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Erotici Racconti

Bianca Neve e i 7 nani

By 22 Giugno 2007Dicembre 16th, 2019No Comments

Bianca neve e i sette nani.

C’era una volta, in un grande castello, una principessa davvero speciale.
La regina morì che lei era piccina, suo padre, il Re, attese tanti anni prima di riprender moglie. Ma, haim&egrave, da qualche mese il Re era morto.
Adesso, la principessina, che era diventata grande, era la più ambita dai giovani nobili del reame e dei suoi sconfinati dintorni. Era bella, adorabile, assolutamente desiderabile.
Ma, la sua matrigna la teneva nascosta agli occhi di chiunque ambisse chiederla in sposa.
Fremilde’ si mormorava che avesse sposato il Re con l’aiuto di strani sortilegi, che l’avesse sposato per lo smisurato potere e l’immensa ricchezza che avrebbe ottenuto. Solo in pochi sostennero che fu per le straordinarie doti amatorie del consorte.
E il tempo passava, e il diciottesimo compleanno della ragazza s’avvicinava, e Fremilde sapeva che tutto sarebbe stato perduto. Il castello, le terre, i sudditi’ tutto!
Quella perfida della sua figliastra si sarebbe sposata, sarebbe divenuta Regina.
Una notte di vento e pioggia chiamò il capo delle guardie, un tal Cornelio Bellamazza. Tutti sospettavano che i due fossero amanti. Ma i sospetti, si sa, hanno le gambe più corte della bugie e mai riuscirono perciò a salire le scale che dalle cucine e dalla lavanderia portavano alla camera della ragazza.
Lei si chiamava Biancaneve. Aveva la pelle candida e dei bei seni già formati da anni, ma non era per il colore della sua pelle che si chiamava così.
Suo padre era morto una notte durante un assalto alla sua consorte, lei, Fremilde, s’era giustificata dicendo che il Re da qualche giorno aveva perso di vigore, che più di tre non riusciva a farne. Menzogne, sapeva fossero Biancaneve. Sapeva bene che il suo papà ne poteva fare anche otto, e senza troppi sforzi.
Quanto s’era disperato dopo la morte della mamma. Per anni aveva appeso il suo regale “attrezzo” al chiodo, poi, d’improvviso, la sua attività sessuale rifiorì come e più vigorosa di prima’ “Chiedetelo alle cuoche, alle sguattere, alle cameriere, alla contadine, alle mogli dei soldati, a qualche soldato'”
E Biancaneve passava le sue giornate in solitudine, nell’ozio e nella pigrizia.
Così, quella notte, Bellamazza s’incontrò col la regina. Dopo la solita orgia a due, Fremilde lo guardò coi suoi occhi carichi di cattiveria.
‘Fra sei mesi Biancaneve diverrà maggiorenne! ‘ ‘Emb&egrave? ‘ ‘Arriverà un principe azzurro’ odio l’azzurro, mi ingrassa! ‘ ‘Embe? ‘ ‘E loro si sposeranno! ‘ ‘Emb&egrave? ‘ ‘E io non sarò più la regina! ‘ ‘Emb&egrave? ‘ ‘E tu sarai disoccupato! ‘ ‘Cazzo! ‘
Una cosa sola restava da fare.
‘Bellamazza mio caro, se il tuo posto vorrai conservare nell’armata e nel mio letto, la ragazza dovrai sistemare! ‘ ‘Mi stai dicendo che la posso scopare? ‘
La regina s’infuriò, lo coprì di insulti prima di calmarsi. ‘Biancaneve deve scomparire. Domani notte la prendi dal letto’ ‘ ‘Bene, ho capito, domani notte la prendo nel letto, allora posso scoparmela? ‘
La regina fu quasi sul punto di arrendersi.
‘La prenderai dal letto, la porterai lontana, lassù sulla rupe, e la sgozzerai come una gallina, e poi le aprirai il petto e mi porterai il suo cuore! ‘
Solo allora Bellamazza comprese appieno la raffinatezza di quel piano. ‘E così non verrò licenziato’ ‘ disse accarezzandosi il mento con aria furba.
Fremilde lo guardò disgustata, ma l’ufficio di collocamento non aveva niente di meglio in quel periodo. ‘Adesso vieni che ho voglia di fare straordinari! ‘ e s’amarono un’altra volta con lussuria e godimento.

