Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Roberta

By 7 Gennaio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments

Roberta lavorava come softwarista nell’ufficio a fianco al mio.
Non era una bella donna in verità: una brunetta piccola, minuta, un tipino.
Aveva circa quindici anni meno di me, poteva essere sulla trentina.
Ricordo bene quando era stata assunta all’epoca: n’ebbi l’impressione di un passerotto timido impacciato ed arrabbiato. Si, un risentimento offuscava quel bruno visino.
Per i primi anni non l’avevo neanche notata, poi cominciò a diventarmi interessante.
Era ermetica, non lasciava trapelare nulla di se, con nessuno. Portava i capelli in modo tale che il volto ne fosse quasi coperto, come se nella sua vita ci fosse un segreto che non voleva assolutamente si scoprisse.
Questo m’intrigava, mi affascinava. Volevo entrarle nell’anima,scoprire cosa nascondesse ,sviscerare la sua intimità, scuoterla fino a farla uscire ,almeno nei miei confronti, da quella segretezza che qualcuno poteva vedere anche come pudicizia.
La seguivo per tutta l’azienda, quando usciva vedevo se avesse lasciato sulla scrivania qualche indizio. Una volta (mi vergogno a dirlo) aprii una vecchia agenda che aveva lasciato sul tavolo, senza che ovviamente contenesse nulla d’interessante.
Avevo altresì notato, e con tanto piacere, come le interessassi. Talvolta mi lanciava sguardi sfuggenti, altre volte, con la rabbia di cui dicevo, mi fissava quasi con sfida.
Tentai qualche approccio diretto ma fuggì via. Altra sua stranezza: in compagnia di più persone riusciva anche a far la spiritosa nei miei confronti, sempre in tono contenuto, ma evitava rigorosamente di star sola con me.
Era come se dentro di lei ci fosse una figura che l’attraeva e la respingeva allo stesso tempo e che io personificassi quella figura.
Si sa che quando più una cosa &egrave proibita e difficile da raggiungere, più diventa attraente. Soprattutto quel suo essere mingherlina mi portava a fantasie violente nei suoi confronti.
Fantasticavo di denudarla con forza per scoprire la sua intimità, di violentarla per impossessarmi selvaggiamente di lei.
Più passava il tempo più lei diventava un’ossessione.
Ero quasi dell’idea di cambiare ufficio in modo da non vederla più e di ritrovare la tranquillità perduta, quando un giorno avvenne quello che non avrei mai immaginato.
Era inverno. Alle cinque di sera era già buio. Ero uscito dall’ufficio e stavo dirigendomi al parcheggio a recuperare l’auto.
Improvvisamente la vidi davanti a me. Stava dirigendosi anche lei allo stesso posto.
Mi precedeva di venti metri. Il cuore cominciò a battermi all’impazzata. Finalmente, con un po’ di coraggio, avrei potuto avvicinarla e parlarle da solo. E, mi chiesi, se con una scusa fosse scappata via? No, dovevo essere coraggioso e deciso, costasse quel che costasse.
Vidi che stava inserendo le chiavi nella portiera della sua macchina e che dopo averla aperta vi si era infilata dentro. Con tre balzi fui all’altra portiera, l’aprii e balzai dentro.
Lei ebbe un sussulto, emise un piccolo grido, mi guardò con gli occhi sbarrati.
“Ah, sei tu…” disse con sollievo. Poi però il suo sguardo si rabbuiò e il solito risentimento si accentuò. Quindi continuò:
“cosa ci fai qui? Mica ti ho invitato ad entrare..per favore scendi”.
Respirava affannosamente, aveva detto le ultime parole quasi con voce flebile. Questo m’incoraggiò, mi fece sentire un predatore.
“Roberta, devo parlarti” dissi con voce calma e decisa nello stesso tempo” .
“Credo che io e te abbiamo nulla da dirci”, parlò un tantino agitata .
Era agitata, questo era certo. L’emozione le alterava l’alito rendendolo leggermente sgradevole.
“Roberta” aggiunsi “si può sapere perché ce l’hai con me?”.
Abbasso la testa, era interdetta.Non sapeva cosa rispondere. Rialzò la testa mi fissò e in quegli occhi vidi una tristezza rassegnata che me la fecero desiderare ancora di più. Non scorgevo più la rabbia in lei.
Osai.
Le presi la mano e gliela strinsi. Lei tentò di ritrarsi, ma poi cedette, mi lasciò fare.
Le feci una carezza, mi guardò come per dirmi ‘che aspetti?’. Poi più non resistetti.
La trassi a me le incollai le labbra sulle sue e con la lingua cercai di aprirmi un varco.
Lei mi punto le mani sul petto per respingermi, poi si lascio andare. Si, si lasciò andare totalmente.
Aprì la piccola bocca, permise alla mia lingua d’insinuarvicisi.
Leccai i suoi denti ed il palato, presi la piccola lingua, che lei generosamente mi offriva, tra le mie labbra e succhiai a piccoli sorsi. La sua saliva era poca, presto la prosciugai. Pareva che le stessi succhiando tutto quello che aveva dentro, anche l’anima.
Gli odori del suo corpo sembrarono tutti fuoriuscire dalla bocca ed essere aspirati da me.
Il bacio durò un’eternità, alla fine eravamo stremati da quelle emozioni.
La abbracciai e le parlai in un orecchio. Il mio fiato le sussurrò:
“Finalmente.. piccola mia…cattiva, sei stata cattiva…quanto mi hai fatto soffrire…una sadica..ecco cosa sei stata”
In quest’abbraccio intenso lei non diceva niente, piangeva,piangeva d’un pianto disperato, liberatore ed appagante.
Qull’alito che ora era quello di una persona debole ed indisposta, mi ripeteva:
“Scusami, non lo sapevo…si ti ho desiderato …mi vergognavo..non avrei mai immaginato..oh, la vergogna…”
La parola ‘desiderato’ m’inebriò, mi eccitò all’inverosimile.
“Sono pazzo di te, ti desidero da morire” aggiunsi con tutto l’ardore .
La sentivo ansimare leggermente; prese un dito della mano con cui le reggevo la testa e lo succhiò avidamente.
“Si prendimi, ti prego prendimi..”
Per fortuna il parcheggio era buio e quasi deserto. Abbassai il suo sedile e con delicatezza la distesi.
Le sbottonai la camicetta e dal reggiseno estrassi i piccoli seni bianchi come provolette, ma dal capezzolo stranamente scuro. Succhiai avidamente quei bottoncini neri, prima uno poi l’altro. Si ersero, e pur rimanendo piccoli svettarono sul biancore del seno.
Adesso lei gemeva, ogni tanto reclamava di voler essere baciata avidamente.
Il massaggio ai seni durò a lungo. Il mio pene era tesissimo e per un istante temetti un’eiaculazione precoce, ma mi trattenni.
La mano frugò tra le sue cosce, stranamente quel giorno aveva la gonna.
Le mutandine erano bagnate fradice. Quando si accorse della manovra strinse per istinto le gambe e cercò di scostare la mia mano che rimase incastrata in quella presa.
“No, ti prego..no..no..mi vergogno..ti prego..”
diceva implorandomi.
“Ti amo, Roberta, ti desidero, abbi pietà di me, se non ti ho impazzisco” le risposi.
Queste parole parvero calmarla.
La fissai, mi sorrise: lo presi per incoraggiamento.
Sentii la stretta delle sue cosce sulla mia mano allentarsi e con delicatezza tornai ad allargarle le gambe.
Con il mio ginocchio le bloccai quella destra, mentre la mia mano intrufolata le bloccava l’altra.
