Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti sull'Autoerotismo

Chi mi ha rubato le…

By 12 Luglio 2014Dicembre 16th, 2019No Comments

In questi giorni mi trovo nell’appartamento al mare che condivido con la mia famiglia ed altri parenti vari. Ogni tanto ci vado, non che ne abbia il bisogno visto che abito abbastanza vicino al mare. Ma andarci è come fare delle vacanze anche quando lavoro durante la settimana. Insomma spezzo la routine.

Così un giorno, tornata piuttosto tardi dal mio lavoro da ambulante mi preparo ad uscire la sera stessa con le amiche.
Lavo le mie cose, le stendo, mi preparo qualcosa di leggero da mangiare e poi vado a sdraiarmi un paio di ore sul letto per recuperare il sonno perduto. Ci si alza sempre troppo presto a fare l’ambulante.

Quando mi sveglio che sono quasi le otto di sera, faccio una doccia veloce e mi preparo per la serata.
Prima di uscire di casa esco nel terrazzino che dà sul retro per raccogliere i panni ormai asciutti che avevo appeso qualche ora prima. Prendo gli abiti appesi e li butto alla rinfusa in un catino.
Mentre li raccolgo, mi accorgo che mancano un paio di mutandine grigie di cotone e mi guardo attorno per vedere dove fossero finite. Guardo anche per terra ma non le vedo.
Provo ad affacciarmi dal terrazzino per vedere se per caso sono cadute di fuori a causa di una folata di vento.
Non riesco a scorgere nulla; eppure sono sicura di averle fissate bene con un paio di mollette, una per lato.

Che seccatura. Rientro in casa e butto i panni appena raccolti sul divano. Esco dall’appartamento e faccio il giro del palazzo. Arrivo di fronte al mio terrazzino e inizio a cercare sistematicamente in ogni direzione. Non c’è traccia delle mie mutandine.

Cerco vicino alle fioriere, sotto alcuni cespugli; insomma in qualsiasi pertugio si trovi nelle vicinanze del mio appartamento. Dopo dieci minuti sono costretta a gettare la spugna. Rientro in casa seccata e arrabbiata. Non so bene se sono più seccata per la smarrirsi delle mutandine o per la perdita di tempo.

Tento un ultima volta cercando in bagno. Forse quando ho lavato i panni, mi sono cadute da una qualche parte e poi mi sono solo immaginata di averle appese. Non sono molto convinta di quest’ultima ipotesi. Passati altri dieci minuti mando tutto a quel paese e decido di uscire lo stesso. Probabilmente sarebbero spuntate fuori da chissà dove.

Prendo la borsetta e le chiavi di casa e faccio per uscire quando mi viene in mente un ultimo disperato tentativo. Mi dirigo verso il divano; m’inginocchio e cerco lì sotto. Nulla. Peccato; in genere le mie scarpette decidono sempre di nascondersi lì sotto, ma forse le mutandine ragionano in modo diverso.

Ritorno a casa qualche ora dopo. O forse è molto di più? Non riesco a connettere bene con tutto quell’alcol in corpo; e sono decisamente stanca. Mi tolgo le scarpette, rilascio la cerniera sul dorso del vestito e mi butto sul letto senza troppi ritegni. In poco tempo mi abbandono tra le braccia di Morfeo.

Quando il sole entra copioso dalla finestra, mi sveglio pigramente maledicendo quella deficiente che non ha abbassato le tapparelle prima di andare a dormire. Ancora mezza stordita butto un arto alla volta fuori dal letto e mi alzo. Ho il vestito della sera prima tutto messo di traverso che mi da fastidio. Me lo tolgo e indosso una maglietta piuttosto lunga presa dall’armadio, poi vado a fare una visitina in bagno.

Terminata la toeletta mi faccio un caffettino. Lo prendo lungo, nero e strazuccherato. Tiro fuori anche un pacchetto di savoiardi e inizio a divorarli con gusto. Nel tentativo di svegliarmi definitivamente inizio a passeggiare per l’appartamento masticando e facendo finta di fare qualche esercizio ginnico con le braccia.