Biancaneve stava leggendo quella notte. Di nascosto, uno dei libri della biblioteca del defunto padre. Quasi non s’accorse, intenta com’era, quando bellamazza la afferrò. La candida veste si agitò fra le rudi mani del soldato, tentò e ritentò e la delusione la colse quando s’accorse che quell’uomo non voleva prendere solo la sua verginità ma l’intero suo corpo. Scalciava per la rabbia, ma nulla poté.
Da ore sentiva soltanto il battere dei ferri del cavallo al suolo, forse erano passati giorni. Sentì solo le rudi mani del suo rapitore che la cingevano senza intenzioni interessanti, quel grosso affare duro che le pressava fra le gambe e il vento sul viso. S’era accesa di speranza nel sentirlo, amara fu la realtà constatando che non si trattava d’altro che del pomolo della sella’ e dire che per quasi un giorno s’era illusa, ne aveva ascoltato la possente fierezza e la incredibile rotondità traendone alcune volte piacere.
Poi, finalmente il silenzio.
Buio e silenzio, anche un po’ freddo, molta umidità. L’uomo scese, la afferrò e la prese fra le braccia. Nel farlo la sua veste candida s’era impigliata al pomello. L’uomo ebbe il modo di ben vedere le sue belle gambe candide luccicare ai raggi della luna, si sentì stordito dall’apparire fugace delle mutandine di Biancaneve. Ma la sua missione era più importante.
Camminò trascinandosi dietro la sua preda come un carnefice di professione, si beava dell’impeccabilità della sua condotta. “La regina sarà fiera di me, mi concederà quella cosa che mi tiene celata” pensava. E salivano verso la cima, e Biancaneve continuava a sperare, giunti sulla cima del dirupo Bellamazza si voltò, e vide Biancaneve ansimare. I seni si sollevavano ritmici ed ipnotici, parevano voler scoppiare fuori dalla scollatura. Ma lui indefesso e ligio ai suoi doveri guardò la rupe, poi guardò la ragazza, e ancora la rupe.
La prese rudemente. Lei comprese. Disperati furono i tentativi di appigliarsi a qualcosa, ore si sentiva sollevare e conosceva la sua fine. Si dimenava, scalciava e cercava di mordere’ ma cosa può una fragile creatura contro la forza bruta di un soldato addestrato, forte, vigoroso?
Si agitava scomposta e vedeva il baratro venirle incontro, e lui, lui la sentiva morbida fra le sue mani, vedeva nell’agitar di vesti la candida pelle, il biancor degli indumenti intimi, e lei lo afferrava tenendosi stretta, e quando Bellamazza le staccava una mano, subito l’altra s’afferrava. Ma era lui il più forte, con una spinta la lanciò nel vuoto.
L’ultimo disperato tentativo, Biancaneve afferrò la cosa più sporgente che riuscì a trovare e si trattenne disperatamente, con tutte le sue ultime forze residue.
Certo non era un caso voluto, solo fortuito che l’ultima cosa che la separò dal baratro fu l’uccello di Bellamazza. E Bellamazza si sentì risucchiare verso la morte. Ebbe molta paura, contrasse i muscoli, irrigidì le gambe tendendosi all’indietro.
Stettero così per qualche minuto, solo quando la luna ricomparve dietro le nubi, l’uomo s’accorse chi lo stava trascinando e dove quella Chi lo stava tenendo.
Un violento sentimento di orgoglio lo pervase, guardò Biancaneve e cercò con bruschi movimenti di scrollarsela dal pisello, ma ogni suo sforzo sembrava inutile.
Più scuoteva l’uccello e più Biancaneve lo serrava, e più Biancaneve lo serrava più quello si induriva. Così fino a che Biancaneve fu sollevata dal vuoto, e fu così che la povera ragazza vide negli occhi del suo aguzzino un barlume di pietà. Non riconobbe che era soltanto concupiscenza, desiderio, bramosia.
E allora, presa dall’equivoco incominciò ad accarezzare quell’asta che l’aveva salvata, il ramo che le aveva conservato la vita. Lo baciava, lo ringraziava, e lo baciava ancora.
E Bellamazza ne rimase folgorato, si sentì un po’ vile. Anche un po’ stronzo, ma, estremamente eccitato.
E Biancaneve proseguiva in quel ringraziamento quasi devoto, baciava e accarezzava come un idolo, e poi prese ad accorgersi di una cosa: quello, non era un ramo, lo tastò meglio, lo odorò, provò ad assaggiarlo, lo guardò a lungo prima di ammettere che era un enorme fallo eretto e turgido. Non riuscì a frenarsi per la gioia’ “Io salvata da un pene enorme, io che l’ho sempre desiderato adesso ne ho uno che mi salva” pensò. E presa da una frenesia quasi mistica lo volle succhiare, come aveva letto in quei manuali.
Dio quanto l’aveva sognato leggendo “De Fellatio ingorda terza ristampa” o “Penetrathionis mandibularis nella versione originale” oppure in “Dei godimenti labiali ultima edizione”‘
Lo masticò, lo massaggio, lo succhio per due lunghe notti e due interminabili giorni, fino a quando’ Bellamazza stramazzò incosciente al suolo.
Grande fu il disappunto e la delusione di Biancaneve “Proprio adesso che cominciavo a capire il meccanismo'” pensò.
La sua irrefrenabile eccitazione di aver avuto il membro maschio, finalmente, fra le mani però lasciò il posto in breve al ricordo’ Ma dunque egli m’avrebbe uccisa. Una lacrima sgorgò dagli occhi azzurri e tristi. Ebbene si, “egli non era meco per consumar l’amore! Ordunque questo vile m’avrebbe trucidata nel pianto e nel dolore!”
Guardò per l’ultima volta quel fallo che diventava molliccio a vista d’occhio e s’allontanò correndo come una lepre, piangente.

E vagò per giorni in boschi sempre più intricati, riposandosi la notte e tremando per la fame, la paura e per il freddo. Camminava con la terrificante sensazione che mille occhi la spiassero, che mille artigli fossero pronti a ghermirla.
Poi, quando le forze parevano abbandonarla, ecco, una casa. Laggiù fra il fitto del bosco vide una casa di mattoni e tronchi. Pareva deserta.
Chiamò, implorò, supplicò. Ma nessuna compassione da quella misera casa.
Sconfortata si appoggiò all’uscio, e questo cigolando cedette al suo peso. Fu dentro.
Una strana sensazione la pervase, come di fiducia e di sospetto insieme. Ma il profumo dei salami appesi alle travi la confuse, il tepore delle ceneri nel camino la distrasse, l’indefinibile e sottile effluvio di maschi la distolse dai suoi timori.
Mangiò salamini, bevve del vino, si riscaldò al camino, salì al piano di sopra e stramazzò in un sonno profondo simile alla catalessi. Così, in quella confusione, mollemente adagiata su strani giacigli accarezzandosi teneramente il pube.

