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La decisione di George – 1° parte

By 27 Luglio 2013Dicembre 16th, 2019No Comments

Premessa

Questo è la storia di come due persone di status sociale diverso, seppure imparentate, cambiano il modo di rapportarsi l’uno all’altro per un banale ed improbabile scherzo del destino e di come questo cambiamento influenzi non soltanto le loro vite ma anche quelle di coloro che a loro gravitano attorno. ‘In meglio o in peggio?’ vi starete chiedendo. Se vi interessa, temo, dovrete leggere quanto segue ed esserne giudici. Del resto bene e male sono convenzioni ben note e delineate nella società civile, ma quando si parla d’istinti primordiali… beh, il discorso cambia.

Capitolo 1

Il signor Reed sapeva che non avrebbe mai dimenticato quel giorno. Ne aveva la certezza. Come poteva cancellare le espressioni sui visi dei suoi cari? L’amarezza di suo figlio Mike, il risentimento di sua figlia Cindy e la preoccupazione di Mary, sua moglie. Nessuno dei tre si aspettava minimamente di ascoltare le sue disgraziate parole nel momento in cui era tornato a casa dal lavoro poco prima di cena, un martedì di aprile. Come di consueto, ognuno era impegnato nelle sue attività: chi al telefono, chi ai fornelli, chi al computer. Lui aveva preso il coraggio a quattro mani e li aveva radunati nel grande salotto.
‘Che c’è George?’ gli aveva chiesto Mary, vagamente turbata dalla sua espressione. L’uomo, il volto segnato dal pesante fardello che aveva nel cuore, li guardò in viso uno per uno prima di rispondere, prendendo coscienza del fatto che, con buona probabilità, la loro considerazione del capofamiglia non sarebbe mai più stata la stessa.
‘C’è un problema…’ cominciò ‘…un problema con l’azienda…’ li colse alla sprovvista. George era il proprietario della più grande azienda edile della zona, una compagnia solida e rispettata in tutta l’assolata California. Costruivano alberghi, ville e condomini di lusso su tutta la costa, da Los Angeles a San Francisco. Come poteva esserci un problema?
‘Un problema? In che senso? Che problema?’ lo pressò la moglie ora visibilmente preoccupata. Anche i ragazzi avevano smesso di scherzare tra loro e si erano messi ad ascoltare, attenti. George ingoiò nervoso, poi attaccò a spiegargli.
‘Finora non vi ho detto niente perché speravo… speravo che si risolvesse tutto con i nuovi contratti… credevo che…’ lasciò la frase sospesa.
‘George che succede? Per l’amor del cielo, mi stai spaventando!’ l’uomo non aveva la forza di guardarla dritta in quei suoi grandi occhi verdi.
‘L’azienda è in bancarotta Mary…’ la donna si portò le mani alla bocca, il suo bel viso completamente sconvolto.
‘Ma come… ma com’è possibile?!’ gli chiese. Lui sorrise, amaro.
‘Alcuni investimenti sbagliati… mi sono fidato di persone poco perbene. Sono stato raggirato… sono stato un idiota, tesoro…’ disse, volutamente molto vago. Del resto era questo il patto fra di loro, lei si occupava della casa e dei figli e lui di fare vagonate e vagonate di soldi. Era una donna un po’ superficiale, in effetti, ma i discorsi di lavoro non voleva proprio sentirli e George non si stupì che non lo pressasse per avere maggiori informazioni sul perché, sul come, sul quando. A dirla proprio tutta, questa splendida quarantenne, ex miss California, non era propriamente una cima ma non era per il suo cervello che George, vent’anni prima, l’aveva sposata.
‘Papà che significa?’ chiese il giovane Mike mettendo una mano sulla spalla della madre turbata.
‘Significa che dovremo cambiare vita, campione…’ l’affettuoso appellativo con cui chiamava suo figlio non aveva più la consueta intimità, né forza e l’uomo si vergognò quasi ad usarlo.
‘Devo tirare fuori poco meno di cinquanta milioni di dollari solo per coprire i debiti, il che vuol dire che dovremo vendere la villa, la casa al mare, lo chalet ad Aspen…’ era uno stillicidio. Ogni parola che aggiungeva a quel mesto elenco distruggeva i loro cuori sempre più.
‘…si prenderanno lo yacht, le macchine, i dipinti, i gioielli, i vestiti… tutto quanto…’
‘Non ci credo, non ci credo, non è vero, dimmi che è uno scherzo, ti prego…’ la donna era in preda ad una crisi isterica e i figli le si sedettero accanto stringendola mentre l’uomo continuava.
‘…i nostri conti verranno prosciugati, anche i fondi fiduciari dei ragazzi e i soldi per mandarli all’università… niente, non resterà niente…’ continuava quell’elenco come fosse un robot. Non poteva fermarsi a pensare a quello che stava dicendo o sarebbe crollato e non poteva.
‘…ma dove andremo a vivere e come vivremo?!?!?!’ gli urlò la donna tra le lacrime. George continuò con la sua mesta calma.
‘L’azienda è stata rilevata da un imprenditore che ha accettato di darmi lavoro come architetto ma la paga sarà misera perché devo ripagare il mio debito. Prenderemo in affitto un appartamento a East Los Angeles o a Inglewood e dovremo tagliare qualunque spesa… mi dispiace…’ concluse tristemente.
‘EAST LOS ANGELES!!!!!!????? INGLEWOOD?!?!?!?!’ gridarono, allibiti, moglie e figli, nella più totale indignazione ‘Ma sei impazzito! Ci faranno fuori, lì! Io non credo neanche di averci mai messo piede!! Che diranno i vicini?! E i nostri amici!! Come faremo a mostrare la faccia in giro?! Te le immagini le chiacchiere a scuola?!?! E’ assurdo!! Non se ne parla!!’ era un susseguirsi vorticoso di frasi sempre più incollerite che i tre gli gettavano addosso, parlando concitati l’uno sull’altro. George non rispose. Non poteva consolarli né giustificarsi, sarebbe stato inutile e tutto sommato offensivo nei loro riguardi. Niente di quello che avevano vissuto finora li aveva minimamente preparati a questo fulmine a ciel sereno. Aveva fatto una carriera a dir poco splendida, creandosi una famiglia che aveva cresciuto in una principesca villa nel paradisiaco quartiere di Brentwood, a Los Angeles, e ora li doveva trascinare al lato opposto della città, dove le rapine, i furti e gli omicidi erano all’ordine del giorno. Cosa poteva dire loro?

