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Acciaio incandescente

By 13 Novembre 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

ACCIAIO INCANDESCENTE

 

Gli occhi grigi della donna cercarono i suoi, di nuovo.

Chiari, con le iridi talmente pallide sui bordi che quasi si confondevano con la sclera ma con un anello frastagliato rossiccio, simile ad un sole invernale, intorno alla pupilla; taglienti ma allo stesso tempo caldi, penetranti e pericolosi come un coltello incandescente.

Sembrava che colpissero Sandro al cuore e anche più in basso, dove era tutto un contrarsi di muscoli e ribollire di sangue. Inspiegabile eppure inesorabile.

Sandro… quanto era difficile abituarsi a quel suono! A volte ancora quando qualcuno lo pronunciava non si girava. Che nostalgia del suo vero nome, così simile eppure così profondamente diverso.

Si alzò e si grattò le parti basse, da vero uomo, prima di avviarsi a grandi passi verso il parapetto dove si appoggiò a guardare le onde generate dalla nave ribollire lungo la fiancata. In lontananza qualcosa bucò la superficie del mare di un blu profondo e finalmente calmo, brillò nel tiepido sole primaverile che si avviava verso il tramonto e scomparve con uno spruzzo, come un sogno.

Chissà cos’era, si chiese Sandro spostando il peso da una gamba all’altra e cercando inutilmente di agganciare dietro a un orecchio uno dei riccioli tagliati corti. Troppo corti. Era stata dura abituarsi anche a questo e ricacciò indietro il senso di vuoto generato dal ricordo dell’ultimo giorno a casa, di quel taglio e delle proprie lacrime a malapena trattenute. La stretta disperata dei suoi, il loro profumo erano incisi a fuoco nella sua memoria. Sperò con tutte le proprie forze che potessero raggiungerli al più presto, prima che fosse troppo tardi.

Si girò dando le spalle all’immensa, terrificante distesa d’acqua per osservare l’ormai familiare sagoma metallica del piroscafo col suo grigio pennacchio di fumo che si spandeva nel cielo, proteso all’indietro come un filo che collegava l’imbarcazione con la costa europea. Con casa.

E inevitabilmente si trovò a guardare lei, ancora.

Non capiva le sensazioni che la signora scatenava nel suo basso ventre, il pulsare del proprio inguine ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, ogni volta che scorgeva la sua sgraziata figura nella piccola folla che popolava il transatlantico.

Oltre al fatto che era una donna, era anche una donna poco armoniosa, sproporzionata. Il viso costantemente sommerso da strati di belletto era spigoloso, spesso seminascosto da improbabili cappelli; la figura opulenta e squadrata non condivideva affatto l’eleganza degli abiti che la ricoprivano e questa incongruenza turbava Sandro.

Aveva dei bellissimi capelli corvini tirati in un rigido chignon che non ne nascondeva la lucidità, però, capelli che sempre più spesso Sandro si immaginava sciolti sotto le proprie dita e perfino drappeggiati sul proprio corpo nudo… e poi quegli occhi… L’emigrante si sentì avvampare e distolse lo sguardo, temendo che lei potesse leggere nei suoi occhi neri le nebulose fantasie che vi vorticavano.

Era chiaro cosa la ricca donna volesse: un giovane gingillo col quale trastullarsi nelle fredde e solitarie notti a bordo. Il viaggio era ancora lungo e sicuramente la signora pensava che ci sarebbe stato tutto il tempo di divertirsi abbondantemente…

Non sapeva quanto sarebbe rimasta delusa: Sandro non aveva mai avuto rapporti di quel tipo con una donna, e fino a che non aveva incontrato lei non avrebbe mai pensato di poter desiderare di farlo. Non avrebbe saputo cosa fare e poi… e poi non era ciò che lei credeva che fosse. L’immagine del membro teso di Elia stretto nel proprio pugno, la sensazione dolcissima e lacerante di averlo a fondo dentro di sé emersero come un lampo dal passato aggiungendo eccitazione a eccitazione, confusione a confusione.

Respirò a fondo per cercare di calmare i pensieri e prese una stretta scaletta metallica per scendere nel ventre della nave. Percorse il labirinto di corridoi con passo sicuro e infilò la propria chiave nella porticina della minuscola cabina che divideva con Davide: due cuccette anguste e poco più, uno spazio soffocante dove aleggiava un pesante odore di vomito.