Il mio dito indice scosto le mutandine e senza alcuna difficoltà la penetrò. Lei sussultò, s’irrigidì per un attimo poi si rilassò.
Andavo su e giù con il dito mentre lei fremeva e sospirava.
Aumentai il ritmo cercando di essere sempre delicato. Lei si era oramai abbandonata completamente e quasi rantolava. L’incalzare del ritmo la portò alla frenesia.
Sicuro oramai d’averla, con l’altra mano le scostai ulteriormente le mutandine scoprendo completamente la fighetta. La circondavano piccoli cespugli di peli neri.
Leccai quel clitoride che, come tutto in lei, era piccolo ma ultrasensibile, continuando il lavoro col dito.
Alla quarta leccata non si contenne più, gridò (mi preoccupai che qualcuno ci avesse sentito), inarcò le reni sollevandosi dal sedile, emise una serie di gridolini in rapida sequenza, poi un ansimare che preludeva all’appagamento.
Con forza mi sollevo la testa e pose le mie labbra sulle sue, succhiando i suoi liquidi dalla mia bocca e con essi quell’aroma d’acqua marina che così intensamente avevo aspirato, quando la leccavo.
Alla fine dell’orgasmo smise di baciarmi girò la testa di lato sul sedile rifiutando con smorfiette i baci che le porgevo sul collo.
“amore mio, povero amore..” mi disse con un caldissimo sorriso ” m.. tu sei rimasto a bocca asciutta..”.
“Mi basta averti visto godere”le dissi felice.
“Non se ne parla neanche..”fece lei decisa
” Si? e cosa vorresti farmi?”dissi scherzosamente
Si sollevò, si ricompose gli scompigliati capelli. Il suo volto ora era bello, disteso, irradiava solo gioia. Sembrava un’altra persona.
Con una forza che mi sorprese mi obbligò a distendermi; quindi armeggio sulla mia cintura e delicatamente mi abbasso i pantaloni.
Accortasi del turgore e della rigidezza del mio pene, attenta a non farmi male, lo sfilò dallo slip e, tenendolo nella manina destra lo fissò compiaciuta.
“E’ bello”disse arrossendo.
“Ti piace?” feci.
Non disse null’altro. Abbasso la testolina e aprì quanto più poteva quella boccuccia, ingoiando il glande interamente. Il contatto con la morbidezza e il calore di quelle labbra mi trassero un sospiro di piacere estremo.
“Scusami, non riesco ad ingoiarlo tutto. so che a voi uomini piace, ma non ne sono capace. Mi viene il vomito” mi disse sollevando di nuovo la testa .
Non le risposi neanche. Ero in estasi.
Riabbassò la testa e continuò il lavoro con quella bocca che andando su e giù trasportava, nel movimento di quelle calde labbra, la pelle del mio pene, regalandomi sensazioni mai vissute prima.
Ormai ero all’esplosione. La fermai per un attimo e l’avvertii. Lei mi sorrise con libidine.
“Fa niente” sussurrò.
Ringoiò il glande e continuò aiutandosi anche con la mano.
Esplosi. Le inondai la bocca di sperma. Lei non si fermò assecondando con la mano e la bocca le violente contrazioni che mi aveva provocato.
Alla fine chiuse la bocca, mentre sfilava il pene ancora rigido. Inghiottì il tutto. Io la attrassi a me e la baciai profondamente sentendo nella sua bocca il sapore del mio sperma come io avevo prima sentito il suo.
Ci lasciammo.
“E’ l’inizio di una storia”le dissi ” ..di una meravigliosa storia.”
Lei annui e sorrise. Era felice.
Il giorno successivo lei non venne in ufficio, e neanche il giorno dopo.
Mancò tutta la settimana. Cominciai ad agitarmi e a preoccuparmi.
Non potevo tuttavia fare a meno di provare una certa vanagloria al pensiero che, forse, l’avevo stremata sentimentalmente. La sensazione d’averla in mio pugno si riaccese e mi eccitò.
Non avevo il suo numero di cellulare, lei si era ben guardata dal darmelo prima; in occasione del nostro rapporto poi la cosa mi era sfuggita completamente. Avrei potuto anche procurarmelo, ma essendo lei sposata con un figlio, avevo un certo timore a telefonarle a casa.
Fu lei a chiamarmi, direttamente sul telefono dell’ufficio.
‘Come stai?’ le chiesi banalmente.
‘Bene’ rispose, ma aveva la voce triste.
Era preoccupata, lo intuivo.
‘Quando ritorni ?’.
‘Ho avuto la febbre, penso domani’.
‘Allora a domani’.
Avrei voluto chiederle altre cose, ma il suo tono mi aveva scoraggiato.
Il giorno dopo fu puntualmente in ufficio. Aveva un’aria stanca ed afflitta.
Cercai di avvicinarla, ma mi evitò accuratamente. Cominciai ad innervosirmi: pensavo che mi aveva ceduto, era vero, che forse si era fatta passare uno sfizio e che adesso tutto sarebbe tornato come prima, vale a dire con la solita indifferenza nei miei confronti.
Poi rivissi quegli istanti intensissimi nel parcheggio e mi riassicurai.
No, nulla sarà come prima, pensai.
Tuttavia per tutto il giorno m’ignorò. Poi quando andò a prendere il caffé con alcuni colleghi e la vidi apparentemente molto rilassata, persi la testa.
‘Adesso andrò da lei ‘ mi urlai ‘ e le ricorderò il comportamento da puttana che ha avuto con me.
Ora fa la sostenuta, ma quando me l’ha ingoiato era più umile ‘.
Imposi di calmarmi e decisi di tornarmene a casa.
Il giorno dopo la rividi più tranquilla. Mi avvicinai alla sua scrivania.
‘Vieni a prendere un caffé ‘ le ordinai con decisione.
Lei stava per rispondermi di no, poi vide il mio sguardo furioso e mi segui mogia alla macchinetta.
Eravamo solo noi due e quasi l’aggredii.
‘Si può sapere” quasi urlai ‘che c” Lei mi aveva messo una mano sulla bocca per evitarmi di parlare. Lo fece con uno sguardo implorante che mi commosse.
‘Hai ragione, ti chiedo scusa ‘ sussurrò, ma quello che abbiamo fatto mi ha stravolta”.
Stavo per chiederle delle cose, ma lei saggiamente aggiunse:
‘Non possiamo parlarne qui, non credi’?
Concordai.
‘Possiamo rivederci stasera nella tua auto come una settimana fa’.
Lei arrossì ed accenno ad un sorriso malinconico forse ricordando quegli istanti.
‘Va bene’ disse ‘a stasera’.
‘Ti amo, Roberta ‘le dissi, mentre si stava avviando in ufficio.
Lei si girò e mi sorrise. Risentii di nuovo la gioia ritornarmi in cuore.
Alle cinque eravamo entrambi nella sua auto.La accarezzai, ma lei allontanò la mia mano.
‘Siamo qui per parlare o no’?
‘Va bene’ dissi con rabbia ‘ vuoi degnarti di raccontarmi cosa t’&egrave successo’?
‘Non lo so bene, non l’ho ancora focalizzato precisamente. Con te ho provato intense emozioni, lì lì sono stata felice, ma già nel ritorno a casa mi sono sentita in colpa verso mio marito. In questi giorni in cui sono mancata non ho fatto altro che colpevolizzarmi verso di lui e verso mio figlio…’.
L’ascoltavo. Mi venne in mente Anna Karenina di Tolstoj, quando lei, dopo aver fatto l’amore con il giovane conte, immediatamente capisce di essersi rovinata la vita, in quanto mai più avrebbe rinunciato a quel nuovo amore e questo avrebbe significato la disgregazione della sua famiglia.
