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Racconti sull'Autoerotismo

Il buon giorno si vede dal mattino

By 10 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

La sveglia, come ogni mattina, suona inesorabile, finché con la mano la ammutolisco, con un gesto rabbioso: ci si può godere qualche altro minuto di riposo, ultimi istanti prima di cominciare il tran tran giornaliero.

Oggi &egrave Mara che si alza prima di me per il caff&egrave. Non c’&egrave ovviamente nessuna competizione tra di noi: chi riesce prima a vincere la pigrizia va a preparare il caff&egrave, il rituale di ogni mattina

Io rimango nel lettone caldo dove l’odore di Mara, rimasto nel cuscino, e questo tepore da sempre mi sollecitano pensieri erotici, sicché il mio uccello, già sveglio per conto suo, si drizza più decisamente fino a scappellarsi da solo per metà. Allora mi giro, mettendomi a pancia in giù, così da potermelo sfregare sul materasso con leggeri e ritmici movimenti del bacino.

Mi giro e mi siedo con la schiena poggiata alla spalliera solo quando avverto Mara che arriva, accompagnata da un aroma inconfondibile: mentre sorseggio il caff&egrave &egrave evidente il mio stato di eccitazione dal gonfiore della coperta. Mara, che nel frattempo si &egrave seduta sul bordo solleva le coperte di lato, vi infila una mano sotto fino a sfiorarmi la coscia che comincia ad accarezzarmi lentamente, percorrendo la gamba in tutta la sua lunghezza. Ogni tanto allarga il movimento sfiorandomi il cazzo, per saggiare la situazione peraltro già evidente. Non impiega molto per arrivare al dunque: la sua mano ormai si concentra lì, scorrendo tutto il cazzo dalla punta fino alle palle, ora con la mano aperta, ora movendola con l’indice e il pollice chiusi ad anello attorno all’asta. Io agevolo le sue carezze allargando leggermente le gambe.

Risale su per la coscia fino ad arrivare all’elastico del pigiama col chiaro intento di sfilarmelo: la aiuto in questa sua intenzione, finché mi ritrovo col pigiama tolto, libero di allargare le gambe quanto voglio, chiaro segno di compiacimento delle sue attenzioni.

Mara sa quanto apprezzi questo suo assecondare la mia spontanea erezione mattutina e non manca mai di accontentarmi, certamente godendo anche lei di tutto ciò. Le sue mani accarezzano leggere le mie palle rese morbide dal caldo del letto e poi risalgono lungo il pene per iniziare un movimento cadenzato che mi scappella e mi richiude il glande ormai gonfio e teso. Con gli occhi chiusi mi godo questi momenti preziosi, assaporando ogni minimo istante, mentre il respiro diventa ansimante e la mente si annebbia, tanto che la sento parlare, ma non riesco a seguirla.

Sento salire l’eccitazione dai brividi che mi percorrono tutto il corpo: anch’io stendo una mano per cercarla e la riempio col suo seno morbido; gioco col suo capezzolo duro; poi scendo tra le sue cosce. Sotto la camicia non ha le mutandine e perciò arrivo subito, dopo averle sfiorato il pube che ha pelosissimo (che meraviglia!), ad accarezzarle le labbra: sono leggermente dischiuse e posso così facilmente cominciare a percorrergliele, un po’ toccando con delicatezza, un po’ affondandole un dito nelle parti più tenere e bagnate. Mi soffermo un po’ sul clitoride, anche lui cresciutello, con movimenti circolari e resi facili dall’ umore vischioso che ormai le riempie tutta la fica. Il suo respiro affannoso si confonde ora con il mio; la sua mano aumenta il ritmo; inzuppo bene il mio dito dentro di lei e allungo quindi la mano a cercare il suo buco del culo. Non si fa pregare: con leggere contrazioni mi dà il via libera, e allora io affondo l’indice, che entra liscio senza impedimenti, e comincio un dentro e fuori di cui non controllo l’intensità, perché sento che sto per arrivare. ‘Dai, dai, ci sono quasi’.

Mara sposta le coperte e, rallentando il movimento della mano, rimane a fissarmi il cazzo vibrante, duro e teso: le piace guardarmelo, ma lo fa anche per prolungarmi il piacere e per ridere divertita alle mie proteste seguite al suo indugiare.