Davide giaceva sul materasso, pallido in volto. Occhiaie nere cerchiavano i suoi occhi e la sua pelle aveva assunto un colorito giallognolo che non aveva mai avuto prima. Oggi che quasi non si vedeva onda il mal di mare gli aveva dato tregua e ragazzino stava finalmente riposando: purtroppo non c’era rimedio, bisognava aspettare che la traversata finisse e sperare che nel frattempo il suo corpo non si debilitasse troppo. Sandro controllava che bevesse regolarmente e lo costringeva a mangiare ogni volta che le onde si calmavano. Gli carezzò la fronte e lo cullò a lungo cercando di fargli sentire il conforto dell’unico membro della famiglia che non fosse lontano migliaia di chilometri.

La sirena che indicava l’ora di cena risvegliò entrambi dal torpore e Sandro scosse il fratello trascinandolo fuori dalla cabina nonostante le proteste.

“Devi mangiare!” Gli intimò.

Non era l’unico motivo per il quale voleva il fratello con sé: la sua presenza forniva una distrazione dall’acciaio incandescente degli occhi grigi della donna e dalle reazioni viscerali ed inspiegabili del suo corpo ad essi.

I due giovani sedettero al tavolo loro assegnato, tra quelli attribuiti alle cuccette di seconda classe esattamente al confine con quelli di prima. Esattamente di fronte a lei che occupava il tavolo adiacente.

Davide ingerì in fretta ciò che gli venne messo davanti senza parlare e per un po’ Sandro si concentrò sul pasto del fratello trascurando il proprio. Quando il ragazzino non ce la fece più a tenere giù un altro boccone si alzò.

“Torno in camera.” Disse perentorio “Tu resta pure qui a sentire la musica.” E si affrettò verso l’uscita, talmente ansioso di tornare a stendersi da investire quasi un cameriere e il suo vassoio.

Un’altra sera di solitudine per Sandro, consumata tra le chiacchiere insulse dei vicini di tavolo, le melodie dell’orchestra, gli occhi metallici e pericolosi della donna e le proprie assurde reazioni.

Aveva evitato di guardarla fino a quel momento ma ora, inesorabilmente, i suoi occhi cercarono il volto imbellettato e i suoi visceri ricevettero una ormai familiare ma non per questo meno sconvolgente stilettata quando colse la donna che guardava dalla sua parte. Lei si pulì educatamente le labbra con un fazzoletto e rimase immobile. Non si voltò, come i commensali, ad osservare i musicisti che iniziavano in quella a suonare alla sua destra: da quando giocavano a quel gioco, dalla prima cena, aveva sempre guardato Sandro, solo Sandro, affondando i coltelli incandescenti dei suoi occhi sul volto dell’emigrante, coprendone il corpo di un immaginario velo di lussuria sotto il quale le iridi grigie si muovevano libere e padrone di tracciare la pelle come un marchio arroventato.

Col cuore in gola e il basso ventre in subbuglio Sandro faticava a respirare. Com’era possibile che uno sguardo facesse un effetto così sconvolgente? Com’era possibile che un paio di pupille bloccassero i suoi polmoni e liquefacessero le sue viscere a quel modo? Il desiderio pulsava nel suo inguine impazzito, un desiderio inspiegabile e assurdo perché rivolto ad una donna, una donna sgraziata per giunta!

Fece per alzarsi e vacillò col sedere a mezz’aria prima di ricadere sulla sedia e rendersi conto di quanto il tessuto ruvido dei pantaloni fosse ormai bagnato oltre l’orlo delle mutande, tra le cosce, e si appiccicasse alla pelle. Cercò di sistemarsi ma il movimento fece sì che una cucitura premesse sull’inguine già gonfio di desiderio.

Stava impazzendo. Non c’erano altre spiegazioni.

Cercò di prendere un respiro profondo nonostante le fasce strette intorno al torace, chiuse le palpebre e le riaprì dopo qualche istante in tempo per vedere lei che si alzava e si muoveva con passo pesante verso l’uscita della sala da pranzo.

Le osservò la schiena mentre camminava, ora che i suoi occhi magnetici erano celati: le spalle troppo larghe e squadrate, la vita non abbastanza fine, i fianchi stretti e sproporzionati al resto sotto le crinoline, il suo incedere troppo sicuro e così poco femminile…

E all’improvviso, come un lampo, arrivò l’intuizione.

Scattò in piedi e seguì la figura vestita di rosa all’esterno.

Una falce di luna splendeva nel cielo rischiarando una striscia di mare altrimenti di un blu così profondo da essere quasi nero, liscio come non era mai stato da quando erano partiti.

La sagoma chiara che stava seguendo era evanescente come quella di un fantasma nelle luci notturne, basse e fioche: la vide all’ultimo infilare la scaletta esterna che portava al ponte di prima e la seguì diminuendo la distanza che le separava.

