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I miei piedini.

By 21 Luglio 2008Dicembre 16th, 2019No Comments


CENA D’AFFARI





Mi chiamo Marta R’, abito a Milano, ho 28 anni, sono alta 1,72 e adoro i mesi invernali. Perché questa passione? Semplice. Quello è il periodo in cui posso indossare il mio indumento preferito: i collant. Chissà quanti di voi uomini amano vedere le gambe fasciate da un bel paio di calze nere, magari snelle e un po’ nervose. Spesso mi diverto a mostrarle a quelli che incontro, o in un bar, o in ufficio, piuttosto che per la strada, in particolare quando indosso una mini o una gonna molto attillata: mi diverte osservare gli sguardi di voi maschi che scorrono dalla coscia fino alla caviglia, cercando quasi di accarezzare con lo sguardo quel liscio e morbido tessuto tenuto teso dalla pelle soda. Quasi nessuno riesce a resistere. E quanti vorrebbero che la gonna e le scarpe non esistessero e non ostacolassero il loro sguardo. Proprio così: quanti di voi vorrebbero riuscire a vedere i piedi di una donna?
Ma lasciate che vi racconti di una delle volte in cui i miei piedini avvolti in un paio di collant neri sono stati i protagonisti.
E’ successo l’inverno scorso, gennaio 2007. Quella sera, come altre volte, sono stata costretta ad andare ad una cena di lavoro con Roberto, il mio capo. Avrei preferito lasciare che andasse da solo, ma, come spesso succede, il mio capo mi trascina in quelle interminabili serate, soprattutto quando deve concludere affari con certi clienti e, per così dire, la mia presenza e il mio aspetto non fanno altro che spingere verso il buon esito dell’affare. Avete inteso? Ovviamente la mia presenza viene remunerata. Non mi sento una prostituta a fare una cosa del genere. Diciamo solo che mi diverto e poi, tranne che in alcuni casi come quello che vi racconterò, non supero mai il limite.
Sembra incredibile, ma spesso è sufficiente provocare il cliente e il gioco è fatto. Il mio capo l’ha capito molto bene.
Ma sto divagando.
Alle 20:00, puntuale come sempre il mio capo suonò alla mia porta. Feci scivolare i miei piedi fasciati da un morbido collant nero in un paio di decoltè bianche, presi la borsa e uscii di casa.
Salii sulla Mercedes nera di Roberto e nel sedermi la corta gonna del mio abitino bianco come le scarpe risalì lungo la coscia, lasciando sfuggire un impulsivo commento del mio accompagnatore.
“Marta, provocante come sempre!”
“Sei sempre il solito! Almeno non scherzare.”, gli dissi sbuffando.
“Come sei permalosa questa sera!”, rise lui.
“Dici?”, dissi ora sorridendogli, “Parlami piuttosto del tuo cliente piuttosto.”
“Beh, non l’ho mai visto, ma credo che sia abbastanza giovane. E’ molto ricco e se l’affare si conclude guadagnerò molto.”
“Un grosso affare quindi?”
“Diciamo di sì. Posso contare su di te?”
“Ma certo, farò del mio meglio, come sempre”, gli dissi fingendo insofferenza.
Roberto sospirò sorridendo, mentre correva veloce per le strade della città.
Nel giro di qualche minuto arrivammo al ristorante. Nello stesso istante un taxi si fermò accanto a noi e un uomo sulla quarantina in giacca e cravatta scese e ci venne incontro.
“Signor D…?”, disse porgendo una mano al mio capo.
“In persona”, rispose Roberto con eleganza, “Piacere di conoscertla Sig. F'”
“E questa splendida signorina chi è?”, chiese a Roberto scrutandomi da capo a piedi.
“La mia collaboratrice, la sig.rina Marta R'”.
“Mi chiami semplicemente Marta”, gli dissi porgendogli la mano.
La strinse con delicatezza, un contatto piacevole. “Piacere Alberto F’. Anche lei può chiamarmi semplicemente Alberto”, mi disse con tono cordiale.
Lo osservai meglio. Era un bell’uomo: occhi azzurri, capelli brizzolati perfettamente pettinati, il viso perfettamente rasato. I suoi modi erano eleganti e il suoi gesti erano proprio quelli di un uomo distinto. Era affascinante e il mio compito cominciò a sembrarmi meno gravoso.
Entrammo nel ristorante e ci sedemmo. Ordinammo e Roberto incominciò a discutere di affari con Alberto. Di tanto in tanto intervenivo, facevo qualche battuta e sorridevo ad Alberto, senza tuttavia intralciare in alcun modo le trattative.
Notai che Alberto non mi toglieva gli occhi di dosso e in particolare cercava di sbirciare le mie cosce vestite dai soli collant che tenevo accavallate sotto il tavolo. Per agevolargli il compito scostai la sedia un po’ indietro, facendo attenzione che lui se ne accorgesse. Ci riuscii: il suo viso avvampò e per qualche istante smise di guardarmi, quasi fosse imbarazzato. Ma, ripeto, fu solo per qualche istante. Ovviamente non aveva una visuale ottimale, ma non potevo certo mettermi in mostra nel ristorante: la tovaglia era lunga fino al pavimento, ma fu proprio in quel momento che mi venne una brillante idea. Non l’avevo mai fatto prima, ma decisi di provare. Sicuramente Alberto avrebbe apprezzato.
Sì, avete capito quali erano le mie intenzioni. Avevo un po’ di timore, avrei potuto rovinare l’affare, ma gli sguardi indiscreti di Alberto mi avevano convinto del contrario.
Sfilai il piede da una scarpa e mossi le dita, stirando il nylon tra l’alluce e il secondo dito. Poi decisi di agire. Poggiai senza fare troppi complimenti l’intera pianta del mio piede sul polpaccio muscoloso di Alberto, che a causa dell’improvviso contatto ebbe un sussulto. Mi guardò, ma io non ricambiai il suo sguardo. Continuai a mangiare con la testa china sul piatto. Intanto Roberto parlava e mi accorsi che Alberto rispondeva a fatica. Premevo la pianta del mio piede avvolto dalle calze sulla sua gamba, muovendo le dita ritmicamente. Poi cominciai a salire. Con l’arco del mio piede scivolai lungo la sua gamba fino al ginocchio e fu a quel punto che Alberto si accomodò sulla sedia, ruotando leggermente verso di me e allargando le gambe. Era un invito più che esplicito. Io feci lo stesso fissandolo negli occhi: ci guardammo per un istante e vidi la sua eccitazione. Senza più alcun freno spinsi il mio piede in mezzo alle sue gambe, incontrando la sagoma del suo membro ormai duro. Cominciai ad eccitarmi anche io: adoro sentire il pene eccitato di un uomo contro i miei piedi. Ora sentivo la forma del suo sesso lungo tutta la pianta del mio piede, ed era così grosso che pur poggiando il tallone sui suoi testicoli non riuscivo a raggiungere l’estremità con le mie dita (ho un 37 e mezzo!).
Pensai a che tortura dovesse essere per lui tenerlo rinchiuso in quei pantaloni così stretti.
In quell’istante Roberto si voltò e mi guardò. Probabilmente intuì quello che stavo facendo perché mi sorrise maliziosamente e mi fece un appena accennato gesto d’assenso con il capo. Inoltre Alberto, benché cercasse di fare finta di niente, era visibilmente distratto.
Io invece continuavo a interrompere il discorso di tanto in tanto con discrezione, come se niente fosse, mentre il mio piede premeva forte contro il suo pene scivolando lungo tutta l’asta.
Vedevo che Alberto non ce la faceva più. Improvvisamente vidi che le sue mani scomparvero sotto il tavolo e mentre fingeva di sistemare il tovagliolo, compresi quello che stava per fare. Ci mise un istante. Io intanto ritrassi il piede, finché le sue mani non ricomparvero.
Quando il mio piede tornò dov’era prima le mie calze incontrarono la sua carne. Ora che era nudo mi sembrava ancora più grosso. Ero eccitatissima, tanto che se non ci fosse stato nessuno nella sala non avrei esitato a sfilare anche l’altro piede dalla scarpa per sentire il suo pene tra i miei piedi, completamente mio, ma, vista la situazione, dovetti accontentarmi di continuare a far scorrere il suo membro lungo il morbido collant che rivestiva la mia pianta.
Alberto era completamente sconvolto, ma fingeva di essere concentrato su quello che il mio capo gli raccontava, tanto che Roberto cominciò a divagare, cercando di non impegnarlo troppo nella conversazione.
L’affare d’altra parte era quasi concluso.
E anche il piedino che gli stavo facendo sotto il tavolo doveva concludersi. Ora sentivo gli spasmi del suo cazzo, movimenti ritmici e incontrollati. Sapevo che gli mancava poco a venire. Divaricai l’alluce e tesi la punta rinforzata della calza tra esso e il secondo dito. Poi lo poggiai sul suo glande scoperto e spinsi le dita verso il basso, in modo tale da avvolgerlo completamente nel nylon, come se fosse il suo prepuzio. Lo vidi impazzire quando cominciai a stringere la sua cappella turgida tra le mie due dita, mentre la calza avvolta attorno esercitava un delicato massaggio. Era rosso in volto e aveva la fronte sudata. Poi gli spasmi si fecero più intensi e dopo qualche istante sentii le mie dita bagnate da un caldo liquido che scorreva uscendo a fiotti lungo la pianta del mio piede impregnando la calza e gocciolando sul pavimento dal mio tallone. Schizzò per diversi secondi poi il suo viso teso si rilassò.
Mi regalò uno splendido sorriso che ricambiai.
Ritrassi il mio piede, zuppo del suo sperma (doveva essergliene uscito veramente tanto a giudicare da quanto le calze erano fradice), e non potei fare altro che infilarlo nella scarpa. L’avrei sicuramente rovinata, ma non potevo di certo togliermi le calze. Così mi rassegnai a buttare via uno splendido paio di decolté e stetti tutta la sera con il piede bagnato, comunque soddisfatta di aver fatto venire quell’uomo con i miei piedi!
La cena proseguì nel migliore dei modi ed è inutile dire che l’affare fu concluso molto positivamente.
Salutai Alberto sulla porta del ristorante, che promise di venire in ufficio a trovare Roberto al più presto per definire gli ultimi particolari dell’affare e mi ringraziò per la mia piacevole compagnia.
Io invece fui riaccompagnata a casa da Roberto.
“Domani mi racconti come hai fatto a convincere il sig. F. a concludere l’affare così in fretta!”, disse malizioso mentre scendevo.
“Scemo!”, gli dissi fingendomi irritata.
Già, a volte fa lo scemo, ma di certo è una persona che sa ricambiare i favori che gli si fanno.
Quando il giorno dopo mi recai in ufficio, trovai sulla scrivania un pacco regalo, che conteneva una scatola di Prada. Lo aprii: all’interno c’erano un paio di splendide decolté bianche, 37 e mezzo, accompagnato da un biglietto con i migliori ringraziamenti del mio capo.