‘Con te sono stata bene’ continuò ‘.Ti amo, ma questo, se continuerà, sarà un’amore travagliato per me e per te , con tanta sofferenza ‘.
Aveva ragione, pensai. La sua capacità di elaborare pensieri così profondi me la fece apprezzare ancora di più. Avrà una ricchezza interiore sconvolgente, mi dissi.
Il mio amore per lei ed il conseguente desiderio raggiunsero l’apice.
‘Credo che ogni storia d’amore sia travagliata ‘ dissi ‘.. e se non lo fosse sarebbe banale. Forse gran parte del nostro amore risiede in questo intrigo’.
‘Se tu divorziassi da tuo marito’, aggiunsi ‘ per venire con me, il nostro amore non sarebbe così intenso’.
‘ Non &egrave questa la passione?’ fece lei.
‘Credo di si’.
Poi all’improvviso scivolò nelle mie braccia, ci baciammo, rifacemmo l’amore.
Passarono le settimane, e Roberta sembrò aver superato quel travaglio.
Ora era sempre amorevole nei miei confronti. Mi raccontò che il marito non sospettava di nulla e lei in ogni caso riusciva ad armonizzare i due rapporti.
Non nego che questo mi provocava gelosia.
Facevamo l’amore quasi ogni settimana, e lo facevamo in un alberghetto di periferia, molto intimo.
Man mano che ci frequentavamo scoprii che in lei stavano nascendo una dipendenza ed un attaccamento nei miei confronti sempre più intensi.
Accadeva, infatti, che quando ero fuori per trasferta lei si agitasse molto. Mi telefonava in albergo per chiedermi ,quasi con angoscia, quando sarei tornato.
A volte poi mi portava suoi problemi non strettamente sentimentali chiedendomi di risolverli.
Insomma quella donna che mesi prima m’ignorava, ora sembrava non poter vivere senza di me.
Talvolta, non lo nascondo, questo mi procurava un certo fastidio.
Altre volte, non nascondendomi quella parte della mia personalità un tantino sadica e violenta, godevo di questa sua dipendenza e le mie fantasie si sviluppavano.
Un giorno andammo ad una festa di un collega che andava in pensione e la vidi sbizzarrirsi con altri uomini. La cosa mi rese furente e nell’incontro successivo fui molto duro con lei, cercando deliberatamente di procurarle un disagio psicologico.
‘Roberta, non mi &egrave piaciuto quel tuo civettare alla festa’ dissi arrabbiato
‘Sarai mica geloso?’ chiese con un falso sorriso che invece sottolineava il suo disagio.
Ero convinto d’averla in pugno, diedi sfogo al mio sadismo.
‘Forse sarebbe meglio ripensare al nostro rapporto’ aggiunsi, volendole procurare un dolore.
A queste parole lei perse ogni sicurezza.
‘Dai ‘ disse ‘ non &egrave successo..’
‘Insisto. Forse &egrave il caso che ci separiamo per qualche tempo..’.
‘Ti sei stancata di me?’ voleva tenermi testa, ma mi accorsi che stava scivolando nel panico.
Per nessuna cosa al mondo l’avrei lasciata, ma volevo accertarmi fin dove arrivassero la sua dipendenza e sottomissione.
‘Oggi non voglio fare l’amore’ dissi ‘devo ripensare al nostro rapporto….’.
Cominciò a piangere. Piangeva come una bambina.
‘Ti prego..ti prometto che non farò più cosi..non mi lasciare..non posso vivere senza di te..’.
Provai un tuffo al cuore. Avevo esagerato, ma ora ero certo che il suo legame a me era saldissimo.
Mi fece tanta tenerezza, ma la mia parte sadica, quella che governa un certo desiderio di possesso, era ringalluzzita.
La strinsi tra le braccia, mentre lei singhiozzava.La girai con il dorso contro il mio petto e presi a consolarla con baci sul piccolo collo.
Quella figura mingherlina, che ora si stava calmando, si abbandonò a me.
Delicatamente la distesi sul letto a pancia sotto. Poi le slacciai la gonna che feci scivolare, sul collant, a terra.
Le tolsi anche il collant e la tenni in quella posizione per qualche minuto.
Allargai quindi leggermente le sue gambe e cercai il buchino di dietro. Lei girò la testa di lato e stette in attesa delle mie intenzioni.
Il buchino era roseo, un tantino arricciato, un bocciolo.
Avevamo fatto l’amore tante volte, ma non mi ero mai interessato a quella parte.
Appoggiai leggermente il dito su esso. Lei sussultò e istintivamente serrò le natiche.
Le accarezzai il collo, mi chinai su di lei e, sempre carezzandola, la tranquillizzai.
‘Micina ‘la chiamavo così da qualche settimana nei momenti d’intimità ‘non vuoi darmi la gioia d’esplorati anche dietro?’
Non disse niente, ma il volto era perplesso.
‘Mi farai male…’
‘No, micina, non me lo sognerei neanche. Sei la mia vita’
Si rilassò, io spinsi il dito e lei si contrasse di nuovo.
‘Stai rilassata, tesoruccio, non &egrave niente’
Spinsi un poco di più. Lei provo del dolore.
‘Fa male” ansimò.
‘Non essere schizzinosa. Vorrai pur regalare a chi ti ama un po’ del tuo dolore, o no?’
Sopporto stoicamente quella penetrazione e ben presto il mio indice le fu tutto dentro.
Cominciai a farlo andare su e giù.
Mi accorsi che soffriva; allora aprii la sua borsetta e usai una crema qualunque per lubrificarle lo sfintere.
La crema era fredda, lei sussultò, ma continuò a giacere passivamente.
Stavolta la penetrazione fu più agevole. Ripresi col ritmo alternato e lei cominciò a contorcersi.
Strofinava la vagina sul letto e gemeva.
Mi calai su di lei, lei girò la testa, e continuando l’operazione iniziata col dito la baciai più volte.
Ebbe un orgasmo intensissimo. Mai, da quando la conoscevo, aveva goduto così.
Le chiesi di descrivermi cosa avesse provato. Fece di no con la testa.
‘ Mi vergogno a raccontartelo ‘mai avevo avuto queste sensazioni’ disse ansimando ‘E’ stato però bellissimo. Baciami, ti prego, baciami’
La baciai.
‘Tu e le tue vergogne’ aggiunsi, fingendomi irato ‘ possibile che non riesci mai ad essere naturale con me?’
Si sentì mortificata.
‘Ho avuto la sensazione di essere completamente in tuo possesso, quasi la tua schiava, e questa sensazione mi &egrave piaciuta tantissimo e mi ha portato un piacere che mai avevo provato. Ho paura però’ho paura di perdermi, di sciogliermi in questo nostro rapporto, di perdere qualsiasi identità’Capisci ora?’
Ero eccitatissimo.
‘Sciocchezze. Godo al pensiero di possederti. Il nostro sarà un amore inscindibile e ..per quanto riguarda la schiava’b&egrave’vedremo ‘
Poi, accarezzandole la schiena con tanta dolcezza, le sussurrai.
‘ Ti &egrave piaciuto’sono contento del tuo piacere..ogni volta che godi sono felice. Adesso però soffrirai un tantino in più..’
Lei si girò e mi fissò con aria interrogativa, ma già aveva intuito.
‘Ti penetrerò, amore ..dietro.Solo allora potrò sentirti veramente mia..’.
