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La libertà del peccato – parte 1

By 29 Ottobre 2020No Comments

E’ da una settimana che mi ritrovo in questa colonia. Salvata insieme ad altre decine di disperati dal dilagare dell’epidemia. Gli infetti sono ovunque. Sono divenuti i padroni del mondo. Solo poche zone della terra, le più impervie ed a loro favorevoli stanno resistendo al contagio. Mi hanno assegnato un letto in una stanza singola all’interno di un ex caserma militare. Merce rara di questi tempi, ma a differenza della gente comune io sono preziosa. Sono un medico. So riconoscere i sintomi e so come proteggere me e chi mi sta accanto dal contagio. Diventare un vagante, un non morto in cerca di sangue e viscere umane…. Insomma quello che nei fumetti e nei film splattern viene chiamato: zombie. Chi mai avrebbe pensato che un giorno avremmo visto materializzarsi un film horror? Dopo qualche giorno di assestamento sono stata arruolata nell’organizzazione sanitaria della colonia. Ho suturato ferito, medicato tagli ed abrasioni, riportato in sede spalle, caviglie e ginocchia e purtroppo iniettato dosi letali di cloruro di potassio a chi presentava i sintomi dell’infezione. Per il momento l’unica cura è questa: l’omicidio.

Oggi è il mio grande giorno. Sono stata convocata da Desmond, colui che governa la Colonia, soprannominato il Creatore. Le uniche cose che so di lui sono: ha combattuto in Vietnam, gioca a scacchi ed è inglese. Tutto il resto lo scoprirò non appena le due guardie che mi stanno scortando apriranno la porta in fondo al corridoio. L’edificio in cui si trova il quartier generale è diverso rispetto a tutti gli altri. Non ci sono finestre, le pareti sono di asettico acciaio ed ogni due metri una video camera controlla ogni tuo movimento. Arrivati in fondo una guardia suona ad un citofono. Dopo qualche secondo la porta viene aperta dall’interno automaticamente. Si fanno da parte per farmi passare ed una volta dentro richiudono lo porta e se ne vanno. Davanti a me c’è una scrivania, dietro di essa una donna di almeno ottant’anni con il rossetto rosso sui denti ed una pettinatura cotonata anni ’50. Mi saluta cordialmente facendomi cenno di varcare la soglia alle sue spalle. Io sorrido e con titubanza avanzo. Giro il pomello e supero la soglia. Di primo acchito resto basita. L’arredamento, i mobili, i tappeti, i libri, un vero camino acceso… sembra una biblioteca di fine ottocento. Una ottomana ed alcune poltrone rivestite di velluto rosso sono stata sistemate a destra attorno ad un piccolo tavolino tondo da fumo mentre al centro della stanza troneggia una grande scrivania in ciliegio ingombra di carte, libri ed una scacchiera di legno. Dietro di essa il Creatore. Un uomo sulla settantina, con profonde rughe in viso, occhi di ghiaccio capelli bianchi ed un sorriso che da subito mi inquieta. Squadra il mio metro e settanta scarso per sessanta chili di peso e quindi si alza venendomi incontro.

*Dunque, tu sei tu la famosa Heaven…*

– Famosa non direi… – storco il naso accennando un sorriso

*Prego accomodati, ero curioso di conoscerti* allunga il braccio verso il salottino. Io fisso poltrone e divano e poi scelgo quest’ultimo. Mi siedo e lui fa altrettanto optando per la poltrona.

* Sei un medico. Abbiamo grande necessità di questi tempi di professionalità come la tua. Come avrai potuto notare gli incidenti capitano e senza le appropriate cure, molti non supererebbero la notte * io annuisco senza aggiungere nulla.

*Sei tesa, anzi impaurita. Forse perché ti stai chiedendo il motivo per cui ti ho convocata… beh, chiamiamola mera curiosità oppure voglia di conoscere chi ha trovato rifugio nella mia colonia. Di questi tempi è molto importante conoscere chi ti porti in casa e riconoscere quali sono le persone di cui potersi fidare o meno* se si fosse fermato alla prima frase ora sarei molto più rilassata. E’ chiaro che voglia qualcosa da me.

– Si capisco e credo abbia perfettamente ragione – sostengo il suo sguardo rispondendogli a tono, forse non proprio in tono amichevole. Lui però non accenna a cambiare atteggiamento, sorride in maniera sorniona prende a versare da bere in due bicchieri di vetro da super alcolico.