A sera dormiva ancora la piccola Biancaneve, ignara che una strana processione s’era arrestata di colpo sull’uscio. ‘Zitti, qui c’&egrave puzza di bruciato! ‘ sussurrò quell’assurda creatura. Piccoli, barbuti (tranne due) con gambe tozze e braccia robuste, non esattamente belli come “principi azzurri”‘ erano nani, nani scacciati dai loro villaggi.
Era in nano numero uno a parlare, tutti sembravano titubare come leprotti. ‘A me sembra odore di femmina! ‘ suggerì nano numero tre. Nano numero due, il più vecchio e saggio propose di stare cauti. Nano numero sei era spaventatissimo.
Entrarono con gran circospezione. ‘dalla trave mancano tre salamini! ‘ disse numero tre. ‘Io non gli ho presi, ‘ si affrettò a discolparsi numero sette.
‘Qualcuno ha usato il mio bicchiere! ‘ fece numero due. ‘Saranno gli spettri? ‘ azzardò numero cinque. A quelle parole tutti scapparono terrorizzati.
‘Ma che andate dicendo? ‘ li rassicurò numero due. ‘Li spettri non esistono, e se fossero spettri questi, sarebbero di certo spettri femmina! ‘
Tutti presero ad annusare con forza. ‘Hai ragione, qui c’&egrave profumo di passera! ‘ disse nano numero cinque. ‘Non si dice Passera! Si dice fiore, rosellina, bocciuolino, nido o al limite piccola fontanella dorata e dolce! Non ti permetto d’essere volgare neppure in certe situazioni! ‘ sussurrò il nano numero uno.
L’ispezione proseguì, e proseguì, e proseguì’ fino a che l’ebbero vista.
‘Che accidenti &egrave quella cosa? ‘ disse numero sette. Ma nessuno rispose’ solo numero sette pareva avere i suoi stessi dubbi, numero uno, due, tre, quattro e cinque erano rigidi come il baccalà dell’anno scorso, gli occhi sbarrati, le lingue di traverso, e un gran filo di saliva che colava dalle loro barbe.
E Biancaneve era li, posta di traverso fra i pagliericci, dormiva beata. “quanto sono buffi” pensarono numero sei e sette, “sembrano stregati, che sortilegio sarà mai questo?”
Dieci occhi erano posati su quelle rotondità morbide. La sottana assai sollevata nel sonno, aveva scoperto le belle e sode natiche di Biancaneve. Per ore i nani rimasero ad ammirarle incantati come fringuelli in amore. Poi, pian piano gli occhi di Biancaneve si schiusero. Vide subito i nanetti, ma le sembrarono tanto innocenti che non si spaventò. Si mise a sedere fissandoli, si allargò in un largo stiramento di membra e salutò: ‘Buon giorno signori ‘ tre e cinque stramazzarono al suolo vedendo il suo petto bianchissimo quasi scoperto, due e quattro si lanciarono all’unisono verso quella figura delicata, uno li afferrò appena in tempo. ‘Chi’ Chi’ Sie’ te? ‘ farfugliò il più vecchio trattenendo saldamente i due troppo focosi compagni.
‘Io sono Biancaneve, e voi che siete? ‘
Ma, oramai, le presentazioni erano concluse, il ghiaccio era rotto. Tutti la circondarono tranne sei e sette, tutti si davano un bel daffare a raccontare, domandare, a cercare di farsi notare. In fila i nanetti si qualificarono’ ‘Io sono numero uno! ‘ disse numero uno tronfio. ‘E sono numero uno perché sono il numero uno! ‘ ‘Io sono numero due! ‘ disse numero uno gonfio come un pavone. ‘E sono numero due perché sono il numero due! ‘ e così via fino al numero sette.
E i giorni passarono, e Biancaneve s’era rotta le palle di tutti quei numeri e decise di assegnare nomi più appropriati a ciascuno di loro. Ormai conosceva bene ciascuno di loro per poterlo fare.
‘Tu, numero uno’ a giudicare da come ti diventa quando mi spii mentre faccio il bagno’ ti chiamerò, vediamo’ Durolo, si! Durolo! ‘ E numero uno, cio&egrave Durolo ne fu talmente felice che ne ebbe un’erezione coi fiocchi arrossendo visibilmente.
‘Tu invece numero due, da quel che sento quando ti nascondi, e credi che nessuno ti veda, ansimi forte sai? E guando’ quando’ ‘ agitò il ditino in segno di rimprovero, ‘Sarai’ Botto! ‘
‘Petolo, tu sarai Petolo numero tre, non riesci proprio a trattenerti dal darti’ tante “arie”! Solo ti prego, quando lo farai, cerca di andare fuori! ‘ Tutti annuirono energicamente e poi scoppiarono in una fragorosa risata.
‘Tu, sembra che abbia un grosso coniglio vivo nei calzoni, tu non sarai più numero quattro, sarai d’ora in poi Bigolo! ‘ tutti risero tranne Bigolo che sulle prime non capì.