Tra un savoiardo e l’altro mentre cammino pigramente per casa, mi affaccio alla porta finestra del terrazzino sul retro. Quasi mi casca il savoiardo di bocca. Le mie mutandine sono appese lì di fuori.
Che scherzo è mai questo. Ieri sera ho perso un’infinità di tempo per cercarle e ce le avevo sotto la punta del naso? Finisco il savoiardo in un sol boccone ed esco sul terrazzino.
Sono proprio loro. Le prendo dallo stendi panni e le osservo da vicino come se si trattasse di un oggetto prezioso. Il mio cervello è alle prese con un sacco d’ipotesi una più balorda e insensata dell’altra. Sono per caso diventata sbadata tutta d’un colpo?

Mentre la mia mente continua con i suoi deliranti viaggi rigiro le mutandine tra le mani. All’interno sembrano bagnate oppure sporche. C’è una sostanza; all’apparenza sembra sapone. Probabilmente non le devo aver sciacquate bene dopo averle lavate. Inavvertitamente tocco quelle macchie saggiandone la consistenza con le punta delle dita. Sembra veramente essere sapone come quello liquido del dosatore.

Istintivamente porto le mutandine al naso per riconoscere l’odore del sapone, ma mi accorgo con qualche secondo di ritardo che quello che potrebbe anche avere la consistenza del sapone non ne ha di certo l’odore.
Non so perché non ne intuisco l’essenza subito; ma ci metto qualche secondo prima di capire che si tratta di sperma. L’odore dolciastro è inconfondibile.

Ributto le mutandine sullo stendi panni facendo un verso schifato. Quando realizzo la situazione in cui mi trovo, mi congelo sul posto. Un maniaco mi deve aver rubato le mutandine e poi me le ha riportate. Le ha addirittura appese allo stendi panni con le mollette.
Solo che prima di farlo si è divertito a tirarsi una sega. Quello che mi sbalordisce è che me le abbia riportate indietro. Oltre al danno, pure la beffa.

Mi guardo attorno terrorizzata come se il maniaco dovesse essere ancora lì, magari a qualche metro di distanza, ma non c’è anima viva. Scruto bene anche in lontananza, dietro a cancellate o finestre di case vicine. Se c’era un maniaco ora non c’è più.

Rientro subito in casa riprendendo le mie povere e maltrattate mutandine.

Vado in camera da letto e butto le mutandine su di una sedia poi mi butto sul letto. Lì distesa penso al maniaco. Chissà chi può essere? Uno dei miei vicini di appartamento? In fondo non li conosco tutti, e altri sono vacanzieri provenienti da chissà dove. Magari, invece, il maniaco è uno di quelli che conosco. Forse si tratta di Giacomo, lo conosco da una vita.

Penso a tutto quello che deve aver fatto il pervertito. Mi ha spiato, mi ha visto appendere gli abiti, si è avvicinato, ha scavalcato la recinzione e si è preso le mutandine. Poi il giorno dopo me le ha riportate sporche e usate, rifacendo lo stesso percorso ma al contrario. Roba da preoccuparsi di brutto; la prossima volta chissà che cosa potrebbe fare?

Mentre sono persa nei miei pensieri, realizzo che lo sperma è ancora fresco, liquido; quindi il tipo si è masturbato di recente e non il giorno prima. Fino a quel momento non mi sono immaginata lo sconosciuto nell’atto di masturbarsi con le mie mutandine. Certo, so che è successo ma non me lo ero ancora raffigurato in mente.

L’immagine di un cazzo in erezione mi balena improvvisamente nel cervello. Lo immagino grosso, circondato da una folta massa di peli ricci e neri. La cappella rosea turgida compare e scompare mentre una mano che stringe l’asta del pene e le mie mutandine lo sega. Non m’immagino nient’altro; nemmeno un volto o un corpo dietro quel’uccello, solo un busto e delle gambe ben tornite.

La mia mano scende colpevole tra le mie gambe che si sfregano tra loro mentre penso al cazzo dello sconosciuto. Più le dita iniziano a infilarsi sotto il mio intimo, più l’uccello che si trova nella mia mente si fa grande e vicino.

Quando scopro che il mio clitoride si è ingrossato e si è reso sensibile, quell’uccello immaginario viene copiosamente e vedo le mie mutandine sporcarsi tutte mentre lo sconosciuto tenta di ripulirsi. Si tratta di un’eiaculazione copiosa abbondante che schizza ovunque e poi scende inondando ogni cosa.