*Devi essere una donna forte per essere arrivata fino a qui in Alaska. Donna e medico. Un connubio interessante* mi allunga sul tavolino uno dei due bicchieri

– E’ stato un viaggio lungo, ma non avevo altra scelta. Là fuori sopravvivere da soli è… impossibile – ammetto afferrando il bicchiere e portandolo alle labbra. Lui sorride alza il suo bicchiere e poi lo svuota con un fiato. Ok, ora lo posso bere anche io. Il liquore brucia. Deve essere Whiskey o Bourbon, non ho mai capito la differenza tra i due. In bocca mi lasciano uno strano sentore di anice. Strano non lo ricordavo, ma è da così tanto tempo che non bevo alcol che potrei non ricordarlo. Schiarisco la voce e poso il vuoto sul tavolino mentre lui sorride.

*Ora va meglio vero? Vedrai che tra un po’, ti sentirai più rilassata… ti va una partita a scacchi? Io ne vado matto* aggrotto le sopracciglia mentre lo vedo alzarsi ed andare alla scrivania per afferrare la scacchiera.

– Io veramente dovrei tornare nella tenda da campo, abbiamo dei feriti da medicare… – faccio per alzarmi ma lui è già lì. Mi posa la mano sul braccio in maniera leggera facendomi cenno di riaccomodarmi.

*Non temere, ho già chiesto che venissi sostituita da qualcuno. Dobbiamo parlare* mi siedo ed accavallo le gambe.

– Lei è il capo… – sbuffo e lui sorride.

*No, io sono il Creatore* mi fissa con i suoi occhi azzurri allungando la mano sulla mia guancia per carezzarla dolcemente dall’alto verso il basso. Sono pietrificata. Resto lì ferma anche quando con il pollice mi arriccia il labbro inferiore fissandomi avidamente le labbra. Io scatto con la testa per sottrarmi a quelle attenzioni indesiderate guardandolo male e lui sorride.

*La gioventù, così piena di vita ed al tempo stesso ingrata…* quindi cerca di toccarmi ancora il viso ma io mi scanso alzandomi in piedi.

– Credo sia giunto il momento di tornare a lavoro – mi dirigo verso la porta a grandi passi afferro la maniglia ma questa non cede. E’ chiusa. Lui alle mie spalle ride.

*Non mi sembra di averti dato il permesso di andare via, Heaven* provo a strattonare la porta ed a battere con il palmo della mano sul legno ma dall’altra parte nessuna risposta.

*Ruth se n’è andata a pranzo. Tornerà tra un paio d’ore. Siamo soli. Perché non torni qui a sederti? Se preferisci possiamo accomodarci alla scrivania…* io mi volto guardandolo in cagnesco

– Che cosa vuoi da me??? – fanculo anche al “lei” mi sta trattenendo contro la mia volontà

*Che domanda… voglio solo un po’ di piacevole compagnia, niente altro* sorride quindi raggiunge la scrivania sedendosi dietro di essa ed unendo le mani come se fosse in preghiera.

*Ti trovi bene all’interno della Colonia? Sei sufficientemente sfamata? Hai una stanza confortevole? Abiti puliti ogni giorno? Svolgi un’attività che ti soddisfa? Rispondi* mando giù un bolo di saliva oltre all’orgoglio.

– Si – lui sorride

*E dimmi, chi ti ha offerto tutto questo?*

– Tu – lui annuisce

*Non ti sembra di essere stata scortese con l’uomo che ti ha tratto in salvo da morte certa?* flette il capo in attesa di risposta. Io aspetto, ed aspetto ancora prima di abbassare lo sguardo. Lo sento sorridere.

*Vieni qui. Avanti* mi fa un cenno con la mano. Mi muovo controvoglia ed anche un po’ imbarazzata. Forse ho travisato il suo gesto. Potrebbe essere mio nonno. Raggiungo una delle sedie poste di fronte alla scrivania, ma quando faccio per sedermi lui scuote la nuca.

*Non fare la timida, vieni qui, da me.* mi fa cenno di fare il giro della scrivania. Cosa che faccio ma con estrema calma. Lui ruota la sedia verso di me e mi fissa dal basso verso l’alto quando mi fermo a mezzo metro da lui.

*Brava. Voglio che tu sappia che non ti verrà fatto nulla di male. Soprattutto da parte mia. Sei al sicuro. Ora… devi farti perdonare per poco fa quindi slaccia i pantaloni. Sono un uomo all’antica, ancorato ancora ad antichi valori* io sgrano gli occhi. Che vuole? Prendermi a sculacciate???

