il ladro per poi riportartelo, insieme alle cambiali false riportati quell’orologio registratore”
Ora fui io a sussurrare anche se sapevo che non ce ne era bisogno:
“anche l’orologio era falso, stesso identico modello ma modificato, all’interno vi era un registratore e un GPS, ecco come ci hanno trovati”
Ricadde sullo schienale della pesante sedia di metallo, le spalle basse, non vi era più rabia in lui, lo sconforto si stava facendo strada.
“ho quasi finito, concludo un attimo ok?”
Solo sconforto:
“tu e tutto il tuo enturage siete accusati di rapimento, stupro, sevizie, lesioni e il pubblico ministero che ha sentito le registrazioni mi ha già detto che viste le tue chiare dichiarazioni di volermi portare alla morte tu personalmente verrai accusato di tentato omicidio doloso, la pena prevista è la detenzione da 12 anni all’ergastolo. Il procuratore chiederà, te lo anticipo, l’ergastolo e è sicuro che lo otterrà”
Sconforto
“tranquillo Alessandro, è tutto preparato, in carcere ti aspettano. Abbiamo già un nutrito gruppo di energumeni che vi aspettano, abbiamo stretto un patto con loro, in cambio di diverse facilitazioni per le loro vite in prigione hanno ACCETTATO LA CONDIZIONE di prendersi cura di voi.
Vorrei tranquillizzarti dicendoti che dopo un po’ vi abituerete a tutte le attenzioni che avranno per voi, vorrei sollevarti dicendoti che i detenuti che vi cureranno non passeranno l’ingente tempo libero che hanno a disposizione a pensare a quale giochi potrete fare assieme, vorrei dirti che non avrete la privacy necessaria ad approfondire a pieno il vostro rapporto ma no, Dottore, non ci si abitua mai, la fantasia galoppa e la privacy sarà sempre, ogni giorno, ogni ora, assicurata in carcere”
Mi alzai, il suo sguardo era basso, sconfitto. Me ne andai.
…
…
…
Dodici anni dopo.
Sto rientrando a casa, chiudo la porta: “ciao amoreee”, non mi risponde ma oggi è normale, sorrido, sono eccitata.
Io e Marco stiamo assieme, da dodici anni, fanno dodici proprio oggi e dobbiamo festeggiare.
Il nostro è un rapporto di coppia normale, si, normale, lui è il mio amore e io sono il suo.
Un rapporto BDSM al livello di quello che ho subito o voluto nel mio passato non credo che sia sostenibile in un rapporto di coppia che punta a durare tutta la vita.
Essere puniti, torturati, brutalizzati in quel modo credo sia troppo anche per una persona masochista quale io, in fondo, sono. Forse mi sbaglio ma di sicuro è troppo per me però; però sono anche la sua schiava e lui il mio padrone. E’ un equilibrio delicato da mantenere. La vita con tutte le sue infinite curve, i suoi infiniti saliscendi, influenza i rapporti di coppia rendendo per me impossibile essere sempre una schiava e avere sempre un padrone. Spesso devo essere una donna che interagisce con il suo uomo.
Non sono stati dodici anni sempre facili, ci hanno trasformato e abbiamo dovuto trovare il nostro equilibrio, lo stiamo ancora facendo, con un po’ di fortuna continueremo a farlo per tutta la vita ma abbiamo fatto dei patti. Diciamo che abbiamo ACCETTATO DELLE CONDIZIONI.
Lui ha accettato di essere solo il mio uomo, il grande amore della mia vita e io ho accettato di essere anche la sua schiava e non solo la sua donna.
Più precisamente ho dei compiti di mia responsabilità.
Il primo compito è quello di baciarlo ogni volta che rientro, non sono ammesse deroghe, anche se avessimo litigato e ci stessimo sbranando, anche se fossi triste per qualcosa, arrabbiata, frustrata o che so io, rientrando è mio compito ricordargli che lo amo baciandolo.
Il secondo compito è quello di dover ospitare il suo sperma nel mio corpo, in ogni orifizio del mio corpo, almeno una volta alla settimana. In pratica devo assicurarmi che ogni settimana lui eiaculi sia nella mia fica che nella bocca che nel culo.
Il terzo compito è quello di portare sempre un segno di lui. Forse è quello più complicato, non è facile farsi lasciare un segno sul corpo, non basta una sculacciata, bisogna insistere tanto perché duri giorno. Devo assicurarmi di avere addosso almeno un livido che dimostri la mia appartenenza a lui facendomene fare uno nuovo prima che sparisca il vecchio.