Marta


LA MIA INIZIAZIONE





Visto i piacevoli commenti che ho letto oggi in ufficio dopo avervi raccontato della mia esperienza al ristorante e spinta dalle vostre richieste, voglio raccontarvi un’altro episodio in cui i miei piedini sono stati protagonisti. In particolare vi racconterò come mi sono resa conto di quanto potessero essere seducenti e di quanto mi piace sentirli al centro dell’attenzione di un uomo.
E’ successo circa 10 anni fa. Avevo 18 o 19 anni, non ricordo di preciso, dovrei guardare sul mio diario che ora non ho a portata mano. Era sabato sera e come mia consuetudine sono andata a ballare in una famosa discoteca di Milano (che ora purtroppo hanno chiuso!).
Ero andata con due mie amiche, Anna e Monica. Quella sera mi ero vestita in modo provocante, proprio perché avevo proprio voglia di qualche avventura: un top e una mini rosse, un paio di scarpe con i tacchi mai messe prima, rosse come il vestito, e un cappotto di lana anch’esso rosso…e, ovviamente, un paio di collant neri abbastanza pesanti (era inverno!).
La serata trascorse nel migliore di modi. Ballavamo e ci divertivamo quando qualche ragazzo veniva lì e ci provava, soprattutto con Monica, che tra di noi è sempre stata quella più carina. Tuttavia, malgrado avessimo ottenuto le avances di diversi tipi, tra di loro non c’era proprio nessuno che mi interessava particolarmente. Verso le due ero esausta. Avevo ballato per tre ore di seguito e i piedi cominciavano a farmi male, probabilmente non abituati alle mie scarpe nuove. Decisi di sedermi sui divanetti ai lati della pista e non appena mi adagiai sfilai i talloni dalle scarpe, facendo scivolare avanti e indietro i miei piedi avvolti nelle calze per trovare un po’ di sollievo. Ne estrassi prima uno e poi l’altro, accavallando ora l’una ora l’altra gamba, striando e contraendo le dita strette nella calza e roteando da una parte e dall’altra la caviglia. Erano proprio indolenziti!
Non appena li sentii un po’ rilassati li infilai nuovamente nelle scarpe e attesi ancora un po’ prima di rialzarmi, osservando Monica e Anna mentre parlavano e ballavano con tre ragazzi.
Ero assorta nei miei pensieri, con la musica che mi martellava nella testa, quando si sedette accanto a me un ragazzo che doveva avere circa la mia età, stranamente abbronzato per essere febbraio, che mi sembrò decisamente carino.
“Ciao!”, mi disse, “Posso disturbarti?”
“Certamente, mi sto riposando un po’!”, gli risposi sorridendo.
Incominciò a farmi alcune domande.
“Sei qui da sola?”
“No con le due amiche, sono quelle due’, gli dissi indicando Anna e Monica.
“Carine”, disse, “se solo le avessi viste prima!”
Ricordo che restai stupita a quell’affermazione e gli chiesi immediatamente cosa intendesse con quel ‘prima’.
“Prima di vedere te, naturalmente!”, mi rispose senza risultare banale, ma ostentando una grande sicurezza.
Era sfacciato e non aveva alcun timore di sembrare invadente, ma allo stesso tempo ci sapeva fare. Non tutti sono in grado di essere così audaci con due semplici parole senza sembrare volgari o scontati.
Risi e lui rise con me, sottolineandomi tuttavia quanto fosse serio e di quanto fosse convinto della sua affermazione.
Parlammo per una mezz’ora, anzi, urlammo, visto che non si riusciva a sentire quasi niente. Monica e Anna di tanto in tanto mi guardavano, lanciandomi occhiate di intesa e sorrisi maliziosi, che io ricambiavo stando attenta a non farmi scorgere dal mio nuovo amico, che non ho ancora detto, si chiamava Roberto (sì, proprio come quel pazzo del mio capo!).
Ballammo un po’ insieme, noi due soli, e trovammo spesso il contatto fisico, sempre comunque molto discreto. Vedevo che era attirato da me e ormai non mi toglieva più gli occhi di dosso, in particolare dalle mie gambe. Mentre ballavamo lo scorgevo spesso con lo sguardo fisso sulle mie caviglie, ma ancora io non ne potevo capire il motivo.
Ballammo e scherzammo fino alle 4.00, quando le mie due amiche vennero a dirmi che stavano per andare. Mi chiesero se volessi andare con loro, ma rifiutai, visto che Roberto si era già offerto di accompagnarmi a casa. Ci salutammo e dopo pochi minuti uscimmo anche io e Roberto.
Lo so, forse sono stata imprudente ad andare via da sola con uno sconosciuto, e in quel momento lo pensai più volte, ma mi sembrava un ragazzo per bene, molto gentile, sentivo di potermi fidare di lui.
Andammo diretti a casa mia e non appena vi arrivammo fermò la macchina nella via, parcheggiandola tra altre due. Non c’era in giro nessuno, non è una zona molto frequentata di notte.
Mi preparai a salutarlo e gli diedi il mio numero di telefono di casa (all’epoca non avevo ancora il cellulare!), ma lui mi prese delicatamente per un braccio e mi fermò.
“Sai una cosa? Hai due piedi fantastici!”, mi disse senza troppi complimenti come era sua abitudine fare.
Rimasi stupita da quell’affermazione. Nessuno aveva mai elogiato i miei piedi e mi sembrava strano che un uomo potesse essere attratto dai piedi di una donna. Come ero ingenua…
“E tu che cosa ne sai?”, gli risposi tuttavia in modo malizioso, “Non li hai neanche visti!”
“Questo lo dici tu! Ho visto quando ti sei seduta e li hai sfilati dalle scarpe ruotandoli e stirandoli! Non ho potuto resistere e sono venuto da te. Erano stupendi!”
“Erano solo indolenziti”, risposi tranquilla.
“E adesso come si sentono?”
Compresi quello che voleva e decisi di stare al gioco, benché mi sembrasse strano.
“Beh, ancora indolenziti direi”.
“Ti andrebbe un massaggio?”
Mi guardava serio. Lo guardai per qualche istante, poi, senza dire altro li sollevai e sfilai le scarpe lasciandole cadere sul tappetino della macchina; mi girai verso di lui, che stava seduto al posto di guida, e glieli misi in grembo.
“Non te ne pentirai!”, mi disse sospirando.
Poi incominciò ad accarezzarli, partendo dalle caviglie. Le afferrò con il pollice e l’indice e cominciò a scorrere avanti e indietro, facendole scivolare delicatamente sopra il mio collant.
Poi scese, afferrando con una presa decisa i talloni nei suoi palmi, quasi volesse saggiarne la cosistenza.
La sensazione era stupenda. Mi stavo rilassando, chiusi gli occhi e lo lasciai fare, senza muovere un muscolo.
Passò a massaggiare la pianta, premendo leggermente e facendo scivolare le sue mani aperte sopra le mie calze nere, morbide e lisce, accarezzando ora l’arco del mio piede ora il dorso. Poi afferrò con le sue dita le dita dei miei piedi: infilò delicatamente i suoi polpastrelli sotto le mie dita, spingendo leggermente la calza che opponeva resistenza e cominciò a tirarle leggermente. La punta delle mie dita premeva contro i suoi palmi e incominciai a muoverle leggermente, irrigidendole e puntandole contro la sua mano. Il suo viso mi diceva che gli piaceva. Continuammo quel massaggio per qualche minuto: non solo mi ero rilassata, ma cominciavo ad eccitarmi proprio.
“E’ bellissimo'”, gli sussurrai e un suo sorriso d’assenso mi fece capire che era anche lui soddisfatto.
Continuava a massaggiarli e per ringraziarlo decisi di giocare con lui: piegai il ginocchio destro sottraendo il piede alle sue mani e con un movimento molto lento lo poggiai contro il suo petto. Mi sorrise ancora, afferrandolo con entrambe le mani, avvicinandolo alla bocca bocca.
Non appena sentii le sue labbra avvolgere le mie dita nella calza un brivido mi percorse completamente e incominciai a muoverle nella sua bocca, spingendo il piede verso di lui, quasi desiderassi che lo inghiottisse sempre di più.
Succhiava forte il mio piede, con grande dedizione, facendo scorrere la lingua tra le dita avvolte dal nylon, senza mia estrarle dalla sua bocca.
Mi piaceva. Era una cosa strana, non avrei mai pensato di ritrovarmi in mezzo ad una cosa del genere, né che qualcuno fosse così ‘malato’ da farlo, ma mi piaceva terribilmente e non volevo che smettesse.
Sembrò capirlo. Estrasse il piede dalla sua bocca e cominciò a far scorrere freneticamente la sua lingua lungo la pianta, fino al tallone, mordicchiandolo e succhiandolo avidamente con le sue labbra, quasi volesse avvolgerlo tutto.
Era completamente assorto, non esisteva altro all’infuori del mio piede, come se tutto il suo mondo iniziasse e finisse lì. Ansimava e lo leccava e io godevo, mentre le mie calze erano bagnate della sua saliva e si erano incollate al mio piede, tanto che il nylon non scivolava più sulla mia pelle, ma vi sembrava tenacemente adeso.
Continuò a leccare il mio piede per diversi minuti, massaggiando con le mani la mia gamba, talvolta guardandomi malizioso negli occhi, per vedere le espressioni del mio volto.
Persa in quel paradisiaco massaggio non mi accorsi che erano ormai le 5.00: all’epoca vivevo con i miei e mi avrebbero fatto sicuramente storie.
Mi ridestai e tolsi senza troppa delicatezza il piede dalle sue mani.
“Scusami, ma devo proprio andare! E’ tardissimo, i miei mi ammazzano!”
“Mi dispiace, ti ho fatto fare tardi”, mi disse visibilmente dispiaciuto.
“Ma no, non è colpa tua solo che…”
“Solo che è stato troppo bello, vero?”
Non risposi, fu lui a parlare ancora.
“Ora vai”, disse scrivendomi su un foglio che aveva in macchina il suo numero di telefono, “E quando vuoi un massaggio speciale sai dove trovarmi”.
Presi il foglio e gli sorrisi.
Feci per mettere il piede nella scarpa, ma mi fermai,
“Ti dispiace chiudere gli occhi un attimo?”, gli chiesi.
Lo fece, intuendo quello che stavo per fare.
In un istante mi sfilai le calze e mi rimisi le scarpe, accartocciando i collant nella mia mano.
“Ora li puoi aprire”, gli dissi.
“Non avrai freddo?”, disse osservano le mie gambe nude.
“Non ti preoccupare, faccio una corsa!”, gli dissi ridendo.
“Ciao Roberto! Queste sono per te, tienile come ricordo!”, gli dissi ridendo, gettandogli le mie calze.
Non parlò, ma rimase pietrificato.
Mentre attraversavo la strada per raggiungere il cancello mi voltai un istante e vidi che se le era portate vicino al volto, come se le stesse annusando.
Sorrisi maliziosa tra me, mentre infilavo la chiave nella serratura.
Avevo scoperto la mia nuova passione: avevo scoperto quando è piacevole sentire le parti del corpo di un uomo a contatto con il mio piede e quando quella sensazione è forte e stimolante.
Volete sapere se rividi Roberto? Avete indovinato, lo vidi altre volte: Roberto che mi insegnò tante altre cose riguardo ai miei piedi, mi fece conoscere tante nuove sensazioni che si possono provare con i piedi e mi fece capire quanti uomini esistono con la sua stessa passione.
Ma questa è un’altra storia’



Marta


CONTRATTEMPO!





Bene, eccomi di nuovo qui a raccontarvi una nuova avventura. I vostri commenti mi spingono a scrivere ancora e sono felice che siate in tanti ad apprezzare i miei racconti.
Ci eravamo lasciati dopo che vi ho raccontato della mia “iniziazione”. Volete sapere come continua quella storia? Sono sicura che molti di voi saranno sicuramente curiosi. Bene…allora leggete quello che segue. Non andò proprio come speravo, ma non sempre le belle storie hanno un lieto inizio’
Nei giorni successivi alla serata in discoteca in cui conobbi Roberto, decisi di non chiamarlo per il momento. In settimana andai a scuola, (frequentavo l’ultimo anno delle superiori) e la mia vita procedette normalmente, secondo le mie abitudini.
Ovviamente Anna e Monica mi chiesero com’era andata a finire la serata, ma preferii non raccontare quello che realmente successe. Mentii dicendo loro che, dopo avermi riaccompagnata a casa, ci eravamo salutati senza che succedesse niente di particolare; dissi solo che ci eravamo scambiati il numero di telefono e che fino a quel momento non avevo ancora deciso se risentirlo o meno.
Tuttavia pensai spesso a quella strana vicenda. Nessuno dei precedenti ragazzi con cui ero stata mi aveva mai leccato i piedi, né aveva ma provato anche la minima passione per essi e mi chiesi più volte se Roberto fosse del tutto normale. Ma in fondo perché stupirsi? La gente ha perversioni di ogni genere! Certo, qualche massaggio sul divano di fronte alla televisione, piuttosto che in qualche momento di intimità l’avevo ricevuto, ma quella passione e quelle sensazioni che mi aveva fatto provare quel ragazzo erano proprio un’esperienza nuova: non mi era affatto dispiaciuto quello che aveva fatto, anzi, era stata una delle sensazioni più piacevoli che avevo mai provato.
Passò una settimana e fu di nuovo sabato; andai di nuovo con Monica e Anna nella stessa discoteca e mentre ero lì cercai spesso Roberto tra la gente , ma non lo scorsi. Per quel poco che ricordo la serata trascorse tranquilla, ci divertimmo e (quella volta!) tornammo a casa tutte e tre insieme.
Arrivò la domenica. Ero a casa da sola: i miei erano andati a trovare mia nonna che abita a vicino a Varese e non sarebbero tornati se non a sera tarda, come loro abitudine (state già immaginando come andò a finire, vero?).
Anna e Monica non c’erano e non sapendo come trascorrere il pomeriggio decisi di chiamare Roberto. L’idea di invitare a casa mia uno che era poco più che uno sconosciuto non mi piaceva moltissimo, ma pensai a come mi aveva trattata bene e ancora una volta decisi di fidarmi nuovamente di lui. Pensai che in fondo avrebbe potuto approfittare di me l’altra volta.
Composi il numero che mi aveva dato e dopo un paio di squilli rispose.
“Pronto?”
Era la sua voce.
“Ciao Roberto, sono Marta!”
La sua voce cambiò improvvisamente, colta da un impeto di sorpresa.
“Marta! Credevo che non ci saremmo più sentiti, non ti sei più fatta viva!”
“Scusami se non ti ho più chiamato, ma questa settimana sono stata impegnata!”
“Bene, allora, come stai?”
Decisi di tagliare corto; solo il suono della sua voce mi fece tornare in mente la serata trascorsa e mi fece venire una incredibile voglia di sentire i miei piedi di nuovo tra le sue mani e la sua lingua tra le mie dita.
“Ti andrebbe di venire a casa mia? I miei non ci sono e non tornano prima di sera.”
Era al settimo cielo e la sua voce non tradiva per nulla la sua eccitazione.
“Sono da te tra venti minuti!”, esclamò e mise giù.
Misi giù la cornetta anch’io e decisi di cambiarmi: indossavo la tuta e un paio di calzini bianchi di spugna: non era di certo quello che desiderava.
Mi spogliai completamente e mi infilai sotto la doccia senza bagnarmi i capelli (sono lunghi fino a metà schiena e non avrei fatto in tempo ad asciugarli per tempo), poi aprii il guardaroba e decisi di vestirmi in modo assolutamente anonimo, per mettere in risalto un unico particolare del mio corpo…anzi due! Indossai biancheria intima bianca e molto semplice e una T-shirt. Poi presi dal cassetto una confezione di collant nuovi, setificati, color carne, e mi sedetti sul letto. Arrotolai la morbidissima calza e vi infilai un piede, facendo scorrere il nylon dalle dita fino alla caviglia, per poi distenderlo lungo la gamba e la coscia. Mi accorsi che avevano la punta e il tallone rinforzati e osservando il piede mi parve che gli dessero un aspetto molto aggraziato. Infilai in quel morbido tessuto che adoro anche l’altro piede e l’altra gamba e mi alzai in piedi facendo aderire il collant anche ai miei glutei. Lo sistemai in vita e lisciai le calze, che emisero il loro classico fruscio sotto i palmi delle mie mani, finché non sentii il nylon aderire perfettamente alla mia pelle, così accogliente e avvolgente ogni centimetro delle mie gambe e dei miei piedi. Credo che sia una sensazione fantastica quella che si prova appena ci si infila un paio di calze di nylon, ci si sente avvolti completamente in qualche cosa di delicato, fresco, morbido. E’ difficile da descrivere, bisogna provare!
Ma sto divagando. Dopo essermi infilata le calze, indossai un paio di jeans e non feci in tempo a stringere la cintura che il citofono suonò.
Era Roberto.
“Sali pure”, dissi aprendogli, “quinto piano”.
Socchiusi la porta e attesi che arrivasse.
Ero scalza, ma decisi di restare così: di sicuro non gli sarebbe dispiaciuto!
Roberto arrivò, ci salutammo dandoci due baci sulla guancia e subito vidi il suo sguardo abbassarsi e rimanere fisso per qualche istante sui miei piedi ben poggiati al pavimento.
“Sono sempre meravigliosi!”, mi sussurrò guardandomi negli occhi.
“Grazie”, gli risposi, “ma che cosa ci trovi di tanto bello in un paio di piedi?”
Volevo capire e soprattutto volevo sentirlo parlare di questa sua passione, conoscerla. Mi è sempre piaciuto ascoltare le fantasie erotiche delle persone, soprattutto quelle più strane, tanto più che, questa volta, c’ero in mezzo proprio io.
“Non so spiegarti”, mi rispose, “ma è da quando sono piccolo che ho la passione per i piedi”.
In breve mi raccontò che la prima volta che si era eccitato era stato quando ad una recita scolastica le sue insegnati si erano messe a recitare scalze, perché dovevano fare dei salti e le scarpe sarebbero state d’intralcio. Strano, vero? Mi disse inoltre che aveva conosciuto la sua passione a poco a poco e che la sua prima, vera, esperienza era stata con una sua compagna di classe delle medie che lui aveva spinto a masturbarlo con i piedi mentre facevano i compiti insieme. Mi disse inoltre che non aveva avuto molte esperienze del genere, ma che le poche l’avevano eccitato terribilmente.
Un pizzico di gelosia mi colse, ma pensai che fosse normale che un ragazzo della sua età avesse già avuto delle esperienze sessuali con altre donne: sarebbe stato assurdo il contrario!
“Ora, però”, mi disse, “ho conosciuto te e devo dire che i tuoi piedi sono i più splendidi che io abbia mai visto”.
Ne elogiò poi la forma allungata, snella, mi disse che prediligeva quelli in cui il primo dito era più lungo del secondo e l’arco un po’ più pronunciato della norma, proprio come i miei, con un tallone arrotondato e con le caviglie sottili, ovviamente perfettamente curati! Disse che i miei piedi erano proprio quelli che immaginava se doveva pensare a dei piedi perfetti.
Mi sentivo imbarazzata e lusingata allo stesso tempo.
“Ma perché ti piacciono proprio i piedi? Che cosa ci trovi?”, gli chiesi dal momento che non aveva ancora risposto alla mia domanda.
“Ancora una volta non te lo so dire con precisione. C’è chi apprezza un bel seno, chi dei glutei rotondi e sodi, a me piacciono i piedi e ti garantisco che ci sono molti uomini come me, più di quanti tu possa immaginare. Non hai mai sentito parlare di questo tipo di feticismo?”.
Sorrise, probabilmente compiaciuto del mio interesse.
Non risposi e decisi di non porgli altre domande, non volevo rovinare quello che sarebbe sicuramente successo di lì a poco. Non volli sentire inutili descrizioni: sapevo bene che mi avrebbe fatto conoscere tutto facendolo insieme a me.
Senza dire altro afferrai le sue mani e arretrai trascinandolo verso di me, finché non raggiunsi il tappeto che stava in mezzo alla sala. Lasciai le sue mani, mi sedetti e rannicchiai le gambe poggiandomi sui gomiti, mentre lui si inginocchiò di fronte a me.
Gli sorrisi e lo fissai dritto negli occhi. Era visibile che si stava eccitando. Poi stesi la gamba verso di lui e delicatamente poggiai la punta del mio piede contro le sue labbra, proprio sotto il suo naso. Istintivamente si lasciò sfuggire un impercettibile bacio, che sfiorò le mie calze.
Premetti leggermente il piede contro le sue labbra dischiuse e cominciai a strusciare il mio alluce sotto il suo naso, da una parte all’altra, stringendoglielo talvolta tra le dita.
Roberto aveva chiuso gli occhi e si godeva il mio massaggio.
Da parte mia avevo una tremenda voglia di sentire la sua lingua percorrere di nuovo tutta la pianta del mio piede e le sue labbra succhiare le mie dita, proprio come quella sera, ma non avevo il coraggio di infilargli in bocca il piede in un modo tanto brutale. Continuai ad accarezzarlo con i piedi avvolte nelle mie calze color carne, estendendolo le carezze anche alla sua fronte, alle sue guance e al suo collo, stringendoglielo con entrambi gli archi dei miei piedi e poggiando i talloni sulle sue clavicole, mentre con le mie dita gli stimolavo le orecchie o la nuca. Scoprii quando era eccitante sentire i suoi morbidi capelli e la sua pelle che scivolavano lisce sotto i miei piedi avvolti dalle calze. Roberto stendeva il collo, ruotandolo lievemente, con gli occhi chiusi e un’espressione estatica.
Lo massaggiai finché non decise di iniziare a condurre il gioco. Afferrò delicatamente con le sue mani i miei piedi, li unì; poi infilò la lingua tra i miei alluci, leccando la loro parte inferiore avvolta nel rinforzo della calza. Un brivido mi percorse dalla punta dei piedi fino alla schiena, che si inarcò fuori dal mio controllo. Inarcai le dita dei piedi, sospirai profondamente e questa volta fui io a chiudere gli occhi. Massaggiava con i pollici le piante dei miei piedini, esercitando una forte, decisa e piacevolissima pressione, sempre tenendoli uniti, mentre la sua lingua scorreva da un mignolo all’altro soffermandosi per qualche istante su ognuna delle mie dita. Ero estasiata e non esagero a dirvi che stavo quasi godendo. Non sapevo se erano i miei piedi ad essere particolarmente sensibili o se fosse Roberto a saperci fare: sapevo solo che non avrei voluto essere altrove se non lì.
Tuttavia quel giorno la fortuna non fu dalla mia parte. L’idillio fu bruscamente rotto qualche secondo dopo dal citofono che suonò, come sempre capita in queste occasioni! Ancora una volta fui costretta a sottrarre i miei piedi dalle mani di Roberto in maniera per niente gentile.
Temevo che fossero i miei, ma allo stesso tempo pensai che non avrebbero citofonato, ma sarebbero saliti direttamente. Chi diavolo poteva essere?
“Scusami Roberto, devo vedere di chi si tratta!”
“Fai pure”, mi disse lui con la sua solita gentilezza, “non ti preoccupare”.
Presi il ricevitore e l’immagine di mia madre comparve sul videocitofono.
Fui colta da un sussulto.
“Ciao mamma, già di ritorno?”, dissi fingendo disinvoltura.
“Sì, siamo tornati prima! Marta, mi apriresti? E’ presto e papà è andato a trovare i suoi amici al bar e mi ha fatto scendere qui di fronte a casa: sono senza chiavi!”
Che fortuna nella sfortuna, pensai, altrimenti me li sarei ritrovati in casa, avrebbero scoperto Roberto insieme a me e mi avrebbero sicuramente fatto un sacco di storie e di domande (soprattutto mio padre!)
C’era ancora un po’ di tempo! Aprii in fretta la porta e mi rivolsi rammaricata a Roberto.
“Roberto, scusami, ma te ne devi andare subito, sta salendo mia madre”.
“Non preoccuparti Marta, non dire altro, capisco perfettamente.”
Mi sorrise e si avviò veloce verso la porta, dandomi un bacio sulla guancia.
“Grazie infinite!”, mi disse sull’uscio stringendo le mie spalle con le sue mani, “per quanto il nostro incontro sia stato breve è stato per me molto bello”.
“Anche per me”, gli dissi sorridendogli e spingendolo delicatamente verso l’uscio, “Ma ora va’. Ti chiamo appena sono libera!”
“Certo, aspetterò la tua chiamata!”, mi disse sottovoce precipitandosi giù dalle scale.
Fece appena in tempo.
Le porte dell’ascensore si aprirono subito dopo e comparve mia madre.
Parlammo un po’ di come avevamo trascorso la serata, poi mi ritirai in camera mia.
Ero frustrata per la traumatica interruzione, ma allo stesso tempo compiaciuta: non potevo farci niente, avrei solo dovuto aspettare la prossima occasione per rivedere Roberto e mi chiesi più volte che cosa avrebbe potuto farmi conoscere se non fossimo stati interrotti. Non lo potevo sapere, ma la risposta vi garantisco che la ottenni la volta successiva, quando finalmente lo potei rincontrare con molta più tranquillità!



