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Racconti CuckoldTrio

Al mare d’inverno

By 19 Aprile 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

 

 

Al mare d’inverno

 

 

 

La storia con Francesca sapeva d’infanzia anche se il tempo delle mele era finito da tempo, con lei tutto era un gioco e una scoperta continua, un divertimento pruriginoso come da ragazzi in un cortile d’estate a giocare ai dottori. Avevamo le nostre vite, le nostre famiglie e i nostri impegni ma quel desiderio di vederci ogni tanto era necessario per nasconderci al tempo e riaccendere la fantasia. Naturalmente il sesso era il filo conduttore ma il nostro rapporto era di affetto senza diritto di proprietà presupposto di una complicità senza inganno. La nostra relazione era iniziata in modo impetuoso fin troppo possessivo, ci stavamo rovinando la vita invece di godercela così, dopo una serata di reciproche accuse ci siamo guardati negli occhi, dapprima irati, poi ridendo di quanto eravamo scemi. Da lì in avanti la nostra storia ebbe una svolta: noi dovevamo solo giocare… e così fu!

 

L’inverno è sempre troppo lungo per chi ama il sole e così un pomeriggio prima delle feste di Natale abbiamo organizzato i nostri impegni per andare al mare d’inverno per farci un regalo. Dopo un’ora di macchina siamo arrivati ad una spiaggia della pineta di Marina di Bibbona: era ad aspettarci un paesaggio calmo illuminato da un sole tiepido; appena fuori dall’auto una brezza fresca e umida trasportava il profumo di salsedine, la spiaggia deserta era come un largo sentiero deserto tra il mare e la pineta secolare, soltanto la sagoma di una persona e forse un cane in lontananza. Per chi ha la tristezza nell’anima poteva sembrare un luogo decadente e triste ma noi avevamo il sole nel cuore e ci è sembrato il paradiso.

 

Abbiamo camminato sul bagnasciuga a cercare sassi colorati e conchiglie, ci siamo abbracciati, strusciati, eccitati come era solito; dentro la pineta abbiamo visto un tavolo con delle panche in legno dove d’estate ci si siede all’ombra dei pini: poteva esse la giusta alcova per una scopata en plein air.

 

Francesca cercava sempre di anticipare la mia erezione per il piacere di sentire il cazzo crescergli in bocca così appena parlammo del tavolo mi guardò in modo malizioso e si mise in ginocchio tra le mie gambe in mezzo alla spiaggia, mi apri i pantaloni e lo tirò fuori, lo sollevò con la lingua che era ancora “barzotto” e lo inghiottì tutto, stava ferma succhiandolo come fosse un calippo fino a che non divenne completamente gonfio e duro, quando iniziarono i lacrimoni agli occhi dette un ultimo affondo e poi tirò indietro la testa lentamente, lo fece uscire da quel tepore insieme ad un filo di saliva, subito avvertii sulla  cappella tumida il fresco della brezza del mare. Ogni tanto mi guardavo intorno ma non c’era nessuno, lei continuava a trastullarsi con il mio uccello, ad accarezzarlo e strusciarselo al viso, a seguirne tutta la lunghezza con la punta della lingua partendo da sotto fino in cima per poi farlo scomparire di nuovo tutto dentro la bocca: mi chiedevo ogni volta come facesse a tenerlo in gola per così tanto tempo senza soffocare, lei scherzando diceva di avere un secondo clitoride al posto delle tonsille, forse era vero. Quando sentì che stavo per venire smise, si alzò e mi dette un bacio, aveva le labbra bagnate e il sapore del mio sesso. Ci abbracciammo stretti fino al tavolo: era dolcissima, aveva una femminilità innocente che gli permetteva di essere donna posata e bimba maliziosa ma allo stesso tempo anticonformista per andare oltre il comune senso del normale, senza pregiudizi. Lei continuava a strusciarsi come una gatta facendomi sentire il suo desiderio e nello stesso tempo i seni morbidi e il turgido dei capezzoli; pensai che quel paesaggio selvaggio meritasse un rapporto appropriato così mi venne voglia di prenderla da dietro: gli strinsi i capelli e la girai, la piegai in avanti mettendola a bocconi su quelle tavole umide con il viso rivolta verso il mare e il culo a mia disposizione, gli sollevai la gonna stretta, sotto aveva soltanto delle calze scure che arrivavano fino in cima alle cosce e poi più niente: quando ci vedevamo spesso non metteva le mutandine per praticità. Il contrasto delle calze con la pelle chiara era eccitante, aveva  un culo bellissimo, bianco e fresco; con una mano presi in mano l’uccello e con l’altra mi bagnai bene la cappella con la saliva e l’appoggiai al suo buchino rosa circondato da una leggera peluria, cominciai a premere dolcemente fino a quando non entrò tutto fino in fondo, lei si inarcò con un gemito aggrappandosi con le mani al bordo del tavolo, rimasi un attimo fermo per sentire le contrazioni dell’orifizio anale ancora strettissimo, mi piegai verso di lei e la baciai tra i capelli, guardai il mare: era proprio una bella giornata! Cominciai a possederla con movimenti lenti e profondi senza fretta per godermi quel momento, la sentivo ansimare insieme al fruscio dei pini, il sole era alto e il tempo era con noi.