L’ultimo compito è un compito che Marco non conosce, non me lo ha assegnato lui, l’ho imparato io negli anni. Mi sono resa conto che quando le cose fra noi non vanno bene è inutile cercare il motivo della singola lite. Quando le cose fra noi non vanno bene è perché lui ha bisogno di sentirsi più padrone, essere solo il mio uomo non gli basta e non credo che possa farci nulla, ha bisogno di sentirsi il mio Dio, l’unico mio pensiero e quindi devo assicurarmi di portarlo un po’ più verso gli estremi della parte BDSM del nostro rapporto, un po’ più vicino a quegli anni passiti che poi, alla fine, lui si accanisce solo un po’ di più sul mio corpo, diventa un po’ più pesante della normalità ma mai troppo, mi ama, se si rende conto che gli lascerei fare qualsiasi cosa si placa senza mai arrivare a pratiche a cui io non vorrei arrivare.
Altro di questi dodici anni? La mia famiglia? No, nulla di nuovo, è una cosa a cui non volevo pensare e non ho cambiato idea. Io sento di aver fatto tutto quello che ero tenuta a fare e ora, semplicemente, non voglio avere più nulla a che fare con loro, mi fa troppo male e io voglio vivere stando bene.
Bene, oggi è il nostro anniversario e fra i nostri piccoli accordi di coppia c’è anche che le feste si festeggiano con il sesso anale, beh, è ancora il mio Marco fissato per il culo però, però questa volta abbiamo in programma una cosa mai fatta, sto fremendo, è ora che mi prepari.
Entro nella nostra camera da letto, lui è li, sdraiato a pancia in giù, nudo, girato in modo che il viso sia dalla parte opposta a me. Non mi vede e non mi parla, è il nostro accordo è il motivo per cui non mi ha risposto quando l’ho salutato entrando.
Sono nuda, lui mi vuole nuda, non ama la lingerie, vuol solo me senza nulla, neanche profumo o gioielli di sorta. Devo ancora baciarlo visto che sono appena tornata, un bacio un po’ speciale questa volta.
Salgo sul letto, mi infilo fra le sue gambe divaricate, appoggio le mani ai glutei e li allargo gentilmente, scendo e bacio il suo ano, lo lecco un po’ con la lingua proprio come bacio lui quando ci rivediamo e poi mi sdraio sopra il suo corpo, sulla sua schiena.
Nel silenzio inizio a sbaciucchiarlo a leccarlo sul collo, sotto l’orecchi e scendo verso la schiena.
Devo ricordarmi che è un uomo, funziona diversamente dalle donne, preliminari soft troppo lunghi rischiano di divenire noiosi. Bacio qui e la la schiena, mi piace il sapore della sua pelle, lentamente scendo fino ad arrivare alla parte lombo sacrale. Mi appoggio sulle sue gambe, il seno sul suo sedere e senza smettere di leccare faccio scivolare le mani sotto di lui che mi fa spazio alzando il pube. Trovo il sesso turgido, lo afferro con entrambe le mani, lo stimolo. Scendo con la mano sinistra mentre scendo con la lingua. Lo masturbo con la destra e accolgo i testicoli nella sinistra, lo scroto, più freddo, voglio scaldarlo con la mano, mi ha detto che è piacevole e intanto posso massaggiargli anche le palle. E’ scesa anche la lingua, con cerchi concentrici sono tornata dove ero partita, al suo ano. Lui si alza di più, mi fa più spazio per lavorare sul sesso e espone meglio il sedere. Lo lappo con avidità, non è una cosa nuova, so che gli piace, spesso si siede sulla mia faccia e sta li a farsi leccare il culo finché non riesco a farlo venire con le mani, finché non lo faccio sborrare sulle tette.
Questo è un lavoro su cui posso soffermarmi più a lungo, non lo annoia di certo ma lo sento troppo caldo, il cazzo troppo caldo, non devo farlo venire adesso, il programma è un altro:
“padrone, sicuro?”
“perché no?” sorride mentre si mette a pecora, con il busto sul materasso e il culo ben esposto.
Prendo la bottiglietta del lubrificante, sono quasi gelosa, è mia quella bottiglietta, serve ad infilarmi cose dentro e poi ho paura di fare un casino, sono incerta, credo sia normale non avendolo mai fatto.