Dopo aver giocato un po’ si piega e comincia a leccarmelo, girando con la lingua alla base della cappella e poi giù fino alle palle, che comincia succhiare avidamente: quindi risale e se lo fa sparire tutto in bocca. Sa che non ne posso più e allora accelera il movimento, aiutandosi con le mani, finché, preso ormai da sensazioni e brividi indescrivibili, vengo nella sua bocca, mentre lei asseconda gli spasmi con succhiate sincrone.

Stesi sul letto ci baciamo avidamente, mescolando i sapori del caff&egrave e dei miei liquidi che le hanno riempito la bocca.

Mentre in me si va spegnendo l’euforia, avverto che Mara ansima in preda ad uno stato di eccitazione inequivocabile, che raggiunge sempre quando gioca col mio uccello.

Mi piego allora fino a raggiungere con la bocca l’interno delle sue cosce; lei &egrave stesa di lato con le gambe piegate: glie ne sollevo un po’ una così da scoprire per bene la sua fica, che &egrave bagnatissima fino ai peli che la incorniciano. Affondo la mia bocca per assaporare quel liquido caldo e comincio a leccargliela con avidità, per tutta la sua lunghezza, diverse volte. Quindi mi soffermo sul clitoride che comincio a torturare con leccate, piccoli morsi e succhiate. Mara &egrave alle stelle, ansima forte e mi incita a continuare deciso: ‘lecca, lecca, dai, dai, ancora, che ci sono quasi’.
Dopo un po’ si scioglie nei respiri liberatori dell’orgasmo ormai raggiunto.

Rimaniamo ancora stesi per riprendere un po’ di forze e, appagati, ci alziamo per affrontare la nostra giornata, predisposti nel migliore dei modi.

La giornata si profilava di tutto relax. Io, essendo un giorno festivo, come al solito poltrivo a letto alle prese con i miei ricorrenti pensieri erotici, favoriti dalla consueta erezione spontanea che accompagnava quasi costantemente i miei risvegli.

Mara si era alzata già da tempo, ma anche per lei la mattinata era all’insegna del trascinarsi per casa, senza un obiettivo preciso: era il nostro modo di ‘ricaricare le batterie’, sia dal punto di vista fisico che psicologico, dopo una settimana di lavoro impegnativo, e su questo c’era tra noi piena sintonia.

Fuori era una giornata rigida, anche se non piovosa, e un fastidioso vento freddo di tramontana sembrava incoraggiare il nostro rilassamento, dandoci un convincente sostegno all’idea di rimanere in casa, al caldo.

Dato che ero sveglio già da un po’, desideravo l’abituale caff&egrave del mattino, ma stranamente Mara non si faceva viva. Allora mi alzai e mi diressi verso la cucina: la radio accesa diffondeva una canzone lenta, quasi una nenia. Trovai Mara che leggeva una rivista, in piedi, ma con il busto piegato in avanti, disteso sul tavolo, e con la testa sostenuta dalle mani. ‘Buongiorno’, dissi, ‘neanche un po’ di caff&egrave per il tuo caro maritino?’. ‘Uffa, non mi distrarre’, rispose lei con fare distaccato.

Per quanto la risposta potesse sembrare brusca, non c’era ostilità: era un modo per riaffermare che tra noi c’era piena autonomia di vita e di pensiero, pur sapendo di essere legatissimi.

Pertanto, senza curarmi delle sue parole, mi diressi verso i fornelli e mi preparai il caff&egrave. Nell’attesa mi divertivo a scrutare Mara, le espressioni del suo volto, perché lei, quando era immedesimata nella lettura, partecipava anche con il corpo alla vicenda descritta: la sua faccia allora, con smorfie diverse, descriveva tutti i sentimenti che la lettura le provocava, odio, rabbia, ilarità, tristezza”

La sua soglia di sensibilità nei confronti dei sentimenti era altissima a differenza di quanto invece provavo io. Il mio modo di sentire, avvertire le sensazioni, era più fisico, più ‘ a pelle’: io ero, come si suol dire, più ‘materiale’, il corpo dominava sulla mente.

La mia attenzione infatti dopo un po’ di tempo si spostò sui suoi glutei: portava una camicia da notte abbastanza sottile ma che, cadendo sui lati, metteva bene in risalto le sue curve. E si era infilata anche un po’ nel mezzo! Mirabile visione, mi cominciava a far avvampare, ma il rumore del caff&egrave che usciva mi riportò alla realtà. Non per molto; bere il caff&egrave, si sa, dura poco, mentre Mara non sembrava affatto intenzionata a muoversi dalla posizione invitante di prima.