‘No, ti prego, ho paura del dolore’non l’ho mai fatto’
‘Sarà come un marchio. Una volta le vitelle erano marchiate a fuoco per indicarne il possesso’
Questa penetrazione sarà quel marchio. Tu sei la mia vitella’E da allora sarà chiaro che sarai soltanto mia.’.
Queste parole la mandarono in visibilio. Era eccitatissima. Sollevò il capo, mi baciò avidamente, pareva non smettere mai.
‘Si, fallo, voglio essere tua, anima e corpo… Ma ho paura..ho paura del dolore’
‘Lasciati andare, sarò delicatissimo. Se sentirai un dolore insopportabile, io mi ritirerò’.
La mia asta adesso era d’acciaio. Lei si abbandonò sul letto. Mi sfilai pantaloni e slip, mi misi a cavalcioni sul suo piccolo culetto e le allargai le natiche.
Adesso lo avevo bene in vista, quel buchino roseo, come avevo in vista il mio glande.
In quel momento divenni indeciso; mi sembrava impossibile che il mio pene potesse penetrarla.
‘Come fanno gli altri?’, pensai.
Appoggiai il glande a quell’imboccatura ancora unta.
‘Micina, devi collaborare’ le dissi’ ..ti devi rilassare’
Spinsi piano piano, la punta entrò, ma sapevo che il difficile era far passare tutta la testa.
Spinsi ancora, lei si lamentò.
‘Coraggio amore mio, …coraggio…’
Diedi un colpo più deciso. La pelle dello sfintere si tese, la testa entrò.
Lei lanciò un urlo più forte.
‘Esci, ti prego, brucia..oh mio Dio come brucia’ti prego’
‘Coraggio tesoro..il più &egrave fatto’ cerca di rilassarti, starò fermo in questa posizione’ dissi, deciso a non mollare.
Mi fermai ed il suo sfintere parve rilassarsi.
‘Brucia ancora ?’ chiesi dopo un po’.
‘Di meno’&egrave sopportabile’
Allora spinsi più dentro. Lei mugolò ancora, alla fine il mio pube toccava le sue natiche. L’aveva tutto dentro.
Guardai quel lavoro e mi preoccupai vedendo un liquido composto di crema e sangue attorno alla mia asta. Non le dissi niente.
‘L’hai tutto dentro, micina, E’ dentro, nelle tue viscere’. Ora sei proprio mia’ti voglio bene’
La vidi commossa, piangeva. Era felice.
Stetti per qualche minuto in quella posizione, poi cominciai il coito. Andavo su e giù con perizia e dolcezza.
Sentivo quel suo piccolo sfintere, che ora non lo era più tanto, stretto attorno al mio pene.
Lei si era rilassata, godeva di quella penetrazione non avvertiva più alcun dolore, solo un piccolo bruciore. Cominciò a contrarsi e a dimenarsi. Il respiro le diventava sempre più affannoso.
La baciai e nella sua bocca sentii ogni afrore possibile: di sperma, di liquido vaginale, del suo sudore ..di anima.
Venimmo assieme. Lei gemette lungamente di piacere chiamandomi per nome.Io avvertii le contrazioni dello sfintere sulla mia asta che accompagnavano l’eiaculazione.
Restai in lei a lungo, attendendo che il pene si sgonfiasse. Almeno volevo evitarle un dolore inutile.
Quando fui sicuro mi sfilai con delicatezza. Presi della carta igienica e le pulii per bene quel buchino che adesso era rimasto allargato al punto da permettere la visione dell’interno.
Poi la girai. Era stremata. L’abbracciai e le diedi un bacio che racchiudeva tutto l’amore che in quel momento provavo per lei.
Il sonno ci venne spontaneo e naturale.
Dopo un’ora ci ridestammo e lei mi raccontò un sogno bellissimo che aveva fatto in quell’ora.
Facemmo una doccia ed andammo via.
Quando uscimmo non era ancora sera. Un rosso tramonto annunciava che l’indomani sarebbe stata una splendida giornata.
Finalmente vivevo con Roberta una situazione di felicità. L’amavo ogni giorno di più. Quel suo darsi a me interamente mi completava, mi faceva sentire il suo protettore, provavo un senso di superiorità che mi portava ad uno stato di appagamento sentimentale.
L’intesa sessuale era poi ottima. Insomma non desideravo niente altro dalla vita.
Il nostro legame diveniva ogni giorno sempre più stretto. Ne ero così innamorato che feci per lei cose che mai avrei immaginato: le scrivevo poesie, mi improvvisavo cantante per sussurrarle delle canzoni, le inviavo bigliettini amorosi e strofe licenziose.
No, mai mi sarei aspettato i tragici giorni che dovetti attraversare.
Tutto cominciò quando arrivò Gianpaolo in azienda.
Era un softwerista proveniente da un’altra ditta. Più giovane di me, bello, atletico.
Non mi piaceva. Quando lo vidi la prima volta ne provai un’antipatia, indipendentemente da quello che successe in seguito. Apprezzo gli uomini se, come me, sono spontanei, seri, se lasciano trapelare degli ideali o dei valori.
Quest’ uomo mi sembrava alquanto viscido. La sua perenne ‘allegria’ in realtà significava qualche altra cosa. Il suo andare d’accordo con tutti (apparentemente) nascondeva, a mio avviso, un’ipocrisia di fondo ed anche un opportunismo.
Notai che i discorsi seri ed un pò più profondi lo spaventavano. Li sfuggiva come la peste.
Il suo credo politico era indirizzato ovviamente al partito più forte. Coi capi si mostrava remissivo e questa attitudine gli aveva fruttato parecchi aumenti.
Cominciò a corteggiare Roberta.
All’inizio non me ne preoccupai. Pensavo che lei avesse sufficiente maturità per capire con chi avesse a che fare e per paragonarlo a me. Forse lo fece, ma ne uscii perdente.
Durante il nostro menage avevo varie volte notato che Roberta si sentiva alquanto in difficoltà di fronte alla mia padronanza culturale. Penso che lei lo abbia anche apprezzato, ma talvolta si sarà sentita a disagio.
Un uomo come Gianpaolo, così ‘fighetto’, forse la faceva sentire superiore o comunque capace di tenergli testa.
Quando cominciai a notare che non era insensibile ai corteggiamenti di quel verme, mi innervosii.
Le chiesi ragione di questo, ma lei beffardamente negò, affermando che tra noi nulla era cambiato.
Ma la sentivo strana; la nostra intesa sessuale si logorò. Non la sentivo più mia.
Un giorno addusse una scusa per non venire all’appuntamento: scoprii poi che era uscita con lui.
Mi infuriai, le chiesi ragione di ciò, alzai la voce, per poco non alzai le mani; ma proprio quel suo negare l’evidenza mi fece capire che oramai l’avevo persa.
La tentazione di ‘chiarirmi’ con quello stronzo fu enorme, ma mi imposi, in nome della mia dignità, di accettare la sconfitta.
Che senso avrebbe avuto forzarla o spaventare quella specie di uomo, se lei lo aveva scelto a me ?
Probabilmente il risultato sarebbe stato di accelerare il nostro distacco .
Roberta non disse mai ‘Ti lascio’: scoprii che non aveva la spina dorsale per farlo.
Fu un distacco graduale, fin quando non fui io a porre fine all’agonia (mia), parlandole chiaramente ed dichiarandole che la consideravo libera.
Seppi poi che era anche andata in giro dicendo che l’avevo lasciata.
Per me cominciò l’inferno. Notti insonni, pianti, rabbia, risentimento, dolore, alcol, prostitute.
Tutto questo costellò la mia esistenza nei mesi successivi.