Marta


IL PRIMO





Erano passati pochi giorni da quando Roberto era venuto a casa mia e l’avevo appena sentito per telefono. Sarei uscita con lui quella sera. Ricordo che non era sabato, ma un giorno della settimana e l’uscita aveva destato la curiosità dei miei, abituata ad uscire solo nel week-end. Dissi loro che sarei andata da Monica, la quale mi tenne il gioco telefonandomi e fingendo di attendermi a casa sua. Il prezzo che dovetti pagare fu di doverle raccontare che sarei uscita con Roberto; non che lei mi avrebbe tradito o sarebbe andata in giro a dirlo a mezzo mondo, ma non volevo che si sapesse troppo, soprattutto perché non era un rapporto normale quello che avevamo instaurato io e Roberto: direi piuttosto che era un rapporto morboso e perverso, che era nato da una perversione e che si stava sviluppando proprio in quel senso. Non che mi dispiacesse (anzi!), ma non volevo che Monica sapesse quello che effettivamente avevo fatto e avrei fatto con Roberto.
Comunque, per non dilungarmi troppo, vi racconterò come andò quella serata. Scesi e mi diressi a piedi in direzione della casa di Monica, che abita non molto lontana da me, e attesi sotto alla pensilina dell’autobus, dove avevo dato appuntamento a Roberto (sarebbe stato troppo rischioso aspettarlo sotto casa mia!).
Erano quasi le 20:30 e non si fece attendere. Dopo pochi minuti comparve la Golf rossa di Roberto e si fermò proprio di fronte a me. Aprii la portiera e salii.
“Ciao Marta, sei riuscita a raccontare qualche storia ai tuoi a quanto pare!”
“Certo Roberto, ci mancherebbe! Sai che non avrei mai rinunciato a questa serata!”
Un brillante sorriso si allargò sul volto di Roberto che di sicuro già pregustava la nostra serata di perversione.
“Allora”, gli chiesi, “dove mi porti di bello?”.
“Vedrai!”, mi disse partendo.
Parlammo di come avevamo trascorso i giorni da quando ci eravamo salutati, senza per nulla toccare l’argomento che ci aveva fatti conoscere.
Dopo aver vagato per dieci minuti per le strade della periferia di Milano, Roberto fermò la macchina sotto una palazzina.
“Seguimi”, mi disse scendendo dalla macchina.
Poi mi guardò.
“Come sei carina!”, mi disse poi squadrandomi da capo a piedi.
In realtà non mi sentivo molto carina, mi ero vestita in modo assolutamente informale. Un paio di jeans, una camicetta per niente scollata, un manglioncino di lana, una giacca a vento stretta in vita e un paio di scarpe da ginnastica, anche se che quella sera avevo una sorpresa per Roberto.
Roberto mi condusse all’interno della palazzina, prendemmo l’ascensore e raggiungemmo il quinto piano.
Poi estrasse un paio di chiavi e aprì una porta blindata, invitandomi ad entrare. Mi trovai in un salone arredato con ottimo gusto e perfettamente in ordine. C’erano un divano e due poltrone, con di fronte un tavolino, una televisione e un tavolo da pranzo abbastanza grande, con sei sedie attorno.
“E’ questa casa tua?”, gli chiesi prima di oltrepassare la porta.
“No, purtroppo non è casa mia. E’ la casa di un mio amico, che mi ha prestato le chiavi proprio per venire qui con te. Fa l’infermiere e spesso lavora di notte e questa sera è una di quelle”.
Non discussi ed entrai, notando che la casa era perfettamente in ordine, pulita in maniera quasi maniacale.
“Un tipo preciso il tuo amico!”, gli dissi mentre Roberto chiudeva accuratamente la porta.
“Sì, è uno che ci tiene all’ordine!”, esclamò ridendo.
“Vuoi qualche cosa da bere?”, mi chiese poi.
“No, grazie, non ho voglia di niente al momento”, gli risposi senza accorgermi che l’avevo invitato ad una facile battuta.
“Ah…non hai voglia di niente? E allora perché sei venuta qui con me?”
Sorrisi senza rispondere, non volevo stuzzicarlo troppo e avevo paura di rovinare tutto, rendendo rozzo quello che sarebbe sicuramente successo dopo.
“Va bene”, disse poi sorridendomi,”io vado a prendere qualche cosa in cucina. Accomodati pure!”
Dovevo cogliere l’occasione.
Appena Roberto si recò in cucina, tolsi il cappotto, il maglione e la camicia, le scarpe e i miei jeans, buttando tutto su una delle due poltrone che stavano accanto al divano.
Rimasi vestita solo della mia biancheria intima, che per l’occasione avevo scelto con cura, nera di pizzo, comunque non troppo trasparente, e ovviamente un paio di calze autoreggenti nere a vestire le mie gambe e i miei piedi.
Roberto tornò quasi subito, ma quando mi vide seminuda sul divano si bloccò, restando a bocca aperta con il bicchiere in mano.
Lo guardai seria, quasi sfidandolo, per provocarlo. La sua espressione era stupefatta e non faceva altro che osservare incantato il mio corpo seminudo, soffermandosi sui miei piedi e sulle mie gambe. Poi si avvicinò. Abbandonò il bicchiere sul tavolo da pranzo senza bere neanche un sorso e si inginocchiò ai piedi del divano, poggiando la testa proprio vicino ai miei piedini.
“Sei bellissima”, mi disse, “hai un corpo stupendo, proprio come immaginavo!”
Ero felice di piacergli, ma allo stesso tempo ero impaziente che cominciasse a giocare con me e soprattutto con i miei piedi.
Non dovetti attendere troppo.
“Ricominciamo da dove siamo stati interrotti'”, mi sussurrò dolcemente.
Cominciò a strusciare il suo volto contro il dorso dei miei piedi, che poggiavano sul divano. Mi sdraiai ancora di più, senza tuttavia privarmi della vista di Roberto che giocava con i miei piedi.
Cominciò a leccarli, estraendo completamente la lingua dalla bocca, facendola aderire per la maggior superficie possibile al dorso dei miei piedi avvolti dalle calze, scorrendo fino alle caviglie e salendo talvolta fino al ginocchio. Per facilitargli il compito inarcai le dita di entrambi i piedi e, come se fosse un invito, Roberto cominciò a succhiare anche quelle. Succhiava le mie dita con la solita passione, facendomi di nuovo provare dei brividi inebrianti. Talvolta afferrava con i denti la punta delle calze tirandola leggermente, facendo attenzione a non smagliarle, per poi lasciarla di nuovo aderire alle mie estremità e ricominciare a succhiare con passione le mie dita. Inarcai anche i piedi, mostrandogli le mie piante e offrendole alla sua lingua. Senza esitare le leccò assaporandole lentamente e ancora una volta fui colta da un sussulto. Adoro farmi leccare le piante dei piedi: sono la parte più sensibile delle mie estremità. Non mi causa solletico, ma mi provoca una sensazione di benessere e di piacere che si estende a tutto il mio corpo.
Continuò a leccare i miei piedi per diversi minuti e questa volta mi rilassai completamente, sapendo che nessuno ci avrebbe disturbati.
“Sei eccitato?”, gli chiesi ad un certo punto.
“Da morire!”, mi rispose senza troppe parole, continuando a leccarmi i piedi.
“Dimmi, che cosa vorresti fare?”, gli chiesi curiosa di vedere che cosa aveva in programma.
Smise di leccare i miei piedi e mi osservò, quasi studiandomi. Poi si alzò in piedi, di fronte a me.
Senza dire una parola slacciò la cintura dei suoi pantaloni e li sbottonò, lasciandoli scivolare leggermente. Poi abbassò con un gesto rapido i boxer e il suo pene svettò di fronte a me. Era bianco, come la sua carnagione, completamente in erezione, solcato da diverse venature azzurre, che lo facevano assomigliare ad un oggetto di marmo.
Era perfetto, di normali dimensioni, con il glande più largo dell’asta che si affusolato verso l’apice, quasi completamente ricoperto dal prepuzio, arricciato sulla punta, della quale era possibile intravederne solo una minima parte rosea solcata da un sottile orifizio longitudinale. Ad incorniciarlo un ciuffo di folti peli ricci alla base dell’asta e due grossi testicoli rotondi, ricoperti da una lieve peluria,
Continuava a guardarmi, cercando di capire se fossi attratta dal suo pene e se avesse commesso il più grande errore della sua vita. Ovviamente il suo gesto impulsivo avrebbe anche potuto far allontanare una ragazza, ma io mi ero spogliata per prima e di certo questo non poteva rappresentare che una sicurezza per lui.
Al contrario, non appena vidi quel cazzo in erezione subito mi eccitai e sentii la mia vagina bagnarsi di umori. Una cosa che mi eccita terribilmente è vedere un pene duro, indurito per me, indurito per merito o per causa mia. Basta la vista del pene per eccitarmi. In più il suo gesto forse anche brutale non aveva fatto altro che stimolare la mia voglia ancora di più: me l’aveva mostrato così, come per dimostrarmi quanto ero riuscita a farlo eccitare, quanto ero stata brava a farglielo diventare duro. Era un gesto sfrontato, forse anche volgare, ma sicuramente carico di un erotismo impareggiabile.
Era perfetto.
“Toccalo”, mi disse quindi con la sua solita semplicità.
Mi sbilanciai verso di lui e feci per afferrarlo con una mano, ma, quando già le mie dita lo stavano per circondare, lui afferrò il mio polso e me lo impedì.
“Con i piedi”, disse serio liberandomi dalla sua stretta.
Per un istante non seppi che cosa fare. Non avevo mai fatto una cosa del genere e non avevo la minima idea di come fare.
“Ma non so…io non ho mai…”, cercai di dire.
“Non ti preoccupare”, mi disse poi sorridendo, “lo so che non l’hai mai fatto, ma tu toccalo con i tuoi piedi, così, come ti viene”.
La mia ingenuità lo eccitava, ma questo lo compresi solo in seguito. La sua più grande perversione era vedere ciò che avrei fatto da completa inesperta, come avrei agito, cosa gli avrei fatto.
Come ho già detto, non avevo idea di cosa fare, ma provai. Allungai il mio piede destro verso il suo cazzo e con la parte anteriore cominciai a premerlo all’altezza del glande spingendolo con le mie dita contro il suo ventre. Non appena il suo membro venne a contatto con le mie calze, Roberto reclinò la testa indietro e cominciò ad ansimare.
Io, da parte mia, non appena sentii la consistenza di quella struttura cilindrica sotto le dita dei miei piedi, avvertii una terribile voglia di avere qualche cosa in mezzo alle gambe che riempisse la mia vagina. Il suo cazzo era bollente, solido e godeva, potevo sentirlo. Iniziai a premerlo e lascialo spingendolo contro la sua pancia, facendo in questo modo scorrere leggermente il suo prepuzio sul glande. Non mi resi conto che stavo stimolando una delle parti più sensibili del pene, tanto che dopo qualche istante sentii come un rantolo provenire dalla gola di Roberto e subito dopo un potente e corposo schizzo di sperma sprizzò di fronte a me, ricadendo sopra le mie calze, bagnandole dal dorso del mio piede fin quasi al ginocchio. Non smisi di stimolarlo con il piede, né diminuii il ritmo del mio massaggio e altri schizzi meno potenti eruppero dall’orifizio dalla sua cappella imbrattando anche la calza che copriva le mie dita e la gamba. Il liquido caldo che aveva inondato il mio piede non fece altro che portarmi verso un punto in cui non riuscii più a trattenermi e senza più fare caso a niente scostai le mie mutandine di lato alle labbra della mia vagina e cominciai a masturbare con due dita e con una foga incredibile il mio clitoride. L’orgasmo venne immediatamente, facendo tremare tutto il mio corpo, mentre Roberto mi osservava in silenzio con un’espressione di sconvolto godimento sul volto.
Mi abbandonai sul divano e Roberto si adagiò accanto a me, con il pene ormai flaccido e ricoperto di sperma.
Rimanemmo così per un po’ di tempo, tenendoci per mano, senza dire una parola. Stavo benissimo.
Passata una mezz’ora andammo in bagno a turno a sistemarci.
“Direi che anche questa volta ti regalerò una mia calza!”, gli dissi sfilandomi le autoreggenti ormai inutilizzabili.
“Non chiedo di meglio!”, disse prendendole e annusando quella ancora pulita.
“A proposito”, gli chiesi dopo esserci rivestiti, “che cosa ne hai fatto dei miei collant?”
Lo vidi per la prima volta imbarazzato.
“Vuoi proprio sapere la verità?”, mi chiese, sperando che gli dicessi di lasciar perdere.
“E’ ovvio”, gli dissi maliziosa.
Non rispondeva, ma potevo intuire che cosa ne avesse fatto.
“E va bene”, tagliai corto, “me lo dirai la prossima volta!”
Sorrise e mi riaccompagnò a casa, ovviamente dopo aver ripulito lo sperma che era caduto sul pavimento di fronte al divano.
Lo salutai baciandolo sulla guancia e pensai che era incredibile come non ci fossimo mai dati un bacio sulla bocca, ma ci fossimo spinti a fare certe cose.
Non ci pensai troppo. Salii in casa che erano ormai le 23:00 passate.
I miei stavano già dormendo e mi infilai nel letto soddisfatta.
Risi tra me, pensando che Roberto fosse la persona più perversa che io avessi mai conosciuto, ma non feci altro che ritenermi fortunata di averlo conosciuto.