‘Non sapete quanto mi dispiace…’ le sue parole erano sincere e il dolore che provava dentro non aveva precedenti ma, come prevedibile, non sortirono il benché minimo effetto. Mary era in uno stato pietoso e, tra singhiozzi incontrollati, corse al piano di sopra.
‘Complimenti papà, grazie tante!’ il commento velenoso della figlia lo ferì ancora più profondamente. Cindy si alzò dal divano livida di un rancore che non gli aveva mai visto negli occhi. Anche il fratello Mike si alzò. Non disse niente al padre. Lo guardò triste e George non riuscì a sostenere i suoi occhi.

Nessuno cenò quella sera. George provò a parlare con i membri della sua famiglia ma soltanto la moglie, dopo ore, riuscì a calmarsi quanto bastava per parlare civilmente del da farsi.
Era molto tardi quando George riuscì finalmente ad uscire in giardino un attimo per fare quella telefonata che non vedeva l’ora di fare.

‘Allora, com’è andata?’ la voce divertita di un ragazzo lo raggiunse dallo speaker.
‘Tutto fatto. Gliel’ho detto…’
‘E come l’hanno presa?’ c’era una punta di sadismo nella sua curiosità.
‘Una tragedia…. pianti, urli, offese…’
‘hahahaha!!! Che spazzo, cazzo!! Avrei voluto esserci!’ l’uomo non rispose ma il ragazzo continuò:
‘E tu come ti senti?’ George inspirò e, lentamente, un sorriso quasi delirante gli si dipinse sul volto.
‘Mai stato meglio…’ disse con voce adorante ‘…grazie… grazie infinite per avermelo fatto fare…’
‘Hahahaha!!! Non c’è di che, sfigato! Ci vediamo domattina, hehe!!’ e riattaccò.