Ero disperato. Qualche altra collega si accorse del mio penare e forse provò anche a offrirmi qualcosa che andasse al di là della consolazione, ma non me ne accorsi.
Roberta occupava tutta la mia mente, tutti i miei sogni. Non mi capacitavo.
Mi ripetevo che con una donna del genere prima o poi doveva succedere, ma sapevo bene che era solo un tentativo di lenire la mia pena.
La incontravo in ufficio, ma non ne sopportavo la vista.
Cercai anche la provocazione con Gianpaolo, ma quel viscido non fu così stupido da cascarvi.
Feci domanda di trasferimento, ma non mi fu accordata. Mi veniva imposto un supplizio che non potevo più reggere.
La rabbia era tanto grande da diventare indicibile. Un giorno decisi di farla finita.
Preparai una busta di cellophane, v’infilai dentro la testa; per fortuna mi mancò il coraggio. Alla fine la ragione prevalse, ma avevo toccato il fondo.
Da quel giorno, ed erano tre mesi da quando non ci vedevamo più, cominciai lentamente a risalire la china.
Per fortuna ci fu la chiusura estiva che mi aiutò moltissimo.
Andai in vacanza e, stranamente, per alcune settimane non pensai a lei. Lo presi come un buon segno, come se stessi guarendo.
Al rientro la rividi, ma ressi bene. Notai piuttosto che in lei qualcosa non andava, ed &egrave inutile nascondervi che la cosa mi fece piacere ed accese un barlume di speranza.
Roberta, come sapete, &egrave sempre stata una donna alquanto travagliata, in tanti mesi di frequentazione avevo imparato a capirla. Stavolta c’era qualcosa di più serio.
Mi ero comunque imposto di ignorarla e così feci.
Passarono due settimane e per qualche giorno non la vidi, pareva scomparsa. Non dovevo interessarmi più a lei ora che le ferite si stavano rimarginando, ma non potei fare a meno di chiedermi cose le fosse capitato.
Fui tentato di domandare a qualche sua collega se fosse in malattia o che altro, ma mi astenni.
Un giorno accadde l’imprevisto.
Era quasi l’ora d’uscita quando squillò il cellulare.
Avevo ancora registrato il suo numero col nominativo, per cui quando sul display comparve il suo nome la mano mi tremò.
Fui tentato di non rispondere, ma l’indecisione durò appena tre squilli
‘Pronto’
”..Ciao’scusami’sono Roberta” la sua voce era sconvolta.
Provai a fare il freddo, ma in cuor mio giubilai. La stronza forse aveva bisogno di me.
‘Toh!’fui ironico’ci si ricorda dei vecchi amici, ogni tanto’
‘..ti prego’non scherzare’non sai cosa mi &egrave successo’sono distrutta..non immagini neanche”’era veramente stravolta.
E’ inutile. Certi sentimenti ritornano; lottai contro me stesso con tutte le forze, ma alla fine provai una certa compassione.
‘Roberta’cos’ &egrave successo? Dove sei?’
‘Qui fuori dell’azienda. Sono in macchina, vicino al distributore’vieni..ti prego..sono disperata’
Cantai vittoria. Tuttavia ero un tantino preoccupato
‘Arrivo”dissi.
Mentre scendevo le scale mi diedi più volte del coglione.
‘E’ inutile’pensai’sono cotto di lei. Se fa un fischio corro. Si può essere così succubi di qualcuno?’
La raggiunsi, la vidi, mi fece pietà.
Aveva un occhio nero, capelli in disordine, una mano fasciata.
Entrai nella sua auto.
‘Cosa t’&egrave successo?”chiesi allibito.
Nella mia testa una certa idea cominciava a farsi strada. Non sono ipocrita, non nascondo mai a me stesso i miei istinti peggiori. Credo che riconoscerseli sia un segno di maturità, questo ti mette al riparo dall’agirli.
Devo quindi dire che godetti di quella vista. Forse la mia vendetta stava per compiersi. I cinesi dicono di sederti sulla riva del fiume ed aspettare che il corpo del tuo nemico ti passi davanti. Forse per me quel momento stava per arrivare. Il mio nemico era in parte lei, ma soprattutto Gianpaolo.
Pareva scioccata; mi guardava con l’aria di una pazza, stravolta ed incapace di parlare. Agitava quella mano fasciata come si aspettasse che quel gesto spiegasse tutta la situazione.
‘Insomma si può sapere’ripetei’cos’e stato? Chi t’ ha ridotta così?’
Mi guardava e basta. Ripresi in modo duro:
‘Avrei francamente preferito ridurti io cosi, mia cara, dopo tutto quello che mi hai fatto passare”
Lei scoppiò a piangere disperatamente, come se la speranza che aveva riposto in me fosse stata annullata dalle mie ultime parole.
Pianse per un po’ sotto i miei occhi, poi si riprese:
‘E’ successa una cosa terribile’cominciò”una cosa che mai avrei immaginato’
Stette zitta per un minuto come per concentrarsi su quello che stava per raccontarmi.
‘Con Gianpaolo’continuò’ci sono stata in questi mesi’. solo due volte’
Sgualdrina, pensai.
‘Abbiamo avuto prima solo effusioni. Lui non sembrava capace di fare l’amore’. completamente’
Adesso parlava in modo più calmo.
‘Al rientro’continuò’ci siamo rivisti e’e’ ha voluto un rapporto completo. Per me &egrave stata una pena’ non l’ho proprio sentito. Tre giorni fa abbiamo avuto il secondo rapporto ed &egrave stato’..’
Scoppiò di nuovo a piangere disperatamente.
‘..Una tragedia’vergogna..’riuscivo a malapena a capire le parole tra i singhiozzi–..povera me!..povera me!..’
‘Insomma’dissi deciso’ capisco le scopate, ma perché t’ha picchiata?’
‘..aveva ripreso il rapporto’.una telecamera nascosta’me ne ero accorta’forse c’era qualcuno che filmava’povera me”
Rimasi allibito.
‘E allora?’
‘..protestai’ mi arrivò uno schiaffo’divenne violento..mi definì con epiteti spaventosi’mi disse che i film li avrebbe venduti’lo pagavano bene..capisci? ..che vergogna’.protestai’presi un sacco di botte’.mi difesi con questa mano..’
Alzò la mano fasciata come per mostrarmela.
‘ ‘sono finita’quando vedranno quei film’.non potrò più lavorare..’
Cominciai a fare un ragionamento. Se Roberta mi aveva parlato di quella bassa azione che solo un lurido individuo può fare, era perché voleva che l’aiutassi. Naturalmente aveva avuto il pudore di non chiederlo esplicitamente. Sapeva benissimo che di quel farabutto era stata complice, contro di me, e forse aveva immaginato le mie sofferenze.
Cosa avrei dovuto fare?
Improvvisamente i ricordi di quei mesi, delle sofferenze, del tentato suicidio mi fecero rimontare la rabbia.
Avrei voluto infierire su quel corpicino già provato con un’altra dose di botte, fino ad annientarla.
Avrei voluto scaricarle addosso tutta la mia rabbia.
Quel visino sofferente, quella figura esile tuttavia mi impietosirono. A ciò concorse anche il ricordo dei bei momenti trascorsi assieme, che forse si sarebbero potuti ripetere.
Non ebbi quindi alcun dubbio. Dentro di me presi tuttavia una estrema risoluzione:
‘Nel caso dovessimo tornare assieme’pensai’sarai mia per sempre. Altrimenti ti ammazzo’.
La accarezzai. Presi la mano fasciata nella mia e la scaldai.
Lei mi guardò e riprese a piangere, stavolta, mi sembrò, più quietamente.
