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autoanalisi

By 27 Luglio 2018Aprile 2nd, 2020No Comments

Dunque…
Ho venticinque anni, ma da molto tempo é come se me ne sentissi addosso il doppio. Non fisicamente, intendiamoci. Il mio fisico é quello di un giovane nel fiore degli anni, forse non eccessivamente sportivo e aitante ma sicuramente neanche troppo mal messo. Sicuramente qualcuno avrebbe da ridire sul mio look, la mia pettinatura, i miei tatuaggi, ecc ecc. Beh, affari loro.
Io sono chi sono.

Tempo fa decisi, dissi a me stesso con tono perentorio che l’amore non valeva i sacrifici. Che ero stufo di continuare a cercare l’anima gemella. Che era meglio starmene solo, convinto che avrei sofferto molto meno. A scanso di equivoci, non ho ancora cambiato idea. Ma non é sempre così facile.
&egrave dura strapparsi da meccaniche e paradgmi a cui si é abituati sin dalla più tenera età. Per me lo é anche di più, visto che purtroppo sin da piccolo riuscivo a comprendere il mondo meglio di molti adulti. Ma ero idealista, sognatore. Schifosamente convinto di poter essere e avere tutto ma non per soldi o meriti, semplicemente perché ritenevo l’universo e l’uomo fondamentalmente benevoli. (per chi fosse interessato, in questo periodo scrissi i miei primi racconti su Milù).
Poi… poi arrivò lei. E tutto cambiò. Non fu solo lei, naturalmente. Ce ne furono altre prima e altre dopo.
Ma tutte quante mi diedero la conferma di un’unica fottuta verità.
L’universo non é buono. Non é neppure cattivo. &egrave sé stesso. E di me, o te, o tutto questo se ne frega.
Non gli importa, dico davvero. E io compresi questa verità quando tutte le donne che avevo amato, tutte, mi abbandonarono.
Non fu quello a distruggermi. Fu la fine delle mie speranze. Ah, grandissima puttana, la speranza.
Ti dice che puoi ancora perdere qualcosa, é come quelle donne che in un qualunque casinò sussurranno a un giocatore di continuare a scommettere. Finché non perde tutto ciò che può perdere.
Così é la speranza, l’opposto della paura, che ti paralizza. La speranza ti dice che puoi ancora vincere, la paura ti dice invece che la sconfitta é certa.
Entrambe impediscono di valutare la situazione.
Entrambe lo fecero, e io ci cascai.

Così, dopo essere stato manipolato, abbindolato, tradito e abbandonato da gente spesso anche più disperata e sola di me, giacui nel freddo loculo del mio disincanto. Come morto ancora vivo, mi aggiravo per le contrade di un paese che pareva solo trapassarmi con ricordi e spade di nostalgia.
Reagii nel solo modo in cui reagiscono gli uomini, e gli animali feriti: con la rabbia. Una rabbia profonda e assoluta che mi permise di scrivere Into the White con un tono cupo e decisamente diverso dai miei primi racconti così pieni di luce, gioia e speranza.
Non avevo mai preteso la storia da favola, il matrimonio e i figli, no.
Volevo solo quel che a tutti pareva venir tanto facile.
E l’universo me l’aveva strappato, tolto.

Col proseguire però di Into the White, sentii qualcosa cambiare. Quel racconto fu l’inizio della mia ripresa.
Ma da solo non sarebbe mai bastato.
Oh, ovviamente la mia attività sessuale in tutto questo non era mai cessata ma ormai era divenuta mera rivalsa verso quelle persone che avevano preferito altri a me.
Mi dicevo: “Se loro si prenderanno il mio cuore, io avrò tutto il resto. Se loro avranno l’amore e la felicità, io avrò l’appagamento. Se loro intendono abbandonarmi, io affogherò il loro ricordo nell’esistenza più goduriosa possibile!”.
E volete saperla una cosa? Per un po’ fu davvero così.