Shelly Moore era l’assistente personale del signor George M. Reed da quasi vent’anni. Il magnate delle costruzioni l’aveva presa con sé quando aveva aperto la prima piccola impresa edile e da allora avevano lavorato alacremente fianco a fianco, condividendo tutto e lei l’aveva osservato costruire un impero dal niente. Era stata al suo matrimonio e aveva visto nascere i suoi figli. Che famiglia perfetta che aveva il signor Reed, un accogliente focolare di affetti che lo avvolgeva piacevolmente al suo ritorno da una giornata in ufficio. L’ammirazione che provava verso quell’uomo era enorme. Del tutto platonica, s’intende, Shelly era una donna felicemente sposata.
Quella mattina, in azienda, si respirava un’allegria particolare. I resoconti trimestrali erano arrivati e mostravano fieramente il notevole aumento di fatturato della Reed Enterprise, continuando il trend degli ultimi due anni, che non accennava minimamente a voler scendere. Il signor George era stato così contento di vedere tutte quelle belle cifre in attivo, quando lei gli aveva consegnato i documenti.
‘Salve Shelly’ la donna alzò gli occhi e sorrise al viso del bel giovane che l’aveva salutata.
‘Aaron, tesoro! Ciao!’ gli disse con affetto. Aaron era il nipote del signor Reed, il figlio di sua sorella. In realtà, il suo datore di lavoro e la madre del ragazzo quasi non si parlavano, la donna era mortalmente invidiosa della sua fortuna e, da quanto sapeva Shelly, non correva buon sangue tra i due. Tuttavia la segretaria era contenta di vedere che il loro astio non avesse impedito al giovane che aveva di fronte, di costruire, anche se un po’ in ritardo, un rapporto di vicinanza con lo zio. Da un anno a questa parte i due avevano cominciato a vedersi più spesso, probabilmente perché, non avendo mai conosciuto suo padre, il ragazzo, appena diciottenne, voleva una figura paterna a cui potersi affidare, a cui potersi rivolgere con i problemi che un adolescente ha e di cui non vuol parlare con la madre. Era palese che il ragazzo volesse tanto, ma tanto bene allo zio, che lo ammirasse, che lo prendesse ad esempio, sempre così gentile ed affettuoso, bastava sentire come parlava di lui per capirlo. Allo stesso tempo Shelly sapeva che al signor Reed facesse davvero piacere la compagnia del ragazzo, teneva persino una sua foto sulla scrivania. Del resto i suoi figli non venivano mai a trovarlo in ufficio e, anche se era uomo rispettato, perfino venerato in certi ambienti, l’ammirazione di un membro della famiglia è una tentazione di cui tutti i potenti cadono vittima.
‘Posso disturbare lo zio George per qualche minuto?’ la donna gli sorrise di nuovo. L’avrebbe baciato tant’era avvenente. I capelli biondi, gli occhi azzurri, l’aria sbarazzina su di un viso incantevole e un velo di abbronzatura dorata: sembrava un modello da copertina.
‘Beh, è impegnatissimo, come al solito…’ ammiccò ‘…ma lo sai che per te un minuto lo trova sempre, no?’ il ragazzo sorrise e si passò la mano tra i capelli con aria vagamente colpevole.
‘Già, lo zio è sempre troppo gentile con me! Non dovrei scocciarlo…’ disse in tono infantile e la donna s’intenerì ulteriormente.
‘Oh, ma che sciocchezze, tesoro, per lui è un piacere. E poi te lo meriti, sei un ragazzino così per bene!!’ il bel giovane sorrise di nuovo, mostrando i denti perfetti.
‘A proposito, lo sai che, l’altro giorno, mia figlia ha visto, per caso, una tua foto e si è I-N-N-A-M-O-R-A-T-A!’ disse la donna con esagerata nonchalance, come se non stesse smaniando per dirglielo da giorni. Il giovane sorrise imbarazzato e lei proseguì ‘Quasi non ci credeva che conoscessi un così bel ragazzo e mi ha subito chiesto se eri già impegnato…’ lasciò la frase a metà, guardandolo interrogativa, aspettando una risposta che, con tutto il cuore, sperava fosse…
‘No, non lo sono… io e la mia ex ci siamo lasciati da un paio di mesi ormai…’
‘Siiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!!’ gridò col pensiero la donna ma fece un’espressione tutta contrita:
‘Oh, mi dispiace tanto tesoro… perché non la chiami allora? Guarda quant’è carina?!’ porse al ragazzo una foto che teneva sulla scrivania.
‘Carina? Sta scherzando? E’ bellissima! Come si chiama?’ disse lui con trasporto e alla donna non parve il vero di rispondergli.
‘Kate, questo è il suo numero!!’ gli disse entusiasta porgendogli un biglietto ‘non sai quanto mi fai felice, è così difficile oggigiorno trovare ragazzi come te, sono quasi tutti mascalzoni che pensano ad una cosa sola! E la mia Kate è così innocente…’ sospirò, drammatica, dopo la tirata da luogo comune che aveva appena fatto.
Il ragazzo le sorrise dolcemente:
‘Come si fa a fare del male a un angelo come questo?’ le sue parole erano smodatamente melense, smielate, melliflue, romantiche e la donna era quasi più innamorata del ragazzo di quanto non lo fosse sua figlia.
‘Oooohhh, ma quanto sei tenero, non puoi essere vero tu!’ gli disse, coprendolo di moine. Poi prese il telefono e avvertì il signor Reed della sua presenza.
‘Vai pure tesoro, ti aspetta. E mi raccomando chiamala!’
‘Ci può scommettere! Grazie Shelly, è la migliore!’ e le strizzò l’occhio atterrandola dolcemente. La donna restò a guardarlo, sognante, mentre il giovane bussava alla porta del suo principale per poi sparire dentro al suo ufficio.