Mi rialzo dal letto con il cuore che mi batte forte. Mi sento quasi colpevole, come se avessi consegnato io quelle mutandine allo sconosciuto. Le dita della mia mano sfiorano ancora il mio clito e non vogliono abbandonarlo.
Mi guardo attorno per vedere se non c’è nessuno che mi sta spiando. Mi sento vulnerabile.
Alla fine mi alzo. Chiudo bene la finestra e tiro giù la serranda; poi mi chiudo in camera da letto con la chiave.

Non so cosa sto facendo mentre mi barrico in camera. Forse lo riesco a intuire, ma al solo pensarlo mi sento così sporca che mi vergogno da morire.

Appena sono sicura di essere veramente sola apro l’anta dell’armadio che nasconde dietro uno specchio. Mi tolgo la maglietta e prendo in mano le mutandine del peccato.

Mi guardo languidamente. Sono mezza nuda e stringo in mano le mie mutandine ancora sporche di sperma. Il cuore batte abbastanza velocemente e mi sento già bagnata. Non ci impiego molto a fare quello che ho solo immaginato di nascosto.

Mi spoglio completamente. Lascio cadere l’intimo per terra; poi guardandomi sempre allo specchio senza distogliere lo sguardo dalla superficie riflettente m’infilo le mutandine sporche.

Provo un brivido eccitante quando sento le goccioline di sperma rappreso nella stoffa che mi sfiorano le labbra. Loro sono leggermente fresche ma io mi sento calda; entrambe però siamo bagnate.

Ancora guardandomi dritto nello specchio divarico leggermente le gambe e inizio a toccarmi. Mentre le mie sottili dita s’insinuano nel mio sesso ansimo. La Valeria che sto guardando allo specchio e rossa in viso, bocca leggermente aperta e capelli in assoluto disordine.

Le gambe mi si fanno molli, m’inginocchio sul posto, poi mi siedo. Continuo a sfiorarmi il clito, spingo la punta delle dita attraverso la stoffa delle mutandine e mi tocco le labbra. Gioco con le mutandine stringendole nella mano, facendole strisciare in mezzo alle labbra.
Sapere che lo sperma di quello sconosciuto sta raggiungendo i miei luoghi nascosti mi eccita oltremodo. Le dita si fanno sempre più veloci.

Dopo un’eternità di estasi vengo. Liquido esce dalla mia figa e mi cola tra le dita. Probabilmente urlo, ma godo così intensamente che neanche me ne accorgo. Continuo a toccarmi ancora un poco approfittando del massimo momento di sensibilità del mio sesso. Per un istante chiudo gli occhi, poi torno a fissarmi colpevole allo specchio.

Lentamente mi sfilo le mutandine. Le prendo tra le mani e inizio a osservarle. Ora sono veramente quasi tutte bagnate, e in mezzo sono quasi fradice. Le porto vicino al naso, anzi ci sprofondo la faccia dentro. Avverto un odore strano come di sciroppo misto a sapone e muschio, ma è buono, è il mio odore. Mi sento appagata, felice ed anche un po’ colpevole.

Chiudo gli occhi e assaporo per un po’ quell’aroma tentando di dimenticare tutto il resto.
Dopo un po’ rientro in me stessa. Con il passare dei minuti la Valeria selvaggia se ne va e rimango solo io con la consapevolezza e la colpa del gesto appena compiuto.

Mi vesto alla meno peggio ed esco dalla camera da letto. In bagno mi pulisco la faccia sporca di umori vari. Ritorno nel terrazzino.

Appendo nuovamente le mutandine allo stendi panni. Quattro mollette questa volta. Non voglio che caschino per terra e si sporchino. Se lo sconosciuto torna questa volta, le deve trovare esattamente come sono adesso. Fradice, odorose e assolutamente invitanti.

