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Chi sono le brave ragazze? Quelle che sulla metro che cedono il posto all’anziano? Oppure quelle che abbassano lo sguardo sorridendo debolmente quando ti scoprono mentre le stai osservando? Oppure ancora quelle dal corpo filiforme e la faccia pulita che programmano ogni minimo evento, anche l’ora precisa in cui stendersi la crema sul viso prima di andare a letto? No, forse sono quelle che non saltano una lezione all’università perché i genitori hanno fatto sacrifici per farle studiare e che se escono con le amiche preferiscono bere bibite piuttosto che alcol. Beh… io la laurea l’ho conseguita con il massimo dei voti, cedo il posto sui mezzi pubblici, so tenermi in forma e … e basta… perché 2 volte su 3 la crema viso resta nel suo barattolo e se qualcuno mi fissa… io faccio altrettanto.

Ok. Non sono una brava ragazza, ma solo perché mi piace fare festa e scopare significa che debbo essere cattiva, no? Forse… o forse…

Ho superato da poco i trent’anni, capelli rossi, occhi verdi (non sono tinta ne porto le lenti a contatto), un culo a mandolino ed una terza abbondante. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare nel mondo della finanza ed oggi mi ritrovo sposata con il mio lavoro, che mi tiene occupata gran parte del giorno e della notte. Già. Non ci crederete mai, ma i migliori affari si concludono dopo le 18. Un aperitivo, una cena… un dopo cena nel mio fantastico appartamento nel centro di Milano, ed il contratto a cinque o sei zeri è concluso. Adoro il mio lavoro e adoro gli uomini. In azienda mi ritengono una stacanovista oltre ad una gran figa. Alcuni hanno paura di me, altri sbavano, altri ancora ci provano, ma non sputo nel piatto in cui mangio, quindi ho sempre tenuto le gambe ben strette fino a che un giorno non sono andata nell’ufficio contabilità. Chiariamo, quando entro a lavoro dopo aver salutato Franco, la guardia all’ingresso, prendo l’ascensore e salgo al settimo (ed ultimo) piano, dove ci sono gli uffici dei dirigenti. Ignoravo cosa ci fosse dal primo al sesto fino a che una mattina non sono stata chiamata da uno dei contabili del terzo piano. Qualcosa non tornava sul mio ultimo rimborso spese. Abbastanza scocciata ero scesa fino all’ufficio del “collega” e quando lo vidi, beh, di primo acchito pensai che fosse uno sfigato. Vestiva un paio di jeans classico, scarpe comode di pelle, una camicia ben stirata a righe azzurre, un maglioncino di cashmire blu dal cui scollo si intravedeva una cravatta dello stesso tono. Capelli corti castani, con un taglio sfumato, militare, il cui ciuffo era disciplinato da uno strato di gel. Aveva occhi azzurri ed un sorriso gentile ed affabile. Fisicamente non era messo male, anzi. Quando si voltò per richiudere la porta gli guardai il culo ed era decisamente notevole. E’ da lì che iniziai a puntarlo. Portava un orologio sportivo e, la fede. Un uomo sposato dunque. Interessante.

♦ “Quindi cosa non ti torna del mio rimborso….? Sei nuovo? Perchè non ti ho mai visto” chiesi con voce curiosa e tono deciso ma gentile. Lui sorrise sedendosi alla scrivania.

♣ “Alessandro, ma puoi chiamarmi Alex.”

♦ “Eva.” rispondo di getto e lui sorride ancora fissandomi negli occhi

♣ “Lo so”. Ah lo stronzetto. Vuole giocare a fare lo spiritoso? Lo guardo inevitabilmente di traverso e lui intimidito torna serio. “Lavoro per una società di consulenza esterna per questo non mi hai mai visto. Abbiamo delle verifiche da fare quindi, presteremo servizio da voi per qualche mese”. Iniziai a sorridere

♦ “Quindi non lavori qui. Lavori per una società fornitrice” puntualizzai sorridendogli e lui mestamente annuì. Mi avvicinai alla scrivania dopo aver trattenuto il respiro e spinto in fuori il seno. “Ti trovi bene?” tastai il terreno percorrendo ancora qualche passo in perfetto equilibrio sui miei tacchi vertiginosi fino ad affiancarlo guardandolo dall’alto.