George Reed fremeva, felice come un bambino. Era stata una settimana dura. La decisione presa lo aveva distrutto. O forse aveva distrutto quella parte di lui che ancora era razionale, quel bagliore tenue che dava, con fatica, voce alla sua coscienza. Ma ora niente aveva più importanza perché lui era qui. Lo aspettava con tanta ansia e trepidazione, come sempre non vedeva l’ora, ed ora era qui, finalmente qui. Si alzò, aggiustandosi la cravatta di seta e la giacca del pregiato vestito italiano. Si avvicinò alla porta del grande ufficio al 27′ piano e sentì bussare. Un po’ nervoso, disse:
‘Avanti!’ la porta si aprì e un ragazzo dai capelli biondi gli comparve davanti. Suo nipote Aaron era l’incarnazione del perfetto surfista californiano. Indossava una t-shirt nera, un paio di shorts chiari e delle infradito. I Ray-Ban tra i capelli, le mani in tasca e un sorrisetto saccente, agli occhi di George questo moderno apollo sembrava irradiare un’aura d’immenso, schiacciante, dirompente potere.
‘Ciao zietto!’ disse allegro.
L’uomo non aveva la benché minima forza per resistere un secondo di più e, come manipolato dalla volontà di qualcun altro, si accucciò davanti al ragazzo e cominciò a baciargli i piedi tra sospiri e gemiti di piacere:
‘oohh Aaron…. Aaron… Aaron…’
‘hehehe!! Ti sono mancato, vedo? Hehehe!!’ commentò il giovane con un ghigno soddisfatto sul viso, guardandolo dall’alto.
‘Oh Aaron… sei crudele a non farti vedere per tutto questo tempo…mmmmm’ continuò l’uomo strusciando la faccia sulla pelle che le calzature estive del ragazzo lasciavano ampiamente scoperta, baciando ogni centimetro ed inebriandosi di un odore pungente, maschio, prepotentemente erotico.
‘Hehehe!! Sono passati solo tre giorni troietta e non ho avuto bisogno di usarti…’ gli disse con gelida semplicità ‘…..e poi qual è il problema se sono crudele con te?’ continuò calmo, divertito, perfido.
‘mmmmm…. nessuno! Nessun problema Aaron, perdonami, sei tu a decidere cos’è giusto e cos’è sbagliato, lo sai… se ti va di essere crudele con me e di punirmi è più che giusto che tu lo faccia…’
Sorrise il biondino ‘…e che motivo ho di punirti, sentiamo?’ continuò sarcastico.
‘Nessuno Aaron!!! Non ne hai bisogno!! Tu puoi punirmi anche solo per divertirti…’ ancora baci e strusciamenti sotto lo sguardo divertito del ragazzo ‘…e senza darmi alcuna spiegazione, naturalmente, perché dovresti? Non le capirei comunque, giusto Aaron?’
‘Hahaha! Bravo, sfigato! Tutto vero! Una nullità come te non le può capire le ragioni di un uomo, deve solo…?’ lasciò la frase a metà per fargliela completare,
‘Obbedire!’ rispose come uno scolaretto attento l’uomo. Il ragazzo rise di nuovo. Poi alzò un piede e gli pestò la faccia.
‘Ce l’hai un’idea di quanto sei patetico, sacco di merda?’ lo zio non rispose, rimase in contemplazione di quel visetto perfido, la cui espressione, oltremodo umiliante, era ciò che gli dava la forza di alzarsi ogni giorno.