Marta


PRENDENDO CONFIDENZA





Dopo la sera in cui avevo masturbato Roberto con i miei piedi (anzi, con il mio piede!), non riuscii a pensare ad altro che a lui. Mi ero in un certo senso affezionata alla sua presenza e al suo modo di rendere particolarmente eccitanti certe situazioni. Non posso dire di essere stata innamorata di lui, credo di non averlo ma amato, ma quello che sentivo era più che altro una sorta di fortissima attrazione, come se il piacere che era in grado di darmi fosse una sua esclusiva prerogativa, qualcosa che solo lui era in grado creare.
Uscimmo insieme il sabato successivo, questa volta insieme a Monica ed Anna, oltre che altre due nostre amiche, che si chiamavano entrambe Silvia.
Roberto era visibilmente compiaciuto di condividere la sua serata con ben cinque ragazze, per di più tutte carine, a parte Monica che è proprio bella.
Quella sera ricordo che andammo in un locale in centro, nei pressi di Brera. Era una serata gelida, credo che la temperatura fosse andata al di sotto dello zero, ed eravamo tutti ben coperti (anche i miei piedini!)
Ci sedemmo e iniziammo a parlare; non so dire con precisione di cosa parlammo (poco importa!), ma ricordo che Roberto fu subito il centro della nostra attenzione, non tanto perché fosse l’unico uomo presente, quanto perché si rivelò particolarmente brillante (e chi non lo sarebbe stato in mezzo a tutte noi!). Ci fece ridere molto con i suoi discorsi, ma di tanto in tanto, io pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto essere di nuovo da sola con lui e soprattutto lasciargli fare con i miei piedini tutto ciò che desiderasse.
Non sapevo come sarebbe andata a finire quella serata, ma sicuramente nei miei desideri sapevo benissimo come avrei voluto che si concludesse, non è difficile immaginarlo.
Presa da questa smania, decisi di provocarlo.
Roberto sedeva accanto a me all’estremità dal tavolo e solo l’angolo ci separava. Eravamo abbastanza stretti per via del tavolo non particolarmente grande ed io cominciai a strusciare la mia gamba vestita solo da un paio di calze nere abbastanza pesanti contro la sua coscia. Subito vidi il suo volto avvampare compiaciuto e dopo avermi lanciato uno sguardo d’intesa iniziò a spingere a sua volta contro il mio ginocchio.
Continuammo quello strano massaggio per diversi minuti, finché non mi venne una voglia incontrollabile di sentire il suo corpo a contatto del mio piede. Purtroppo quella sera avevo indossato un paio di stivaletti di pelle e non sarei mai riuscita a toglierli senza aiutarmi con le mani! Quindi, dal momento che avrei dato troppo nell’occhio, non potei far altro che resistere e mi rassegnai ad aspettare.
Tuttavia, più i minuti e le ore passavano più questa voglia aumentava dentro di me. Che cosa non avrei fatto per abbandonare i miei piedi alle sue mani, sentirle scorrere lungo le mie gambe fino ad avvolgere le mie estremità in un dolce e morboso massaggio.
Dovetti aspettare fino alla fine della serata.
Mentre uscivamo dal locale mi avvicinai a Roberto e senza farmi sentire dalle altre gli chiesi di accompagnare a casa me per ultima: annuì con aria innocente, benché sapesse bene che cosa l’avrebbe atteso assecondando questa mia richiesta!
Così fece. Dopo aver riaccompagnato a casa le due mie amiche (Monica e Anna erano con la loro auto), finalmente restammo da soli.
“Cosa facciamo?”, mi chiese stupidamente non appena le due ragazze furono scese.
“Beh, non dirmi che non hai idee in merito!”, gli risposi maliziosa, chiedendomi che cosa si sarebbe inventato.
“Che cosa vuoi io lo so…ma il problema è'”, mi disse guardandomi di traverso per osservare la mia reazione.
“Ah! Tu sai che cosa voglio in questo momento?”, lo provocai, “Sentiamo’dimmi che cos’è?”, lo provocai ancora.
Non rispose, ma si limitò a sorridere e mettere in moto e partire.
Non sapevo dove mi avrebbe portato, ma non mi posi troppe domande.
Viaggiammo per le strade di Milano quasi deserte, finché la macchina si fermò sotto casa dell’amico infermiere.
“Anche questa sera lavora il tuo amico, eh?”, gli chiesi come per avere una conferma sul fatto che non effettivamente non ci fosse.
“Sì, poveraccio, quanti turni!”, rispose ridendo.
“Non lo invidio per niente! Ma sono contenta che questa sera lavori!”
Rise ancora.
Salimmo in casa e non appena ebbi varcato la porta, mi afferrò tra le sue forti braccia e mi sollevò adagiandomi delicatamente sul divano.
Compresi che anche lui aveva la mia stessa voglia.
Quando fui sdraiata cominciai a spogliarmi, benché in casa non facesse particolarmente caldo. Rimasi vestita solo della mini e della mia camicetta.
Roberto mi guardava mentre mi spogliavo, osservando spesso le mie gambe, in trepidante attesa che scoprissi la parte del mio corpo che più sapeva eccitarlo.
Decisi però di concedergli questo onore: quand’ebbi finito alzai una gamba verso di lui, che, come se fosse un gesto scontato, afferrò il mio stivaletto e abbassò la zip facendo delicatamente scivolare il mio piede fuori dalla calzatura. Lasciò cadere lo stivale con un tonfo, dopo di che sollevò il mio piedino avvolto dalle calze nere fino all’altezza del suo volto e sfiorò con le labbra la pianta allargando le narici per annusarne l’odore.
Socchiuse gli occhi per un istante, finché gli porsi anche l’altra gamba e lui, come mi aspettavo, ripeté l’operazione.
Ero scalza e sapevo bene che il piacere stava per cominciare.
Si sedette sul divano, con i miei piedi poggiati sulle sue cosce, che io subito iniziai ad accarezzare con i miei piedi. Strusciavo la pianta dei miei piedi avvolta nelle calze sopra le sue cosce, accarezzandolo dalle ginocchia fino all’inguine e facendo ben attenzione a non sfiorare il suo pene, che il rigonfiamento dei suoi pantaloni non lasciava dubbi sul fatto che fosse già duro.
Mentre lo accarezzavo le mani di Roberto rimasero strette attorno alle mie caviglie, senza tuttavia impedire i miei movimenti. Anch’io ero eccitata nel sentire le sue cosce muscolose a contatto con i miei piedi e una sensazione di calma e di benessere pervadere tutto il mio corpo.
“Ti piace?”, gli chiesi in maniera retorica.
“E me lo chiedi?”, rispose lui sorridendo, “i tuoi piedi sono la cosa più eccitante del mondo!”
“E se smettessi?”, lo provocai ancora.
Mi guardò un istante, poi si alzò in piedi allentando la presa sulle mie caviglie; come aveva fatto l’altra volta estrasse in maniera spavalda il pene dai suoi pantaloni e lo svettò di fronte a me, dopo di che si spogliò completamente. Roberto era bellissimo, aveva la carnagione bianchissima, un fisico tonico e muscoloso, ma ancora una volta fu la vista di quel cazzo perfetto ad eccitarmi più di ogni altra cosa.
“Lo so che ti piace”, mi disse poi accorgendosi del mio sguardo privo di ogni pudore, “continuavi a guardarlo anche l’altra volta! Sei tu che non puoi smettere!”
E aveva ragione: la vista di un cazzo è in grado di ipnotizzarmi e il suo in quel momento lo faceva in maniera particolare. Senza dire altro mi avvicinai al suo corpo in modo tale che i miei piedi potessero raggiungere il suo inguine e li poggiai contro di lui, all’altezza della base del pene, facendo ancora una volta attenzione a non toccarlo.
Lentamente cominciai a muovere le dita avvolte dalle calze contro il ventre piatto di Roberto e mi accorsi che il suo bacino oscillava avanti e indietro ritmicamente, come se morisse dalla voglia di scoparsi i miei piedi.
Decisi di non farlo soffrire oltre, ormai capivo ciò che voleva.
Avvicinai le caviglie, facendo sì che il suo pene fosse a contatto con l’arco dei miei piedi. Finalmente era mio, sapevo che per lui, in quel momento, non esisteva altro che i miei piedi ed ora conducevo io il gioco: avrei potuto fargli fare qualsiasi cosa finché avessi accarezzato il suo cazzo con le mie calze.
Del resto era visibilmente estasiato e le spinte del suo bacino si fecero più vigorose.
Lentamente ritrassi i miei piedi scorrendo lungo tutta la sua asta, finché non raggiunsi il glande ancora per metà coperto dal prepuzio; a questo punto feci scivolare di nuovo i miei piedi lungo il suo cazzo nel senso inverso, facendo sì che il glande si scoprisse completamente.
La vista della sua cappella rosea, lucida e tesa, mi eccitò ancora di più.
“Continua…ti prego'”, fu l’unica cosa che riuscì a grugnire tra i denti.
Feci ciò che voleva: aumentai progressivamente la velocità, facendo sempre scorrere i miei piedi lungo tutta la sua lunghezza, mentre sue spinte divennero sempre più intense e cominciò ad ansimare.
Godeva, godeva come non mai, e quello spettacolo osceno mi eccitava terribilmente. Senza quasi che se ne accorgesse e senza smettere di masturbarlo, sollevai la mia gonna e abbassai le calze e le mutandine fino a metà coscia. Mi masturbai anch’io, facendo dapprima inumidire un dito tra le mie labbra per lubrificarle, per andare poi a farlo roteare intorno al mio clitoride turgido. Venni quasi immediatamente, un orgasmo intenso e rapido, ma non smisi di accarezzarmi, tanto che subito il piacere ricominciò a pervadere la mia vagina.
Notai che Roberto osservava ora un punto lontano, come se guardasse nel vuoto, e solo di tanto in tanto abbassava lo sguardo per osservare i miei piedi che lo scappellavano sempre più velocemente, con le dita contratte per il piacere che stavo provando. Stavo imparando e notai che i movimenti stavano diventando sempre più naturali.
Lo guarda ancora e mi accorsi che stava per raggiungere l’orgasmo anche lui: la sua cappella era diventata violacea, ancora più turgida di prima e il suo pene era tesissimo: prima di venire afferrò nuovamente le mie caviglie in modo tale da non permettermi più di muovere i miei piedini, che cominciò a scopare con un violenza incredibile. Faceva scorrere il suo cazzo sulle mie calze, intrappolando il glande tra gli archi dei miei piedi, che era divenuto così turgido che il prepuzio non era più in grado di ricoprirlo.
Ansimava sempre più forte: improvvisamente afferrò con una mano il suo cazzo masturbandosi con frenesia, mentre con l’altro reggeva entrambi i miei piedi facendoli poggiare contro il suo palmo. Non dovetti attendere molto che dal suo membro esplosero dei forti getti di sperma che inondarono i miei piedi e le mie calze: sentii il suo sperma colare lungo il dorso dei miei piedi e sulle dita, mentre Roberto, strusciava blandamente il suo cazzo che sulle mie calze.
“Grazie!”, mi disse poi sorridendomi.
Poi si inginocchiò di fronte a me, togliendomi le calze e le mutandine. Rimasi nuda, con la gonna sollevata, con le gambe e la mia vagina aperta di fronte a lui. Non sapevo che cosa volesse fare, ma non mi importava: sapevo che avrei provato solo piacere! Chiuse gli occhi e arrotolò la calza, come se dovesse indossarle; poi l’avvicinò alla punta del pene ancora duro e, dopo aver avvolto il glande in quel morbido tessuto, la srotolò come se stesse indossando un preservativo, attento a far aderire con cura ogni centimetro della pelle del suo cazzo alla calza. In questo modo riprese a masturbarsi, mentre la sua testa si abbassava verso di me adagiandosi tra le mie gambe.
Improvvisamente sentii la sua lingua farsi strada tra le labbra della mia vagina; stavo godendo come non mai tanto che ormai fuori controllo ricominciai a masturbare il mio clitoride, mentre la sua lingua mi penetrava come se fosse un cazzo.
Quando venni la mia schiena si inarcò e non riuscii a trattenere un piccolo urlo; fui costretta a scostare la sua testa, ritrovandomi infastidita dalla sua lingua che stimolava la mia carne divenuta ora troppo sensibile per resistere a quelle carezze.
Quando si alzò vidi la sua mano che si muoveva ancora veloce sopra il uso cazzo, facendo tendere il collant sopra il suo glande ogni volta che lo scappellava.
In quel momento compresi che cosa doveva aver fatto con le calze che gli avevo regalato e, ormai conscia di cosa fare per dargli piacere, appoggiai le dita del mio piede nudo sul suo polso, costringendolo ad allentare la presa. Poi ricominciai a masturbare il suo cazzo avvolto nella calza con le piante dei miei piedi, proprio come prima.
Roberto urlava dal piacere, senza più alcun freno o controllo, come se fosse un animale.
Mi resi conto di quanto lo stavo facendo godere, ero in grado di sentirlo, certa che se gli avessi fatto penetrare la mia vagina in quel momento, non avrebbe provato lo stesso piacere. Cominciavo a capire che cosa rappresentassero i piedi di una donna per Roberto e decisi che avrei l’avrei fatto impazzire: in fondo ero lì per quello.
Mossi velocemente il suo pene tra i miei piedini nudi e in breve sentii le calze divenire ancora più umide di prima. Roberto stava venendo, il suo cazzo pulsava e un denso liquido caldo e biancastro trasudò attraverso il nylon proprio nel punto in cui doveva esserci l’orifizio del suo glande.
Mi abbandonai di nuovo sul divano e Roberto fece lo stesso, sdraiandosi sul pavimento.
Ero sconvolta, lui ancor più di me, e rimanemmo così per molto tempo.
Quando ci riprendemmo eravamo felici, spensierati, come se venissimo da un mondo incantato, come se nelle nostre vite non esistesse più alcun problema. Eravamo felici, semplicemente felici.
Non parlammo quasi sulla strada del ritorno, non avevamo proprio bisogno di niente.
“Ciao Marta!”, mi disse semplicemente quando fummo sotto casa mia.
“Ciao Roberto…e’a presto!”, gli risposi con un dolce sorriso.
Poi salii in casa e quando fui nel letto pensai ancora a lui.
Era incredibilmente, pensai, era incredibile che non ci fossimo mai baciati…