Colse l’orlo del suo vestito che svoltava dentro il primo corridoio e con un balzo bloccò la porta prima che si chiudesse. Doveva sapere, sapere e se aveva ragione estinguere la sete che quegli occhi di metallo rovente avevano acceso.

Afferrò un braccio, sentendo le ossa spesse di un polso sotto la stoffa di un guanto e il contraccolpo dell’arrestarsi della sua preda. Non perse tempo e la spinse contro la parete dell’angusto passaggio sfruttando l’energia dello slancio con il quale aveva varcato la soglia per schiacciare il corpo sgraziato contro il metallo dipinto mentre una mano saliva a tappare la bocca coperta dal rossetto.

L’altra strappò alcuni bottoni dell’abito di seta e si infilò all’interno, irruenta e maleducata, cercando la prova di ciò che sentiva essere vero fin nel midollo, fin nell’ultimo nervo del proprio sesso. La sua vittima, forse per la sorpresa, rimaneva immobile.

Trovò le stecche di un bustino e più su il rigonfiamento del seno, lo strinse e un suono trionfante sfuggì dalla sua gola: solo morbida stoffa imbottita sotto le sue dita, e dietro un petto sodo e piatto. Insinuò la mano dietro l’imbottitura trovando ruvidi peli ed un piccolo capezzolo mezzo inturgidito che strinse tra le dita.

Seguì un verso molto poco femminile e l’altro si mosse per staccarsi dal muro, dalla presa di Sandro, premendo per un istante l’inguine contro il suo ventre. Un rigonfiamento che non avrebbe dovuto esserci fu l’ultima conferma.

“Cosa diamine…” una spinta potente e Sandro caracollò lungo il corridoio finendo sotto l’unica luce.

“Tu!” Sorpreso, arrabbiato, l’uomo in crinoline non sembrava più sgraziata ma letale, virile nonostante i pizzi e l’imbottitura che cadeva fuori dai lembi strappati del vestito. Si avvicinò minaccioso, ora le parti erano invertite e Sandro fece un passo indietro, stringendo le cosce per la paura e l’eccitazione. Tra poco anche l’uomo avrebbe scoperto il suo segreto. Sperò solo che non gliene desse troppe prima.

“Tu mi hai fatto venire insani pensieri, pensieri malati… se vuoi del sesso, lo avrai anche se non era quello che ti aspettavi!” Esclamò l’altro con voce roca, avventandosi sull’emigrante che si sentì spingere di faccia contro la parete.

Sandro chiuse gli occhi e sentì il peso dell’altro contro il corpo, la virilità che si gonfiava contro le natiche attutita da strati di stoffa, una mano che gli bloccava il collo contro il freddo metallo, l’altra che scendeva prepotente lungo il ventre, dentro i calzoni, cercando qualcosa che non trovò. Dita forti scivolarono sull’ombelico, tra i peli ricciuti sottostanti e giù tra le pieghe di una femminilità inaspettata.

Un verso strozzato sfuggì all’uomo, quasi una risata, e lei lo sentì rilassarsi contro di sé. Le sue dita non mollavano la presa sulla sua intimità però, anzi si fecero più sicure nello scivolare ancora più in basso tra le pieghe umide, nel cercare l’orlo di un orifizio che non avrebbe dovuto esserci.

“Senti come sei bagnata… una piccola lesbica eh?”

Lei riuscì solo a scuotere la testa, ancora mezza bloccata tra la mano pesante dell’uomo e la parete. La cosa sembrò ringalluzzirlo perché il membro tornò a premerle sulle natiche e la presa sul collo venne meno, per ricomparire un istante dopo più sotto, sul petto stretto nelle fasce che indossava per schiacciare i seni.

Sembrò che un pensiero lo cogliesse perché si bloccò per un istante.

“Se non sei lesbica, e non sei un ragazzo, perché mi hai spogliato? L’avevi capito cosa sono?” Di nuovo lei annuì.

“Merda” Disse lui. “Il travestimento non funziona.”

“Cammini come un maschio.” Riuscì a dire lei.

Lui tacque per un po’, muovendo mollemente le dita lungo la vulva della ragazza, cercando di infilarle distrattamente sotto le fasce che le bloccavano il torace.

Poi: “E mi hai seguito comunque, mi hai aggredito e ora sei qua, tutta bagnata…” Lasciò la frase in sospeso: non serviva concluderla, cosa sarebbe avvenuto era chiaro ad entrambi.

Fremendo lei iniziò ad oscillare il bacino avanti e indietro, fregando la vulva sulla mano e le natiche contro il fallo.