Poi Biancaneve guardò con tenerezza i calzoncini corti sotto il ginocchio di numero cinque. Sempre, dal loro bordo ciondolava fuori un arnese che pendeva molliccio quasi fino ai piedi, tanto da obbligarlo a prestare attenzione a non calpestarlo, e, sempre, Biancaneve cercava di immaginarlo in stato di eccitazione, e sempre era colta da lunghi brividi che non riusciva a definire. ‘Tu sarai Dondolo per via della dondolanza del tuo cosino! ‘ Dondolo non capì la sottile ironia ed ebbe voglia di mostrarglielo in funzione ma Durolo lo rtattenne.
‘Voi due’ Tu, numero Sei. Credi che non m’accorga quando chiedi ai tuoi compagni di dartela quella loro cosa? Vergogna! Ti chiamerai Dammelo!
‘Tu, numero sette, piccolo e senza barba, anche a te ho visto sai? Svergognato! Non sono i maschietti che debbono dare il piacere ai compagni! Sempre a cercare di ciucciare i piselloni dei tuoi compagni più grandi, Tu sarai Ciucciolo! ‘ il suo tono adesso era serio.
‘E voi, svergognati, ‘ disse rivolta al resto della compagnia, ‘Permettere che Ciucciolo ve la succhi in quel modo! ‘ ‘Ma a lui piace ‘ disse Botto. ‘Zitto! Fare il sesso fra maschi &egrave un’indecenza, una villania, una volgarità! ‘ ‘Ma’ ‘ ‘Ma niente ho detto! Certe cose le si deve fare con le femmine! ‘
I sette nanetti arrossiscono, tengono gli occhi bassi, tremano dalla vergogna e dalla paura che Biancaneve possa andarsene lontana.
‘Ma’ qui’ noi,,, non abbiamo femmine! ‘ azzarda timidamente Durolo.
Biancaneve riflette, si commuove’ &egrave vero, loro non hanno nanette per i loro svaghi.
Biancaneve si rattristò. Poveri piccini, e dire che gli aveva trattati tanto male. Si sente in colpa, giura a se stessa di non parlare più di quelle cose.
E altri giorni passarono. Biancaneve era serena e felice d’essere circondata da tante attenzioni, da tanto affetto. I nanetti partivano per il loro lavoro con la morte nel cuore nel sapere di lasciare Biancaneve. Partivano all’alba portando le merendine che la loro amica preparava alla sera. Cantavano felici una canzone che pensavano portasse fortuna: “Haiò. Haiò, andiamo a lavorar, haiò, haiò, che poi dobbiam tornar, abbiamo la certezza che una donna noi possiam guardar. Haiò, haiò, ce la possiam menar, pensando alle sue tette di nascosto la potrem menar”
Com’erano cari! Biancaneve passala la giornata nella loro attesa, rassettava, puliva dappertutto, lavava la biancheria, preparava tante cosine sfiziose, cuciva e scopava.
Gia’ scopava’ spesso la tristezza si impossessava di lei. Era una sensazione indefinibile, un languore inspiegabile s’impossessava della sua anima, partiva dalle piante dei piedi, saliva su seguendo i polpacci affusolati, proseguiva inarrestabile su per le cosce tornite e chiare, si propagava come un lago caldo al suo ventre teso e lucente, si focalizzava nei bei seni ingrossandoli per poi sfociare fin sulla loro punta inturgidendo con forza i capezzoli. Poi ridiscendeva come un languido ritorno della marea ad inondarle l’addome, il ventre, il sesso! E allora sentiva quell’oceano caldo impossessarsi delle sue mani, e disperatamente le tuffava dentro il suo delicato fiore ancora incolto, ancora chiuso su se stesso come un piccolo bocciuolo profumato.
In quei momenti pensava al suo passato che sembrava lontano come le stelle. Ricordava le notti passate a leggere nascostamente i libri proibiti’ Ricordava con immensa nostalgia i volumi eleganti rilegati in cuoio e oro, le sembrava di scorrere ancora le pagine e di soffermarsi sulle illustrazioni, le pareva di leggere i titoli delle sue opere preferite, “De coitus interruptus o no’ A proposito di un amplesso garantito’ Onanismus Femmineo’ Penetrazionis reiteratum’ In smanettamentis Vaginalis”, e si sentiva sciogliere dalla voglia di piangere, ricordava la sua candela preferita, l’ormai usuale abitudine che ebbe a prendere, mentre leggeva questi istruttivi testi, di massaggiarsi in profondità con la sua candela preferita. Oh, non era sempre stata la stessa, da piccina non adoperava quella, da piccina erano più sottili. Poi, quando il suo corpo crebbe, crebbe anche la sua candela.
E ricordò il vecchio maggiordomo’ che simpatico. Ogni volta che al mattino le portava la colazione accompagnato dalla prima cameriera, passava accanto al candelabro e si turbava, allargava le narici e veniva colto da un’erezione sentendo quel profumino di cera e sesso. Biancaneve rimpiangeva quei ricordi spensierati’
Ma, appena sentiva in lontananza il canto dei suoi amichetti, tutto svaniva e lei ritornava ad essere felice.