Marta


WEEKEND AL MARE





Eccomi di nuovo qui a scrivervi. Questa volta vi racconterò una vicenda capitatami proprio lo scorso fine settimana. Giovedì scorso sono stata invitata da una mia collega di lavoro di nome Elisabetta a trascorrere con lei un paio di giorni a Forte dei Marmi, dove possiede una casa.
Lei ha due anni più di me ed è fidanzata con Luca, un architetto abbastanza famoso, che in questo periodo è in Cina per lavoro.
Siamo partire il venerdì sera, subito dopo essere uscite dal lavoro e verso mezzanotte eravamo a destinazione. Ovviamente eravamo entrambe abbastanza stanche, sia per la giornata lavorativa che per il viaggio, e andammo a letto quasi subito.
Solitamente quando andiamo in vacanza dormiamo nello stesso letto e anche questa volta non andò diversamente, ma inevitabilmente, prima di addormentarci, ci mettemmo a parlare (siamo due donne’!) e non ci addormentammo non prima di un’ora.
I nostri discorsi divagarono tra il suo rapporto con Luca (devo dire veramente invidiabile!), il mio status di eterna single e, immancabile tra i nostri argomenti, Roberto (non il primo amante dei miei piedi, bensì l’altro…il mio capo!); spesso infatti parliamo di lui, perché, benché lo trattiamo spesso con sufficienza (anche se sempre con estremo rispetto), in fondo è un tipo tutto sommato interessante (e lo si capisce dal numero di donne cha ha sempre attorno!) e, se proprio devo essere sincera, se non avesse il grosso difetto di essere il mio capo non mi dispiacerebbe conoscerlo un po’ meglio…
Comunque il giorno seguente ci preparammo e ci recammo in spiaggia.
Andammo al bagno abituale in cui va da una vita Elisabetta, ci spogliammo restando in bikini e ci sdraiammo sotto l’ombrellone, rigorosamente chiuso per non perdere neanche un raggio di sole!
“Finalmente un po’ di relax!”, dissi ad Elisabetta, veramente soddisfatta di essere lì-
“Sì, ci voleva proprio”, mi disse compiaciuta, “e chissà quanti ragazzi attirerai!”
“Non scherzare”, gli dissi io fingendomi seria, “per una volta tanto ti garantisco che sono venuta qui solo per rilassarmi!”
“Vedremo…”, mi rispose Elisabetta con l’aria di chi non ci crede.
Tuttavia, devo dire che le sue parole furono quasi profetiche. Non dovetti aspettare molto. Mi ero alzata per andare a prendere una boccata d’aria in riva al mare, dal momento che erano ormai le 11:00 e cominciava a fare veramente caldo. Anche la sabbia scottava e provai una fastidiosa sensazione di bruciore alle piante dei miei poveri piedini quando vi vennero a contatto.
Affrettai quindi il passo e non appena fui sul bagnasciuga mi precipitai ad immergerli nell’acqua, trovando subito un piacevole giovamento.
“Come vai di fretta!”, mi disse ridendo un uomo che quasi avevo urtato.
“Mi dispiace”, gli dissi scusandomi, “non intendevo urtarla, ma la sabbia è proprio rovente e mi stavo scottando i piedi!”
Rise.
“Sì, a quest’ora non è proprio piacevole camminare a piedi nudi sulla sabbia!”, e continuò in maniera innocente, “vorrà dire che quando avrà terminato il bagno dovrà farsi portare in braccio da qualcuno fino all’ombrellone!”
“Non sarebbe una cattiva idea, ma non avevo intenzione di fare il bagno! Sono venuta qui solo per prendere una boccata d’aria! Non si respira sotto l’ombrellone!”
“Comunque”, osò a quel punto l’uomo allungandomi la sua mano destra, “io sono Marcello! Piacere! Possiamo darci del tu?”
Strinsi la sua mano, dicendogli il mio nome e cominciai a parlare con lui scoprendo che aveva 36 anni e che era un avvocato di Firenze. Mi trovai subito bene con lui: aveva la battuta sempre pronta per ogni mia affermazione, era simpatico senza essere mai invadente o offensivo e molto attento ad ogni mia parola o gesto: mi accorsi immediatamente che il nostro incontro non era stato proprio casuale, né, tanto meno, disinteressato (non che la cosa mi turbasse!).
Marcello non era particolarmente bello, aveva un fisico normale (niente muscoli ‘strapompati’, tanto per intenderci!), ma comunque abbastanza in forma. In più aveva qualche cosa di particolare che mi attirava, una sorta di fascino magnetico, e sicuramente era una persona molto colta, proprio come piacciono a me.
Non potei non sentirmi attratta da lui, che evidentemente ci sapeva proprio fare con le donne, e cominciai ad ascoltarlo quasi assorta.
Non sto a dirvi che parlammo per più di un’ora immersi fino alle ginocchia nelle onde che morivano sulla spiaggia, finché Elisabetta non ci raggiunse chiedendoci se volessimo qualche cosa da mangiare.
Decidemmo di andare a pranzare tutti insieme, ma dovemmo attendere qualche minuto Marcello che si era recato al suo ombrellone a prendere il suo portafogli.
“Hai fatto conquiste, eh?”, mi chiese curiosa Elisabetta.
“Sì, un tipo interessante!”, le risposi attendendo un suo commento.
“Se lo dici tu! A me non è che ispiri più di tanto, non è niente di speciale! Ma se piace a te'”
“Vedrai che non appena lo conoscerai un po’ cambierai idea!”.
Così fu. Mangiammo e il tempo trascorse piacevolmente in compagnia di Marcello. Terminato il nostro spuntino Elisabetta tornò a prendere il sole, mentre noi due restammo al tavolo del bar dietro la spiaggia dove avevamo mangiato e scoprii, con mio rammarico, che sarebbe partito quella sera stessa per via del suo lavoro. Fui dispiaciuta di apprendere la notizia in quel modo, perché già immaginavo di trascorrere con lui anche la domenica, ma cosa potevo farci? Niente, se non approfittarne subito!
Avevo già in mente il da farsi. Tornammo al nostro ombrellone e parlammo con Elisabetta fino alle 16:00, poi lo invitai a fare il bagno. Elisabetta ci disse che preferiva non immergersi in acqua perché non era “il momento giusto” e così andammo (come speravo!), da soli.
Non appena fummo in acqua cominciai a scherzare con lui, schizzandogli l’acqua.
“Sei proprio tremenda mi disse!”, schizzandomi l’acqua a sua volta.
A questo punto era fatta.
Stando al gioco mi avvicinai verso di lui, cercando di afferrargli le mani per farlo smettere. Iniziò così una sorta di lotta, dove i nostri corpi vennero in contatto più volte e la mia voglia di andare oltre quel semplice contatto si fece più intensa. Inoltre notai che Marcello gradiva il gioco: era fatta.
Quando uscimmo dall’acqua gli dissi che sarei andata a cambiarmi il costume e lo pregai di accompagnarmi per tenere chiusa la porta, raccontandogli che una volta ero stata spiata da un guardone e non volevo che si ripetesse (cosa che effettivamente mi è capitata!)
Marcello rise, probabilmente senza crederci, ma stette al gioco. Presi il costume di ricambio ed entrai nella cabina, mentre lui rimase fuori. Attesi qualche istante, poi mi tolsi il bikini e restai completamente nuda.
Quindi lo chiamai, socchiudendo la porta.
“Scusami, Marcello, non saresti così gentile da andare a prendere la crema all’ombrellone e aiutarmi a metterla sulla schiena? Dopo il bagno si è lavata via tutta!”
Non se lo fece ripetere due volte: in un istante fu di ritorno con la crema ed entrò.
Ero completamente nuda e un brillante sorriso gli comparve quando se ne accorse. Il suo guardo si soffermò sui miei seni per poi scendere fino ai miei piedi.
“Chiudi!”, gli dissi in fretta.
Poi lo afferrai per le spalle e lo feci sedere sullo sgabello che stava nell’angolo della cabina. Mi avvicinai a lui e gli afferrai la testa con entrambe le mani spingendola verso il mio pube coperto da una morbida peluria.
Marcello inspirò profondamente inebriandosi con l’odore della mia vagina: doveva piacergli, dal momento che respirò profondamente più volte. A questo punto sentii le sue mani avvicinarsi alle mie natiche e afferrarle con forza divaricandole. Ero eccitata e Marcello anche, tanto che vidi il suo costume divenire incapace di contenere la sua erezione. Divaricai quindi le mie gambe lisce e perfettamente depilate, permettendo alla sua lingua di leccare la mia vagina. Stavo godendo e cominciai a premere la sua testa con sempre più forza contro il mio sesso; da parte sua Marcello contrasse i muscoli della sua lingua, facendola diventare dura come doveva essere il suo pene, e cominciò a leccarmi con ancora più vigore, come se volesse trapassarmi. Leccava il mio clitoride lentamente, ma calcava con la punta della sua lingua fin quasi a causarmi una punta di fastidio. Stavo godendo.
Marcello faceva fatica a leccarmi in quella posizione, costretta a reclinare all’indietro il suo collo in maniera decisamente fastidiosa. Per questo, dopo qualche minuto si sedette per terra poggiando la nuca sopra lo sgabello. Non attesi oltre e accolsi il suo invito: allargai le gambe flettendomi leggermente sulle ginocchia e avvicinai la vagina al suo volto. Ancora una volta Marcello afferrò le mie natiche a piene mani e tirò con forza il mio bacino verso la sua faccia, cominciando a leccare la mia vagina, estendendo il più possibile la sua lingua e facendola roteare all’interno della mia vagina, sempre calcando con la lingua contratta; poche volte me l’hanno leccata in quel modo: di solito gli uomini che lo fanno tendono ad essere più delicati, ma in questo modo Marcello era in grado di trasmettermi un senso di forza, di passione e possesso, che non faceva altro che farmi venire voglia di abbandonarmi ancora di più a lui.
Le labbra della mia vagina bagnata erano ora separate e dilatate e in maniera ormai incontrollata muovevo il bacino avanti e indietro, strusciandole contro la sua lingua, il suo naso e la sua pelle; in questo modo accarezzavo e bagnavo con i miei umori il suo volto, usando la parte più morbida e delicata di me.
Provai un orgasmo fortissimo e a fatica riuscii a mantenermi in piedi tanto le mie gambe tremarono, ma Marcello mi sostenne, sempre stringendo forte le mie natiche nei suoi palmi.
Quindi mi allontanai da lui, che mi osservava serio, sempre seduto per terra; volli provare la mia sensazione preferita e allungai il mio piede destro contro il suo petto scendendo lentamente verso il suo membro vistosamente turgido. Ovviamente avevo tolto la sabbia dai miei piedi prima che lui entrasse grazie ad un asciugamano ed ora erano perfettamente puliti. La sensazione del suo petto coperto da una morbida peluria a contatto con il mio piede mi fece subito impazzire: sentivo i suoi peli leggermente ricci stimolare delicatamente la pianta del mio piede e lo mossi accarezzandolo dolcemente, solleticando così anche le mie dita.
Non credo che Marcello avesse una passione per i piedi femminili, ma mi lasciò fare.
Quando raggiunsi il suo inguine posai il mio piede destro sulla sua coscia e lo feci scivolare verso l’alto facendomi strada nella gamba del suo costume. Feci fatica a raggiungere il suo pene, per via della retina del costume, ma dopo diversi tentativi riuscii a sollevarne il bordo con le dita e finalmente sentii la consistenza del suo membro duro proprio contro la punta delle mie dita. Purtroppo non potei introdurlo oltre per non rischiare di strappargli il costume e così iniziai un delicato massaggio ai suoi ruvidi e tondi testicoli contraendo le mie dita sopra di loro.
Marcello era stupito, gradiva il mio piedino, ma probabilmente era la prima volta che riceveva un simile trattamento, e, incuriosito, non mi interruppe in alcun modo.
Dopo avergli massaggiato i testicoli per qualche minuto sfilai il mio piede dal suo costume e sempre usando le dita afferrai l’elastico che lo cingeva in vita, inarcando il mio piede. Quindi tirai il costume verso di me, che senza fatica scivolò lungo le sue cosce, mettendo in mostra il suo pene in erezione. Non era di dimensioni particolarmente importanti, diciamo che stava nella media, ma era ben fatto e completamente scappellato. Come sempre, vedere un glande così oscenamente e spudoratamente scoperto non fece altro che eccitarmi ancora di più, tanto che non resistetti oltre e fui costretta ad avere un contatto con la sua erezione: poggiai il mio tallone sui suoi testicoli e adagiai la pianta del mio piede lungo il suo cazzo. Il glande arrivava poco al di sotto delle mie dita e mi bastò contrarle leggermente per iniziare a stimolarlo.
La sua cappella era umido alla sommità e notai che alcune gocce di sperma erano colate sulle pelle del mio piede. Il mio massaggio, per quanto rudimentale, ebbe i suoi effetti; stringevo il suo glande tra le mie dita, lo stringevo e lo lasciavo, lo stringevo e lo lasciavo, ripetutamente, e mi accorsi che subito le prime stimolazioni divenne ancora più duro.
Pensai come ad alcuni uomini dia fastidio il contatto diretto del glande con i miei piedi,mentre altri lo gradiscano senza problemi: credo che dipenda dalla sensibilità soggettiva.
Comunque volevo giocare ancora con il suo cazzo: posai le mie dita alla sommità della sua asta, proprio sotto il glande, e, spingendo delicatamente due o tre volte la pelle verso l’alto, feci in modo che il prepuzio andasse a ricoprire la sua cappella quanto più possibile. Poi poggiai la parte anteriore del mio piede alla base del suo pene, proprio sopra l’attaccatura dello scroto, e cominciai a masturbarlo velocemente con un movimento rotatorio, in modo tale che il prepuzio scorresse avanti e indietro. Notai Marcello godeva, ma mi compresi subito che non era lo stesso modo in cui avrebbe goduto un uomo con la passione per i piedi di una donna. Godeva solo per la stimolazione meccanica che stavo esercitando, ma mancava tutta quella componente psicologica propria di un adoratore dei miei piedi. Non aveva perso la testa, non provava l’irresistibile istinti di prendere il mio piede per ricoprirlo di baci e leccarlo, non sentiva quella sensazione più intensa ed eccitante di una penetrazione.
Non mi sbagliavo. Dopo qualche istante infatti Marcello mi fermò, afferrando il mio piede con una mano e scostandolo. Poi si alzò in piedi e avvicinando delicatamente le sue mani sulle mie spalle mi spinse verso il basso, dopo aver intrecciato per qualche istante la sua lingua, che sapeva di me, con la mia. Compresi ciò che voleva e mi accovacciai ritrovando il suo pene di nuovo scappellato a due centimetri dal mio naso. Cominciai a baciarlo alla sua sommità, dapprima sfiorandolo in maniera quasi impercettibile, poi schiudendo le mie labbra di volta in volta sempre di più, così da farvi penetrare ad ogni bacio una superficie maggiore della sua cappella liscia, per poi farla scorrere fuori stringendola forte fra le labbra. Dopo aver ripetuto l’operazione per diverse volte mi ritrovai ad inghiottire il suo pene per metà e lì mi fermai trattenendolo nella mia bocca. Il suo cazzo aveva un buon sapore maschio e deciso e incominciai ad aspirare lentamente, sempre senza farlo mai uscire, mentre le mia lingua roteava intorno al solco che divideva il glande dall’asta.
Marcello cominciò ad ansimare, tuttavia debolmente, forse per paura che qualcuno di fuori lo sentisse; poi, senza neanche avvertirmi e senza che avessi alcun segnale premonitore, sentii un forte getto di sperma salato inondare il fondo della mia lingua e la mia gola, riempiendomi a più riprese le guance, tanto che, in breve, non riuscii più a contenere il liquido denso e lo lasciai colare lungo il suo cazzo coprendolo di sperma e saliva dall’apice fino ai testicoli. Lo tenni in mia bocca fino all’ultimo spasmo, poi mi allontanai da lui che si adagiò sfinito e sconvolto sullo sgabello, facendo colare sul mio mento gli ultimi spruzzi di sperma che mi aveva depositato in bocca.
Avevo fatto un pompino ad uno sconosciuto, una cosa che mi è capitato raramente di fare. Tuttavia non fui completamente soddisfatta, forse perché non avevo ricevuto la degna attenzione nei confronti dei miei piedini, alla quale Roberto tanti anni fa mi aveva abituata e che, ancora oggi, non riesco a fare a meno.
Non so, è strano, non riesco a godere a pieno se i miei piedini non sono coinvolti.
Ma questo lo scoprirete meglio continuando a leggere quello che presto vi scriverò.