Vivo nell’appartamento contiguo a quello di Valeria da un anno e mezzo ormai, era la scorsa estate che l’ho vista per la prima volta sul terrazzino.
Fra noi solo una ringhiera e qualche fioriera, oltre ad una blanda e poco rinfrescante brezza estiva.
E’ una bella ragazza, che non vi dirò come è fatta… In fin dei conti la bellezza è un concetto puramente soggettivo e ciò che piace a me potrebbe non piacere a voi.
Certo, dovreste essere ciechi oppure idioti per non trovarla bella, o almeno affascinante (cosa ancora più importante), ma è giusto che voi tutti possiate immaginarla come preferite.
Non ho mai avuto modo di attaccare bottone con lei, un po’ perché il ruolo di simpaticone con il sorrisone non mi si addice ed un po’ perché ho avuto davvero poche occasioni per incontrarla.
Oggi sto prendendo il sole in tutta tranquillità, con al mio fianco una bottiglietta ghiacciata di Gordon platinum (non la prima, lo ammetto), mentre la guardo uscire fuori per raccogliere dei panni.

Sembra non essersi accorta di me, come un gatto so benissimo essere silenzioso e non farmi notare (e le fioriere aiutano molto a celarsi agli occhi d’altri, sopratutto se sono impegnati e non prestano attenzione a chi si sdraia oltre le piante), e nascosto dietro un paio di occhiali scuri la seguo mentre si assicura che il bucato si sia ormai asciugato.
Peccato si sia distratta e che una folata, più forte delle altre, abbia fatto volare via un paio di mutandine dal mio lato del terrazzo e che lei non l’ha notato.
Accidenti, volevo provare ad attaccare bottone ma così che figura ci faccio?
”Ehi, ciao! Vivo qui da un anno e qualcosa, eccoti le tue mutandine.. Ma non le ho rubate, casualmente me le ha portate il vento!”
Rifletto, è uno scambio di battute degno di un film porno americano degli anni ’80.. Meglio stare zitto e dedicarsi alla tanatosi, le farò trovare le mutandine dal suo lato del terrazzino e troverò un’altra occasione per scambiarci due parole (il tempo non manca a nessuno dei due, siamo giovani).

La continuo a guardare affaccendarsi per ritrovarle, anche a distanza di molti minuti quando compare vestita di un bel vestito scuro sempre alla ricerca dell’indumento smarrito.
Potrei fingere di svegliarmi e far finta di ritrovarle di colpo e, con voce fintamente impastata e bassa, dirle che sono cadute dal lato del terrazzo del suo sconosciuto vicino.
Ma quel suo cercarle in quel modo mi suggerisce che.. Probabilmente non ne ha un paio di ricambio, essendo questa solo una casa per le vacanze, e che sarà costretta ad uscire senza.
La tanatosi continua, finché non sento il portone sbattere e la noto camminare per la strada verso la sua macchina.
Dio, che bel modo di camminare.

Quando torno a casa è mattina ormai, ho esagerato con la sangria al pub cubano dove sono solito andare ed oltre al sole mi accompagna uno spiacevole mal di testa.
Eppure, incredibilmente, il sonno è un assente ingiustificato.
Salgo e torno sul terrazzo, a far prendere un po’ d’aria la camicia azzurra che ho indossato la sera prima e per godermi quel piacevole tepore di sole estivo nelle prime ore del giorno.
Sul mio sdraio ancora le sue mutandine.. Sarà l’alcool o sarà che quando voglio sono un istintivo, poco avvezzo alla riflessione, ma decido di scavalcare (rischiando anche di cadere goffamente di sotto, giusto per non passare per un macho d’azione) e stenderle di nuovo dal suo lato.
Sto anche per farlo quando l’intravedo sdraiata ed assopita, il vestito slacciato e le gambe semichiuse che ogni tanto si muovono in un gioco di nascondere e non nascondere ciò che sta al di sotto della gonna corta.

– Cazzo.. – mi lascio sfuggire a mezza voce, perché così addormentata è, se possibile, anche più bella.
La forma dei seni, le gambe abbronzate e scoperte ed ogni tanto l’intravedersi del suo inguine e della sua intimità.. Il sapere che è stata tutta la notte senza mutandine, sentendo probabilmente la sua fighetta inumidirsi al pensiero di poter essere scoperta da qualcuno.
”Cazzo” dicevo? Bene, cazzo si è eccitato.
La osservo, vorrei baciarla e prenderla mentre ha ancora in bocca il sapore dell’alcool.. Ma ovviamente non lo farò.

