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Eneide Postmoderno – Dell’ultima verità e della fondazione.

By 18 Aprile 2020Luglio 1st, 2021No Comments

L’arrivo sulla terra ferma che Janus definì promessa fu lieto e gli Esuli approntarono alla svelta un accampamento sulla spiaggia, mentre il loro condottiero tentava di capire se realmente fondare lì la loro città sarebbe stato un bene. La spiaggia era sicuramente piacevole alla vista e amena, ma vagamente arida, priva di piante. Il bosco più vicino era a qualche chilometro di distanza.
Nonostante tutto ciò, Janus si affrettò a mandare pattuglie a esplorare l’entroterra. Una di queste ritornò con notizie incredibili che riferì immediatamente, senza neppure riposare.
-Mio signore, vi é qualcosa che dovresti vedere.-, disse Cthea. Seguendo la giovane e insieme alla sua pattuglia, Janus arrivò in prossimità di un monumento enorme, circondato da diverse abitazioni o edifici distrutti e cumuli di rovine. Archi di pietra consunti dal tempo, devastati dalle raffiche di armi varie, dall’incuria e dalla furia della natura si ergevano  ancora fieri.
-Eccolo.-, sussurrò il giovane.
-Cosa?-, chiese Maghera. Lui sorrise, il sorriso vittorioso di chi ha visto tante peripezie superandole tutte per arrivare infine alla meta.
-Il segno che aspettavo. È questa. Mio padre me ne ha parlato in una visione. La città che fu grande e che ora sarà la nostra nuova patria.-, disse lui.
Rapidamente tornarono alla spiaggia e iniziarono a spostare il campo verso quel monumento.