♣ “Si devo dire di si. La paga è buona i colleghi sono in gamba… anche se in certi periodi dell’anno gli orari diventano disumani” fa spallucce “ormai ci sono abituato” sorride iniziando a pigiare sulla tastiera del pc. Il mio sguardo cade sulla cornice accanto allo schermo.

♦ “E’ tua moglie?” chiedo di getto indicando la foto con il mento. Lui sorride assumendo quello sguardo ebete che hanno a volte le adolescenti innamorate. Mi chino in avanti appoggiando una mano sulla scrivania.

♣ “Si. Siamo sposati da tre anni. Lavora per la mia stessa società ed in realtà io la sto sostituendo. Avrebbe dovuto venire lei se non si fosse assentata per partorire nostra figlia” cazzo. Sposato con una bambina? Merda. Lui si volta inconsapevole della posizione che avevo assunto ritrovandosi a meno di venti centimetri dai miei seni che premono per evadere dalla scollatura della camicia bianca aperta. Lui si zittisce, fissandoli per qualche secondo, poi si lecca le labbra, deglutisce e distoglie lo sguardo. Io sorrido.

♦ “Deve essere da un bel po’ quindi che voi due… non avete un po’ di intimità” azzardo e lui schiarisce la voce cercando di parlare come se la cosa non gli importasse.

♣ “E’ molto buona come bimba e mia moglie ce la sta mettendo tutta per accudirla, occuparsi della casa… bisogna solo avere pazienza. In queste cose è così…” l’ho già detto che non sono una brava ragazza, vero?

♦ “Da quanto non… state insieme?” avrei detto scopare, ma temevo che si spaventasse visto il soggetto. Lui dopo diversi secondi di silenzio, ammette

♣ “Sei mesi.” io strabuzzo gli occhi mentre lui si volta verso di me “Sei sempre così diretta, tu? Ora possiamo lavorare?” io annuisco scioccata mentre la mia mente elabora già un piano.

*****

E’ passata una settimana dall’incontro con Alessandro. Sette lunghi giorni in cui ho fatto voto di castità. Beh non proprio. Una sera per concludere un affare, l’ho succhiato ad un cliente, ma non ci ho scopato, quindi non conta. In questi lunghi e noiosissimi giorni ho studiato il contabile: a che ora entrava ed usciva dall’ufficio, dove andava a mangiare, chi frequentava… fino a quando appresi che entro un paio di giorni avrebbero dovuto consegnare il frutto del loro lavoro al General Manager. Questo significava restare a lavorare fino a tarda notte. Un’occasione perfetta per raggiungere il mio obiettivo.

Mi presentai in azienda alle 19 con un cartone della pizza ed un paio di sacchetti di carta bianca. Entrando sorrisi a Franco allungandogli il cartone ancora caldo.

♦ “Nottataccia per tutti, vero? Spero tu non abbia ancora mangiato. E’ ancora calda, con peperoni e salsiccia. Come piace a te!” gli faccio l’occhiolino e lui dopo vermi accolta come una regina afferra il cartone.

• “Nah, non tutti. Stasera c’è il derby. Si sono volatilizzati tutti alle sei precise ad accezione di quel poveraccio della società di consulenza e di Wanda” aperto il coperchio del cartone annusa il profumo. “Sei stata molto gentile. Credo proprio che ora mi metterò a mangiare” io gli sorrido allontanandomi verso l’ascensore mentre lui come ogni volta mi guarda il culo.

♦ “Goditela con calma. Ci penso io al contabile!” sorrido quindi premo il tasto e mi ritrovo al terzo piano.

Fuori uno. Appena le porte dell’ascensore si aprono mi ritrovo di fronte Wanda, la signora delle pulizie con il suo carrello.

♦ “Buona sera Wanda. Appena iniziato?” lei mi guarda infastidita.

○ “Avrei voluto ma c’è ancora gente, come faccio a fare bene il mio lavoro se continuano a dirmi di non toccare questo, non spostare quello…” sbuffa ed io le sorrido allungandole uno dei due sacchetti di carta.

♦ “Io ho un’idea. Perchè non vai nel mio ufficio, che ha decisamente bisogno di una gran pulita e guardi cosa c’è qua dentro?” faccio spallucce con noncuranza “Ci penso io a rimettere in riga questi… scocciatori” gli faccio l’occhiolino mentre lei guarda cosa c’è nel sacchetto. Sgrana gli occhi e tutta contenta sorride.

○ “Davvero? Sono per…. Me???” io annuisco.