Marta


UN INCONTRO INATTESO





E’ tanto tempo che non scrivo più una riga circa le mie vicende, ma sono stata molto impegnata in questi mesi. No, non voglio andare per le lunghe: ho una nuova esperienza da raccontare, una vicenda avvenuta pochi giorni fa.
Era lunedì, la giornata per me più tragica, dal momento che durante il weekend non riesco mai a recuperare le ore di sonno perse durante la settimana, perché, avendo l’abitudine di svegliarmi presto, mi è ormai impossibile riuscire a dormire altre le 8.00.
Era metà pomeriggio ed ero seduta alla mia scrivania, a sistemare certe noiose fatture per il mio capo. Roberto (il mio capo) sarebbe tornato l’indomani e mi aveva lasciato un bel po’ di lavoro da fare, come sua abitudine.
Stavo lavorando tranquillamente quanto entrò un cliente. Dapprima non lo riconobbi, ma dopo che si fu avvicinato, una scossa di eccitazione percorse il mio corpo e, senza essere vista, abbassai immediatamente lo sguardo sulle mie fatture. Indovinate chi era? Il famoso Alberto, il tizio che avevo masturbato al ristorante un bel po’ di mesi fa, ricordate?
Alberto si fermò di fronte alla mia scrivania, senza parlare, attendendo che alzassi la testa dai miei fogli.
‘Buongiorno! In cosa posso aiutarla?’, gli dissi fingendo di non riconoscerlo.
‘Buongiorno Marta, dico bene?’, mi chiese pronunciando il mio nome, quasi volesse impressionarmi con il fatto che se lo ricordasse ancora ‘come stai?’.
‘Ci conosciamo?’, dissi fingendomi irritata da quel tono di eccessiva confidenza.
‘Non dirmi che non ti ricordi di me, Marta!’, esclamò sorridendo, ma lasciando trasparire un fuggevole barlume di delusione sul volto.
‘No’, gli dissi semplicemente, ‘non mi pare che sia un cliente abituale’.
‘No infatti non ci vediamo da molto’, disse Alberto cercando di spiegarsi, ‘la prima e l’ultima volta che ci siamo incontrati eravamo a cena con Roberto”, fece una pausa poi continuò, ”una cena molto speciale!’
Decisi di proseguire oltre con il mio gioco e, mentre allungai una gamba dalla scrivania mostrando ad Alberto il mio piede che calzava una scollata ballerina, pensai che non sarebbe stato male agire con malizia.
‘Veramente non ricordo!’, continuai fingendo, ‘Ma perché quella cena è stata tanto speciale?’
Alberto era visibilmente imbarazzato e non sapeva che cosa rispondere.
‘Beh, il mio nome è Alberto F’, ma se non ti ricordi, non importa’anche se non ci credo!’, disse abbassando lo sguardo, notando in quel momento la mia ballerina.
Ne approfittai per farlo eccitare e contraendo le dita del piede feci in modo che la ballerina scivolasse dal tallone, mettendo in mostra quasi tutto l’arco e il dorso del piede, restando a penzolare sorretta dalle sole dita proprio sotto il suo sguardo.
Alberto deglutì, piacevolmente stupito e visibilmente interessato allo spettacolo che stavo inscenando sotto i suoi occhi; poi, rapidamente, distolse lo sguardo da quell’oggetto di desiderio guardandomi in volto, cercando di dissimulare l’interesse.
‘Devi scusarmi’, replicai, ‘ma il capo mi porta così spesso a cene di lavoro che faccio fatica a ricordare tutti i volti, soprattutto se è passato tanto tempo!’
Mentre pronunciavo queste parole, decisi di agire: i miei piedi avevano proprio voglia di una bella leccata. Io stessa ero stanca e quando sono stanca basta un bel massaggio ai miei piedini o, meglio, sentire la lingua di un uomo tra le mie dita e lungo tutto la superficie del piede, che subito la stanchezza comincia a svanire.
Per farla breve, estesi ancora di più la gamba e, volontariamente, feci in modo che la scarpa cadesse lontano dal mio piede, in modo da non poterla recuperare in altro modo che non fosse alzandosi.
Subito Alberto abbassò lo sguardo, come per accertarsi da cosa fosse stato originato quel leggero tonfo. Il mio piede era nudo, completamente nudo, sotto i suoi occhi e si muoveva verso la scarpa ‘accidentalmente’ caduta allungando, divaricando e contraendo le dita, nel tentativo di recuperarla.
Alberto, ancora una volta, come usanza di molti amanti dei miei piedi, distolse lo sguardo cercando di mostrarsi disinvolto, ma proprio in questo modo mi dimostrò quanto invece fosse vero il contrario: il mio piede nudo lo aveva eccitato e sapevo bene che ad un minimo cenno non avrebbe esitato a gettarsi in ginocchio per leccarlo.
‘Non preoccuparti per la cena, se non ti ricordi”, stava cercando di replicare per l’ennesima volta, quando il mio piede urtò la sua gamba.
‘Scusami!’, gli dissi fingendo che quel contatto fosse stato accidentale, ‘Pensa che stupida! Non riesco a recuperare la scarpa!’, continuai ridendo.
‘Se vuoi i posso aiutare’, disse chinandosi senza farselo ripetere due volte, dopo che gli ebbi mostrato un gesto d’assenso.
Afferrò la scarpa in mano e l’avvicinò al mio piede, come per farmela calzare, ma, con sua enorme sorpresa, si trovò la pianta del mio piede distesa sulla sua faccia. Dal momento che era rimasto immobile, come pietrificato, cominciai a muovere lentamente e con movimenti quasi impercettibili il mio piede da destra verso sinistra., Alberto, credo istintivamente, afferrò il mio piede con entrambe le mani e dopo aver scostato il suo volto di qualche centimetro, cominciò a leccare senza alcun ritegno l’intera pianta del mio piedino, dal tallone fino alle dita, succhiandole delicatamente una per volta e facendo scorrere la lingua tra una e l’altra.
A quel fortissimo contatto, sentii la mia vagina bagnarsi e provai una forte sensazione di calore tra le cosce; l’improvviso incontro con la sua pelle e con la sua lingua mi aveva fatta avvampare, tanto che se solo mi fossi sfiorata il clitoride con un dito, sarei venuta all’istante.
Reclinai la testa e mi lasciai scivolare lungo la sedia, allungando il mio piede ancor più verso di lui.
Il nostro discorso si era interrotto, quando di colpo si alzò, guardandosi attorno.
‘Scusami, ma non ho resistito!’, esclamo quasi scusandosi, mentre si allontanava dal mio piede.
Gli sorrisi in maniera strana senza dire una parola, tanto per confondergli ulteriormente le idee.
‘Vieni di là’, gli dissi allora, senza ulteriori preamboli, ‘il capo non c’è’.
Entrammo nell’ufficio di Roberto e lo feci sedere sulla sedia del mio capo, mentre io, dopo aver chiuso a chiave la porta, mi sedetti sulla scrivania sfilandomi entrambe le scarpe, per poi poggiare i miei piedi nudi sui braccioli della sedia su cui stava seduto.
Era visibilmente eccitato, tanto che mi parve di vedere un aumento di volume in corrispondenza dei suoi pantaloni.
‘Adesso aiutami’, gli dissi poi.
Sollevai completamente la gonna e, lasciando scoperte le mie cosce e mostrandogli le mie mutandine trasparenti, presi dalla borsa che avevo portato con me un pacchetto di calze autoreggenti nuove.
Faceva caldo, certo, ma adoro indossare un paio di calze quando faccio sesso con i piedi, non posso quasi farne a meno.
Gli buttai il pacchetto in grembo.
‘Mettimele’, gli dissi senza farmi troppo scrupoli.
‘Ma non avrai caldo?’, mi chiese stupido di vedere un indumento del genere in piena estate.
‘Fai quello che ti ho detto e non discutere’qui c’è l’aria condizionata!’, gli imposi dolcemente.
Alzai un piede proprio di fronte al suo volto e lo roteai più volte, impaziente che finisse di aprire la confezione. Sorrideva come un bambino, mentre cercava di infilarmi la calza che aveva appena tolto dalla confezione.
‘Devi arrotolarla prima’, gli dissi sorridendo, ‘così è più comoda da indossare!’
Mentre le sue mani lavoravano con quel morbido nylon nero, spostai l’atro piede sulla sua coscia, esercitando una lieve pressione.
Era visibilmente eccitato.
Afferrò quindi il nylon arrotolato con entrambe le mani e lo srotolò sul mio piede; dapprima vidi le dita farsi strada all’interno dello scuro rinforzo delle calze, per fare in modo che il nylon aderisse meglio alla mia pelle.
Dopo aver coperto le dita, Alberto srotolò la calza sul mio piede, facendo particolare attenzione a lisciarla; in questo modo mi toccò più volte così più volte il dorso del piede e la caviglia, mentre il calore che sentivo tra le mie cosce andava aumentando. Sentii i brividi scorrere lungo la mia gamba al contatto delle dita con il nylon e provai quella sensazione avvolgente che mi provoca un piacere particolare ogni volta che indosso le calze.
Poi srotolò con cura la calza sulla mia gamba, facendo sempre attenzione a stenderla senza far formare neanche una piega, sistemando infine la balza in pizzo. Subito dopo fece lo stesso con l’altra gamba.
‘Ti piacciono di più con le calze?’, gli chiesi sventolando i miei piedi di fronte al suo volto quand’ebbe finito, desiderosa di sentire il contatto della sua pelle contro le piante dei miei piedi.
‘E me lo chiedi?’, rispose nervoso senza staccare mai gli occhi dai miei piedini che descrivevano movimenti lenti e circolari di fronte a lui.
Sorrisi e puntai le dita dei piedi verso Alberto, che, guidato ancora una volta dall’istinto aprì la bocca e incominciò a succhiare lentamente il rinforzo anteriore della calza, avvolgendo con le sue labbra due o tre dita per volta.
Sentii altri brividi.
Alberto faceva scorrere le mie dita dentro e fuori delle sue labbra, le avvolgeva fino alla base e, una volta che si trovavano completamente dentro la sua bocca, muoveva la lingua sopra di esse, spingendo contro il nylon.
Era fantastico. Stavo proprio godendo.
Questa volta fu il mio istinto ad intervenire: quasi senza che me ne accorgessi, avevo divaricato le gambe facendo risalire la gonna e mi stavo toccando attraverso le mutandine.
Venni istantaneamente e decidi di far venire anche lui. Ritrassi entrambi i piedi da Alberto e li misi sopra le sue spalle, avvicinando i piedi tra di loro, in modo che la testa dell’uomo si trovasse in stretto contatto con gli archi dei miei piedi; Alberto vedeva ora le mie piante, e senza perdere tempo afferrò entrambi i piedi con le sue mani e ricominciò a leccare e succhiare le mie dita voltando la testa ora a destra, ora a sinistra, passando rapidamente da un piede all’altro.
Nel frattempo avevo scostato le mie mutandine e un dito della mia mano si muoveva di nuovo lento sul mio clitoride, tornato turgido.
‘Tiralo fuori!’, gli dissi senza mezzi termini.
L’uomo, senza farselo ripetere due volte si slacciò la cintura, abbassò la cerniera e le mutande, estraendo con una mano un pene di notevoli dimensioni eretto e con il glande completamente scoperto.
Non potevo desiderare di meglio!
Non mi ricordavo che Alberto avesse un pene di simili dimensioni, ma in fondo, la volta in cui l’avevo fatto godere non avevo potuto vederlo, ma solo accarezzarlo con il mio piede sotto il tavolo.
La sua mano scivolò un paio di volte lungo quel membro duro, come per renderlo ancora più vigoroso, cosa che ritenetti impossibile!
Adoro far godere gli uomini, farli venire con i miei piedi, con le mie mani, con la mia bocca o con la mia vagina, vedere un corpo eccitato completamente in mio possesso: senza perdere tempo mossi i piedi verso quel fallo meraviglioso e, dopo averlo stretto tra le estremità avvolte dalle calze, cominciai a masturbarlo velocemente massaggiandogli contemporaneamente i testicoli con i miei talloni.
Alberto reclinò la testa e cominciò ad ansimare, mentre la punta del suo pene luccicava ormai bagnata sotto le decise carezze dei miei piedi. Lo masturbai senza tregua per diversi minuti, alternando momenti in cui premevo forte il pene contro il suo ventre con un piede, avvolgendo il suo glande con il rinforzo della calza, mentre con quello libero accarezzavo il suo petto, il suo volto, le sue orecchie e stringevo talvolta il suo naso tra le prime due dita, sentendo il suo respiro affannoso contro la pianta del mio piede.
Non gli restava molto a venire, ma di colpo mi fermai.
Mi alzai, in piedi di fronte a lui, dopo aver allontanato la sedia su cui stava seduto spingendo con forza il mio piede sul suo petto. Elegantemente e lentamente discesi fino al suo membro, soffermandomi un istante sulla punta, che feci oscillare un paio di volte. Poi gli voltai la schiena e sollevai la gonna mostrandogli le mie natiche sode e rotonde.
Sospirava, mentre con una mano si masturbava velocemente. Sentivo la sua eccitazione.
Poggiai un ginocchio dopo l’altro sulla scrivania e mi piegai mostrandogli oscenamente tutto il mio fondoschiena completamente scoperto e le piante dei miei piedi avvolte dalle calze.
Per un amante del piede femminile come lui non poteva che essere un invito più che esplicito: di scatto anche Alberto si alzò in piedi e presto sentii le sue mani avvolgere i miei piedi; poi un robusto membro caldo scivolò sicuro tra gli archi dei miei piedi.
‘Sei fantastica!’, mi sussurrò in una specie di rantolo, mentre il bacino spingeva forte contro i miei piedi facendo scorrere il glande scoperto avanti e indietro, così da stimolarlo direttamente con il nylon delle mie calze.
In breve le sue spinte si fecero sempre più forti e le sue mani cominciarono a stringere i miei piedi più saldamente, mentre con i pollici accarezzava con vigore le piante e le dita come in un massaggio.
Da parte mia, cominciai a stringere più forte il suo membro con i piedi così da aumentare l’attrito e il suo godimento di volta in volta.
Improvvisamente lo ritrasse e dopo un istante avvertii una sensazione di bagnato tra i miei piedi, mentre violenti schizzi colpivano ripetutamente i miei talloni e le mie dita: una quantità veramente cospicua di sperma colava lungo le mie estremità, impregnando le calze completamente, finché il suo pene smise di contrarsi ritmicamente.
Quand’ebbe finito cadde esausto sulla poltrona, la testa reclinata.
Mi sedetti nuovamente di fronte a lui sulla scrivania e lo osservai.
‘Vedo che ti piacciono i miei piedi”, gli dissi con malizia.
Impiegò qualche momento per rispondermi, ancora intorpidito dal violento orgasmo.
‘Sicuro’questa è una delle cose più eccitanti che io abbia mai fatto! Credimi!’
‘Mi fa piacere’, gli risposi sorridendo.
Poi, mentre ancora mi guardava con lo sguardo perso di chi ha appena avuto un orgasmo, mi sfilai entrambe le calze di fronte a lui e le arrotolai nelle mie mani, buttandogliele addosso impregnate del suo sperma.
‘Forse ora credo di ricordare”, gli dissi sistemandomi la gonna dopo aver stirato i piedi e le dita, ‘la forma del tuo sesso non mi è del tutto nuova”
‘Sei una donna terribile”, mi disse semplicemente.
Gli sorrisi, mentre infilavo i piedi ancora umidi del suo sperma nelle scarpe.
‘Torno di là a lavorare’, gli dissi seria, ‘si sistemi e poi torni venga a dirmi per quale motivo è qui, Sig. F…’.
Chiusi alle mie spalle la porta dell’ufficio di Roberto e attesi che Alberto tornasse.
Lo trattai come se fosse un cliente qualsiasi e Alberto sembrò stare al gioco. Appuntai tutto quello che avrei dovuto riferire al capo e lo salutai cordialmente.
‘Tornami a trovarmi quando vuoi!’, gli dissi sperando di rivedere presto quel magnifico pisello.
‘Se non abitassi così lontano ti verrei a trovare tutti i giorni!’, mi disse prima di congedarsi.
Il giorno dopo ricevetti un mazzo di rose gialle proprio in ufficio.
Quando Roberto mi chiese divertito chi me le avesse inviate, gli dissi semplicemente che era un vecchio amico che non vedevo da tempo.
Il capo mi guardò divertito, mentre i suoi occhi ben sapevano che non ero stata del tutto sincera’e conoscendomi sicuramente poteva indovinarne il motivo.
‘Scemo’, esclamai, ‘a che cosa stai pensando?’.