Dietro di lei c’era una sedia, sulla quale evidentemente prima si era seduta: mi ci sedetti io e con molta (molta) delicatezza le cominciai a sfiorare la parte scoperta delle gambe.

Se volevo ottenere qualcosa, vista la risposta precedente, dovevo comportarmi con molta prudenza, iniziare il corteggiamento in sordina, quasi senza farmene accorgere; dovevo risvegliare in lei sensazioni fisiche, farle crescere fino a sostituire o sovrapporle a quelle intellettuali da cui era presa.

Dopo i primi minuti, già il fatto di non aver ricevuto reazioni negative, mi invogliava a seguitare, anche se avrei comunque tentato le ‘avances’, visto che cominciavo ad eccitarmi molto. Il mio pisello ancora non era del tutto duro, impegnato com’ero con la mente a dosare le manovre, e anche lui cresceva lentamente.

Azzardai un allungamento sotto la camicia, risalendo su per le cosce, fino ai glutei e, sentirla senza mutandine, fece scattare l’indurimento definitivo al mio cazzo. Anche questo tentativo andò a buon fine; Mara non protestò e continuai così rimanendo nei dintorni delle cosce e delle chiappe. Le mani eseguivano movimenti sapienti e simmetrici sui glutei e i pollici di tanto in tanto si infilavano tra le chiappe, fino a sfiorare lo sfintere: quella sarebbe stata la prova definitiva; se non ci fosse stata alcuna reazione, il segnale di poter continuare era chiaro.

Trascorso qualche minuto, sollevai la camicia e le scoprii il culo: visione magica, ipnotizzante. Continuavo ad accarezzarglielo, cercando con sempre maggiore insistenza il buco, fino a scoprirglielo, facendo pressione verso l’esterno con i pollici. Non resistevo più; a differenza di Mara il mio cervello, fin dall’inizio, era stato catturato da quei pensieri. Avvicinai la bocca e iniziai a leccare, girando sul bordo e accennando penetrazioni con la lingua. La leccata la feci durare a lungo: cercavo, con la saliva, di ammorbidirle la pelle.

Mara aveva ceduto ed era passata anche lei ad altri pensieri: ora gemeva anche, con la testa appoggiata sul tavolo. La pelle dello sfintere era diventata tenera, rilassati muscoli: avvicinai l’indice e cominciai a penetrarla con un dito con delicatezza, nel tentativo di sfrenarle altre emozioni. La sua condiscendenza era ormai totale e, anche come segnale di consenso, allargò le gambe che finora erano rimaste ravvicinate.

Ciò non fece altro che aumentare la mia eccitazione: le labbra della fica, leggermente dischiuse, sembravano legate da fili sottili e appiccicosi di umore vaginale; era bagnatissima e ciò rendeva brillante il delicato colore rosa della pelle interna alle labbra.

Non seppi trattenere la foga e leccai tutto con molta avidità, fino a bagnarmi buona parte della faccia col suo liquore. Era una sinfonia di sensazioni piacevoli e fortemente eccitanti: l’odore intenso dei suoi umori, il loro gusto esaltato dal fatto che fossero caldi, le sensazioni tattili sotto le mie mani, la vista delle sue intimità più nascoste, e quel rumore ‘vischioso’ della lingua che scorre sulla fica bagnata e che poi, sfuggendole, produce quei ‘cic, ciac’ così unici.

Ormai facevo i movimenti meccanicamente, ma con la mente annebbiata dalla grande eccitazione e con il respiro affannoso di chi sente montare il piacere. Anche il respiro di Mara si faceva sempre più ansimante e misto a parole sconnesse, ma dal significato inequivocabile: ‘Siiii, siiii, dai, cosììììì, leccami tutta per bene, frugami, siiiiiii’.

Come se non bastassero le sensazioni che provavo, ne aggiunsi altre, cominciando a toccarmi e tirarmi su e giù la pelle del cazzo, così da sfoderare e poi richiudere, con leggero ritmo, la cappella.

Ad un certo punto la vista della fruttiera poggiata su un piano lì vicino mi stuzzicò altri pensieri osceni e desideri, che volli subito mettere in pratica.