Una mattina, poco prima dell’alba, nella tavola un posto rimase vuoto.
‘Manca Durolo! ‘ disse Botto. E Biancaneve andò a controllare. Lo trovò ancora a letto con una faccina tra il quasi sofferente e il molto furbetto. ‘Cosa c’&egrave? ‘ ‘Sono ammalato! ‘, e così, quella mattina Durolo non poté andare al suo lavoro.
Non appena però il canto dei nani si affievolì fino a scomparire, Durolo stette meglio. Sarà forse stato merito della tisana che Biancaneve le aveva portato, o forse la visione delle sue splendide tette poco celate dalla vestaglietta che ancora indossava’ fatto sta che Durolo guarì.
Per tutta la mattina gironzolò attorno a Biancaneve che sfaccendava, attento e servizievole. E lei di tanto in tanto lanciava un fugace sguardo al profilo di lui, buffo con quella camola da notte cos’ tesa sul davanti. Pensò di non averlo mai visto così gonfio’ “meno male, pare stia davvero molto meglio!” pensò.
Quella mattina preparò il pranzo per due, ma, prima di sedersi a tavola chiese: ‘Durolo hai lavato le mani? ‘ ‘Io, beh, veramente’ ‘ ‘Brutto sporcaccione! E da quanto non fai il bagno? ‘ ‘Beh, Io, veramente’ ‘
E Biancaneve preparò una tinozza e un grosso pezzo di sapone, lui protestava vivacemente, ma lei restò ferma ed intransigente, ‘Niente pappa senza lavarti! ‘ e lo lasciò solo a guardarla salire lentamente le scale. e Durolo fu rapito da quella visione, guardava le sue gambe dal basso, la vestaglietta si scopriva fino a mostrare le candide mutandine. Si spogliò e s’accorse che il suo pisello era talmente duro che dovette faticar non poco per riuscire ad entrare nella tinozza. Il calore dell’acqua, il ricordo di Biancaneve che saliva, l’eccitazione di tutta la mattina’ si afferrò il grosso arnese fra le gambe e prese a darsi da fare con entrambe le mani.
‘ Duroloooo! Non posso lasciarti solo un minuto! ‘ Biancaneve s’era precipitata giù per le scale, senza curarsi di aver dimenticato i nastri slacciati. ‘Togli quelle mani da li! ‘ ordinò perentoria, ‘Vorrà dire che dovrò pensarci io! ‘ Durolo ebbe un attimo di infinita speranza, poi capì che intendeva semplicemente il compito di lavarlo.
E Biancaneve le lavò i capelli, la barba, la schiena e le braccia. Durolo restava rigido, imbarazzato, titubante. L’unica cosa che capiva era che le tette di Biancaneve erano a pochi centimetri da lui, belle, bianche e scoperte, e che quella visione lo rendeva ancora più rigido.
Ma Biancaneve s’accorse, ricapitolò fra se, si chiese se avesse dimenticato nulla, poi si diede della sciocca’ ‘Il Pisello’ non abbiamo lavato il pisello! E tu? volevi che mi dimenticassi? ‘ Durolo squote energicamente il suo nasone rosso fragola.
Biancaneve prende il sapone e lo rotola per bene fra le mani, Durolo prega gli Gnomi dei boschi che non sia un sogno. Biancaneve afferra con una mano l’uccello, con l’altra insapona bene più giù, sotto il grosso sacco rugoso, strofinando per bene anche il buchetto fra le chiappe. Ha come un sussulto Biancaneve, lo sente guizzare, sembra vivo fra le sue mani, le vibrazioni le danno una sensazione strana. Per un attimo quella verga insaponata le ricorda “Penetrona” la sua affezionata candela. Quasi senza accorgersene aumenta la velocità della sua pulitura corporale’ Dio quant’&egrave grande, com’&egrave grossa, &egrave dura e morbida allo stesso tempo. La accarezza delicatamente scorrendo senza attriti in senso longitudinale, la tasta, la soppesa, la stringe. La misura allargando il palmo della mano, deve percorrerla per ben due volte prima di arrivare in cima. Dio com’&egrave bella.
Sente un fremito fra le gambe, la guarda nuovamente’ ma &egrave più grossa della mia candela. Pensa: “chissà che sensazioni se fosse la mia “penetrona”‘ quanto mi manca Penetrona, come vorrei adesso la mia candela”.
Sente fra le gambe il solito movimento, vorrebbe essere sola e toccarsi, ma come fare? Poi ha un’idea’ chissà se funzionerà.
Biancaneve prende altro sapone e lo cosparge su quel grosso bastone di carne, si solleva e si gira di spalle, solleva la veste e s’abbassa le mutandine, si siede suo bordo della tinozza e protende le natiche ben allargate, aspetta qualcosa. Qualcosa succederà!
Durolo non sa che fare, &egrave rapito da quella rotondità inimmaginabile, ipnotizzato da quel sesso dischiuso così vicino a lui, ammaliato da quella posizione. Riflette, rimugina, decide e si scuote dal torpore. Afferra l’attrezzo con entrambe le mani, lo spinge verso il basso con grande sforzo, lo appoggia tremante a quella paradisiaca fessura, la sente fremere e diventa ancora più duro. Spinge un poco. Biancaneve nel sentirlo si stringe i capezzoli fra le dita, lo sente mentre allarga il suo fiore solitario, riesce ancora a capire in un barlume di lucidità che &egrave molto più grosso di Penetrona. Durolo spinge ancora con il piccolo bacino, sente la verga scorrere fra la carne, sente la pelle tendersi e i capelli rizzarsi in capo. Biancaneve adesso lo sente più forte, più forte, molto più forte. Grida. Durolo sta per estrarlo, lei lo afferra e l’impedisce. Durolo spinge fino a sentire le palline appoggiarsi a qualcosa di estremamente morbido. Biancaneve &egrave nell’estasi. Mai sensazioni furono così intense, così coinvolgenti. Resta ferma, immobile sotto gli implacabili assalti di Durolo, lui non osa sfiorarla, solo lavora coi fianchi e impazzisce nel vederla pizzicarsi i capezzoli.
Va avanti per molto tempo. Quando sente il torrente di piacere percorrere il lungo bastone fino a sgorgare fra le gambe di Biancaneve’ l’acqua della tinozza &egrave diventata fredda, ma il calore che entrambi sentono li riscalda più d’ogni altra cosa.
Biancaneve si sente appagata’ finalmente ha conosciuto l’uomo, totalmente, biblicamente. Si volta e guarda Durolo, lo guarda con tenerezza, lo accarezza e gli da un bacino sulle labbra. Durolo con sguardo ebete le accarezza un seno e poi cade all’indietro svenuto. Biancaneve era felice, ma quando ritornarono gli altri nanetti ebbe rimorso.
La mattina appresso Durolo ripeté la stessa farsa, ma, irremovibile Bincaneve lo costrinse ad alzarsi. A tavola parlò a voce alta in modo che tutti la ascoltassero: ‘Ho deciso! ‘ Sette nasi si voltarono dalla sua parte, ‘Ogni giorno, a turno, uno di voi rimarrà a casa! ‘ un mormorio si levò. ‘Ieri Durolo mi &egrave stato di molto aiuto’ mi ha dato una mano’ ‘ Durolo arrossì violentemente, ‘E, credo sia giusto che a turno’ vi possiate riposare tutti’ ‘. scoppiò un gran vociare, tutti sarebbero voluti restare.
Quel giorno fu il turno di Botto. E il giorno appresso fu Petolo a restare, e tutti e due si comportarono egregiamente’ non come Durolo ma Biancaneve li giudicò più che sufficienti’ solo un pochino troppo rumorosi’
Il quarto giorno fu magnifico, Biglolo aveva un affare tremendo fra le storte gambette, un enorme glande la penetrò strappandole gemiti di piacere, rosso e turgido, grosso come una mela’ non era lungo il pisello di Bigolo, ma quella enorme cappella la sconquassò come non era ancora successo’ le parve, quella mattina, di aver perso per la prima volta la sua verginità. Quante volte aveva sognato una deflorazione simile? Una sverginazione tanto intensa? Uno stupro così completo? In “addio all’Imene” e “Come farsi largo in una Passerina intonsa in 20 lezioni” aveva appreso tante cose, ma l’uso delle candele, sempre più grosse, l’aveva convinta che non avrebbe mai più provare l’effetto “prima volta”, con Durolo credeva d’esserci andata vicina, ma ora’ con quella protuberanza che andava su e giù dentro di lei sbatacchiandola capiva di non essere davvero più’ Pura.