Gli occhi di acciaio appartenevano ad un uomo con gli istinti di un uomo, e quell’uomo stava per prenderla lì in quel corridoio buio, da dietro, incurante del fatto che sarebbe potuto arrivare qualcuno. Quando l’intuizione l’aveva colpita, poco prima in sala da pranzo, lei non aveva pensato: l’attrazione irrazionale e irresistibile che provava per colui che ora la stava schiacciando contro il muro aveva prevalso ed ora era più che pronta ad accettarne le conseguenze. Pronta e impaziente. Domani avrebbe pensato al perché.

Lui la penetrò con un dito, lentamente, e lei ansimò piano. Un secondo si aggiunse ed entrambi si mossero dentro e fuori di lei accompagnati da ritmiche pressioni del palmo sul clitoride. Il piacere si espanse nel ventre della ragazza come un liquido incandescente, quasi soffocante, ma lei voleva di più, voleva essere penetrata, colmata e poi svuotata per venire colmata di nuovo. Tese una mano all’indietro afferrando la seta dell’abito rosa e cercò di arrotolarla centimetro dopo centimetro per raggiungere la carne tesa e calda che avrebbe finalmente saziato la sua fame.

Una porta sbatté poco distante e dei passi risuonarono in fondo ad un corridoio secondario riportando entrambi alla realtà. Rapidamente l’uomo la liberò dalla propria stretta e la prese per un braccio, trascinandola per qualche metro fino alla porta di una cabina. La chiave uscì da una tasca e furono dentro.

Lo spazio fiocamente illuminato da una lampada che l’uomo si era evidentemente scordata accesa era decisamente più grande di quello delle cabine di seconda ma lei non ebbe il tempo di esaminarlo: lui le fu addosso di nuovo, la spinse sul materasso e si stese su di lei, impacciato dalle gonne e sottogonne. In qualche modo riuscirono a sollevare tutti gli strati di stoffa liberando la verga che la ragazza prese tra le dita iniziando a massaggiarne la lunghezza mentre lui ansimava e le sfilava i pantaloni e le mutande. Le divaricò le cosce con le mani incuneandosi nel mezzo e lei portò il glande tra le labbra intime, facendone scorrere la setosa rotondità sulle mucose umide prima di dirigerlo verso la propria apertura ed inserirlo, finalmente, dentro di sé.

Un colpo di bacino e fu colma, finalmente di nuovo femmina. E lo fu ancora di più quando lui riuscì a muovere le fasce verso l’alto liberando i seni dai capezzoli turgidi, e iniziò a spingere.

Ogni volta che affondava in lei, la ragazza si sentiva un po’ più sé stessa, un po’ più donna, un po’ più eccitata. Le mani di lui sul seno, i suoi occhi metallici come coltelli bollenti nei propri, il piacere che andava e veniva ad ogni spinta, dalla vagina alle estremità e indietro prima di ripartire ancora. Il primo orgasmo la colse di sorpresa con un singulto e una scossa, quasi un incidente di percorso che lubrificò ulteriormente il passaggio arrendevole in cui il membro implacabile dell’uomo si muoveva senza sosta.

Le crinoline arricciate tra di loro si intrecciarono alle membra rendendo difficile l’amplesso, allora l’uomo a malincuore si staccò e, strappando tutti i bottoni, si liberò degli indumenti che portava. Quella che era una donna sgraziata si trasformò in un giovane sinuoso, che si stese accanto alla ragazza seminuda e le sollevò un fianco, penetrandola di nuovo.

Così era più difficile compiere movimenti ampi e i due presero ad oscillare, estraendo il membro solo di pochi centimetri ad ogni colpo, le gambe intrecciate, le mani che stringevano le natiche, il clitoride che sfregava contro il pube. Le lingue finalmente intrecciate, il belletto che nascondeva i tratti di lui che si mischiava con la polvere di carbone che lei usava per simulare la barba di un ragazzino come la saliva si mischiava nella bocca.

Bevvero l’uno i suoni del godimento dell’altra portandosi ad un passo dal climax per poi rallentare e ricominciare daccapo finché non fu più possibile trattenere il piacere nei confini del proprio corpo. Gridando insieme vennero, stretti l’uno all’altra al punto che era difficile stabilire dove finiva lui e dove iniziava lei, chi era l’uomo e chi la donna.

Nessuno dei due aveva chiesto il nome all’altro, nessuno aveva indagato sul perché del travestimento.

Dopo essersi rivestita con mani tremanti e con la promessa di rivedersi al più presto sulle labbra, la ragazza uscì dal corridoio buio chiudendosi la porta alle spalle. Nell’aria frizzante della notte poteva rimanere ancora, per qualche minuto, semplicemente Sara.

 

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