Ci vollero ben quattro giorni per stanziarsi là e Janus notò che la zona era quasi deserta, salvo poche comunità stanziali che parevano lontanissime e disinteressate al loro arrivo.
Gli Esuli di Licanes presero lentamente a costruire una città dalle rovine, smontando la nave per ricavarne legname e poi case.
Infine, dopo due mesi, arrivarono. Per i Licanei parve di veder riaffiorare l’incubo dei tempi andati, e non pochi pensarono a una maledizione, a un crudele scherzo degli déi.
Janus invece, pregò come mai aveva fatto che ciò che stava accadendo fosse solo un sogno, o un incubo. Le Amazzoni osservarono quell’armata raffazzonata giungere a distanza dal loro campo.
Erano armati in modi diversi, alcuni con armi bianche altri con altre armi più sofisticate, non c’era una divisa o un uniforme che fosse una in quel mucchio selvaggio se non poche unità scelte, uomini e donne, vecchi e giovani, tutti apparentemente pronti a uccidere e ad essere uccisi.
-Déi, abbiate misericordia…-, mormorò Asclepia.
-Sono…-, iniziò Cradulus, che aveva rapidamente preso le redini di una delle unità di Licanei.
-Già-, confermò Janus, -Cimanei.-.
L’armata che pareva uscita dai loro più terribili ricordi, si fermò poco distante.
E Janus rimase di stucco al vedere ciò che accade dopo, ché l’esercito si aprì e una figura a cavallo di un equino giunse. Anche dopo tutto il tempo passato, Janus la riconobbe.
Era Layla.
-Janus di Licanes! Chiedo di parlamentare.-, si annunciò secondo le antiche leggi di Licanes.
-E se fosse una trappola?-, chiese Maghera. Janus scosse il capo.
-Non lo é. Non lo fu durante la guerra…-, disse, -Ma non posso fare a meno di chiedermi se sia possibile…-, non osò parlare della sua speranza.
-Andrò loro incontro.-, decretò infine.
Avvicinandosi vide che era davvero Layla, ma anche il suo volto portava i segni di grandi fatiche, di terribili eventi e battaglie. L’esercito dietro di lei era ancora numeroso, ma solo una frazione di quello che aveva preso Licanes. Janus si chiese per un istante se ingaggiar battaglia non sarebbe stato meglio. Ma respinse fermamente quel pensiero. Era sotto una bandiera di trega, secondo le leggi di Licanes, quelle che i suoi superiori avrebbero desiderato che lui infrangesse…
“Quelle che, se avessi infranto, avremmo potuto continuare a chiamar nostre.”, pensò.
-Janus. Invero é passato molto tempo.-, disse Layla. Nessun sorriso, solo stanchezza e un accenno di gioia fugace. Lui annuì, avanzando. Lei porse la mano, lui strinse, salutandola come i Licanei.
-Ora non ci sono più Cimanei o Licanei, vero?-, chiese la guerriera, la pelle scura come la pece e gli occhi indagatori. Janus scosse il capo.
-No. Ma questo non signifca che le cose saranno facili. Tra la mia gente vi sono alcuni che vorrebbero la vostra morte.-, disse. Layla annuì, serissima.
-Anche tra la mia. Per alcuni di noi, siete un residuo di un tempo che fu.-, rispose.
-E per te cosa siamo?-, chiese Janus.
-Cosa siete voi, o cosa sei?-, domandò lei di rimando.
-Entrambi. Sei stata tu, vero? Conducesti i tuoi dentro Licanes sfruttando la mia distrazione ed il nostro amore?-. Il tono di Janus vibrava di rabbia gelida, a stento contenuta. La giovane non fece una mossa per sguainare le spade gemelle che aveva sulla schiena.
-No.-, disse, -Fui ingannata. Ancora non ti é chiaro, o Janus di Licanes che ai nostri compatrioti nulla importava più dell’onore o della morale? Ancora non hai compreso che né i Cimenei né i Licanei avevano più diritto a dirsi giusti?-, chiese. Janus sospirò.
-Così, siamo stati puniti per la nostra arroganza…-, sussurrò. Era stanco, stanchissimo.
-Non solo voi. Dopo la battaglia vi fu grande confusione tra noi. I nostri capi sostenevano che avremmo dovuto darvi la caccia come delle bestie, farla finita, uccidervi sino all’ultima fanciulla gravida. Ma io mi opposi. Dissi chiaro e netto che così facendo non saremmo stati migliori di voi.-, raccontò Layla, -Poi conquistammo le città dell’interno e sempre più di noi divennero predoni o sanguinari signori della guerra. Indegni del loro retaggio.-.
-Così poco era valso l’onore che tanto abbiamo millantato…-, lamentò Janus.
-Così poco! Invero fui io ad adunare l’armata. Distrussi i signori della guerra, rischiando di perdere tutti i miei uomini e comunque a costo di enormi sacrifici. Non vedevo più il motivo per un simile massacro. Lasciammo una terra arida e insterilita dietro di noi. E fu lì che ebbi la visione. Mi sovvenne la vista di una nuova patria.-, continuò Layla.
“Non ci credo… Non può essere…”, pensò l’Esule.
-Questa.-, disse Layla, -Vidi che qui avremmo potuto ricostruire ciò che eravamo, ritagliarci la pace che tanto avevamo bramato ma mai ottenuto…-, gli occhi della giovane tradivano le lacrime, ormai prossime a cadere, -Quella pace, o mio amico, che mai ottenemmo, neanche per un istante, dopo la vittoria su Licanes.-.
-Fu quindi inutile la guerra?-, domandò Janus, -Solo morti e vani lutti, miti scritti nel fumo nero degli incendi appiccati tra le rovine della nostra patria, solo questo ci fu di guadagnato?-, chiese.
-Invero, no. Pensa, Janus! Pensa! Ora sei tu il comandante di Licanes. Se dirai loro di abbassare le armi e di cercare la pace con noi ti ascolteranno!-, esclamò Layla.
-È un bell’impegno…-, mormorò lui. Era ben conscio di quante lotte intere e implicazioni tutto ciò potesse assumere e, o avere.
-Considera questo, o Janus. Sei ora a un bivio. Se sceglierai la guerra, probabilmente tutta Licanes perirà, in un modo o nell’altro.-, lo avvertì Layla senza malizia alcuna, -Son certa che non é ciò che vuoi. Come non voglio io prendere la vita di altri Licanei, nostri fratelli.-.
Janus espirò, piano. Sentì su di sé il sussulto della storia, l’esistenza che diveniva diafana, leggera, percependo per un istante il respiro degli eoni.
Poteva scegliere. Poteva consegnare Licanes alla storia come morta e rinata come la fenice dei racconti o poteva scegliere la vendetta, per quanto giusta o dispendiosa, e sperare di poter ricostruire dalle rovine di un’ennesima guerra.
Guardò Layla. Rivide la giovane guerriera che aveva conosciuto, non la macchina di morte che ricordava di aver visto agire sul campo di battaglia sotto le mura della sua città, bensì la donna che aveva imparato a conoscere e ad amare.
-Decidi, Janus. Né i miei né i tuoi rimarranno immobilli ad attendere.-, disse lei.
Lui estrasse il coltello. Lo sollevò affinché tutti lo vedessero. Layla non si mosse.
-È così?-, chiese soltanto. In risposta, lui lo lasciò cadere a terra e vi posò il piede destro sopra.
Era un antico gesto di tregua, quasi dimenticato dai Licanei perché risalente alla fondazione.
-Pace!-, esclamò, -Che tra noi vi sia pace!-.
-Che vi sia pace!-, ripeté Layla. I Cimanei e i Licanei, insieme alle Amazzoni si fecero avanti.
-Comandante… veramente?-, chiese uno dei guerrieri a Layla. Lei annuì.
-Janus… realmente stai ponderando questo? Come puoi? Non sarai ammattito, vero?-, chiese Drusillius. Janus fissò i Licanei. Uno a uno.
-Sapete cos’accadde la notte che io e voi fuggimmo da Licanes? Io andai negli archivi e rapido trovai prova di ciò che già sapevo. Cimanei… Licanei… Siamo tutti parte di uno stesso popolo!-, esclamò, -Il loro sangue é rosso come il nostro! Non é mia intenzione versarlo. Non più.-.
-Pazzo! Traditore! Tuo padre si rivolterà nella tomba!-, ringhiarono alcuni.
-E invece no!-, esclamò Janus, -Il Consiglio sapeva bene cosa sarebbe accaduto. Insabbiò la verità, sostenendo che i Cimanei fossero degenerati ma così non é, o non avrebbero parlamentato. Sostennero che fosse nostro dovere mettere fine a loro, ma non potremmo farlo senza mettere fine a noi stessi, in quanto ognuno di loro, invero é un Licaneo come noi!-.
Ora c’era silenzio, attonito e assoluto. Janus si rivolse a una sola persona.
-Asclepia, somma Apotecaria. Tu eri nel Consiglio. Tu sai la verità. Ti prego qui e ora di parlare.-.