Saltò volutamente Dondolo, lo avrebbe lasciato per ultimo. Venne il turno di Dammelo. Egli non voleva restare, ma lei fu inflessibile. Dovette adoperare ogni sotterfugio per spogliarlo, ogni cautela per convincerlo a lasciarsi lavare.
Solo quando prese un matterello per tirare la pasta sembrò rilassarsi. Lo fece girare di spalle nella tinozza, insaponò il legno e lo conficcò, per la verità senza sforzo, fra la sue minute chiappe. E spingeva e tastava il cosino sul davanti, spingeva e lo carezzava, lo agitava e lo sentiva crescere, lo ruotava e il pivellino divenne duro. E Dammelo sembrava imbarazzato, non era mai successo, ma sentiva d’essere felice. Sentiva che il contatto della mani di Biancaneve le procurava quasi lo stesso piacere che il matterello insaponavo gli forniva. Quasi che quel contemporaneo intervento penertatorio/massaggiatorio fosse ancora più piacevole delle sodomizzazioni di Durolo, o quelle di Botto, addirittura anche meglio di come Dondolo lo infilzava.
E Ciucciolo’ tenero piccolo Ciucciolo. Che fatica anche con lui. Aveva provato di tutto, per ore l’aveva accarezzato, massaggiato, titillato, stuzzicato’ niente! Era sul punto di desistere con la morte nel cuore e il fuoco fra le cosce quando’
Si sedette, Biancaneve, su di una bassa seggiola accanto al focolare. Poggiò i gomiti alle ginocchia e le mani sul viso’ nel farlo non s’accorse che teneva le gambe assai divaricate, ma s’accorse che Ciucciolo la guardava interessatissimo li, fra le gambe’ lo vide passarsi la lingua sulle labbra e assumere uno sguardo vagamente sognante, un filo di bava colò senza che lui s’accorse. Lo prese fra le braccia. Si, questa era l’ultima possibilità! Lo portò su nella camera e si distese divaricando le cosce. Poi lo distese sul suo ventre speranzoso, con il capino poggiato su una coscia. E finalmente Ciucciolo cominciò ad annusare, a respirare gli effluvi del desiderio, la grossa lingua di Ciucciolo scivolo fuori dalle labbra, quasi come se la sua bocca non riuscisse più a contenerla tutta, si srotolò ricordandole quella delle iguane, no, molto di più.
Biancaneve ebbe un attimo di mancamento, come in una nebbia rivide le illustrazioni stupende di qual libro antico: “Le storie delle Mille e una Leccata”, ricordò le illustrazioni, il desiderio che la coglieva nel guardarle, di come erano violente le sue passeggiate con le dita e con la candela nella fessura.
Il suo sesso si cominciò a bagnare, mille minuscole goccioline candide le imperlarono, come sempre accadeva in quelle circostanze, l’immacolato triangolo. Le divenne bagnatissimo e chiaro come un magico alone di luna, come un’impronta di cerbiatta sulla neve’ era stato questo a suggerire al padre di chiamarla Biancaneve! Fin da appena nata la piccola ebbe a manifestare questa incredibile particolarità. Appena chiunque delle balie la sfiorasse, la detergesse, la massaggiasse’ lei diventava candida.
E allora spinse dolcemente il capino di Ciucciolo verso quel biancore. E fu magico sentire la sua lingua poggiarsi umida e calda fra le gambe, animarsi, guizzare, allargarsi e contrarsi, allungarsi e ingrossarsi, suggere, penetrarla’ sentì con materna soddisfazione crescere il pisello, inturgidirsi al ritmo della lingua mobilissima. Mai dita umane furono tanto esperte, mai fallo maschile tanto delicato ed energico.
E Biancaneve prese con difficoltà a succhiare quel tenero pisellotto, dovette sporgersi in avanti per arrivarci, ma, il loro sincronismo li portò al piacere simultaneamente’
Uno schizzetto tiepido le confermo l’orgasmo di Ciucciolo. “non &egrave poi male” pensò.
E lui soltanto disse: ‘&egrave dolcissima! ‘ e Biancaneve si passò l’indice nella fessura e l’assaggiò. ‘Hai ragione’ &egrave davvero zuccherina, sembra miele! ‘
Il settimo giorno Biancaneve era molto impaziente, Dondolo sembrava emozionato, se ne stava ritto dentro la tinozza col pisellone che si perdeva sott’acqua nel fondo. Rimase immobile, e lei prese ad aggirarsi per la stanza facendo finta di non guardarlo. Era imbarazzata anch’essa e aveva un pochino di paura. Si chinava sbadatamente consentendo alla veste di sollevarsi fin su, fino a scoprire le mutandine, e poi s’inchinava mostrando generosamente la scollatura, e fingeva prurito e si sfregava e poi si chinava nuovamente.
Finché’ non vide il mostro ergersi. Si drizzava come un grosso serpente, usciva lentamente dall’acqua grondante. Dondolo pareva imbarazzato, cercava di nascondere la cosa con le piccole e callose manine, ma per celarlo tutto ci sarebbe voluta una tenda.
E Biancaneve si sedette sul bordo come suo solito, ma nulla si muoveva alle sue spalle. Si voltò e vide quella cosa che aveva completato la sua ascesa. Dio’ pensò sembra l’asta d’una bandiera, la proboscide d’un grosso elefante, sembra il tronco d’una quercia. Pensò di fuggire, pensò al dolore che avrebbe provato. Ma pensò anche a Durolo’ pensò quanto godette col pisello di Durolo conficcato in lei, pensò quanto sarebbe potuto esser bello con quello di Dondolo. Lo guardava e non capiva per quale motivo non la prendesse. Oramai era più alto di lui, sporgeva molto oltre la sua testa’ ebbe curiosità. Lo percorse per tutta la sua lunghezza con mani tremanti, lo misurò a palmi. Quasi cinque lunghezze’
Poi capì! Lai era troppo vicina, o s’allontanava Dondolo o doveva farlo lei. Lo afferrò tenendolo sollevato per l’asta come fosse una caffettiera e lo depose fuori dalla tinozza.
Sbarazzò con un sol gesto il tavolo basso del pranzo dei nani, unse con generosità l’affare mostruoso con del burro che prese da un vasetto’ ne occorsero ben due completi per ungerlo tutto’ si sfilò le mutandine e si distese sulla schiena spalancando le gambe, Dondolo capì l’invito. Mai avrebbe sospettato di trovare femmina disposta a una sua penetrazione, mai, solo Ciucciolo talovolta cedeva alla paura e lo succhiava tenendosi a distanza’ e adesso’ vedere Biancaneve in quella posizione, disponibile, invitante lo rese folle.
Prese la rincorsa e le si precipitò trafiggendola dolorosamente.
Biancaneve provava un forte dolore, ricordava la grossa mela di Durolo, sapeva che la sua fessurina non era stata tanto slargata, ma Durolo non era di certo penetrato tanto a fondo. Più il tempo passava e più sentiva la lunga asta di Dondolo risalire dentro di lei. Più lui spingeva e più lei la sentiva squassarla. Era come sentirla nella pancia, nello stomaco, come se le massaggiasse il cuore. Non smise di guardarlo fare. Non staccava gli occhi da quel palo che la trafiggeva. Lo guardava entrare e riuscire dal suo corpo in un’eccitazione crescente. Quando scivolava dentro pareva non dovesse mai terminare di scomparire, quando l’estraeva il tempo si fermava e lei contraeva i muscoli per non farla fuggire via.