*Slaccia i pantaloni* ripete infastidito ed io deglutisco fissandolo male. Lui si incupisce adottando un tono freddo *Fa come ti ho detto o tra cinque minuti il tuo bel culo sarà sulla neve gelata dell’Alaska fuori dalle mura della colonia* quindi si schiarisce la voce.

*Slaccia i pantaloni* ripete ed io ricacciando indietro il disgusto e l’umiliazione sgancio il bottone dall’asola. Non faccio tempo a farlo che lui afferra le gambe dei jeans strattonandole verso il basso. Mi scivolano fino alle ginocchia e resto con un paio di slip bianchi di cotone. Lui sorride quindi preso da una strana brama avanza con la schiena infilando il naso tra le mie cosce socchiuse. Mi annusa profondamente il sesso, afferrando con forza le mie natiche con le sue mani raggrinzite dal tempo. Prende ancora un lungo respiro quindi si ritrae.

*Magnifico, semplicemente… magnifico* deglutisco mortificata da quel perverso complimento prima che lui si possa rituffare sul mio sesso. Questa volta però non si limita ad annusare. Con le labbra risucchia la stoffa di cotone e parte di carne e peli sotto di essa, mordendola appena. Sento la stoffa bagnarsi ed uno strano brivido corrermi lungo la schiena. Con vergogna trattengo quel gemito che sale dalla gola appoggiandomi alla scrivania con la mano per non cadere. Lui tira di nuovo la testa all’indietro ed alza lo sguardo.

*I piaceri che un vecchio può ancora permettersi non sono molti Heaven…* le sue mani dalle natiche scivolano giù lungo le cosce fino al ginocchio per poi risalire verso l’interno. Le dita raggiungono il mio sesso. Con una mano scosta il tessuto di cotone e con l’altra infila un paio di dita accarezzandomi le labbra verticalmente. Quelle dita scorrono libere scivolando senza impedimenti sulla carne, raccogliendo il nettare che le bagna. Sfila le dita portandosele alla bocca. Le lecca avidamente poi alza di nuovo lo sguardo.

*Tra meno di dieci minuti sarai nuda e distesa su questa scrivania supplicante di essere presa e scopata. Sta a te decidere se rendere la cosa facile o difficile… qui dentro non ci sono telecamere. Resterà tutto tra di noi. Cosa scegli?* si allontana di poco appoggiando la schiena alla sedia fissandomi. Io scuoto la nuca.

– No – non mi farò scopare da questo vecchio, mi fa ribrezzo. Lui arriccia le labbra ed apre lentamente un cassetto.

*Come vuoi* ne estrae una siringa, poi si alza in piedi stringendomi per non farmi scappare via conficcandomi l’ago nel collo. Preme sullo stantuffo ed il liquido mi entra in corpo.

*Ci divertiremo* sibila lasciandomi andare. Per il contraccolpo faccio un passo indietro inciampando nei calzoni abbassati. Sto per cadere ma grazie ai riflessi mi aggrappo alla scrivania restando in piedi.

– Bastardo… cosa mi hai iniettato??? – urlo mentre il mondo inizia a girare. Mi tocco il collo tramortito che brucia come se ci fosse lava sotto la superficie della pelle.

*Ti ho appena dato la libertà di sperimentare chi sei veramente, senza quella maschera da donna emancipata ed incazzata dietro cui sei solita nasconderti* sorride

*Ci divertiremo* io intanto mi sento sempre più stordita, come se avessi bevuto litri e litri di alcol a stomaco vuoto. Ho caldo, ho sete, ho… ho voglia di ridere ed inizio a farlo. All’inizio è una risata isterica poi una più genuina che mi porta alle lacrime. Che situazione del cazzo e lui? Lui fa la stessa cosa avvicinandosi a me. Mi prende il volto tra le mani e mi bacia avidamente, quindi si stacca e ride, poi lo vedo estrarre qualcosa dal cassetto. E’ un’altra siringa che si conficca nel polpaccio. Getta a terra la siringa quindi mi osserva.

*Ora sei pronta a giocare a scacchi?* io rido ed annuisco ritrovandomi a scalciare via le scarpe da ginnastica che porto ai piedi. Quindi abbasso anche i jeans fino alle caviglie facendogli fare la stessa fine. Resto con gli slip bianchi, una camicia a quadrettoni rossi e neri in flanella, un top ed un reggiseno bianchi in cotone, pronta a sentirmi libera, anche se forzatamente, forse per la prima volta.

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