‘Roberta’le dissi’parlerò con Gianpaolo. Spero di incontrarlo domani. Adesso vai a casa, prendi un tranquillante, cerca di dormire. Domani verrò a casa tua, dopo aver parlato con quel serpente’
Colsi un senso di gratitudine nello sguardo che mi rivolse, poi intuendo qualcosa aggiunse:
‘ Stai attento’abbi giudizio’.mi raccomando..’
Scesi dall’auto, lei ripartì.
Non ebbi bisogno di aspettare l’indomani. Mi rividi Gianpaolo davanti che si stava avviando al parcheggio.
Quella vista mi fece ribollire il sangue. Il principale artefice delle mie sofferenze (quelle di Roberta in quel momento non mi riguardavano) era li davanti a me. Prima l’avevo visto tante altre volte, ma non avevo avuto alcun diritto per aggredirlo. Adesso l’avevo, per ‘gentile’ concessione di Roberta.
‘Come lo strangolo’pensai mentre mi avviavo verso di lui a passo deciso e minaccioso’con le mani? O userò la cinghia? Come si fa coi vermi, li si schiaccia, no? Prima però gli spaccherò la faccia?’
Lui mi aveva visto e forse aveva intuito tutto. Affrettò il passo, ma lo seguivo come un segugio. Fece gli ultimi passi verso la sua auto quasi di corsa, ma quando aprì la portiera dell’auto gli ero addosso.
‘Pezzo di merda’dissi fuori di me’faccia da culo, entra in questa lurida tana’.
Entrai assieme a lui. Era sbiancato .
‘Scendi subito..o chiamo..’
‘Chi chiami, insetto? Con le donne te la sai prendere eh?’
Gianpaolo era atletico, ma la mia rabbia era troppo più grande di lui.
Lo afferrai per la collottola e lo stesi sul sedile dove stavo. Gli misi due mani sul collo e strinsi. La rabbia mi dava una forza sovrumana.
‘Ascoltami bene, paraculo’gli sputai in faccia’se solo ti permetti di fare quello che hai intenzione di fare sei un uomo morto’
Allentai la presa. Lui respirò.
‘Roberta mi ha detto tutto’continuai’metti in giro quei filmati e vedi qui..’
Col dito gli toccai il punto al centro degli occhi
‘Qui..proprio qui.. ti pianto una palla..capito, carogna?’
Non disse niente, era troppo stravolto.
Pensai di averlo spaventato abbastanza, ma un ricordino volevo lasciarglielo.
Gli sferrai un pugno sui denti che lo fece gemere di dolore, mentre un rivolo di sangue gli scorreva sul mento.
”E’ per ricordarti che se oserai ancora una volta avvicinare Roberta dovrai farti fare una protesi’.canaglia!’
Scesi dalla sua auto e senza neanche girarmi me ne andai.
Il giorno seguente, dopo il lavoro, mi recai a casa di Roberta.
Quando entrai mi sovvennero le tante ore liete passate colà. Ce ne sarebbero state altre?
Lei stava distesa sul divano ancora malconcia ma notevolmente ripresa, seppure in ansia circa l’evolversi di quella turpe storia.
La informai del mio ‘colloquio’ con Gianpaolo senza scendere nei dettagli. La rassicurai dicendole che quel tipaccio mai si sarebbe permesso di diffondere quei video, poteva stare sicura.
Le dissi anche che in giornata lo stesso aveva presentato domanda di trasferimento.
Queste notizie la tranquillizzarono; i suoi occhi mi espressero tantissima gratitudine.
Mi tese la mano fasciata, invitandomi a sedermi accanto a lei.
Ma no, prima di ricadere nelle sue braccia dovevo riflettere bene.
‘Roberta, la faccenda &egrave finita bene per te. Non so per me’dissi’scusami in questo momento sono provato emotivamente e soprattutto mi sento stanco. Domani non lavoro, penso di dormire tutto il giorno, ma se vuoi domani sera sarò ancora qui’
Lei rimase contraddetta, voleva che prendessi quella mano e che tutto ricominciasse come se niente fosse accaduto. No, mia cara,pensai.
Il giorno dopo mi riposai sul serio. Nel pomeriggio mi sentivo freschissimo e quindi riflettei a lungo.
Pensai ad una soluzione. Era una proposta che avrei fatto a Roberta. Prendere o lasciare. Però era una risoluzione terribile, per lei.
Quando arrivai a casa sua l’avevo perfezionata ed ora mi appariva ben distinta e chiara nella sua radicalità.
Trovai Roberta in piedi e ripresa al 90 percento. Mi accolse felice dandomi un bacio sulle guance. Ero abbastanza freddo, ma capivo che i sentimenti stavano ritornando. Erano stati traditi una volta, non doveva accadere più. La tentazione che avevo in quel momento era di abbracciarla, di fare l’amore con lei, dimenticare tutto, perdermi in un amplesso.
Nei mesi trascorsi, quando non ero sopraffatto dalla rabbia, fantasticavo su dolci effusioni con una donna immaginaria o anche con Roberta. Ciò mi aiutava molto; ora che si presentava l’occasione ero tentato di stringerla a me e di amarla.
Mi disse di accomodarmi e andò in cucina a prepararmi un caff&egrave. Intanto mi guardavo intorno, riconoscendo quegli oggetti che avevano accompagnato i nostri amori.
Dopo aver sorbito il caff&egrave, lei mi si sedette a fianco, sul divano, la mano ancora fasciata e l’occhio guarito.
Mi mise quella mano sulla spalla e mi guardò come un cagnolino guarda il padrone. Stronza.
Rimasi freddo senza guardarla, allora cominciò:
‘Lo so,’ho sbagliato’non meritavi questo. Sono stata leggera ed incosciente. Mi potrai mai perdonare? Hai ragione a restare freddo..scusami..’
Mi trattenni dall’urlarle in faccia la mia rabbia. Leggera ed incosciente? Scusarti? Ah maledetta, se sapessi, se solo immaginassi cosa ho passato.
Non dissi niente per cui lei continuò, sussurrandomi:
‘..Hai sofferto molto?..ti ho fatto soffrire,lo so, che sconsiderata sono stata. Ho distrutto una magnifica relazione..ti capisco, certo che ti capisco. Una stupida..sono stata una stupida.
Mi manca la faccia tosta di chiederti di ricominciare’.sarebbe una presa in giro per te..ma se vuoi..’
Strinsi la mano sul bracciolo del divano per non colpirla con uno schiaffo. Perché non stava zitta?
Capivo perfettamente che con quelle parole mi stava chiedendo di ricominciare, anche se non lo ammetteva. Ah le donne! Diavoli!
‘Non ti ho neanche ringraziato di quello che oggi hai fatto per me. Te ne sarò eternamente grata, indipendentemente da quello che avverrà tra noi. Ma ora ti prego, rispondimi..’
Il pensiero della proposta che avevo escogitato e che mi accingevo a farle, nella sua crudeltà, mi alleviava la rabbia.
‘Roberta’mi avete quasi ucciso. Tu e quello stronzo. Alla lettera. Ho anche pensato di farla finita. Era te che non riuscivo a perdonare’
Cominciò a piangere. Le donne, tutte stronze.
‘Addirittura?…non avrei mai immaginato..povero te’povero amore mio..potrai mai perdonarmi? Si, sono stata crudele. Ti amo, credimi, ti amo, l’avevo capito già quando stavo con lui..credimi. Perdonami, se vuoi io sono qua”
‘Roberta, anche io sono pronto a ricominciare, ma ad una condizione’.