Marta


A CENA DA WALTER





Dopo tanto tempo eccomi ancora qui a raccontarvi una storia in cui sono stati protagonisti i miei piedini.
Pochi giorni fa sono andata a trovare Walter, un ragazzo con cui sto uscendo da qualche settimana, e ho deciso di ‘metterlo alla prova’, per capire se anche lui è uno di quegli adorabili uomini che sono sedotti e impazziscono per i piedi di una donna.
Con Walter ho fatto l’amore qualche volta, ma non si era mai dimostrato particolarmente attratto dai miei piedi, anche perché io stessa non ho mai insistito in questo senso.
Quella sera tuttavia mi sentivo particolarmente attraente e quando mi trovo in questo stato, non desidero altro che sentire i miei piedi apprezzati, proprio perché, come già sapete, sentirli tra le mani di un uomo o sentire il vellutato tocco di due labbra o una lingua che li accarezza è in grado di mandarmi completamente in estasi.
Quella sera Walter mi aveva invitato per una cena a casa sua. Era un giorno della settimana ed ero appena uscita dal lavoro. Avrei dovuto passare da casa, per farmi una doccia e per cambiarmi, ma, oltre ad aver fatto tardi per via di alcune faccende che Roberto, il mio capo, aveva bisogno che sistemassi, una volta uscita avevo trovato Walter ad aspettarmi di fronte all’ingresso dell’ufficio.
Sorpresa e allo stesso tempo felice per quell’incontro inaspettato avevo concesso a Walter di accompagnarmi direttamente a casa sua, visto che aveva insistito tanto.
‘Per favore, Marta, vieni subito da me, non posso aspettarti!’
‘Ma lasciami almeno andare a casa a farmi una doccia e darmi una sistemata! Dai, sono impresentabile!’, avevo cercato di insistere.
‘La doccia la puoi fare a casa mia e sei decisamente presentabile per me!’, insistette con malizia.
‘Ci metto poco! Promesso!’, provai ancora a replicare senza troppa insistenza.
‘Non se ne parla nemmeno!’, disse Walter fingendosi serio.
‘E va bene’ma la doccia te la scordi!’, gli dissi fingendomi a mia volta contrariata.
Soddisfatto mi aprì la portiera della sua auto e andammo a casa sua.
Durante il viaggio parlammo della mia giornata di lavoro e della sua, cominciata alle due del pomeriggio, dal momento che Walter fa il pasticcere e spesso lavora di notte.
Quando entrai in casa sua, un bilocale alla periferia di Milano arredato con ottimo gusto, mi accorsi che la tavola era già pronta e che nell’angolo cottura erano già pronti alcuni piatti che Walter doveva aver preparato nel pomeriggio.
‘Hai lavorato per me oggi!’, esclamai accennando alle sue creazioni.
‘Figurati Marta’, disse con falsa modestia, ‘ho solo preparato qualcosa!’
In realtà Walter era conscio di essere un ottimo pasticcere, oltre che un ottimo cuoco, e quando qualcuno lo lodava si sentiva sicuramente e giustamente soddisfatto: in fondo si trattava del suo lavoro!
Mi aiutò a sfilare il cappotto, che pose con cura sull’attaccapanni all’ingresso, e mi invitò a sedermi sul piccolo divano della sala.
Dopo essermi seduta, presi ad osservarlo mentre si dirigeva verso i fornelli per preparare la cena.
‘Chissà con che cosa mi stupirai stasera!’, gli dissi per provocare la sua creatività.
‘Niente di particolare, Marta, ma se vuoi che ti stupisca forse dovresti attendere il dopocena’, mi disse con la sua solita malcelata malizia.
‘Vedremo’lo sai che spesso la cena appesantisce e fa venire sonno!’, lo provocai.
‘Ma proprio per questo ti preparerò qualcosa di leggero, non temere!’
Continuammo a scambiarci battute del genere, ma vederlo affaccendarsi ai fornelli con tanta perizia mi mise uno strano appetito, ma non solo di cibo.
Mentre parlavamo non riuscivo a distogliere lo sguardo dalle sue splendide spalle, dal suo fisico virile, asciutto, e soprattutto dal suo fondoschiena, due glutei rotondi e perfetti.
Walter è veramente un bel ragazzo, con un fisico notevole, da nuotatore, con i suoi 32 anni di età. Un tempo mi aveva detto che lo praticava a livello agonistico, ma per un incidente in cui si era rotto i legamenti di una spalla aveva dovuto smettere con le gare. Ora nuotava solo per diletto e per tenersi in forma.
Osservavo ogni suo gesto, così sicuro, così rapido.
Walter stesso di tanto in tanto mi guardava, distraendosi per qualche istante dal suo lavoro, e ogni volta vedevo il suo sguardo percorrere il mio corpo da capo a piedi.
Nei suoi occhi c’era il desiderio.
Tutto sommato, benché non mi fossi sistemata, ero vestita in modo abbastanza elegante, con un tailleur bianco profilato di nero, le mie care decolté bianche e soprattutto il mio indumento preferito: un paio di calze color carne setificate, morbidissime, che avvolgevano le mie cosce e le mie gambe.
Come ho già detto mi sentivo decisamente attraente e avevo voglia di provocarlo e tentare i suoi sensi nel modo in cui voi ben conoscete.
In una ventina di minuti la cena fu pronta.
Walter aveva preparato un ottimo risotto e un secondo a base di pesce, tutto cucinato in maniera impeccabile, accompagnato da un ottimo vino bianco.
Una cena leggera, come promesso.
Terminato di mangiare, ci accomodammo sul divano, vicini, e mentre mi raccontava divertenti aneddoti riguardanti i suoi amici, mi posò una mano sul ginocchio e la mia gonna risalì per qualche centimetro.
La sensazione di quella mano calda che mi accarezzava mi fece sussultare e dovetti trattenermi dal buttargli le braccia al collo e iniziare a baciarlo come solo una donna eccitata sa fare: il mio obiettivo per quella serata era un altro.
Il mio gioco cominciò.
Accavallai le gambe senza divaricare le gambe, facendo frusciare le calze, mentre la sua mano continuava ad accarezzare la coscia.
Ero ancora lontana dal mio obiettivo, ma quella posizione mi aveva permesso di sollevare il piede in modo tale che fosse alla portata del suo sguardo.
‘E poi che cosa successe?’, continuavo a interromperlo, mentre mi raccontava dei suoi amici.
Volevo farlo parlare, in modo tale che non cominciasse a baciarmi, perché sarebbe sicuramente finito tutto nel solito modo, che non mi sarebbe di certo dispiaciuto, ma che non mi avrebbe permesso di capire se fosse interessato alle estremità femminili.
Cominciai a far roteare la caviglia, flettendo ed estendendo il piede in maniera decisamente vistosa.
Walter cominciò ad osservarlo e io, avendo finalmente attirato la sua attenzione su quel particolare del mio corpo cominciai a esasperare i movimenti il più possibile.
Il mio gioco funzionava. Mentre parlavamo guardava ora me ora la mia scarpa e così decidi di continuare.
Contraendo il piede feci scivolare il tallone liberandolo dalla scarpa e presi a farla dondolare avanti e indietro tenendola in equilibrio con le dita, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente, aiutandomi con il movimento della gamba.
Walter continuava a osservare, mentre la sua mano si era fatta più audace ed era risalita fino a metà coscia.
Ad un certo punto si sbilanciò verso di me per baciarmi e stringermi tra le sue braccia, ma con un gesto delicato lo scostai e lo costrinsi a farlo sedere.
‘Continua a raccontarmi dei tuoi amici!’, gli dissi con innocenza, ‘Mi sto veramente divertendo un mondo!’.
‘Dai Marta, ti racconterò queste storielle la prossima volta!’, disse mascherando una sorta di frustrazione.
‘Ancora dieci minuti, per favore!’, lo implorai accarezzandogli la mano che si muoveva sulla mia coscia, ‘Sono troppo divertenti!’
‘E va bene, se proprio insisti!’, disse rassicurato dal mio tocco che lasciava intendere il sicuro proseguo di quella serata.
Mi raccontò altre vicende divertenti, mentre la mia scarpa ormai dondolava sulla sola punta dell’alluce, come se un piccolo soffio potesse farla definitivamente cadere, mostrando la cucitura della calza rinforzata sulle dita.
Morivo dalla voglia di sentire il mio piede afferrato dalle sue mani, ma dal momento che Walter non accennava a niente di tutto ciò, dovetti prendere io l’iniziativa.
Mi chinai e cominciai a massaggiarmi il tallone e la pianta del piede con il palmo della mano, continuando a tenere in equilibrio la scarpa con le dita.
‘Che ti succede?’, mi chiede Walter, ‘Hai male ai piedi?’
Forse il gioco avrebbe preso il largo.
‘Terribilmente! E’ tutto il giorno che indosso queste scarpe!’
‘Toglietele pure! Fa’ come se fossi a casa tua!’, mi disse gentilmente, ma senza accennare ad alcun gesto.
‘Mi daresti una mano a sfilarle?’, gli chiesi spazientita, ma mostrandomi calma, sollevando il piede con la scarpa dondolante proprio di fronte al suo viso.
Walter afferrò la mia caviglia avvolta dalle calze e con altra mano scostò la scarpa dalle mie dita e la posò a terra.
Contrassi ed estesi un paio di volte le dita di fronte a lui, mostrandogli il mio piedino e la pianta in tutto il suo splendore, ma Walter non fece una piega.
Allora gli porsi anche l’altro piede e nello stesso modo mi sfilò la scarpa e la poggiò accanto all’altra.
I miei piedi stavano ora di fronte al suo volto, a pochi centimetri dal suo naso, nascosti dalla trasparenza delle calze, con le piante bene in vista e le dita leggermente arcuate all’indietro.
Divaricai le dita di entrambi i piedi di fronte ai suoi occhi, vincendo la leggera resistenza della morbida calza, come ad invitarlo a poggiare la sua lingua dove più gli fosse piaciuto.
Niente. Tutto quello che fece fu sollevare con il palmo di una mano le mie caviglie e poggiare i miei piedi a terra.
Poi riprese a massaggiarmi la coscia, spingendo la mano sotto la mia gonna, più di quello che aveva già fatto.
Ero incredula e delusa: non aveva neanche sfiorato i miei piedi, che ora, liberi dalle scarpe erano torturati dal freddo pavimento, vogliosi invece di calde cure e carezze.
Infine Walter si sporse di nuovo verso di me prendendomi tra le sue braccia muscolose, cominciò a baciarmi e finimmo con il fare l’amore.
Inutile dire che non mi piacque.
I miei pensieri erano altrove. I miei piedi insoddisfatti erano la mia frustrazione, che raggiunse il culmine quando mi sfilò le calze e ancora una volta non li degnò di alcuna attenzione o carezza; le uniche sensazioni che quella sera furono in grado di rubare furono di accarezzare i suoi polpacci mentre mi penetrava e la rapida e familiare carezza che sentii quando li avvolsi nuovamente nelle calze nel rivestirmi.
La serata finì così. Con un anonimo amplesso.
Allegro e soddisfatto mi riaccompagnò a casa verso mezzanotte, dal momento che di lì a poco sarebbe cominciato il suo turno di lavoro.
Ero delusa. Poche volte mi è capitato di incontrare uomini che non degnassero neanche di una misera carezza i miei piedi e quando ripenso a questa vicenda una sensazione di repressa frustrazione ancora mi pervade.
Comunque, per concludere, da quel momento decisi di non uscire più con lui.
Forse Walter non capirà mai la ragione di questa mia decisione, anche perché non gliel’ho spiegata nei dettagli (non capirebbe e mi prederebbe forse per pazza!), ma io sono convinta che un uomo che non è in grado di apprezzare una cosa tanto delicata e sensuale quanto i piedi di una donna non sia degno di possedere nessun’altra parte del suo corpo.
A presto.