Asclepia sospirò. Era ben doloroso ciò che stava per dire.
-Mi fu chiesto di aiutarli a creare il soldato perfetto, l’arma finale. Ma la verità fu che creammo degli esseri deviati, in parte. Altri no, ma la voce della devianza si sparse. La mutazione divenne l’incubo di tutti noi, un figlio non voluto dall’amplesso tra ambizione e scienza.-, spiegò.
-Così… ci dichiaraste esuli. E quando noi tornammo, voi apriste il fuoco per primi.-, disse Layla.
-Già, o guerriera da tempo persa, rinnegammo i nostri stessi figli. Le nostre sorelle… i nostri fratelli.-, gli occhi di Asclepia parvero cercare qualcuno tra i Cimanei ma smisero presto.
-Fu così?-, chiese qualcuno, -E perché allora nessuno mediò la pace?-, chiese un altro.
-Io provai.-, disse Janus, -Tentai di capire, di conoscere il nostro nemico. Strinsi amicizia con Layla, sino a tradire mia moglie con lei.-, i gemiti di stupore e di indignazione dei Licanei, persino qualche insulto isolato lo costrinsero a fermarsi.
-Ma fu un niente. Il nostro Consiglio mi chiese di infrangere la tregua uccidendo quella stessa donna che tanto onesta si era dimostrata nei miei confronti!-, esclamò Janus. Ora piangeva lacrime mute, il segreto che tanto era gravato usciva da lui come rigurgitato dalle profondità dell’animo, lento ma inesorabile come la marea.
-Anche i miei superiori chiesero che uccidessi Janus. Fu chiaro a entrambi che l’onore aveva ormai disertato i nostri campi e scegliemmo di fare altrettanto. Ma fui ingannata. In un incontro clandestino con Janus, egli dovette tornare rapidamente in città. Allora fui colpita alla testa da uno dei miei. Essi sfruttarono la distrazione di Janus e la nostra lussuria per penetrare nella città che per dieci anni ci aveva resistito!-, raccontò.
-Déi del cielo…-, sussurrò Demterius, uno dei guerrieri di Licanes.
-Invero gli déi non hanno parte in questo, fratello. Il loro ruolo é circoscritto all’averci condotti qui.-, disse Janus, -Dove possiamo scegliere se proseguire lungo il cammino dell’odio o deviare lungo la strada della saggezza e della gloria. Da parte mia so bene cosa scelgo.-.
Strinse la spalla di Layla in un gesto fraterno.
-Sarei ben ipocrita se non facessi lo stesso.-, disse Asclepia. Si avvicinò al guerriero Cimaneo più vicino e gli tese la mano. Lui la strinse. Stesso fecero altri.
-Ma vi rendete conto?-, domandò Drusillus, -Pensate davvero che funzionerà? Io morirò prima di accettare che i Cimanei e i Licanei divengano un solo popolo!-.
Se ne andò verso la foresta.
-Qualcun’altro la pensa come lui?-, chiese Maghera. Alcuni Cimanei e un paio di Licanei lo seguirono, dividendosi poi in direzioni opposte.
-E noi, Janus?-, chiese Layla. Tutti fissarono l’uomo.