Il giovane Aaron era piuttosto fiero di sé stesso. Gli ci erano voluti sei mesi per arrivare a questo punto. E pensare che era cominciato tutto per puro caso. Uno di quegli scherzi del destino, un colpo di fortuna che capita a uno su un milione. Era stato sospeso da scuola perché il suo comportamento aggressivo ed arrogante, a tratti violento, creava non pochi problemi. Era un ragazzo estremamente intelligente e non aveva intenzione di farsi espellere ma doveva scaricare la sua aggressività in qualche modo. Ad essere più precisi, su qualcuno. Non sapendo dove andare a sbattere la testa, dopo mille resistenze, pur di porre rimedio alla situazione, aveva finito per dare ascolto ad un amico, che aveva un problema simile. Si era iscritto, anche se controvoglia, ad alcuni siti di master/slave in cerca di qualche sfigato che avesse il desiderio di farsi prendere a calci in bocca e magari pagarlo pure, per il disturbo. Col suo amico aveva funzionato, a suo dire, quindi perché non provare? Come già detto, però, il bel biondo non era assolutamente entusiasta dell’idea. Lo rivoltava il fatto di essere inserito in un database insieme con migliaia di froci merdosi che si sarebbero fatti le seghe leggendo le aggressive parole del suo annuncio e sbavando sulle foto dei suoi muscoli. Ma in qualche modo doveva sfogarsi, non ce la faceva più. Di rabbia ne aveva tanta imbottigliata, questo giovanotto. Rabbia verso sua madre in primis, una donna maligna e inacidita che odiava tutto e tutti. Rabbia verso il destino ingiusto che non gli aveva dato le possibilità di altri ragazzi, figli di papà, come i suoi cuginetti snob, ad esempio. Di fortuna non ne aveva avuta poi molta, in effetti. Non che fosse un indigente certo, però erano già quattro o cinque anni che faceva lavoretti dopo la scuola per aiutare sua madre a mandare avanti la baracca e molto di rado lui e la donna avevano qualche dollaro extra da poter scialare. Gli unici due doni che la natura gli aveva fatto erano una mente piuttosto scaltra e l’aspetto di un dio, doni che, stava cominciando a capirlo, potevano risultare molto utili se saputi usare.
Ad ogni modo, stufo di sentirsi sempre teso ed irascibile, aveva deciso di buttarsi. Erano passate circa tre settimane e, dopo un paio di tentativi andati a vuoto, un tizio sui 45 l’aveva contattato tutto supplicante, implorandolo di poter avere l’onore di soddisfare tutti i suoi bisogni. Lo shock era stato notevole quando, alla richiesta di una foto, gli era apparsa la faccia da sfigato di suo zio George, il fratello di sua madre, un uomo che in vita sua aveva frequentato abbastanza poco e con cui, solo di recente, aveva riallacciato i contatti soltanto per far dispetto alla donna. Ripresosi dal colpo, dopo aver soppesato bene, bene la cosa, il ragazzo gli aveva dato appuntamento non svelando la sua identità (le foto postate erano tutte senza volto) per non spaventarlo. Le resistenze iniziali dell’uomo, a dir poco traumatizzato, erano magicamente scomparse a suon di calci e il loro rapporto era traslato su questo nuovo piano, così squisitamente appagante per il giovane.
Aaron aveva presto scoperto che massacrare suo zio era esattamente quello di cui aveva bisogno per tenere a bada la tensione, molto meglio di qualunque terapia che il più esoso medico di Los Angeles avrebbe potuto prescrivergli. Non si era mai sentito meglio in vita sua, era molto più calmo e rilassato, riusciva a concentrarsi e, di conseguenza, i suoi voti a scuola erano considerevolmente migliorati. Ma questo terapeutico antistress non era l’unico modo in cui il ragazzo usava l’uomo. Con somma gioia si era accorto che umiliarlo in mille modi diversi lo divertiva più di quanto avrebbe mai immaginato, tanto da farlo ridere di gusto, inebriato dal brivido di potere che provava, una sensazione che gli era completamente sconosciuta prima ma a cui aveva fatto molto presto ad abituarsi. E così aveva fatto lavorare la fantasia e lo aveva sottoposto a qualunque schifezza immonda gli venisse in mente.
Dopo un mesetto circa, poi, erano cominciati i primi regali. Un nuovo telefono, un nuovo computer, una nuova moto, un nuovo SUV. Regali non richiesti a dire il vero, ma accettati di buon grado dal giovane che non mancava mai di ‘ringraziare’ adeguatamente la sua pezza da piedi. E poi soldi. Tanti soldi. Le cifre variavano ma all’uomo sembrava sempre di non fare abbastanza per il suo adorabile nipotino. Dopo neanche due mesi era prassi che quella troietta infima sganciasse 500 dollari ogni volta che Aaron si divertiva con lui, il che succedeva quasi ogni giorno. Si era sviluppato un rapporto di dipendenza totale dell’uomo, grazie, probabilmente anche alla sorta di lavaggio del cervello che il ragazzo gli aveva fatto, obbligandolo a ripetere a ruota le stesse frasi, giorno dopo giorno, frasi che sancivano la sua completa, totale e indiscussa inferiorità di fronte a lui. Non era stato difficile annientare la sua mente, già molto propensa alla sottomissione e il nostro atletico adone, a dire il vero, l’aveva fatto più per gioco che per lungimirante utilità, fatto sta che l’uomo era ormai completamente succube ed Aaron, sfruttando il suo schiacciante ascendente aveva finito per ‘suggerire’ al suo patetico giocattolo di…