Marta


IL POTERE DEI PIEDI



Un caro saluto ai miei lettori, sia a coloro che già mi conoscono, sia a quelli che per la prima volta leggono un mio racconto.
Sono anni che non scivo più niente riguardo alle mie vicende e a quelle dei miei piedi…ma questa sera di Giugno sono a casa da sola e poco fa, sfoglianto il mio diario che puntualmente e da anni compilo, mi è capitato di rileggere una pagina riguardante una delle prime volte in cui ho volontariamente deciso di sedurre un uomo con i miei piedi.
Voglio condividerla con voi, perchè probabilmente è stata proprio quella la volta in cui mi sono resa conto del potere che i piedi possono esercitare su di un uomo in grado di comprenderne la sensualità: in pratica, li usai per la prima volta in modo consapevole, ma non mi dilungherò oltre.
L’uomo in questione era Roberto, il mio iniziatore al feticismo dei piedi e delle calze, che avevo conosciuto una sera in discoteca.
Era pomeriggio, avevo diciannove anni, e ormai ci frequentavano da qualche settimana; abitavo ancora con i miei genitori, ma quel giorno sarebbero stati fuori casa fino all’ora di cena per un impegno.
Ovviamente approfittai per organizzare un incontro con Roberto e riprovare quelle sensazioni uniche che solo un uomo capace di mettere al centro della sua attenzione i miei piedi è in grado di regalarmi.
Per l’occasione decisi di gestire la situazione, volevo farlo impazzire, ipnotizzarlo con i miei piedi…mettere in pratica i suoi insegnamenti.
Avevo mezz’ora di tempo per prepararmi prima del suo arrivo.
Dopo essermi fatta una doccia, scelsi dal mio cassetto un paio di collant neri setificati e morbidissimi, piuttosto leggeri e trasparenti.
Mi sedetti sul letto e dopo averli avvolti nelle mie mani li srotolai su un piede facendo aderire bene la calza alle dita, al dorso e all’arco, coprendo con la calza la gamba fino sopra al ginocchio; poi ripetei lo stesso gesto con l’artro piede e con l’altra gamba, prima di alzarmi in piedi e avvolgere le cosce e i glutei in quel morbido e sensuale materiale che è il nylon.
Lisciai con il palmo delle mani e con le dita le calze all’inguine e sui glutei e sistemai la vita dei collant tirandola verso l’alto.
Poi indossai una vestaglia di raso grigio, che ancora possiedo e che uso solo nelle occasioni in cui mi sento particolarmente ispirata.
Finii di preparami spazzolandomi i capelli, all’epoca lunghi fino a metà schiena, che lasciai sciolti, e mi truccai leggermente, cercando di dare al volto una aspetto più naturale e sobrio possibile.
Attesi qualche minuto e il campanello suonò.
Girai le chiavi nella serratura e andai a sdraiarmi sul divano, senza aprire la porta.
Quando Roberto fu sul pianerottolo dell’appartamento, non trovando la porta aperta, fece squillare il campanello.
“Entra pure! E’ aperto!”, urlai.
Sentii la porta aprirsi e poi richiudersi; il cuore cominciò a pulsare velocemente nel mio petto, ma probabilmente non quanto fece quello di Roberto quando mi vide.
Ero sdraiata sulla pancia, sorreggevo il viso con le mani tenendo appoggiati i gomiti sul divano e la schiena e le cosce erano coperte della vestaglia fino al ginocchio; invece le gambe e i piedi, che tenevo sollevati e incrociati, erano scoperti, avvolti solo dalle calze nere trasparenti.
Roberto poteva vedere la piante dei miei piedi, che muovevo leggermente e ritmicamente, allontanandoli e avvicinandoli lentamente come il battito di ali di una farfalla, perfettamente coperti dalle calze, con le dita messe in risalto dalla una sottile e morbida cucitura del rinforzo.
Avevo assunto quella posizione per mettere in risalto proprio i piedi, per mostrarglieli in maniera esplicita e diretta, senza dare spazio all’immaginazione.
Quando fu di fronte a me capii di aver colto nel segno: il suo sguardo era un connubio di stupore, sconvolgimento, sorpresa e ammirazione, tanto che rimase ad osservare i miei piedi incantato per qualche istante, senza muoversi e senza dire una sola parola.
“Sei stupenda”, mi disse poi, guardandomi finalmente negli occhi e distogliendo lo sguardo dei miei piedi, l’oggetto non celato del suo desiderio.
Poi si chinò e mi baciò; nel farlo, inclinò in maniera innaturale la testa e con la coda dell’occhio lo vidi spingere di nuovo il suo sguardo ora voglioso verso le piante dei miei piedi coperte dalle calze, che avevo cominciato a muovere più rapidamente, talvola flettendo ed estendendo le dita fino a quanto mi era consentito.
Poi per farlo eccitare maggiormente flettei ancora di più le gambe e le ruotai verso la parte in cui aveva inclinato la testa, in modo da mostrargli ancora meglio i miei piedi.
“Qual’è ora il tuo più grande desiderio?”, gli sussurai ad un orecchio dopo essermi staccata dalle sue labbra, mentre gli cingevo il collo tra le braccia.
Non avevo bisogno di una conferma, sapevo già la risposta, volevo solo provocarlo, stimolarlo ad andare avanti.
“Voglio annusarti i piedi, toccarli e leccarli…poi li voglio sentire contro il mio corpo…voglio che mi facciano godere!”, mi disse, senza più alcun freno.
“Allora accomodati…”, gli dissi, restanto immobile, “…ma prima ti voglio veder nudo.”
In effetti avevo proprio voglia di vederlo completamente nudo, ma, cosa che ancora più mi incuriosiva, era scoprire se il suo pene fosse già completamente in erezione…sarebbe stata come una ulteriore conferma della mia sensualità, del potere che i miei piedi avevano esercitato su di lui.
Non restai delusa; dopo che si fu spogliato, vidi il suo pene duro, talvolta attraversato da qualche spasmo che lo faceva sussultare, con il glande quasi completamente scoperto, era eccitato e voglioso.
Mi bagnai all’istante.
Poi lo guardai è chiusi gli occhi, invitandolo.
Ero ancora nella stessa posizione di quando era arrivato.
Roberto si gettò sui miei piedi: sentivo le sue mani stringere forte le mie caviglie, quasi avessero paura potessero scappare, e provavo una sorta sensazione di sottomissione, come se ormai i miei piedi fossero suoi, al suo più completo servizio.
Lo lasciai fare eccitata.
Guardai indietro e lo vidi affondare la faccia tra le piante dei miei piedi, prima di cominciare ad aspirare con forza e lentamente attraverso le narici.
Faceva dei respiri profondi muovento la testa verso l’alto, così da completare l’ispirazione quando il suo naso raggiungeva le dita dei miei piedi; a quel punto strofinava la base del suo naso su ogni dito, passando da un piede all’altro, inspirando lentamente ed espirando velocemente, per poi ridiscendere lungo la pianta fino al tallone.
“L’odore dei tuoi piedi e delle calze mi fa impazzire…”, mi disse senza fermarsi.
Ero estasiata.
Continuò così per qualche minuto, fino a quando, non riuscendo più a trattanersi, aprì la bocca e cominciò a far strofinare le sue labbra contro le piante avvolte dalle calze.
Avvolse un tallone con la sua bocca, aprendola quanto più possibile, e incominciò a leccare lentamente la pianta del piede con movimenti circolari della lingua, salendo senza fretta verso le dita.
Aveva allentato la presa sulle mie caviglie e ora teneva nel palmo delle sue mani i miei piedi afferandoli per il dorso; di tanto in tanto faceva scorrere le sue mani e li accarezzava, probabilmente per avvertire la morbidezza delle calze che li avvolgevano.
Ero in estasi, con gli occhi chiusi per amplificare quella meravigliosa senzazione, e avevo appoggiato la testa sulle mie braccia, che ora stavano incrociate e appoggiate sul divano.
Roberto leccava ora prima un piede e poi l’altro, succhiando le dita e infilandoci la lingua in mezzo, vincendo la blanda resistenza delle calze generavano ogni volta che divaricavo le dita, talvolta volontariamente, talvolta con un movimento incontrollato dovuto all’eccitazione e ai brividi di piacere che dai piedi si irradiavano a tutto il mio corpo.
Continuò a leccare i miei piedi credo per più di mezz’ora, finchè le calze furono completamente bagnate dalla sua saliva dalla punta delle dita fino alle caviglie.
Allora decisi di agire.
Con una mano lo feci allontanare e dopo essermi alzata sulle ginocchia, mentre gli rivolgevo la schiena, feci scivolare a terra la vestalgia e restai nuda con solo i collant.
Poi mi piegai in avanti, mostrandogli il mio culo e la mia vagina attraverso la trasparenza delle calze e lentamente abbassai la vita dei collant fino a scoprire la completamente la mia intimità.
Lo guardai e gli dissi “Baciami!”…anche se probabilmente aveva già in mente la stessa cosa.
Subito si chinò su di me e, probabilmente eccitato dal fatto che non indossassi altro ad eccezione delle calze, tuffò la testa tra i miei glutei e incominciò a leccare con foga tutto ciò che incontrava tra il mio ano e la vagina.
Ebbi un debole grido di piacere, che aumentò quando sentii la punta del suo pene durissimo e caldo scorrere con forza conto le piante dei miei piedi che stavano uniti e appoggiati sul divano.
Per provocargli più piacere li divaricai facendo scivolare il suo membro tra gli archi dei miei piedi e iniziai ritmicamente a muoverli avanti e indietro, in maniera sincrona alle spinte del suo bacino.
Ogni volta che affondava fino in fondo il pene tra i miei piedi sentivo i suoi testicoli appoggiarsi alle mie dita, che contraevo per cercare di prolungare quella sensazione.
Stava facendo sesso con i miei piedi, dalla potenza delle spinte potevo comprendere la sua eccitazione.
Venni un paio di volte in pochi istanti.
Ero anche io eccitata, in parte soddisfatta, ma volevo di più: allontanai i piedi dal suo pene e lo feci alzare afferrandolo delicamente per i capelli.
Poi spinsi il mio culo verso di lui, mostrandogli la vagina, mentre con i piedi afferravo i suoi fianchi cercando di trascinarlo verso di me.
Sentii immediatamente le sue mani cingere con forza le mie anche e il suo pene entrare senza fatica nella mia vagina bagnata.
Lo spingeva fino in fondo con forza, facendolo scivolare dentro e fuori velocemente, mentre con le mani sorreggeva ora i miei piedi e li accarezzava con movimenti decisi ma delicati, massaggiando con vigore le piante con i suoi pollici.
I miei piedi e le dita erano contratti per il piacere e dopo qualche minuto venni ancora, questa volta urlando di piacere.
Quando capì che avevo goduto, probabilmente all’estremo della sua resistenza, estrasse immediatamente il pene e ricoprì il mio culo con le calze.
Poi, mentre con una mano sorreggeva nuovamente uno dei miei piedi, con l’altra iniziò a masturbarsi velocemente strusciando il glande contro il mio culo e la mia vagina avvolti dalle calze.
Quando fu sul punto di venire appoggiò l’intera asta e i testicoli in mezzo ai miei glutei e sentii il suo sperma caldo cadere come pioggia prima sulla mia schiena, poi sulle mie calze, mentre Roberto ansimava per il piacere.
Dopo esser venuto mi abbracciò cingendomi con le braccia da dietro e ci abbandonammo sul divano per diverso tempo parlando di noi e di passati momenti che avevamo passato insieme, talvolta ridendo di alcune situazioni che ora erano diventate non più causa di imbarazzo o di insicurezza, ma consapevolezza e confidenza di poter soddisfare ognuna delle nostre voglie.
Nel tardo pomeriggio, dopo aver fatto una doccia insieme se ne andò, ovviamente in compagnia delle mie calze, che come consuetudine gli regalai.
“Sei stata fantastica oggi”, mi disse Roberto nel salutarci, “stai imparando in fretta…mi hai proprio lasciato senza parole!”.
“Ho avuto un buon maestro”, gli dissi maliziosa.
“Sì…ma hai ancora molto da imparare”, mi disse sorridendomi.
Pensavo di essere ormai una esperta seduttrice, ma ancora una volta aveva ragione lui: quella giornata non era che l’inizio del mio apprendimento…e Roberto me lo dimostrò durante il nostro incontro successivo.
Ovviamente non passò molto tempo prima che ci rivedessimo…e quella volta fu davvero una lezione speciale e intrigante, che mi fece comprendere ancora meglio il potere che possono avere i piedi.
Ve la racconterò prossimamente.
A presto.



Marta

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