 

A distogliermi da quel momento fu il passare di un cane sulla spiaggia davanti a noi: mi insospettii; d’improvviso mi ricordai di averci visto insieme una persona quando siamo arrivati così lo seguii con gli occhi fino a quando non arrivò vicino al tronco di un grosso pino dove seminascosto nella macchia intravidi un uomo che ci stava spiando a poca distanza da noi. Ebbi un sussulto, pensai subito a Francesca, lei continuava a gemere di piacere appiattita sul tavolo ma… guardando meglio i suoi occhi appena socchiusi mi accorsi che erano rivolti verso lo sconosciuto fissandolo come in una maliziosa complicità: rimasi stupito! Stava avvenendo un qualcosa di nuovo alla quale non ero preparato, per la prima volta condividevo la mia intimità con uno sconosciuto e non lo sapevo. Dopo un attimo di imbarazzo e vedendo che Francesca apprezzava questa situazione insolita pensai: “in fondo, se va bene a lei… perché no?” Sorrisi tra me e ripresi a possederla con vigore forse con una punta di esibizionismo in più: ero curioso di vedere come andava a finire. Detti uno sguardo complice al nostro “ospite” facendogli intendere che se voleva guardarci non avevamo niente in contrario; dopo un po’ si fece coraggio e piano, piano uscì allo scoperto con un sorriso imbarazzato dimostrando comunque di gradire la nostra disponibilità. Era un uomo anziano dal corpo esile e l’aspetto vissuto, probabilmente una persona del posto che ci aveva visto arrivare e immaginando le nostre intenzioni si era avvicinato per guardarci. Rassicurato ma sempre guardingo cominciò lentamente ad avvicinarsi, vidi che si stava masturbando da sotto il giaccone. Francesca era ancora distesa a bocconi con le mani aggrappate ai bordi del tavolo, continuava a guardarlo rassicurata dal mio coinvolgimento. Lo sconosciuto si fermò a pochi passi da noi continuando a maneggiare il suo coso, guardava il mio uccello che entrava e usciva da quel buchino rosa di lei, quasi in modo provocatorio cominciai a muovermi lentamente facendolo uscire piano, piano per poi rimetterlo tutto dentro con forza …e poi ancora di nuovo: smisi quasi subito perché provai una forte eccitazione che mi portava all’orgasmo. Ormai aveva capito che poteva fidarsi della nostra complicità e si lasciò andare: si spostò davanti a Francesca aprendo il giaccone, tirò fuori un uccello veramente notevole sproporzionato al suo aspetto con una grossa cappella livida piegata verso il basso ( l’età certamente non lo aiutava a tenerlo dritto ma rimaneva comunque un bell’arnese fuori ordinanza ). Francesca lo guardava fisso mentre questi si eccitava proprio davanti a lei ma, non potette resistere oltre: sollevò la testa e lo invitò vicino a se, lui rimase un attimo perplesso, mi guardò, fece ancora un passo in avanti e offrì quel grosso uccello alla bocca di lei che cominciò subito a strofinarselo al viso e poi sulle labbra, senza usare le mani lo sollevò con la lingua e cercò di risucchiarlo in bocca ma, nonostante la buona volontà, riuscì a farne entrare solo una parte, l’altra rimase impugnata nella mano dello sconosciuto che continuava a menarselo lentamente; Francesca era in estasi, aveva due uomini tutti per se da accudire, da soddisfare e far godere, sapevo che questa era la sua vera natura di femmina materna e geisha dolcissima, adesso particolarmente docile verso quell’uomo sconosciuto che gli aveva affidato il suo piacere. Dopo qualche istante il nostro “ospite” preannunciò l’orgasmo: il respiro sempre più forte, il bacino cominciò a muoversi sempre più velocemente… poi un ultimo affondo, si inarcò e chiuse gli occhi verso il cielo. Probabilmente lo spruzzo fu intenso perché Francesca fu costretta a sfilarsi l’uccello di bocca all’improvviso e riprendere fiato, vidi gli ultimi fiotti di sperma che gli imbrattavano il viso e i capelli. Davanti a quello spettacolo non potetti resistere: l’afferrai per i fianchi e la tenni ferma mentre gli riempivo il culo con tutto quello che avevo trattenuto fino ad allora, la feci urlare, mi aggrappai ai suoi capelli e la tirai con forza verso di me quasi per sfondare quel buchino che amavo tanto. Chiusi gli occhi e mi abbandonai su di lei mentre aveva gli ultimi sussulti di un piacere lunghissimo, l’abbracciai forte per fermare quel momento indimenticabile mentre i nostri respiri in affanno cercavano quiete.

 

Mi risollevai a malincuore guardandomi intorno: era rimasto il mare ad spettare il sole che si assopiva come il nostro eccitamento, tutto intorno più nessuno, il nostro “ospite” era già sparito insieme al suo cane. Forse stava già realizzando che Babbo Natale, quell’anno, era passato prima del previsto.

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