Smise di pestargli la faccia e si avviò verso la scrivania. Si sedette sulla comoda poltrona in pelle e incrociò i piedi sul tavolo, padrone di ogni cosa.
“Allora zietto? Che cos’hai da dirmi?” l’uomo si rimise in piedi tutto contento, pronto a fare rapporto.
“Ho messo in vendita la villa stamattina, mentre della casa al mare e dello chalet ti ho semplicemente intestato la proprietà…” cominciò entusiasta mentre Aaron sorrideva “le pratiche della banca sono state finalmente chiuse, quindi dalle 10 di stamani sei l’intestatario di due conti correnti alla Central Bank Company da circa venti milioni di dollari l’uno…” gli disse porgendogli i documenti della banca. Il ragazzo li prese ridacchiando.
“Va’ avanti!” disse solo mentre passava in rassegna il mazzetto di carte di credito nuove di zecca, con il suo nome bello luccicante.
“Ho rivenduto ai concessionari le mie macchine, quella di mia moglie e quelle dei miei figli al miglior prezzo possibile, per aumentare il tuo capitale…” altra risatina.
“E poi, beh…” gli porse un fascicolo di documenti “…non appena avrai firmato questi, sarai il nuovo proprietario, nonché presidente, della Reed Enterprise. L’azienda è stata valutata oltre 700 milioni di dollari e tu possederai il 51% delle azioni. Avrai un salario annuale di circa 5 milioni netti per il disturbo, più tutti i benefits possibili e immaginabili…” il ragazzo lo guardava col suo ghigno perfetto.
“Naturalmente non dovrai muovere un dito, farò tutto io, te lo giuro Aaron, mi ammazzerò di lavoro ma nel giro di due anni raddoppierò il valore della tua compagnia e tu farai più soldi di quanti tu possa sognare…’ il ragazzo ridacchiò:
“Hahaha!!! Beh, è il minimo, faccia di merda! Hahaha!!” l’uomo sorrise all’apprezzamento del ragazzo, poi fece un’espressione contrita.
“C’è solo un inconveniente…” gli disse mentre il ragazzo continuava a ridacchiare con le mani incrociate dietro la nuca “…per i cinque milioni dei fondi fiduciari dei miei figli dovrai aspettare un altro paio di giorni temo, la procedura è un po’ più lunga, io ho fatto tutto il possibile, Aaron, ma lo sai che sono un incapace, buono a nulla… mi dispiace tantissimo, ti supplico puniscimi, me lo merito!!!…” il giovane rise di nuovo.
“Hahahaha!!! Puoi scommetterci troietta, più tardi me la spasserò a spappolarti le palle a pedate ma per il momento…” prese il fascicoletto di documenti “…perché non usi quella tua linguetta del cazzo in maniera appropriata? Le mie suole sono sporche, non lo vedi?! Datti da fare mentre ti privo di ogni fottuto centesimo che hai guadagnato finora, sfigato dei miei coglioni, haha!!” l’uomo si gettò a leccargli le suole luride come se non aspettasse altro.
“Grazie Aaron!! Grazie!!!” disse quasi delirante. Il ragazzo aveva cominciato a firmare i documenti che sancivano irrevocabilmente quella decisione estrema, con indosso un sorrisetto crudele che per George non aveva prezzo.
“Mentre ti gusti la tua ricompensa, frocetto, perché non mi dici come ci si sente a perdere tutto quello che sia ha?” la sua voce era allegra e divertita.
“Te l’ho detto Aaron, non mi sono mai sentito meglio!” gli rispose amorevole mentre ingoiava la merda che il ragazzo aveva sotto le ciabatte. Aaron rise.
“Hehehe! Pensa a tutti i sacrifici che hai fatto negli ultimi vent’anni per arrivare dove sei!” continuò. Voleva torturarlo in ogni istante di quel momento.
“Sono felice di averli fatti così posso assicurare a te la vita che meriti Aaron… mmmm!!” continuò pieno di trasporto. Che spasso ascoltarlo.
“E che mi dici di tua moglie? E del futuro dei tuoi figli? Ti rendi conto che li stai condannando alla miseria?!” continuò con un tono che trasudava una preoccupazione tanto sarcastica da essere grottesca. L’uomo guardò il ghigno perfetto di suo nipote.
“Mia moglie è una stupida bambola gonfiabile e i miei figli… che cosa vuoi che siano in confronto a te? L’unica cosa di cui m’importa è il tuo benessere Aaron, solo quello… tutto il resto conta meno di niente… mmmm!!!” continuava a leccare. Aaron scoppiò a ridere a quelle ultime parole. Sorprendeva anche lui vedere sino a che punto quell’uomo fosse completamente assuefatto alla sua persona.
“Hahahaha!! Ma che buon padre di famiglia che sei! Haha!! Poveri cuginetti, mi fanno quasi pena, hahaha!!”
Il ragazzo appose l’ultima firma sul fascicolo di documenti dopodiché lo gettò sulla scrivania.
“Fatto! Da questo momento il tuo conto in banca corrisponde finalmente a quanto vali veramente…. zero, Haha!!” l’uomo continuava a leccare famelico con un’erezione di roccia nei pantaloni.
“Si Aaron, è giusto… è giusto… è giusto…. io non ho alcun diritto di spendere quei soldi e sono così felice che tu te li possa godere! Grazie per avermi permesso di aiutarti!! Sono felice… sono felice… quanto sono felice…”
‘Hahaha! Nessun problema, checca! Hehe!’
Se la rise il ragazzo scuotendo la testa proprio quando i due sentirono bussare alla porta. Aaron tolse i piedi dal tavolo e fece cenno a George d’infilarsi sotto la grande scrivania. L’uomo ubbidì sdraiandosi a terra. Il giovane gli appoggiò una ciabatta sulla faccia così che lui potesse riprendere a lavargliela prima di dire:
“Avanti!”
“Oh, ciao Aaron!” era la voce un po’ stranita della Moore “Dov’è il signor Reed?”
“E’ dovuto uscire un attimo e io gli ho chiesto se potevo usare internet, sa a casa non ho la connessione veloce…” disse alla donna con finto imbarazzo.
“Oh, povero tesoro…” gli rispose bevendo ogni sua parola. Poi incuriosita “Ma non l’ho visto uscire, come…?” la risposta fu pronta:
“E’ uscito dalla porta laterale” George vedeva il sorriso innocente sul viso di suo nipote mentre leccava frenetico lo sporco dal tallone del ragazzo. Era assolutamente impossibile sospettare di lui. Era talmente bravo a camuffare il suo vero io che chiunque sarebbe caduto nella sua tela.
‘Ma che strano, chissà dov’è andato?’
‘Beh, ha detto che gli brontolava lo stomaco, secondo me è laggiù da qualche parte a farsi uno spuntino…’ il ragazzo guardò il pavimento di fronte ai suoi piedi, solo un secondo, ma sufficiente a mandare brividi erotici nel corpo dell’uomo che cominciò a leccare, se possibile, con maggior foga quelle suole ormai lucide di saliva.
‘Avrei potuto mandare qualcuno a comprargli qualcosa!’ il ragazzo scrollò le spalle.
‘Grand’uomo tuo zio Aaron!’ disse la donna, giusto per continuare la conversazione. George era terrorizzato dall’essere scoperto ma allo stesso tempo così elettrizzato da faticare terribilmente a non far rumore.
‘Lo può dire forte, Shelly. E’ il mio idolo, lo sa?!’ disse il biondo.
‘Ci credo ragazzo mio, ci credo!’ la Moore aveva quel tono da maestrina che la caratterizzava ‘E’ un esempio da seguire, un uomo tutto d’un pezzo, integerrimo, di polso!’
‘Caspita, mi ha tolto le parole di bocca! E’ verissimo!!’ disse il ragazzo mentre si sfilava l’infradito ‘Sa, è in assoluto la persona che rispetto di più al mondo!’ e George accolse felice il fetore del suo piede quando gli pestò la faccia, a marcargliela , come sua proprietà. Quant’era perfido. Ogni sua azione non faceva che incatenarlo di più a lui. S’inebriò dell’odore, prima di assaggiare quella pelle umida che conosceva bene. Ogni goccia del suo prezioso sudore, ogni briciola di sporco nascosta tra i suoi lunghi diti erano gustosi regali di cui l’uomo aveva fatto il suo pasto da mesi ormai e non avrebbe voluto cibarsi d’altro se avesse potuto. Ed era proprio quell’odore maschio a completare l’opera mandandolo in un brodo di giuggiole ogni volta che il ragazzo gli permetteva di lavarlo.
‘La cosa che più ammiro è che non si fa controllare da nessuno! E’ un leader!’ aggiunse per continuare quel divertente gioco. La donna ne convenne:
‘Parole sante! Nessuno è mai riuscito a mettergli i piedi in testa e nessuno mai lo farà!!’ il ragazzo non poté fare a meno di sorridere e di guardarlo mentre lui gli succhiava, in estasi, l’alluce destro.
‘Curiosa scelta di parole…’ disse alla donna con un sopracciglio alzato ‘…comunque è vero…. chi mai potrebbe!’ continuò con un sorrisetto.
‘Beh, gli lascio questo da firmare. Torno di là, se hai bisogno di qualsiasi cosa chiamami tesoro, sono proprio qui fuori!’
‘Grazie Shelly!’ non appena la donna se ne andò, il ragazzo si lasciò andare.
‘Hahaha!! Credevo di scoppiare a riderle in faccia, cazzo! Hahaha!!’ guardò George ‘…questa vecchia rompipalle è più ingenua d’un fottuto neonato, hahaha! Prima mi ha pregato tutta dolce di sverginare sua figlia! Quasi quasi la faccio contenta! Hahaha!!’ George aveva difficoltà a concentrarsi su nient’altro che il sapore che aveva in bocca ma era felice di vederlo così allegro.
‘Dimmi un po’, che tipo è?’ chiese il ragazzo incuriosito.
‘Kate? Beh, è timida e un po’ dimessa, facilmente manipolabile, direi.’ gli rispose George che era il padrino della ragazza.
‘hehe! Una ochetta ubbidiente, perfetto! Dalla foto sembra anche scopabile. Me la sbatto per qualche mese e le do un calcio in culo quando mi è venuta sulle palle! Che ne dici, può funzionare?’ chiese il ragazzo a mo’ di conversazione.
‘Si Aaron, è una sciocca credulona, non farà problemi, vedrai! Sono sicuro che sarà tua al primo appuntamento!’
‘Hahaha! E che maniere sono leccapiedi!’ gli disse falsamente scandalizzato dandogli degli schiaffetti sulla faccia ‘Per chi mi hai preso? Io sono un timido gentiluomo, ricordi? Al primo appuntamento me lo faccio solo succhiare! Hahaha!!’ anche a George scappò da ridere.