Lei si entusiasmò. Vedeva vicino il rinascere della nostra storia e ne era felice. Aspetta però, mia cara.
‘Mi fai felice’disse’veramente felice. Quale &egrave la condizione? Sono pronta a tutto pur di riaverti’
‘Voglio essere sicuro che quello che &egrave successo non si ripeterà. Stavolta ne morirei di sicuro’
‘Non accadrà più, amore mio, stanne pur certo. Ho commesso una leggerezza’.’
‘Non mi basta la tua promessa. Ti ho vista debole, anche in passato’
Lei si rabbuiò.
‘Insomma cosa vuoi?’
‘ Dovresti portare impresso sul tuo corpo il fatto che sei stata mia. Ciò ti scoraggerebbe dall’abbandonarmi di nuovo.’
Mi guardò meravigliata.
‘Cosa intenderesti fare?’
‘Marchiarti’
‘Cosa?”era rimasta allibita
‘Si, marchiarti. Marchiarti a fuoco come si fa con le vacche. Li sul culo’
Godevo a dire quelle parole. La rabbia stava trovando sfogo.
‘Ma’ma”
‘Così quando il tuo ipotetico futuro amante ti starà montando, come suppongo abbia fatto Gianpaolo, leggerà le mie iniziali impresse su di te e capirà che sei stata mia. Una magra consolazione per un suicida, ma almeno questo”
‘Esci subito da questa casa’era furiosa’esci..pazzo..pazzo..marchiarmi! Va via di qui!’
Mi alzai e mi avviai verso la porta.
‘Ricordati. Prendere o lasciare”le dissi, mentre mi chiudevo la porte alle spalle.
Mi sentivo soddisfatto. La mia vendetta si stava avvicinando. Ero sicuro e determinato.
Il giorno dopo ero al lavoro. Mi chiamò verso le due.
‘..sadico..sei sempre stato un sadico’vieni stasera..che giornata mi hai fatto passare!’
La sera ero da lei. Si era messo un abito elegante, aveva cercato di farsi il più bella possibile. Ti conosco, mascherina!
‘..sempre determinato’al ..marchio?”mi chiese ridendo
‘Si”la gelai.
‘Ci pensi? Vuoi uccidermi?Quale essere umano resisterebbe ad un dolore del genere?’
‘Con te non userei certo il marchio che usano con le bestie. So bene che sarebbe atroce e che probabilmente moriresti, ed io non voglio mica questo’
Si rasserenò un po’.
‘Un marchietto’continuai’non più di un centimetro, ma sufficiente allo scopo. Sarebbe comunque visibile. Un po’ più doloroso di una scottatura’
‘..sadico. Ti diverti a vedermi soffrire. Sei un pervertito, un maniaco’
‘Ricordi quando ti dissi che le amanti devono anche soffrire per i loro uomini? Non ti eccita questo segno di possesso perenne?’
A me eccitava tantissimo.
‘Ti voglio bene’disse in tono sommesso’ma ho paura del dolore. Il solo pensiero di quello che vorresti fare mi spaventa. Capisco che l’hai con me, non ti biasimo, ma addirittura…’
‘Prendere o lasciare”rispresi, capendo che ormai aveva ceduto.
Mi guardò fisso, poi abbassò gli occhi rassegnata.
‘Mi prometti che non mi farai soffrire’voglio dire non soffrire tanto? ‘
‘Sei l’unica cosa che ho al mondo’
‘Mi affido a te. Fai di me quello che vuoi. Non ho più forze per lottare. L’ultima esperienza mi ha estremamente provata’.
Ora che aveva accettato provai per lei un profondo amore ed una compassione allo stesso tempo. Mi dissi che non dovevo farlo. Si, forse era una cosa assurda darle un dolore fisico sicuramente notevole. Mi eccitava tuttavia il pensiero di legarla a me indissolubilmente. No, dovevo rinunciare, mi sentivo inumano.
Si stese sulle mie cosce.
‘Mi marchierai qui?’disse facendo le fusa e abbassandosi il pantalone e gli slip, indicando un punto sulla natica’o più giù? che siano bene in vista le tue iniziale, CO.Sarò una buona vitellina vedrai’
La sensualità con cui pronunciò queste parole mi lasciavano intravedere che anche lei, in fondo, desiderava quel marchio. Il fatto di essere posseduta la eccitava.
‘E quando mi scoperai’continuò’godrai nel montare la tua cavallina, vedendo quelle lettere. E se godrai tu io sarò felice’.
Si alzò e mi baciò a lungo.
Ricambia quel bacio con tutto me stesso. Avevo aspettato quel momento per mesi, ed infine ne avevo perso la speranza.
Ritrovai il sapore di quella bocca, di quell’alito alterato dal desiderio. Era bellissimo.
Gli antichi sentimenti ritornarono di colpo. La distesi sul divano, la accarezzai. Ero eccitatissimo.
Le cominciai a sbottonare la camicetta, ma mi fermai di botto.
Lei mi guardò meravigliata.
Il pensiero di cedere si accompagnava inevitabilmente al suo tradimento. Il piacere immediato si confondeva col dolore della separazione. Tutte esperienze che avevo fatto. La paura che si ripetessero mi aveva bloccato.
Stava nascendo in me un nuovo problema, dunque?
‘Scusami Roberta’dissi in modo pensieroso’un pensiero’tu sai bene quale..mi ha bloccato..’
”mi mortifichi così’mugolò’mi ravvivi costantemente il senso di colpa’ti amo..però non puoi trattarmi così’
‘E’ vero. Perciò &egrave necessario fare quello che ti ho detto. Mi auguro che questo segno di legame perenne sul tuo corpo mi aiuti’Ora però &egrave meglio che vada’
”ti prego’non lasciarmi’piangeva’ho bisogno di te, non mi abbandonare..’
‘No, non ti lascerò. Potresti resistere altri tre giorni?’
‘Perché tre giorni?’
‘Tra tre giorni avrò il marchio e faremo l’operazione’sempre che non cambierai idea’
‘Tre gioni’oh povera me!’.Si toccò la natica dove ipoteticamente doveva essere marchiata.
Le diedi un lungo bacio, la carezzai, poi andai via.
Nei giorni seguenti preparai il marchio. Non fu difficile. Basto prendere un filo di ferro un tantino più spesso del normale, sagomarlo con le mie iniziali. Il difficile fu saldare il manico con cui lo dovevo tenere.
Mentre lo costruivo naturalmente non omisi nulla che potesse alleviare il bruciore che Roberta avrebbe inevitabilmente provato. Le dimensioni dell’oggetto tuttavia erano così ridotte che mi sentii abbastanza tranquillo.
Nondimeno il dubbio di procedere non era andato via. Avrei deciso all’ultimo istante.
Dopo due giorni Roberta mi invitò a cena. Le portai un mazzo di fiori che gradì particolarmente.
Durante la cena mi chiese:
‘Allora domani?’
‘Si, l’ho già costruito”risposi freddamente
‘Mi legherai?’
Questa domanda mi fece rimanere a bocca aperta.
Immediatamente ogni dubbio in me si volatilizzò. Roberta voleva quella ‘tortura’, la certezza di essere posseduta, di diventare la mia schiava, la eccitava.
Allora stetti al gioco
‘Si, ti legherò..molto strettamente’e penso ti imbavaglierò per non farti gridare’
Ebbe un impercettibile fremito, poi però si fece preoccupata.
‘Pensi che..sarà molto doloroso?’
‘No, stai tranquilla. Non ti farei mai del male’.
La sera successiva ero da lei. Le mostrai il marchio, convenne che era di dimensioni ridotte.