Poi incontrai C. ne avevo parlato nel mio racconto.
Svolgeva una professione che forse molti, anzi troppi tendono a giudicare e lo faceva per un fine nobile.
Apprezzavo tanto le parole che ci scambiammo la prima volta che la vidi quanto i baci e le sensazioni che ci regalammo vicendevolmente nei successivi minuti. Per diverso tempo avevo cercato qualcosa che lei pareva avere. Ma, come giustamente capirete, i nostri incontri erano quello che erano. Poco tempo, attimi di felicità strappati a un’esistenza inaridita dalla disillusione. Una fenditura nella realtà che ci proiettava in un tempo e uno spazio in cui il resto spariva e l’esistenza assumeva un tono diverso.
C. l’aveva giustamente definito un mondo parallelo.
Non avrei saputo trovare espressione più indicata.
Ma mentre sentivo il suo corpo contro il mio e il mio dentro il suo, non potevo fare a meno di pensare che sarebbe finita, non importava quanto lo facevo durare.
Non appena fossi venuto, il nostro mondo parallelo avrebbe preso a sgretolarsi, nuovamente invaso da una realtà in cui io ero solo, forse non per scelta ma fondamentalmente solo. (A C. &egrave dedicato il mio racconto “Dopo”).

Ora…
Sicuramente dopo questo intro credo ora di poter affrontare il motivo per cui mi sono messo a scrivere questa narrazione decisamente non conforme alle mie solite produzioni.
Lo so, forse vi aspettavate qualcosa tipo un racconto dei bei tempi andati, eh? Magari il proseguimento del racconto “India”, o che continuassi con l’ultima avventura del mio alter-ego Blade.
Magari alcuni di voi speravano segretamente in un epilogo di Into the White (e non sarete delusi, prometto!).
Purtroppo però, oggi é tempo di un racconto-confessione serio. Qualcosa di realistico.
Perché? Perché spesso sorgono i dubbi. E se é vero che il dubbio é utile perché permette di analizzare le situazioni, é anche vero che é snervante continuare a fronteggiarlo.
Allora, credo sia ora di uno sfogo.

Tempo fa ho fatto il miglior sesso della mia vita. La miglior copula della mia esistenza, l’accoppiamento definitivo, l’amplesso divino, la scopata celestiale, insomma, un’esperienza fantastica che, onestamente auguro a tutti quanti voi, anche solo perché possiate capire. Ma, terminato tale supremo amplesso e tornato alla mia abitazione, mi capitò di ricadere nel dubbio. L’abisso amletico che m’inghiottiva a più riprese, come un Triangolo delle Bermuda.