‘Beh, direi che la mattinata non è cominciata male, non trovi? Ho appena intascato 700 milioni, più qualche altro spicciolo…’ sorrise indicando i conti bancari, tornato a tormentare l’uomo ‘…il mio zietto sfigato mi lecca i piedi da bravo schiavo…’ altra risatina.
‘A proposito, com’è il tuo spuntino, signor ‘tutto d’un pezzo’? Hehehe!!’
‘Mmmmm… ogni volta che li lecco è un’ebbrezza Aaron, sono sempre più buoni! Sei troppo indulgente con me, non me lo merito!! mmmmmm…..’ gli disse col viso madido di bava e sudore del ragazzo. Aaron ridacchiò:
‘Hehe! Ooh dai, sù col morale. Non è vero che non ne sei degno! Hahaha!! Le checche sottomesse come te nascono apposta per leccare i piedi ai loro padroni giovani e belli! Non lo sapevi? Hahaha!!’ glielo disse con la stessa voce melliflua che usava per beffare la Moore che, unita al ghigno diabolico sul suo bel viso, fece correre brividi sulla colonna vertebrale di George.
‘A te, poi, è andata di lusso, cazzo, hai il privilegio di farmi vivere da re per i prossimi trenta o quarant’anni, non è da tutti sai? Hahaha!!’
‘Lo so Aaron…’ rispose l’uomo con la lingua infilata tra i diti del ragazzo.
‘Insomma, hai idea di quanti verdoni butterò nel cesso? Hahaha!!! Centinaia di migliaia di dollari sputtanati in cazzate, hahaha!!’ Era più eccitante di qualunque scopata George avesse mai fatto. Ogni parola, ogni insulto lo portava sempre più vicino all’orgasmo.
‘Ma non avrà la minima importanza, perché per quanti soldi spenderò tu lavorerai come un fottuto cane per fare in modo che i MIEI conti trabocchino di milioni….’
‘Si Aaron, te lo giuro… lo farò! siiii…. mmmm…’
‘Dovrai farmi fare più soldi di quanti riuscirò a spendere, mentre continuerai a vivere in un buco merdoso, come un morto di fame, insieme alla tua cazzo di famigliola felice, sei contento? Hahaha!!’
‘Siiii Aaron, siiii, non chiedo di meglio!!’ continuò George la cui mente, ormai aveva abbracciato la follia.
‘E quando finalmente ti deciderai a tirare le cuoia, avrò accumulato tanta di quella grana da bastarmi per due vite, cazzo!!’ allegro, il ragazzo concluse quella cronaca di vita futura, imprimendo a fuoco ogni parola nella fragile coscienza dell’altro, come legge imprescindibile dettata da un dio.
‘Si Aaron, siii, grazie, vivo solo per te, lo sai, non chiedo altro, vivo solo per te, non chied….!!’ la sua litania venne interrotta perché il bel biondo gli premette il piede sulla bocca con divertito disgusto.
‘Sta’ zitto, non la voglio più sentire la tua voce da checca! Haha!!’ I gemiti di suo zio somigliavano a quelli di qualche animale. Non aveva mai visto niente di più patetico. Prese un gran respiro, il giovane e si godette, tronfio, quel momento con tutto sé stesso, avendo la netta sensazione che non l’avrebbe mai dimenticato.