♦ “Sono solo cose che avevo nell’armadio. Dacci un’occhiata e provale. Se per caso dovesse esserci qualcosa che ti piace… sono tue.” ridacchio e lei si stringe al petto il sacchetto mentre ci scambiamo il posto in ascensore.

Fuori due. Percorro il corridoio sorridendo fino a raggiungere la soglia dell’ufficio di Alessandro. Sta parlando al telefono. E’ di spalle. Questo mi da modo di ascoltare la conversazione.

♣ “Come sta Giorgia? Ha mangiato?…. Capisco… si può essere…. Io qui ne avrò ancora per un paio d’ore. Preferisco avvantaggiarmi. Gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. Tra l’altro sono andati tutti via quindi il silenzio mi aiuterà a concentrarmi meglio… ” sospira “Angela ne abbiamo già parlato… dobbiamo solo portare pazienza un altro po’. Questo è il periodo peggiore per chi fa il nostro lavoro. Appena saremo tranquilli ci prenderemo del tempo per noi tre. Magari potremmo fare una breve vacanza in montagna dato che….. ma ovvio che viene con noi, non possiamo mica lasciarla a casa con…. Angela… ti prego…. Non è il momento e non….” stando sempre in piedi davanti alla finestra si volta, vedendomi sulla soglia. “… non posso parlare. Devo andare…. No, non … non c’è nessuno. Ne parliamo con calma a casa… domani. Dai a Giorgia un bacio da parte….” accade qualcosa dall’altra parte del telefono perché lui senza concludere la frase lo stacca dall’orecchio fissando l’apparecchio. Quindi sospira pesantemente si massaggia l’attaccatura del naso con indice e pollice e poi mi fissa. “Ciao Eva. Che ci fai qui a quest’ora? Credevo fossi già uscita…”

♦ “Brutto momento, eh?” azzardo io, cercando di non sorridere per quanto gongolo. “Ho del lavoro da finire, così sono uscita a prendere qualcosa da mangiare. Ti va di condividere?” alzo il sacchetto bianco e prima ancora che lui possa accettare entro nell’ufficio chiudendomi la porta alle spalle. “Ti piace il sushi, vero?” lui sospira e poi dopo aver appoggiato il telefono sulla scrivania annuisce.

♣ “D’accordo. Una pausa per mangiare, ma poi devo tornare a lavoro altrimenti non finirò mai in tempo” inizia a fare spazio sulla scrivania spostando il notebook, cartelline porta documenti, porta penne, matite. Io nel frattempo mi spoglio della giacca corta, restando con una camicetta di seta bianca così sottile da lasciar intravedere l’areola scura intorno ai capezzoli, una gonna stretta nera che a mala pena mi copre il sedere e delle calze velate sempre nere. Ai piedi? Decoltè di vernice nera con stiletto. Lui mi squadra senza dire nulla e fingendo di sistemare alcuni incartamenti prima di sedersi. Siamo uno di fronte all’altra. A dividerci la scrivania. Sfilo dal sacchetto i vari contenitori, sistemando salse e condimenti vari nel mezzo. Gli allungo quindi un paio di bacchette ed iniziamo a mangiare.

♦ “Le cose con tua moglie non vanno come dovrebbero?” azzardo. Lui mi guarda un po’ di traverso poi sospira.

♣ “In quale matrimonio le cose vanno come dovrebbero andare?” sorride con ironia aggiustando il tiro “Siamo entrambi molto stressati. Lei per la bambina, io il lavoro… non… facciamo fatica a comunicare, ecco. Quando ci proviamo, finisce che uno dei due si indispettisce e …”

♦ “… Finisce come prima al telefono” concludo io sorridendogli in modo affabile. Lui annuisce sospirando. “Forse dovreste trovare il modo di… sfogare questo stress. Perchè non le prenoti un bel percorso benessere in qualche SPA qui a Milano? Mezza giornata di massaggi, sauna, bagno turco metterebbe a nuovo chiunque! Della bambina te ne puoi occupare tu no? Per mezza giornata non credo che succederà chissà che cosa!” gli faccio spallucce prima di infilarmi in bocca un pezzo di salmone crudo. Lecco via dalle labbra qualche goccia di soia scura intercettando lo sguardo di lui che segue con attenzione il percorso della mia lingua.