Mi spalmo le mani di liquido vischioso, con la sinistra riprendo il massaggio sul sesso che ora raggiungo meglio, passo dalla cappella fino ai coglioni con lunghe carezze, ungendolo tutto. Non posso fare a meno di pensare alla possibilità che voglia venirmi in bocca, odio leccale il lubrificante ma a volte mi tocca. Con la mano destra inizio ad infastidire il suo ano, spalmo bene il liquido, abbondante, giri concentrici e ad ogni giro finisco spingendo un po’ la punta del dito al centro, con calma, ho paura di fargli male:
“tutto ok?”
“ehi, abbiamo un patto, tu fai ciò che vuoi, se dovesse servire ti fermerò io”
Ci penso un attimo e poi spingo piano, la prima falange entra bene, scivola bene, si porta dietro la seconda e in men che non si dica ho un dito dentro il suo culo. Sono quasi stupita me è una cosa fica. Ho letto in un sacco di posti che se stimoli la prostata agli uomini da dentro il culo quelli godono un sacco e io amo far godere un sacco Marco.
Inizio a cercare, spingo il dito contro la parete anale in direzione del suo pene, mi muovo lentamente qui e la fino ad identificare una zona che quando stimolata fa vibrare il cazzo che ho nell’altra mano. Trovata? Direi di si, forse si, giochiamoci un pochino.
Spingo in quella zona, esco un po’ con il dito e poi rientro a cercarla, me lo sditalino delicatamente mentre sento i muscoli dell’ano stringere sul mio dito. Se stringessi io così quando mi infila i plug enormi che gli piacciono non riuscirebbe mai a farmeli entrare nel culo però per lui è la prima volta e poi non si lamenta, non lo sento teso, non credo gli faccia male, vorrei tanto chiederglielo ma non posso.
Estraggo il dito, lubrifico ancora un po’ e questa volta ne punto due, spingo piano, non entrano, stringe troppo ma lui inarca la schiena ad incitarmi e allora spingo di più, lo forzo, entro, lo masturbo e affondo in lui, non è male, dovremo rifarlo con lui girato dall’altra parte così potrei succhiargli il cazzo. Prossima volta.
Continuo il mio lavoro e lo ammorbidisco quanto basta per quello che dobbiamo fare.
“direi che sei pronto”
Lui si sdraia di nuovo sul letto, gambe aperte e culo alzato. Io mi avvicino, mi addentro fra le sue gambe fino ad arrivare a puntare lo strapon che indosso al suo orifizio.
E’ rosa, lo strapon, dimensioni normali, come quelle di un cazzo medio, più piccolo del suo cazzo. E’ di quelli senza cinghie, si fissa dentro la fica, in profondità in modo che muovendolo io venga stimolata. Con una mano gli tengo i glutei aperti per vedere il suo buco e con l’altra punto il mio cazzo finto. Provo ad entrare ma non riesco, cazzo, la posizione è sbagliata, in questo modo spingo verso avanti e invece dovrei spingere verso il basso per entrargli dentro. Faccio più forza con la mano con cui gli allargo le chiappe in modo da alzare il mio bacino e poi tiro il dildo per inclinarlo verso il basso, verso di lui ma nel contempo ottengo di spingermelo bene verso il punto G. Ho un brivido, prendo la mira e spingo un po’, la punta affonda, entra nel suo culo, qualche centimetro ma la sua mano scorre verso dietro, verso di me, a spingermi indietro. Esco subito, oddio, gli ho fatto male:
“scusa, scusa”
“shhh, non è nulla, non mi hai fatto nulla, devi solo darmi un attimo come io faccio con te. Entra poco, e poi esci, un po’ di più e esci e così via”
Mi riposiziono e faccio come ha detto lui, faccio affondare un pezzettino di cazzo rosa nel suo culo e subito esco, lo faccio e lo rifaccio e anche senza volere mi trovo ad entrare sempre di più.
La sua mano mi afferra di nuovo, mi irrigidisco ma non mi manda indietro, mi afferra per una chiappa e mi tira verso di lui, sono in un equilibrio precario e non riesco a tenermi, lentamente mi appoggio a lui entrandogli tutto nel culo, il mio pube sulle sue chiappe, lo strapon dentro il mio uomo che però continua a tenermi, tirarmi verso di lui.
Con l’altra mano mi prende da dietro la testa, mi porta la bocca alla sua pelle, lo bacio, lo lecco.