Dopo alcuni minuti passati in silenzio, si alzò dalla sedia:
‘Basta, hai mangiato a sufficienza!’ disse con la consueta arroganza. George, strisciando, uscì da sotto la scrivania quanto bastò perché il ragazzo gli montasse sul petto e cominciasse ad asciugarsi i piedi strusciandoli sul suo zerbino vivente. Ebbe cura di sgualcirgli ben bene la camicia, la giacca e la cravatta.
‘Quando tornerai ad usarmi?’ chiese ed Aaron ridacchiò per l’uso del verbo.
‘Quando ne avrò voglia…’ rispose ‘…anche se mi pare ovvio che i nostri incontri saranno MOLTO meno frequenti d’ora in poi…’ ridacchiò mentre s’infilava le infradito. L’uomo assunse un’espressione addolorata.
‘Perché?!’ chiese in preda al panico.
‘Ma come, non ci arrivi, cazzo?! Non hai più un fottuto centesimo da farti spillare quindi ti userò soltanto per sfogarmi ogni tanto, hehe!’ l’uomo era quasi alle lacrime.
‘Naturalmente sarai disponibile 24 ore al giorno, come sempre, aspetterai finché non ti chiamerò.’
‘Certo Aaron!’ Disse zelante e il ragazzo sorrise.
‘Nel frattempo sfacchina e mantieni tutti i miei vizi! Hehehe!’ ridacchiò.
‘Si, Aaron, hai la mia parola, ho già un sacco di nuove idee!!’ l’uomo si era messo in ginocchio adesso.
‘hehe! Bravo! Tu fa’ un buon lavoro e la prossima volta, se mi gira bene, magari ti piscio in bocca frocetto, contento?’ gli carezzò la testa.
‘Oooh Aaron! Si! Ti pregooo!! Conterò i minuti!!’
‘Hahaha!’ il ragazzo si voltò e andò verso l’uscita ‘Bravo schiavo! Conta e soffri! Hahaha!!’ ed uscì dalla porta.
George rimase in ginocchio per alcuni secondi, con il cuore che, pian piano, tornava ad un battito normale. Era esploso nei pantaloni e sentiva il suo seme colargli nelle mutande. Socchiuse gli occhi e cominciò a sussurrare l’unica parola che aveva ancora senso nella sua mente abnorme:
‘Aaron…. oooh Aaron…’

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