Ero passato in farmacia dove avevo comprato prodotti contro le scottature e un antidolorifico da usare solo in caso di necessità.
‘Le corde per legarmi le hai comprate?”mi chiese.
‘No amore, le corde ti lascerebbero orrendi segni sui polsi e sulle caviglie. Userò lo scotch’
Infatti avevo portato un rotolo di scotch largo e resistente, di quello che si usa nei cablaggi.
La baciai. Si strinse a me ed io la sentii tremare. Aveva paura, questo era certo.
Il dubbio s’insinuò di nuovo in me. La mia parte sadica, violenta possessiva mi diceva di procedere. Quella compassionevole ed amorosa mi bloccava. Le espressi questo dubbio:
‘Roberta’se non te la senti, se hai dubbi’lasciamo perdere’cercherò lo stesso di amarti’col tempo riuscirò a superare..insomma hai capito”
‘No’disse lei quasi con orgoglio’voglio essere tua, al cento per cento. Anch’io mi sono convinta che questo marchio ci unirà. Poi devo espiare una grande colpa’
Mi sorrise e allora capii che mi avrebbe obbligato a marchiarla
La spogliai con tanta dolcezza. Rividi quel corpicino che era stato teneramente mio e di cui avevo avuto una grande nostalgia.
Le natiche erano piccole, ma tonde e sode. Sulla destra notai una X fatta con un pennarello
‘Amore..cos’&egrave questo?”chiesi
‘Dovrai marchiarmi li’così ho deciso. Posso almeno, sul mio corpo, scegliere io il posto?’
Notai che aveva scelto una posizione in cui il marchio si sarebbe potuto vedere qualora indossasse indumenti intimi succinti o anche in costume da bagno. Glielo feci presente.
‘L’ho scelto apposta’rispose’tutti dovranno capire che ‘appartengo’ no?
Poi continuò sorridendo:
‘Pensa, forse lanceremo una moda tra gli amanti. Allora tutti gli uomini si rivolgerebbero a te per consigli’
Mi venne spontaneo risponderle:
‘Forse anche qualche donna. Non &egrave mica detto che non sia qualche donna a voler possedere un uomo, applicandogli un marchio con le sue iniziali’
Ridemmo. Questo attenuò un po’ la sua tensione.
Mise le mani dietro la schiena, come una fiera eroina destinata al patibolo, aspettando che si compiesse il fato.
Gli nastrai i polsi con lo scotch e feci lo stesso con le caviglie. Legai anche gli avambracci un po’ al disopra dei gomiti.
Poi sollevai quel ‘pacchetto’ e la portai presso il divano.
La misi in piedi all’esterno, presso la spalliera, in modo che avesse il pube allo stesso livello dalla sommità di essa.
Gentilmente la feci piegare il modo che avesse le natiche all’aria, col pube appoggiato sulla sommità del divano e la testa sui cuscini.
Legai una fune ai suoi polsi, protetti dal nastro, la feci passare sotto il divano e la ricongiunsi alle caviglie. Tirai la fune e lei si tese inarcandosi.
Adesso era un perfetto arco sul divano. La pelle dei glutei era tesa e soda.
La imbavagliai mettendole un pezzo di stoffa in bocca
Stesi sulla parte prescelta un velo di strutto, a protezione della pelle, per evitare che il ferro rovente potesse rimanere attaccato ad essa, lacerandola.
Arroventai il marchio su un fornello a spirito che avevo appoggiato sul tavolo.
‘Sei pronta?”chiesi
Lei tremava, tuttavia fece un cenno di assenso.
Anche io tremavo. Appoggiai il ferro rovente sulla natica e lo tenni per tre secondi.
Lancio un grido che, attraverso il bavaglio, divenne una sorta di lamento prolungato.
Si inarcò ancora di più, tese la fune.
Tolsi il ferro ed osservai il risultato. La pelle era rossa tutto attorno e si era gonfiata.
Lei continuava a lamentarsi. Passai immediatamente un panno bagnato con acqua fredda sull’ustione.
Poi pensai a lei. Per prima cosa le tolsi il bavaglio.
‘..Brucia’frignò’oh come brucia!’
‘Amore mio sono fiero di te, sei stata grande’
La slegai, le tolsi lo scotch. Si abbandonò a me. La presi in braccio, la adagiai sul divano ed immediatamente le cosparsi una pomata sulla scottatura.
Mi fece cenno di sedermi, volle che la tenessi abbracciata con il busto appoggiato sulle mie gambe
Piangeva di dolore.
‘Brucia..amore mio..brucia..ah..’
Mi sentii un verme
‘Scusami..non dovevo farlo’dissi’ma tu..anche tu lo volevi..vero?’
‘Si..’-mi sussurrò.
La pomata fece il suo effetto, lei si calmò e si rilassò.
Si assopì tra le mie braccia per una mezz’ora. Le avevo messo una coperta sulle gambe nude. Ogni tanto la scostavo per controllare l’evoluzione della scottatura, ma presto mi rassicurai. Non c’era più gonfiore, l’arrossamento si stava attenuando. In compenso su quel pezzo di pelle di un centimetro quadrato le mie iniziali campeggiavano superbamente.
La sentii mia e fui tentata di stringerla a me, ma la lasciai riposare.
Quando si ridestò mi guardò felice ed intontita
‘Brucia ancora?’domandai
‘No..”fece in modo impercettibile
‘Amore mio dolcissimo’mio superbo amore..vita mia..ora sei mia..ti voglio per sempre..’
‘Si’si..sono tua’la sua voce era flebile’tua per sempre’ora..ti voglio’prendimi..oh prendimi’montami..come una puledra..’
‘Amore mio’ sei debole..hai provato un terribile dolore..non posso”
‘Ti prego..oh ti prego’prendimi’.
La baciai. Le sue labbra erano ardenti, le succhiai avidamente.
La coccolai a lungo, baciandola e carezzandola. Le toccai il seno e fremette.
Poi si alzò di colpo e corse allo specchio.
‘..E’ magnifico!..&egrave venuto benissimo!’
Si toccò quella parte facendo scorrere le dita sulle iniziali.
‘Si vedranno anche in costume da bagno”disse
Corse da me, mi slacciò il pantalone e lo abbassò. Non avevo bisogno di ulteriori stimoli.
Si mise in posizione di monta sul divano, quel culetto fieramente in aria.
Inarcò le reni
‘La tua cavallina &egrave pronta’ sussurrò con sensualità
Le andai indietro e le toccai la vagina. era eccitatissima.
La penetrai così. La vista di quel marchio che si muoveva nel ritmo del coito mi eccitava.
Lei lo sapeva e cominciò quei sospiri intensi che ben conoscevo.
Poi passò ai gridolini, era segno che stava per venire.
Venimmo insieme. La riempii di sperma mentre lei spingeva il didietro verso me, come se non volesse che io mi sfilassi, gridando quasi di piacere.
Alla fine mi abbandonai su lei, baciando quel marchio, il mio marchio.
Da quella sera l’ho presa innumerevoli volte in quella posizione. Spesso abbiamo avuto rapporti anali.
Qui finisce il racconto.
Ha funzionato quel sistema, vi chiederete?
Non so. Non giurerei che Roberta mi sia rimasta fedele al cento per cento, ma storie come quelle con Gianpaolo non si sono più ripetute (almeno fino a questo momento).
La nostra unione &egrave soddisfacente, ma talvolta mi annoia un pò.
Perché direte. Perché avere una donna legata a se o anche una schiava &egrave bello si, ma talvolta esse, forti della loro posizione, chiedono..chiedono e chiedono, ed allora che barba!

Leave a Reply