♣ “Si… forse…” schiarisce la voce tornando a concentrarsi sul cibo “… forse non sarebbe una cattiva idea. Così potrei concentrarmi sul lavoro… ” sciocco la lingua contro il palato scuotendo il capo.

♦ “Eh no, non funziona così mio caro. Non puoi sfruttare quelle ore per lavorare. Non sarebbe corretto!” gli faccio una smorfia “Ora che abbiamo sistemato… Angela?” domando solo per retorica dato che il nome della moglie l’ho stampato in testa. Alessandro annuisce. “Pensiamo a te. Che cosa ti piacerebbe fare? Che cos’è che potrebbe aiutarti a sfogare lo stress in poche ore. Magari qualcosa che non fai da tempo e che non richiede… costanza..” giuro che non sto parlando con tono malizioso ma del tutto ipotetico. Eppure più vado avanti e più le analogie con il sesso si sprecano! “Insomma una… toccata e fuga” ora sto zitta e mi infilo un altro pezzo di pesce in bocca. Lui mi fissa ancora le labbra senza parlare. E’ il momento di colpire.

♦ “Ho un’idea. Facciamo un gioco. Ti va? E’ molto semplice. Si chiama “Gioco della fiducia”. Sia chiaro, non è nulla di che. Ce lo fecero fare degli psicologi durante un meeting qualche anno fa” ricordo con molto piacere quel meeting. Riuscii a portarmi in stanza quattro tizi diversi contemporaneamente e mentre ne spompinavo due gli altri mi aprivano il culo e la figa. Che ricordi! “Allora? Ti fidi di me?” ridacchio alzandomi in piedi, facendo il giro della scrivania e mi siedo sul piano accavallando le gambe. Lui titubante resta a guardare senza dire ne si ne no. “Avanti, dammi la tua cravatta” è ancora scettico e mi fissa per un lungo momento poi la allenta e me la porge. Sciolgo il nodo, mi alzo, prendo una delle sue mani ed inizio a legare la cravatta attorno ad uno dei suoi polsi, poi raggiungo il retro della sedia girevole, afferro l’altro polso e li lego insieme.

♣ “Perchè mi stai legando?” mi mordo le labbra per non farmi scappare mezza parola, quindi sorrido e torno a sedermi sulla scrivania sempre a gambe accavallate.

♦ “Perchè altrimenti non si chiamerebbe “Gioco della Fiducia”. Ti devi fidare di me, semplice.” quindi inizio a slacciare i bottoni della camicetta. Lui sgrana gli occhi quasi inorridito.

♣ “Ma cosa stai facendo?!?” finiti i bottoni la sfilo dalla gonna e poi dalle braccia restando con un reggiseno di pizzo bianco molto lavorato e completamente trasparente che mette in bella mostra i miei seni ed i capezzoli turgidi nel mezzo.

♦ “Mi serviva una benda, che cosa avrei dovuto usare?” arrotolo la seta su se stessa più volte fino a creare una fascia che posiziono sugli occhi di lui. Faccio un nodo bello stretto sul retro della sua nuca quindi mi alzo in piedi. “Ci vedi?”

♣ “No, non ci vedo nulla e questo gioco non mi piace ancora prima di iniziarlo.” sbuffa contrariato.

♦ “Eddai su. Un po’ di fiducia. Vedrai che quando avremo finito, sarai un uomo nuovo” mentre parlo tiro sfilo la gonna, le calze, le mutandine ed il reggiseno. Sono nuda ad eccezione dei tacchi che rimetto. Scosto un po’ la sua sedia dalla scrivania così da potermi sedere sul piano proprio di fronte a lui. “Ok ci siamo quasi. Ora ti darò da mangiare. Tu dovrai semplicemente aprire la bocca e fidarti. Capito?” le mie mani lavorano svelte tanto quanto la lingua, mentre parlavo mi sono sistemata dei pezzi di salmone crudo proprio in mezzo alle gambe. Uno sul grande labbro di destra, l’altro sul gemello di sinistra, ed il terzo, sopra a quel bottoncino di carne che pulsa di piacere inesploso. Ruoto il bacino verso l’altro, afferrando la sua sedia con i piedi ed avvicinandola alla scrivania. Punto una mano sul piano dietro la schiena per sostenermi e con l’altro gli afferro la nuca.

♣ “Devo mangiare? Guarda che il wasabi non lo sopporto…” io mi lecco le labbra serrando le dita tra i suoi capelli.