Ma le mie mani non possono non correre fra le mie gambe, ed aprire la cerniera dei pantaloni.
E le dita della mano destra non possono anche avvolgere l’asta del mio pene, avvolto da un letto di riccioli scuri, e lasciarne scorrere la pelle.
E la immagino accucciarsi fra le mie gambe, guardarmi negli occhi mentre mi fa un pompino con la sicurezza di una donna che fra le coperte sa cosa vuole, e sa che a non fare la passiva in balia di altri gode di più, può avere.

Ed immagino quelle labbra morbide mentre le sue dita scorrono fra le sue gambe, accarezzando il clitoride teso, mentre solleticandomi con la lingua e con un sorriso mi confessa – Sai, sono stata bagnata tutta la sera.. Avrei voluto tu mi scopassi su un tavolo, mentre tutti ci guardavano -.
E la sogno mentre si rialza e si volta sul divano, separa le natiche con le due mani e con uno sguardo che è fuoco vivo mi invita a fare di lei ciò che desidero.. Perché è ciò che vuole lei oggi.
Ed è così che affondo nella sua figa bollente, che le stringo i seni mentre le dico che voglio si faccia sentire da tutto il palazzo mentre geme.
E continuo a prenderla così, a volte mordendole la nuca e le spalle ed altre volte tirandole i capelli per costringerla ad avvicinarsi a me.
Fino ad uscire dal suo corpo, piccole stille dei suoi umori che bagnano il divano, per poi affondare nel suo ano con tutta la lentezza del mondo.

Assaporando la sensazione del muscolo che cede, di lei in quella sensazione in bilico fra il piacere ed un sottile dolore.
Non posso resistere, vengo immaginando il suo culetto morbido e caldo che mi accoglie.
Vengo sulle sue mutandine, le macchio del mio sperma.

Ho il fiatone, e la voglia di lei ancora nel corpo e nel cervello.
Le appendo sul suo stendino, nel posto dove presumo fossero appese il giorno prima.
Il sole ormai inizia ad essere alto, entra nelle finestre così chiaro e deciso da dare l’impressione di essere sempre stato lì.
E la vedo iniziare a svegliarsi, infastidita dalla luce.
Mi allontano velocemente tornando, goffamente (sono un pensatore, il ruolo dell’uomo di azione non mi si addice!), dal mio lato del terrazzo nascondendomi poco oltre la porta-finestra che da al mio soggiorno.

Presumo sia andata in bagno, stia cercando qualcosa da mangiare.. Attendo paziente, così come una tigre attende la sua preda nascosta nell’erba alta.
La pazienza è premiata quando la vedo uscire fuori e trovare le sue mutandine, toccare il mio seme ed annusarlo.
Dal verso che ha fatto si deve essere accorta che è sperma.
Meno male che dall’altro lato della palazzina c’è un altro ragazzo e che i due si conoscono, magari la colpa la prenderà lui.

Ridacchio al pensiero mentre vado a stendermi nella mia camera, consapevole che fra me e lei c’è solo una parete di cemento visto che le camere sono attaccate.
Vorrei dormire quando.. La sento gemere, la sento masturbarsi.
– Dio.. – mormoro, il mio cazzo durissimo di nuovo fra le dita.
Fino a venire di nuovo.
Ho il fiatone, e la voglia di lei ancora nell’anima.
Prima di uscire di casa, getto un’occhiata distratta dalla porta finestra che da sul terrazzino nel retro del condominio. Le mutandine sono ancora lì dove le ho stese poco fa. Nessun alito di vento minaccia di farle cadere. Ottimo.

Ovviamente non posso sentirne l’odore; ma al solo vederle lo posso immaginare visto quello che ho combinato poco fa. Da dietro il vetro mi sembra tutto così distante. Sono trascorsi appena venti minuti dalla mia vergognosissima masturbazione sfrenata.
Al solo pensarci adesso mi chiedo come sono messa. Mi sento pure colpevole. Cavolo; ma quel maniaco doveva proprio passare dal mio appartamento ad incasinarmi la vita?

Continuo a divagare con la mente in ogni direzione; ma si tratta solo di una scusa. La verità è che mi è piaciuto e sono ossessionata da come potrà evolversi tutta la storia. Sono come spaccata in due; ma la mia scelta è proprio lì di fuori.
Potrei riportare in casa le mutandine e far cadere tutta la faccenda nel dimenticatoio; ma qualcosa mi trattiene.
Chissà quanto passa? Forse si sta facendo tardi. Alla fine decido. Le mutandine rimangono lì di fuori, la mia mossa è fatta, ora tocca allo sconosciuto.