Furono mesi sereni, pieni di soddisfazioni e piccole attenzioni. I suoi nanetti attendevano con grande ordine il giorno della settimana a loro dedicato, imparavano presto e bene cosa Biancaneve preferiva, come voleva che loro facessero per aumentare il suo godimento. Uno alla volta avevano confessato che il loro mestiere consisteva nello scavare diamanti e altre pietre preziose in una miniera segreta. Le raccontarono della grande caverna ormai stracolma di gemme d’ogni forma, colore e dimensione. Insomma, erano arrivati finalmente i tempi che aveva sognato da bambina.

In quello stesso istante al castello la perfida regina ricevette un Fax. Erano i suoi folletti malvagi per il rapporto annuale’ Tutto regolare tranne un particolare’ i nanetti del bosco si comportavano stranamente da qualche tempo. Entravano come sempre nella miniera uscendo con i soliti schietti di polvere di gesso, ma, erano contenti, non litigavano più, e, inoltre sempre uno mancava fra loro, a turno, con cadenze regolari. Una postilla la insospettì: “Hanno i volti stralunati, le lingue penzolanti, &egrave come’ &egrave come se la più meravigliosa femmina di questo mondo li soddisfacesse’ Perdono per la sciocchezza mia regina”, il tuo perfidamente suddito – Piccolopendaglio –
E la regina rimuginò la cosa, non capiva per quale motivo le venisse in mente Biancaneve. Ma il tormento fu tale che decise di agire.
Chiamò Bellamazza e gli rivelò il suo turbamento, e Bellamazza assunse uno sguardo sognante, si portò le mani alla patta ed ebbe un’erezione.
‘Maledetto Bellamazza. Che tu possa sprofondare negli inferi fra atroci sofferenze! Sapevo di non dovermi fidare di un lombrico come te! ‘ Lui cercava farfugliando di trovare una scusa plausibile, negò, spergiurò di aver compiuto il suo compito. Ma, la regina, ormai aveva capito. Dunque Biancaneve era ancora viva.
Doveva agire e di nessuno poteva fidarsi. Si truccò e indossò uno dei suoi abiti più sexi, scelse lo stallone suo preferito, nero ed irrequieto, lo fece sellare e partì come un turbine. Cavalco, e cavalcò, e ancora cavalcò. Amava cavalcare, lo sfregare della sella modificata modello: “sfregati se non hai a disposizione un grosso uccello, cavalca per provare quant’&egrave bello” fra le sue gambe divaricate le procuravano lunghissimi orgasmi.
Al ventiduesimo orgasmo giunse al limitare del Bosco Cupo. Smontò da cavallo e s’avviò con circospezione. Ecco, la casa, qualcuno v’&egrave dentro. Si avvicinò pian piano. Camminando ancora con le gambe larghe per la lunga cavalcata spiò non vista dalla piccola finestrella. Quello che vide la paralizzò.
Biancaneve distesa sul tavolo e un piccolo mostriciattolo che si dava un gran daffare dentro la sua passerina. Che disgustosa scenetta. Ma più d’ogni altra cosa, la sconvolse e l’accecò il vedere la sua peggiore nemica viva.
Si nascose per giorni a spiare, indagare, intrigare. Poi comprese il meccanismo.
“Se non sbaglio domani resterà sola con Bigolo, quel mostriciattolo con il pisello che pare una mela’ ” aspettò il ritorno dei nani lontano dalla casa, camminavano in fila indiana e Bigolo era l’ultimo e trasognato pensava al suo imminente turno quando’ all’improvviso.
‘Buon giorno signore! ‘ La regina era comparsa alle sue spalle e se ne stava lascivamente seduta su di una pietra con le gambe spalancate e le tette di fuori. Si sventolava con una grossa foglia come avesse troppo calore.
‘Mi sono perduta, potete, bell’uomo, indicarmi la strada per la valle? ‘
‘Di li andrete bene ‘ Disse Bigolo.
‘Non vi sento bel cavaliere! Venite più vicino! ‘ e Bigolo s’accostò, anche per vedere meglio se davvero quella sconosciuta non portava biancheria intima.
‘Ma che bel cosino avete fra le gambe messere! ‘
‘Non &egrave un “cosino” signora! ‘
‘A me sembra così piccino’ ‘
‘Non &egrave affatto piccino come pensate signora! ‘
‘Ma su, non vorrete farmi credere’ su, fatemi vedere! ‘
Bigolo scivolò nella trappola come un pivellino alle prime armi. Si sbottonò ed estrasse la sua cosettona. ‘Ma che carino’ sembra una mela. ‘ ‘Ecco, me lo dice sempre anche Bian’ anche una mia amica! ‘
E la perfida estrasse senza esser vista una boccetta. ‘Ma che carino, su, fatemelo accarezzare! ‘ Bigolo cedette. ‘Solo una toccatine però! Domani ho troppo da fare. ‘
La regina lo accarezzò per bene spargendo la sostanza che prese dalla boccetta. Bigolo sentì solo una sensazione di fresco, e poi di caldo. Venne in pochi secondi.
La sconosciuta rise, una risata agghiacciante che terrorizzò il nanetto. Rimise l’attrezzatura al suo posto e corse a casa.