♦ “Niente wasabi. Capito. Ora, mangia.” tiro la sua nuca, lo spingo a chinarsi in avanti indirizzando la bocca socchiusa proprio al centro del mio sesso. Lui centra l’obiettivo ma quando fa per ritrarsi lo trattengo spingendo in avanti il bacino per premergli il mio sesso sulla sua bocca chiusa. Il principio di barba mi stuzzica le terminazioni nervose facendomi gemere. “Mangia… apri la bocca e mangia… ” lo incito con voce roca. Lui cerca di ritrarsi ancora per qualche secondo poi eccolo riaprire le fauci per prendere un altro pezzo di pesce sporco dei miei umori. Gemo ancora muovendo il bacino come una cagna per avere di più. Voglio di più. Lui obbedisce, mangia e poi riapre la bocca per il terzo boccone. Ci deve aver preso gusto pure lui perché ad un tratto spunta la lingua che inizia a lappare in lungo ed il largo tutto il sesso. Lascio cadere la testa all’indietro chiudendo gli occhi mollando la presa sulla sua nuca. Continua a leccare ed a succhiare fino a che non si rialza.

♣ “Liberami” la sua voce è profonda e roca, non sembra nemmeno la sua. Io sorrido.

♦ “No, non ti libero. E’ il gioco della fiducia. Ma ti concedo…” porto la mano dietro la sua nuca sciogliendo il nodo della mia camicetta “… di guardare” sussurro facendomi avanti e quando i suoi occhi azzurri tornano a fissarmi lo bacio volgarmente. Lui geme prima di accettare quell’invasione e rispondere colpo su colpo.

♣ “Da quanto lo stavi progettando?” mugugna quando mi stacco dalla sua bocca per scendere dalla scrivania e sedermi a cavalcioni.

♦ “Da quando sono entrata qui dentro e mi hai fissato le tette. Sapevo che lo volevi anche tu… avevi solo bisogno di un… piccolo aiuto” mi afferro le tette alzandomi in piedi e dopo averle strizzate gliene sistemo una in bocca. “Succhia… Succhiala…. Avanti…” Alex non se lo fa ripetere e prende a leccare, mordere succhiare facendomi rabbrividire. Mentre lui ci sa dentro con una io mi strizzo forte l’altra strusciando la mia figa allagata sui suoi jeans. Il tessuto reso ancora più duro dall’erezione sottostante quasi mi fa venire. Smetto di muovermi come una cagna solo per non rovinare il momento. Abbiamo appena iniziato. Alex riemerge dalle mie tette con il viso leggermente arrossato.

♣ “Sei davvero una gran… troia lo sai?” non lo dice in tono dispreggiativo anzi. Lo sta riconoscendo e dall’espressione sembra apprezzare parecchio.

♦ “Lo so” gli prendo ancora la bocca mentre le mie mani lo liberano dai jeans e scostano i boxer. “E adesso, lo sarò ancora di più.”

♣ “Liberami le mani…” mi sta supplicando, ma io scuoto la testa.

♦ “No” raddrizzo il suo cazzo teso e grosso e poi mi calo su di lui. CAZZO. E’ una sensazione fantastica. Grazie ai miei umori scivola che è un piacere anche se vista la dimensione fatico a prenderlo tutto al primo colpo. “Ma dove lo nascondevi quel mostro?” con voce rotta dall’eccitazione inizio a salire e scendere. Lo cavalco sempre più velocemente mentre lui si agita sotto di me, cercando di spingere con il bacino e di afferrare con la bocca ed i denti porzioni del mio collo e dei miei seni. Salgo e scendo, salgo e scendo sempre più velocemente fino a che non lo sento imprecare. Di colpo si agita e sono costretta a reggermi alla sedia per non cadere. Con una forza di cui non lo credevo capace è riuscito a liberare le mani dalla cravatta. Con entrambe mi afferra al collo stringendo facendomi credere per un attimo di volermi far dal male. Poi invece sfrutta la presa per conficcarsi ancora di più dentro di me togliendomi il fiato. Non riesco più a capire se sono io a scopare lui o se è lui a scopare me. Brutalmente mi afferra per le braccia facendomi rialzare poi mi volta e mi fa sedere su di lui. Allarga le mie gambe, punta il cazzo verso di me e me lo infila di nuovo dentro. Appoggio la schiena contro il suo petto voltando il capo per baciarlo con la lingua mentre la sua mano destra mi strizza fino a farmi male il seno e la sua mano sinistra si abbatte sulla mia figa. Mi schiaffeggia il clitoride continuando a fottermi forte, davvero forte. Inizio a sudare ed a gemere ad un volume alto, troppo alto per l’ufficio. Lui non accenna rallentare, anzi. Con più urlo e gemo e con più si scatena.

