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La cerniera di quel vestito

By 1 Marzo 20242 Comments

Non sai quante volte ho abbassato la cerniera di quel vestito. L’ho fatto mentre prendevi il caffè al bancone del bar. Mentre prelevavi allo sportello automatico. L’ho fatto mentre camminavamo, ed io ti cedevo il passo. L’ho fatto ogni volta che lo indossavi.
Eppure, non ne sai niente. Perché solo la mia fantasia si è potuta avvicinare alla tua schiena. Solo le dita dei miei desideri hanno potuto sfiorare la lampo di quel vestito. Quella zip che percorreva la tua schiena andando a fermarsi poco sopra il tuo sedere.
Solo nei miei desideri ho avuto il coraggio di abbracciarti da dietro e stringerti forte, senza timore alcuno di mostrarti il desiderio che ho di te. Ogni volta ti stringevo e poi le mani scivolavano oltre l’orlo del corto vestito, esplorando la pelle liscia delle tue cosce. Risalivano poi percorrendo il tessuto morbido del vestito che ti fasciava, sino ad arrivare alla morbida pienezza del tuo seno. Baciavo il tuo collo, lasciato scoperto dai capelli raccolti per poi allontanarmi di un passo.
Mi allontanavo solo per poter abbassare quella cerniera. Lo facevo con passionale lentezza, con venerazione. Finalmente potevo osservare la tua schiena, scoprire la tua nudità, goderne con calma, senza dover rubare sguardi ed istanti.
Nei miei sogni vedevo il vestito aprirsi sempre più. La tua schiena nuda dispiegarsi al mio sguardo. La zip scivolava oltre il gancio del reggiseno, stretto sulla tua pelle continuando la sua discesa. La schiena era liscia, priva di imperfezioni, atletica e sensuale.
Con la lentezza di chi non vuole che qualcosa finisca, continuavo ad abbassare la lampo sino a quando non si fermava in corrispondenza dell’abbondanza del tuo sedere. Tondo e lussurioso, da sempre oggetto dei miei sguardi segreti, della mia brama a te ignota.
Una fascia bianca di pizzo si intravedeva appena all’estremità di quella V che solo i miei desideri avevano aperto sulla tua schiena. Restavo in contemplazione, estasiato, assaporando ciò che i miei occhi possedevano, pregustando ciò che sarebbe stato mio di lì a poco.
Iniziando dal pezzettino di pizzo, tracciavo con la punta delle dita la linea della tua spina dorsale, formata dalle piccole sporgenze delle vertebre. Risalivo piano, l’unghia graffiava con dolcezza la pelle tesa, come un pellegrino che avanzava verso la propria meta spirituale. Quando arrivavo al gancio del reggiseno, scavalcavo quel ultimo ostacolo da superare, per mostrare la mia devozione alla tua carne.
Rifacevo quel passo, stavolta in avanti. Infilavo entrambe le mani nell’apertura del vestito, con decisione, allargando la sua forma che ti abbracciava esaltando la tua femminilità. Abbracciavo la carne dei tuoi fianchi, assaggiando la prosperità del tuo essere donna.
Il vestito diventava impaccio, lo lasciavo scivolare lungo le tue braccia e poi via, giù ai tuoi piedi a formare un groviglio di tessuto. Ora eri nuda nei miei desideri. Ti stringevo appoggiandomi alla tua schiena. Con le labbra mi nutrivo del tuo collo. Le mani perdevano la devozione che le aveva rese lente e rispettose del tuo mistero. La passione diveniva unica padrona. Altro non potevo se non assecondarla, inseguirla lungo ogni centimetro del tuo corpo.
I seni si facevano liberi da ogni sostegno, trovando unico appoggio nelle mie mani che stringevano con decisione. I palmi delle mani erano graffiati dai tuoi capezzoli, graffi come pennellate, simulacro di bruciante desiderio.
Quante volte il mio desiderio ha violato la tua amicizia. Quante volte i miei occhi ti hanno accarezzata là dove l’amicizia non dovrebbe arrivare. Quante volte sono scivolato lungo quel vestito per assaporare il tuo corpo, la tua femminilità. Quante volte mi sono nutrito della mia passione.

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