Ora che mi ha messo la bocca dove voleva porta entrambe le mani al culo, me lo afferra, spinge indietro il suo e mi incita a scoparlo. Ora ho caldo, ora non ho più paura e quella situazione inversa, lui che mi istiga, il tutto mi sta facendo effetto.
Mentre lo bacio mi striscio sopra di lui per muovere il plug. Il mio petto a contatto con la sua schiena, ci strusciamo mentre faccio avanti e indietro inculando lui e al contempo masturbando me con la parte interna di quel sex toys.
Sento lui, in silenzio, aumentare il respiro mentre mi tira con forza il culo a lui, spalancandomi le chiappe. Lo seguo spingendo con forza il mio pube in modo da penetrarlo il più possibile. Senza neanche accorgermi lo mordo, geme, mi stacco ma subito mi afferra la testa e la riporta sul segno dei miei denti.
“dai, fottimi, Tania fottimi”
Gli appoggio le mani sui fianchi appoggiando tutto il peso su di lui, lui riafferra il mio culo e se lo spinge forte contro. Baccio, lecco e mordo, forse a volte troppo, lo sento irrigidirsi ma non mi fermo, ha detto che se serve mi ferma lui. Il mio non è un entrare e uscire dal suo culo, mi sono eccitata e ora sto pensando a me. Resto ben piantata in lui e spingo avanti e indietro. La penetrazione, sempre completa, varia di pochi millimetri nella profondità del suo ano spalancato però in questo modo riesco a trasferire il movimento al punto G e al clitoride. Dopo pochi minuti mi ritrovo a godere. Non è l’orgasmo più forte della mia vita ma se considerate che non immaginavo neanche che scopandomelo sarei venuta è una bella sorpresa.
Mi accascio su di lui ansimando. Punto le braccia per alzarmi e per liberargli il culo ma mi afferra e mi tiene li:
“non c’è fretta, resta su di me e goditi il tuo orgasmo fino alla fine, io lo faccio sempre senza preoccuparmi minimamente di te e poi non mi dai fastidio”
Resto sdraiata su di lui finché il mio respiro non si calma. Con l’orecchio appoggiato alla sua schiena mi godo il battito del suo cuore poi alzo lentamente il pube e esco dal suo culo. Non resisto alla tentazione di infilarci due dita dentro per sentirlo:
“hihihih, questa volta ti ho sfondato io il culo, è morbido morbido come di solito tu riduci il mio”
“non hai mica finito”
Esce da sotto di me, mi fa girare a pancia in su, mi sale sopra e si impala da solo mentre mi porta le mani al cazzo.
“fottimi e fai venire me adesso ma fottimi forte”
Inizio a sbattermelo con tutte le forze, lui sta un po’ alzato in modo che io abba il modo di fare avanti e indietro usando gli addominali. Entro e esco da lui, me lo scopo come lui mi ha scopata tante volte e intanto lo masturbo, lo guardo, lui mi guarda. Dopo poco mi afferra i seni, stringe, è un segno chiaro. Affaticata, sudata, raccolgo le forze per sbattergli lo strapon dentro il culo più forte che riesco. Il mio bacino sbatte forte contro il suo culo mentre me lo inculo furiosamente mentre me lo masturbo intensamente e lui viene, spruzza, il primo getto sul seno, il secondo, più copioso, mi raggiunge le labbra. Lecco il suo sperma, lo raccolgo con la lingua mentre ancora viene, mentre ancora lo inculo e poi si siede su di me, si accomoda sul pene di gomma, si stente su di me, il petto contro il petto, sudati, fra i nostri corpi ansimanti il suo seme:
“è stato carino padrone”
“si, beh, ora sai cosa voglio quando mi trovi sul letto in quel modo”
Sorrido:
“ti amo”
…FINE. NON CONTINUA PIU’
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28 Giugno 2012 14 Febbraio 2025
Ciao volevo semplicemente ringraziarti per questo bellissimo racconto ; i personaggi ,la trama,lascrittura sono degni di fare parte di un…
Due gemelle come protagoniste scatenano le mie più turpi fantasie. Se il giorno che stavo per cominciare la stesura del…
W-O-W! Non scherzavi quando dicevi che questa sarebbe stata più hot. E devo dire che di carne al fuoco ne…
Questo è forse il capitolo più noioso dell'intera storia, prometto che i prossimi saranno più "ad alta temperatura", come dicono…
Breve, ma d'impatto. Interessante. Attendo il seguito!