Esco di casa per andare al bar dove lavoro. Di fuori il cielo è limpido; splende già il sole e fa veramente caldo. Si prospetta un’altra giornata afosa; che peccato.

Tra un avventore ed un altro; non posso fare a meno di pensare alle mie mutandine solitarie appese nel terrazzino. E’ la mia fissa per tutto il tempo che trascorro al bar. Pulisco una tazzina e penso che forse avrei dovuto sciacquarle prima di appenderle. Servo un grappino e immagino qualcuno che scavalca la ringhiera del terrazzino. Tutte fantasie di quel tipo. Chissà se qualcuno degli avventori si accorge del mio sguardo distratto e lontano?

Quando si fanno le due del pomeriggio e finalmente posso staccare, la mia fantasia ha lavorato sfrenata tutto il giorno. E’ stata veramente una giornata stancante. Roba da avere quasi il fiatone per la fatica; quella mentale intendo.

Di solito mi fermo sempre cinque minuti in più al lavoro per finire di riporre tutti gli attrezzi e connessi in modo ordinato; ma oggi esco puntuale. Appena la lancetta dei minuti dell’orologio del bar raggiunge le dodici, saluto l’altra mia collega che mi ha dato il cambio ed esco di corsa.

Arrivata finalmente all’appartamento estivo, il cuore palpita. Tiro su la tapparella impaziente di scoprire cosa scoprirò. Il sole filtra dal vetro accecandomi solo per un istante. Non sto più veramente nella pelle.
I miei occhi si abituano presto alla luce che entra. Le Mutandine sono ancora lì. Che delusione. Mi aspettavo chissà cosa, invece, nulla.
In fondo è normale, anche questo maniaco qui avrà qualcosa da fare durante il giorno. Non è che posso pretendere che stia al mio servizio ventiquattro ore al giorno; però uffa, è uno sfaticato.

Apro la porta e vado sul terrazzino. Mi guardo attorno per accertarmi che non ci sia qualcuno che mi stia spiando. Non voglio farmi vedere da tutti mentre odoro il mio bucato; è già abbastanza incasinata la mia vita così, senza che i vicini si immagino chissà cosa.

Le mutandine sono ancora lì. Mi avvicino piano come se si trattasse di una bomba. Le mollette sembrano essere ancora nella stessa posizione in cui le avevo assicurate stamattina. Apparentemente nessuno le ha toccate. La delusione continua.

Il mio naso capta qualcosa. Mi fermo all’istante. Quelle mutandine emanano un certo tipo di odore poco piacevole. Non posso nemmeno incolpare il maniaco perché parte di quella puzza è pure colpa mia.

Storco il naso ma osservo da più vicino le mie mutandine. Che sorpresa. Mi porto le mani al volto. Le mutandine sono sporche. Una bella macchia viscida ancora fresca e ben visibile si trova proprio al loro interno. Mentre ero via il maniaco è tornato e mi ha lasciato un nuovo ricordino. E’ come se fosse natale in anticipo.

Rientro in casa con il corpo del reato stretto nelle mani. Ancora non ci posso credere. E’ come una relazione a distanza, o fare del sesso telefonico. Così vicino e così lontano allo stesso tempo.

Il cuore mi batte a mille. Sapere che c’è qualcuno che mi pensa così intensamente mi inquieta; ma è anche così eccitante. Non so più cosa pensare; dovrei preoccuparmi, ma mi sento tutta elettrizzata.
Vorrei far credere che mi senta combattuta; ma in fondo mi hanno appena recapitato un bel regalo. Sarebbe da maleducate non guardarlo da più vicino.

Lentamente mi porto le mutandine alle labbra. Il loro odore dolciastro e nauseabondo mi invade il naso e mi stordisce quasi; ma non importa. Lecco la macchia umida e viscida. Il sapore è così strano. Lo sperma è freddo e sa anche un po’ di stoffa.

Mi vergogno come una ladra e mi faccio pure schifo da sola; ma come una calamita mi riporto nuovamente le mutandine sulle labbra e lecco tutto. Alla fine ingoio pure. Il tutto in neanche pochi secondi.