Il giorno appresso Bigolo si sentiva strano, un gonfiore indefinibile gli procurava bruciori alla cappella. E Biancaneve cercò di lenire il suo fastidio.
Dalla finestrella Fremilde guardava la scena eccitandosi e accarezzandosi i peli del pube senza fermarsi. Che gioia fu vedere Biancaneve leccare la turgida e arrossata cappella, mordicchiarla come davvero fosse stata una mela. E quale giubilo vedere prima Bigolo stramazzare incosciente al suolo, e poi lei’ lei che si sollevava spaventata, portare una manina alla fronte e morire all’istante.
Fremilde montò a cavallo sistemandosi per bene sulla sella modificata, ripartì per il castello. Tutto era salvo.
Quando i nanetti ritornarono la scena fu agghiacciante. Bigolo usciva in quel momento dal torpore, Biancaneve era distesa sul pavimento, ancor più bianca del solito pallore.
Chiarita l’estraneità di Bigolo presero a disperarsi. Piangevano e si disperavano. Rimasero li, affranti con le loro spranghe a mezz’asta, comprendendo che la vita no sarebbe più stata come allora’ fino a che.
Durolo vide quella strana boccetta sul pavimento’ ‘Che roba strane &egrave questa? ‘ domandò. Ma nessuno aveva perso quel flacone. Inforcò gli occhiali e lesse: “Pozione della morte sicura. Composto per femminucce. Basta una leccata e la fanciulla cadrà in una catalessi simile alla morte” etutti ulularono di gioia’ già, ma come riportare Biancaneve alla vita? E proseguirono a leggere una scrittura quasi invisibile dopo un asterisco:
“Effetti collaterali: se la fanciulla, posseduta sarà da: Principi Azzurri, Cavalieri erranti, o qualunque tipo di Ardimentoso e leale combattente, l’effetto decadrà rapidamente!Validità mesi uno” ‘ Già ma dove trovarli?
E i nani si dispersero in ogni direzione, batterono ogni sentiero, ogni borgo, ogni contrada. Ma i Principi azzurri erano tutti molto occupati e dei cavaliere neanche l’ombra.
Ormai perdevano le speranze, il suo corpo giaceva su un tavolo di quercia appositamente costruito, lacrime di dolore e lamenti disperati ingolfavano i loro cuori.
‘Scusate messeri, per dove sono diretto vado bene? ‘
Non ora, chiunque sia! ‘Messeri perdonatemi’ non per essere scortese, ma ho una certa fretta, mi sono smarrito e vorrei sapere se per dove sto andando vado bene! ‘
Di fronte a quell’insistenza insolente i nani si voltarono.
‘Sapete, questo mese non ho ancora salvato neppure una damigella! ‘
E lo videro!
Ritto come una statua sul suo bianco cavallo, occhi azzurri, biondo e volitivo, una spada luccicante al fianco, un completino di Tulle azzurro e una deliziosa mantellina di Organdis stesso colore a far da Pendant, stivaletti di panno bianchi. Bianchi? Si, ma calze azzurre. Aria forte e muscolatura da palestra’ insomma, il prototipo ideale.
Pensarono alla buona sorte, al miracolo a cui non credevano più, esultarono.
Faticarono non poco a convincerlo, o meglio a spiegargli la situazione. Per ore lui ripeteva che doveva trovare una damigella in pericolo, meglio se principessa. Per ore non capì. Poi, quasi all’alba del terzo giorno’ proprio allo scadere della validità comprese.
‘Ma cosa dovrei fare messeri? ‘ Dondolo, con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore sollevo dolcemente la sottana candida, il principe azzurro guardò interrogativi, e Dondolo distrutto indicò le belle gambe e il bianco ancor più bianco delle mutandine, e il principe continuò a tenersi attaccata quella faccia da ebete, allora Dondolo sfilò la biancheria e accarezzò la serica peluria. Mancavano ormai meno di cinque minuti, s’era fatta sera, e poi notte, e poi notte fonda. Ma il principe non era scemo, una volpe, una faina.
Appena Ciucciolo riuscì a farlo eccitare, Durolo gli afferrò il pisello e lo indirizzò, Botto e Dammelo lo sollevarono di peso e lo sospinsero verso le cosce di Biancaneve e, Petolo e Bigolo le allargarono per bene capì prontamente’ “Che genio! ” pensò prima di tuffarsi dentro quella creatura che pareva morta.
E lei si svegliò. In principio non capì, poi vide tutta quell’agitazione e quel bellissimo fusto che la’ ma cosa stava facendo? Le sembrò che stesse mimando un amplesso, sentiva anche che affannò per dieci secondi. Poi lo vide sollevarsi tronfio e soddisfatto, ‘Tu sarai la mia sposa dolce fanciulla! Ti soddisferò sovente’ certo non con questa foga, ma potrai contare sul mio bastone quando vorrai! ‘
“Il suo bastone? Soddisfare? Certo che fisicamente &egrave davvero messo bene, ma quanto &egrave durata? Durata? Morbidata sarebbe più opportuno!” pensò Biancaneve.
‘E il tuo regno sarà mio, io sarò Re e penserò a tutto io!” strizzò l’occhio a Biancaneve con aria complice, “e quando lo desiderai’ questo popò di attrezzatura sarà tutta tua!”
“Ma che cazzo sta dicendo?” Biancaneve fece un occhietto ai nani, loro, già eccitati al pensiero di poter riprendere le faccende domestiche circondarono il baldo.
Lui non capì subito, solo vedeva quelle alabarde minacciose, e Biancaneve le guardò con tenerezza’ Forse per fare un principe sarebbero occorsi quattro nanetti, ma per fare un pisello di nanetto ci sarebbero voluti non meno di sette di quei principi.

Quella sera festeggiarono con un’orgia memorabile, un “tutti contro tutti” sconvolgente, ognuno diede il meglio di se, fino a sfociare nel “brindisi finale”‘ non fu facile, ma Biancaneve li soddisfece contemporaneamente tutti e sette.

La reginastra venne scoperta nella flagranza di aggirarsi nella speranza di vedere l’epilogo del suo incubo. La inseguirono fino a catturarla.

Biancaneve continuò a vivere con i suoi nanetti, e loro continuarono a scavare, a scopare, a soddisfare e a soddisfarsi.
Ora Fremilde vive legata nella caverna dei diamanti, di tanto in tanto uno dei nanetti va a trovarla, la violenta violentemente. Che gioia per Dondolo non doversi controllare. Quando finisce lui, Fremilde sente dolore perfino ai denti.

E vissero così, felici e contenti.

Personaggi: Biancaneve, La perfida Fremilde, Bellamazza,
I sette nanetti: Durolo, Botto, Petalo, Bigolo, Dondolo, Ciucciolo, Dammelo.

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