Feci girare Mara e la feci stendere di schiena sul tavolo; le sollevai le gambe e le allargai, così da avere, proprio davanti ai miei occhi, quella sua magnifica fica, grondante di umori. Presi una banana dalla fruttiera, la sbucciai e, tenendole con due dita le labbra della fica leggermente allargate, cominciai a introdurla con piccole spinte, fino a fargliela ‘ingogliare’ tutta. Rimaneva un pezzettino di banana tra le mie dita, che mi permettevano di infilargliela e sfilargliela ritmicamente.

Mara urlava dal piacere. Poi, preso dalla smania di godere di più anch’io, decisi di finire il gioco della banana; e così, dopo avergliela infilata, avvicinai la bocca alla sua profumatissima fica e cominciai a mordicchiare il frutto: un pezzetto alla volta gustavo quel sapore dolce, tipico della banana, misto ad un altro, appiccicoso e leggermente salato; un pezzetto alla volta usciva da quell’intima cavità e un pezzetto alla volta io me la gustavo.

Esaudito il peccato di gola, mi alzai dalla sedia e, estratto l’uccello, che ormai quasi scoppiava, dai pantaloni, glielo infilai, neanche tanto delicatamente, in quella fica ormai visitata più volte e in diversi modi. Iniziai a pompare con foga.

Estrassi il cazzo da quel fiore caldo e umido e lo appoggiai sul buco che prima avevo pazientemente ammorbidito, iniziando delle lente spinte. Con le dita aiutai l’operazione tenendo tesa la pelle dell’ano; il cazzo bagnato e liscio fece il resto: la cappella entrò, strappando un leggero gridolino a Mara, la quale però, aiutò la spinta. Spinsi anch’io di più fino ad entrare quasi completamente e da lì iniziò la nostra salita verso il godimento.

A Mara piaceva essere inculata e anch’io trovavo la cosa molto piacevole, benché mi rendessi conto che non era proprio quello il luogo più naturale per infilare un cazzo; ma, si sa, si &egrave più attratti dal trasgressivo che dal naturale, e perciò ‘..

Mi rendevo conto che non sarei riuscito a resistere molto, dato il grado di eccitazione raggiunto, ma ci tenevo a che Mara non rimanesse, proprio sul più bello, senza una premio finale: il venire insieme era sempre una ricerca paziente e soprattutto piacevole, considerando che il reciproco godimento che ci stavamo procurando avrebbe dato i suoi frutti migliori proprio se avessimo appagato i nostri sensi assieme. Il gioco era sottile: rendere l’azione sempre più incalzante, ma dosando il proprio piacere pensando al grado raggiunto dall’altro.

Anche da questo punto di vista ci conoscevamo ormai abbastanza e avevamo raggiunto un discreto affiatamento, per cui erano rare le volte che non si godesse assieme.

Dunque le mie spinte si fecero più insistenti; il suo culo riceveva ormai agevolmente il mio cazzo e il suo piacere andava crescendo sempre più, a giudicare dalle incitazioni e dal respiro sempre più ansimante. Inoltre le sue dita frugavano nella fica e le sue gambe, alte, si stringevano in modo cadenzato attorno al mio collo, per assecondare e agevolare le mie spinte.
Il ritmo aumentò fino a che, in preda entrambi ad un delirio di piacere, venni con intensi spasmi nel suo corpo.

Senza uscire, mi piegai ad abbracciarla e riempirla di baci sulla bocca, sul collo, sui capezzoli, sul ventre, e continuai a lungo fino a che il mio cazzo, ormai ammosciato, scivolò fuori dallo sfintere, lasciando colare sul tavolo il mio sperma caldo.

Io mi sedetti sulla sedia dietro di me e Mara, sollevatasi, si sedette su di me, accavallando le sue gambe larghe sulle mie e appoggiando la sua calda fica sul mio cazzo.

Ci abbracciammo forte e godemmo ancora a lungo, in quella posizione, del nostro reciproco benessere.

P.S.

Cari amici,

io conosco poco l’universo femminile e pertanto i miei racconti sono quasi totalmente frutto di fantasia.

Mi piacerebbe avere delle risposte, possibilmente, ebbene si, da donne:

‘> ci sono donne che leggono con interesse i racconti qui pubblicati, o meglio, ce ne sono che ne pubblicano?

‘> in questo caso, le loro descrizioni erotiche sono frutto di fantasia o ne hanno esperienza diretta?

Vi saluto caramente

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