-Noi? Noi saremo ciò che sin da principio fummo, quella forza eroica di guerrieri e savi che vide il sorgere di Licanes dall’oscurità del mondo. Noi saremo l’inizio di una nuova era, un’era illuminata dalla civiltà oltre le barbarie del nostro tempo! Non più Licanei né Cimanei, bensì Romanei, legati alla terra su cui il patto é stato stretto.-, disse estraendo il coltello. Incise appena la mano, passando la lama a Layla. La giovane fece lo stessso. Strinse le mani ferite in un patto fatto di volontà comune per la pace e la gloria della loro nuova patria.
-Sarà parecchio difficile, lo sai?-, chiese Maghera, mentre osservava il guerriero davanti a sé.
-Ce la faremo.-, rispose sorridendo uno dei Cimanei, proiettando ottimismo.
In fondo, dopo tante peripezie, non sembrava neppure così impossibile.

Con il tempo, Licanei e Cimanei divennero un solo popolo, favorito anche dalle unioni miste. Dal Kelreas giunsero alcune amazzoni, recanti le notizie di quanto avvenuto.
Maghera, conscia della lontananza da casa e della necessità della sua patria, lasciò Roma (la città fondata, o rifondata) dopo avervi partorito una figlia. Tornò il Kelreas, ove morì di vecchiaia, favorendo l’unione del rinato regno del Kelreas con i Romanei.
Le altre Amazzoni generarono a loro volta stirpi valorose e fiorenti di guerrieri e guerriere.
Asclepia e Cthea vissero vite lunghe e liete e i loro nomi furono lodati dai discendenti per i secoli a vanire. I Cimanei divennero l’ala militante delle forze romanee, ampliando grandemente il territorio della Città finché definirla tale non fu più sufficiente. Espandendosi lungo tutto il Mare Orientale, essi inglobarono grandi e piccoli regni. Roma divenne la capitale di un impero che oscurò la gloria di Licanes.
Quanto a Janus, egli si ricongiunse con Layla e i due ebbero diversi figli, dopo la partenza di Maghera. Vissero ancora diversi anni, godendo della reciproca compagnia e guardando il loro popolo, ormai guidato da altri, fiorire.
Morirono di vecchiaia, ascendendo al Cielo dei Guerrieri, come ancora dicono i sacerdoti.
L’Impero di Roma vide rinascere la tecnologia di Licanes, con armi capaci di scatenare cataclismi, ma anche medicine in grado di lenire i molti dolori del mondo.
Un’era di prosperità é iniziata e ringrazio gli déi per averci permesso di viverla.

Qui termina la cronaca nell’anno decimo-sesto del regno di Lyca, figlia di Janus, seconda regina di Roma. Sia Lode agli Avi!
Scritto da Virgilius Deimus, durante il suo settantesimo anno di vita.

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