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Erotici Racconti

Convinzioni contorte

By 16 Aprile 2018Febbraio 8th, 2023No Comments

Devo onestamente ammettere che mi è sempre piaciuta la pioggia, adesso mi domando: perché dev’essere l’ispirazione e lo spirito che rema contrapposto al rovescio? Tutti dicono sostenendo che la pioggia disgusta, che stanca e che fa schifo, che danneggia l’animo, allora io t’indico e ti dimostro in conclusione che essa è meravigliosa e splendida, perché la pioggia è vita assoluta anche se non parla. 

Oggi fa un caldo smisurato, poiché c’è un’afa terribile e si soffoca, il calendario ci ricorda che siamo a settembre, tra poco ci sarà la scuola, tra non molto ricomparirà l’ora legale e tanto altro alle porte che sta per giungere, invece il sole se la ride di gusto spalmandoci addosso un velo di sudore, che si riforma appena metti il naso fuori dall’ombra. Stavolta neppure il calendario ci ha azzeccato: anche le previsioni meteo indicavano un tempo incerto e mutevole, da poco nuvoloso a coperto con dei locali rovesci di breve durata, malgrado ciò per niente. Per infilare in conclusione un po’ di sana cultura botanica nelle nostre giornate, tutte fatte di morsi, di lingue avide, di mani sfacciate e d’urla soffocate, io avevo avuto la bella e vistosa idea di portarti al parco della villa. Sì, certo, uno spettacolo collettivo, con l’uomo e la natura che si riuniscono dando vita a un incanto di mille colori e di varie forme. Secoli d’amore per le piante, per la bellezza, per i dettagli, dato che hanno generato un gioiello nel quale lo sguardo si perde e l’anima s’inebria colma e rasserenata.

Tu lì non ci sei mai stato, perciò prendiamo a noleggio due biciclette e ci avviamo su per quei sentieri, nell’itinerario ci sono salite e discese, il fiume si snoda poco più giù calmo e lento sotto i nostri occhi, dato che ci lasciamo avvolgere dalla magia di questo luogo inconsueto dove tutto è cura e poesia. In seguito sbuchiamo dal vialetto, fuori dal ponte di quegli alberi che ci hanno riparato sino a un attimo fa. Il piazzale s’apre su d’un panorama diverso, sino a poco fa c’era l’ombra e le chiome fitte, adesso notiamo un prato immenso, una distesa verde e soffice abbeverata dai numerosi getti che dissetano la terra, mentre io che in tutta questa meraviglia sto morendo di caldo dopo la salita vorrei lanciare la bici per terra e cacciarmi sotto uno di quei getti. Non credo che si possa, perché giardinieri e guardiani sono dappertutto, da momento che sono discreti e silenziosi, dato che non disturbano nessuno tranne noi. 

Io appoggio educatamente la bicicletta contro un albero, tu segui il mio esempio e i miei passi, alzi un sopracciglio quando m’avvio giù per la collina: perché tornare da dove siamo venuti per dover poi risalire a piedi? Io scendo in maniera puntigliosa e decisa ad averla vinta sui presagi meteo che m’hanno confuso e ingarbugliato le prospettive, il sentiero pedonale scende tortuoso tra una curva e l’altra in mezzo agli alberi generosi e ricchi, dopo lascio il viottolo e ti trascino in mezzo alle ortiche al limitare del grande prato che si distende davanti a noi, appena oltre la piccola siepe che costeggia il cammino. Sopra di noi archi di foglie ci nascondono al sole e alla vista, però non mi basta, perché io volevo l’acqua, dato che è precisamente quella che mi ha guidato sin qui.

Il terreno è scosceso, la siepe risulta più bassa e l’acqua degl’irrigatori arriva persino a questo minuscolo spiazzo un giro dopo l’altro. Il suolo è bagnato e luccicante sotto i nostri piedi, ci mettiamo in piedi ad aspettare gli spruzzi, fermi come dei bambini nel fissare lo zucchero a velo che fila tra le mani dell’ambulante, sapendo che tra poco il piacere si scioglierà dolce sulla lingua. Le gocce tamburellano sulle foglie dei rami accanto, il getto però sembra non arrivare mai, sennonché io aspetto, desidero, sudo e tremo, perché tu m’hai seguito in ogni istante e mentre io danzavo sui miei passi tu intrecciavi i tuoi. Io aspetto l’acqua, tu avvolgi me, in quanto ho trovato un angolo riparato perché tu adesso mi porti via, dentro di te.

L’acqua arriva, ecco il primo giro. Grazie al cielo il getto si muove lento, poiché ogni frazione è piacere, sollievo, zucchero filato. Io prendo ogni goccia che m’arriva addosso, la sento penetrare il tessuto bagnandomi la pelle, fresco respiro su ogni poro che può finalmente bere. Gli schizzi stanno arrivando su di te, tu li gradisci, ma non te ne curi, adesso che caldo e sete trovano ristoro hai deciso invece d’affamarmi. Le tue mani scorrono sulla mia pelle, sopra e sotto la camicia bianca che tu m’hai regalato, dopo premi i polpastrelli quanto basta per accelerarmi il battito, sfiori e stuzzichi, prometti e non dai, t’insinui nei miei desideri e li chiami tutti verso di te.

Io sento il sangue martellare e pulsare tra le gambe, intanto che le contrazioni reclamano come uno stomaco assillato dalla fame. Tu mi senti, indugi, tuttavia mi costringi a gemere per l’impazienza per andare alla cieca, sottomessa e straziata. In quel lento supplizio in sincronia arriva ciclico un altro getto, io mi volto per guardarlo, quel gesto bugiardo e lestofante di distrazione da te, dato che tu mi sfili i pantaloni e mi divarichi completamente. Io aspetto, gli occhi pazientano, pure la pelle indugia. Io urlo nel più totale silenzio sentendo le gocce sui rami prima di noi, poi spetta di nuovo a me. Al momento la camicetta comincia a impregnarsi d’acqua, io oscillo tra un sollievo ancora imperfetto e l’euforia di questa festa. 

Tu mi rapisci, io ho i piedi nella terra e la mente dispersa nel cielo, esattamente quello che siamo noi. Io non ho più la coscienza né la scrupolosità, in quanto il sole, la terra, il caldo, la fame, la sete, l’acqua, poi i nostri corpi che con i gemiti e i sussurri esaltano, innalzano e inneggiano alla vita. Quando arriva il terzo getto siamo completamente inzuppati. 

Io devo però acconsentire, confessare e riferire che adoro la pioggia, e tu?

{Idraulico anno 1999}  

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