♣ “Allora Eva…” con voce affannata mi parla all’orecchio “… come sei messa di culo? Ti piace farti scopare lì? Eh? Dimmelo! Stiamo giocando al “Gioco della Fiducia” no?” continua a sbattermi intanto schiaffeggiandomi ancora il sesso. Gemo, forte prima di rispondere.

♦ “Il culo è il posto che preferisco. Prendilo. E’ tuo….” lui mi schiaffeggia ancora il clitoride, poi mi solleva come se fossi una bambola, raddrizza il cazzo e lo punta contro il mio orifizio. Mi irrigidisco. I primi centimetri sono dolorosi. E’ grosso e non sono pronta per prenderlo. Lui sembra paziente ma dopo un po’, spinge senza ritegno facendomi urlare.

♣ “Brava… urla. Abbiamo appena iniziato” eccolo uscire e poi rientrare. Mi chiude le gambe per rendere le cose ancora più complicate, afferrandomi i seni e strizzandoli. Spinge senza preoccuparsi se io possa provare dolore o piacere. Entra ed esce, entra ed esce sussurrandomi parole sconce ed insulti alle orecchie. Con più lui mi umilia, con più io gemo, mi rilasso e godo. Inizio ad apprezzare quella cavalcata selvaggia e ad assecondare le sue spinte.

♦ “Aprilo… aprilo questo culo… ohhh si… aprilo… si….” con un colpo di reni lui si alza dalla sedia senza uscire da me, spingendomi contro la scrivania. Piego in avanti al schiena e in un attimo sono a novanta. Mi prende a schiaffi il culo e poi continua, pompando senza sosta nel mio culo. I miei seni rasentano i vassoi con su il cibo sporcandosi di riso, salse piccanti e pesce. Con una mano mi afferra per le spalle, attorcigliando l’altra attorno ai miei capelli. Tira come un dannato obbligandomi ad alzare la nuca, fissando la porta chiusa davanti a noi. “Sbattimi, cavalcami… avanti su… spingi… di più… voglio sentirti venire, voglio che mi riempi, che mi farcisci…. Avanti…” lui si sporge in avanti per arrivare a sussurrarmi all’orecchio.

♣ “Sai a cosa sto pensando? Che se in questo momento da quella porta dovesse entrare il General Manager sorprendendoci a fare sesso, io continuerei a scoparti senza ritegno” sorride ed io gemo mentre la soia si rovescia sulla scrivania bagnandomi i seni. Lo sento quindi smettere di pomparmi il culo e rinfilarsi nella figa dove dopo poche spinte viene, riempiendomi come promesso.

Una volta che i nostri respiri si sono calmati, non ci siamo ricomposti ma abbiamo proseguito la serata consumando la cena nudi, seduti alla scrivania. Certo non è finita lì. Perchè dopo sei mesi di completa inattività sessuale, Alex aveva bisogno di recuperare. Da brava ragazza mi sono prestata per succhiarglielo un paio di volte, facendolo venire copiosamente prima nella mia bocca e poi sulle mie tette. Visto che la metro aveva già chiuso l’ho riaccompagnato a casa in macchina. Ha insistito perché scendessi e raggiungessi con lui la porta del suo appartamento come “alibi” per il forte ritardo nel caso in cui Angela fosse ancora stata sveglia. Le luci però erano spente ed il silenzio regnava. Così ne approfittò per salutarmi infilando la mano sotto la gonna. Dopo avermi accarezzata attraverso la stoffa sottile dei collant aveva pensato di romperli, scostare le mutandine ed infilare due dita dentro di me. Coprendomi la bocca con l’altra mano, aveva spinto fino a farmi venire nuovamente. Avevo pensato io a ripulirgli le dita, leccandole come poco prima avevo fatto con il suo uccello. Avremmo proseguito se un rumore sull’androne delle scale non avesse interrotto la magia. Un’occhiata, un cenno del capo e poi lui rientrò in casa lasciandomi un sorriso soddisfatto sulle labbra. Anche questa volta, avevo vinto.

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