Essenzialmente la questione é questa: io sono felice così? A fare sesso senza legami? Una scopata e via é davvero l’unico modo in cui intendo continuare?
Intendiamoci, non mi sto lamentando. &egrave spesso gratificante sentire il tizio X dire che la storia con la sua tipa non é più come prima e pensare che almeno io non ho un simile problema. (Sarò stronzo ma sono onesto: mai sopportati quelli che si vantano di avere la tipa, postano migliaia di foto sui social, la tirano in causa ogni tre per due, mollano gli amici e poi lo prendono dove dico io, metaforicamente).
Il problema é che quelle situazioni non sono tutte così. Ci sono anche le cose belle. E se avere una ragazza non ti rende improvvisamente tutto più semplice o non ti permette di far comparire miracolosamente i soldi per arrivare a fine mese, sicuramente ti da un motivo per agire.
Io mi sono spesso detto che é una prigione.
Casa, lavoro, famiglia… La santa trinità, che santa non é affatto, a ben guardare. Fa schifo!
&egrave tutto uno schifo. La casa diviene un mostro capace di succhiarti tempo e risorse in modo allucinante, il lavoro é una catena, una palla al piede che ci portiamo dietro tutta la vita raccontandoci che non c’é altro modo (probabilmente non c’é ma poco ma sicuro nessuno di noi verrà mai ricordato se non da pochi per i compiti da lui assolti con abnegazione in tutta una vita di doveri). La famiglia… la famiglia all’inizio é perfetta. Moglie e flgli. E forse per un po’ funziona anche. Ma poi, iniziano i problemi. Le coppie litigano, i figli disubbediscono. Piuttosto che ammette la verità e andarcene preferiamo raccontarci che dobbiamo restare, tenere botta, anche quando tutto sembra andare completamente a puttane.
Così ci barrichiamo nella nostra personale prigione, scegliendo una vita di stenti per salvare poche traballanti false certezze.
NO!
No, cazzo! Ecco cosa mi dicevo. Non esiste che io viva una vita simile. NON ESISTE, porcaputtana!
Ma, ed é questo il brutto. Vedere gli altri viverla, sapere che sarai sempre l’escluso, che gli altri vanno avanti e tu no é davvero una mazzata a volte.
L’orgoglio mi ha aiutato a tenere botta. E per cosa?
Sono ancora e sempre qua. Almeno riuscissi a cambiarla un po’ questa situazione del cazzo.
Ed é li che il dubbio avanza e mi tenta.
Parla di amori mai finiti, di possibilità ancora aperte. Anche quando so bene che non é così. E anche se lo fosse, non sono certo di volerle cogliere, queste cosiddette “occasioni”.
Per cosa poi? Una vita come gli altri?
Ma il peso di essere unico, la gravità del giudizio degli altri che ti spappola al suolo, é una sensazione atroce.
Ad esso si aggiunge la rabbia per la loro incomprensione, la loro continua arroganza. Forti del loro numero, si scagliano su di me come eserciti su una fortezza.
Cedere sarebbe bello, a volte. Sarebbe stupendo.
Ma poi? Ammettiamo che io segua la strada.
Famiglia e lavoro. E poi? &egrave questa la fine?
Ed é qui che ritorna ciò che pensai a suo tempo. Ciò che mi ripromisi dopo essere stato abbandonato da lei. Ciò che giurai silenziosamente al funerale di mio padre. Una sola frase che mi scolpii nell’anima.
“Io vivrò una vita degna.”.
Cinque parole, diciannove lettere per descrivere un anelito a non essere un numero, neanche in un mondo in cui non essere un numero appare anomalo.
Ma a volte vorrei davvero qualcuno accanto.
Una compagna capace di riconoscere le mie capacità.
Un’amante da soddisfare e capace di soddisfarmi.
Un’anima affine.
Perché per gli altri appare tanto semplice eppure tanto terribile non lo so. Anzi, neanche voglio saperlo.
So solo che sono stufo di cercare.
Ho cercato per cinque volte. E per cinque volte sono stato deluso, trapassato dalle lame del dolore e delle speranze infrante come schegge intrise di bruciante veleno. Ora basta.
L’amore sarà anche quel sentimento di cui parlano i poeti ma evidentemente la gente non ama parlare della seconda faccia dell’amore, quella capace di allontanarti da esso.

Non so dove andrò, ma so dove sono arrivato sin qui.
E se c’é una cosa che ho capito, é che si continua a costruire un equilibrio e la vita continua a buttarcelo giù. Non importa quanto ci sforziamo, é inevitabile.
Fanculo.
Costruiranno muri per tenerci lontani da ciò che desideriamo? Facciano pure.
I muri si scavalcano!
E se anche ciò che troveremo oltre le mura non ci sarà gradito, nulla ci vieta di cambiarlo.
L’universo non é buono né malvagio, ma l’uomo (che ha inventato queste definizioni) può scegliere.
Io scelgo la dignità.

So che non sarà sempre perfetto. Ci saranno momenti tristi, sere da solo, a chiedermi se ne sia valsa la pena. Serate assiepato al bancone di un bar, a cercare in un alcolico una speranza (troia).
Ci saranno momenti grigi, istanti di pausa, stasimi volti alla riflessioni. Ci saranno momenti in cui darò di matto e desiderò solo urlare contro il cielo, pieno o vuoto che sia. Ci saranno quei momenti in cui la solitudine sarà un balsamo, un cataplasma per ferite che nessun medico riuscirà a guarire, conseguenze di una mente troppo pensosa, di un animo forse troppo sensibile per i tempi che corrono.
Ma ci saranno anche i tempi in cui piacere e dolore s’inseguiranno e generanno ben altro tipo di emozioni. Giungerà il bianco puro, la follia forse benedetta che mi regalerà quell’incoscienza tipica ancora della mia età seppur per poco. Giungeranno gioie e piaceri, altre donne e altri luoghi.

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