Non resisto più al desiderio. L’essermi abbassata così tanto ha rimosso ogni mia inibizione. Provo un brivido in tutto il corpo che mi pervade violentemente. Mi inarco sopra la sedia dove sto seduta.
Non riesco a controllarmi, incomincio ad ansimare. Mi sento accaldata, mi sfioro il seno passando la punta delle dita sopra ai capezzoli che anche sotto la maglietta sono sempre molto sensibili e percettivi.

Sto per esplodere; mi fiondo velocemente in bagno. E’ il luogo più sicuro dell’appartamento. Un posto dove nessuno può vedermi; le finestre sono sempre chiuse.
Appena chiusa la porta dietro di me cado per terra ansante. Mi tremano le mani mentre tento di sfilarmi i jeans troppo stretti.

Mi masturbo con foga. Le mie dita s’insinuano prepotentemente tra le mie labbra sempre più in profondità, mentre con l’altra mano mi sgrilletto il clitoride. Mezza distesa sul pavimento del bagno ansimo di puro piacere e continuo senza sosta. Mi fermo solo quando mi sento di venire; in quel caso mi fermo ed aspetto il tempo necessario per rilassarmi, poi riprendo a masturbarmi. Non voglio godere, voglio solo stancarmi il più possibile.

Sono letteralmente esausta. Rivoli di sudore mi solcano il corpo appiccicandomi la maglietta addosso. Non riesco neppure a rendermi conto di quanto tempo è passato.
Lentamente mi rialzo afferrandomi al bordo della vasca da bagno. Le mie gambe mi sorreggono a malapena e non mi fido a reggermi solo su di esse. Sempre appoggiandomi a qualcosa raggiungo il lavandino.

La Valeria che scorgo nello specchio del bagno è piuttosto sfinita; con i capelli tutti in disordine e le guance arrossate. Mi sforzo di respirare normalmente, poi mi tiro su le mutandine e mi riabbottono i jeans. Sono ancora esausta, ma mi sto riprendendo.
D’istinto guardo alla finestra; per fortuna le tende sono tirate per bene. Avrei dato un bello spettacolo per il maniaco se mi avesse spiato.

Ancora mezza confusa e senza avere la più pallida idea di quello che devo fare butto le mutandine grigie nel lavandino ed inizio a lavarle. Uso la saponetta e ci do dentro senza sosta. Ne consumo quasi mezza prima di aver terminato la mia opera. Quei gesti veloci e ripetitivi e l’odore di lavanda mi aiutano a riprendermi un po’. Finalmente torno in me stessa.
Quando finisco di lavarle prendo il phon e le asciugo; mi frulla qualcosa in testa e ne ho bisogno subito.

Ora le mutandine sono pulite e linde. Intonse sopra al tavolino del salottino. Che cosa ci faccio? Provo a riappenderle di fuori per vedere cosa succede? Posso stare in attesa tutta la notte per cogliere sul fatto il maniaco. L’idea è elettrizzante; ma decisamente estenuante; chissà quanto dovrei aspettare.
Mi viene un’idea; ma chissà se qui nell’appartamento al mare ho un pennarello. Provo a cercarlo.
Apro cassetti che da chissà quanto tempo non vengono più aperti. Trovo quello di cui ho bisogno e mi metto a scrivere subito sopra alle mie mutandine.

E’ difficile scrivere sulla stoffa. Bisogna sempre tenerla ben stesa.
Quando finisco di scrivere il messaggio sorrido. Ho appena inventato la lettera mutandina. Chissà se è un’idea originale o qualcun altro nella storia l’aveva già inventata prima di me? Sicuramente è un’idea folle come me. Firmo il messaggio con qualche cuoricino e dei punti esclamativi.

Appendo la mia lettera di fuori nello stesso punto; cioè lo stendi panni del terrazzino sul retro. Uso sempre quattro mollette. Non sia mai che la mia lettera vada smarrita; ne sarei addolorata.
Appena finisco di spedire la mia missiva ritorno in casa tutta impaziente. Mi butto sul letto ma so già che sarà difficile dormire. Chissà cosa sognerò?

Messaggio per il simpaticone:
‘Domani sera alle dieci puntuale.’
PS: Passa dal retro.

Leave a Reply