Skip to main content
Erotici RaccontiRacconti EroticiRacconti Erotici EteroTradimento

La prima volta di Elena – cap 1

By 23 Dicembre 2020No Comments

La prima volta di Elena –  cap 1

 

Scritta su input di Elena (nome che dice vero poiché dopo oltre quaranta anni nessuno potrà…). I tempi delle azioni possono sembrare alterati, ma è voluto.

 

La mia prima volta non fu come me l‘ero sognata nei miei pensieri da ragazzina. Penso che per tante altre ragazze come me la realtà sia stata completamente diversa da quanto pensavamo.

La prima volta “con il principe azzurro”, con il grande, unico, eterno amore della vita; non fu proprio così.

Oggi a quasi sessanta anni suonati, libera dal piacevole opprimente fardello dei figli, che ormai adulti vivono con le loro famiglie, posso dedicare del tempo a mio marito e a me senza affanni .

Quel giorno ricordai la mia prima volta(anche se furono più “prima volta”).

Dopo aver adempiuto agli impegni domestici sono seduta sul divano davanti al televisore acceso su un programma che mi sfugge, che è ambientato al mare. Non so perché rimembro di un tempo ormai lontano o forse so il perché. La prima volta accadde al mare durante le classiche vacanze estive.

Non vedo più le immagini della tv, è come se vedessi un periodo della mia vita scorrere nitido sullo schermo con tanto di persone e dialoghi.

Mi vedo a flash successivi come fossi allora, i luoghi frequentati ed i miei amici.

Ad occhi aperti vedo trasmettere sullo schermo quello che in realtà oggi non c’è.

Allora, come adesso, abitavo in un piccolo paese vicino Rovereto.

Buona parte delle mie giornate erano caratterizzata dal bus che prendevo al mattino ed al pomeriggio per andare avanti e indietro da Rovereto dove andavo a scuola.

Ero la prima figlia, ho una sorella di quasi dieci anni più piccola, di una famiglia di contadini.

Persone per bene che mi trasmisero con affetto i valori della vita e che diedero tutto per le loro figlie.

Cosa che tutti i genitori fanno per i loro figli e che noi, mio marito ed io, abbiamo fatto per i nostri.

Su quel bus a quattordici anni conobbi il mio primo ragazzo.

Allora ero molto magra e portavo lunghi capelli neri. Ero timida e del sesso non sapevo nulla.

Facevamo insieme, per i campi, lunghe passeggiate tenendoci per mano e scambiandoci teneri bacini. Il nostro amore durò pochi mesi; i suoi genitori si trasferirono per lavoro e lui con loro. Fu la mia prima sofferenza per amore; nel chiuso della mia cameretta inondai di lacrime, per alcuni giorni, il cuscino.

Poi, come natura comanda, tornai ad una pseudo normalità ripromettendomi di non fidanzarmi più per evitare di soffrire ancora.

L’estate successiva, avevo quindici anni, fu il primo anno che i miei genitori affittarono per il mese di agosto un piccolo appartamento alle porte di Riccione.

Mio padre da alcuni anni lavorava in una fabbrica vicino a casa che faceva chiusura completa nel mese di agosto ed miei decisero che in quel mese saremmo andati al mare e per convenienza economica affittarono un appartamento.

Sole, mare e tante nuove amicizie. Ragazzi e ragazze che provenivano da tutta Italia. Eravamo un bellissimo grande gruppo di adolescenti, più o meno, della stessa età. Ciò mi riportò completamente alla normalità psicologica.

Fu una vacanza bellissima; conobbi delle simpaticissime coetanee e fu una vacanza di sano divertimento che creò le premesse per i primi filarini estivi.

Le vacanze terminarono. Tornammo a casa e ripresi a prendere il solito bus. A sedici anni, complici i discorsi con le amiche , le loro esperienze ed i primi turbamenti;  cominciai a guardare l’altro sesso in modo diverso dal passato. Ero libera mentalmente della mia promessa, mai più un fidanzato, e mi infatuai di un altro pari età. Ma la cattiva suerte sembrava prendesse la mira. Mentre il nostro feeling si stava sviluppando sempre più anche lui dovette seguire i genitori in un altro paese. Fortuna che l’estate sopraggiunse in fretta e con loro le vacanze a Riccione con gli amici dell’anno precedente e con nuovi amici; ciò mi fece rifiorire.

Ero cresciuta in tutti i sensi e mi rendevo conto che i ragazzi mi interessavano molto e d’altra parte capivo che anche loro si interessavano a me.

Ero cresciuta un altro po’ e mantenevo i lunghi capelli, ma soprattutto mi era cresciuto il seno ed il mio corpo aveva acquisito forme meno spigolose. E poi cominciavo a vestirmi da femmina e non solo per il mio piacere.

Ma coi ragazzi ci giocavo e scherzavo senza impegnarmi di più. Sapevo che fossero solo vacanze e poi a casa, Allora non c’era internet, non c’erano cellulari o voli low cost…

O telefono fisso, che era molto caro, o tante belle lettere e si sa che la lontananza non aiuta. Indi tanto giocare, ma attenzione a non “scivolare”.

Quell’estate, tra gli altri, conobbi Antonio, due anni più di me. Un bel ragazzo, simpatico e per me molto intelligente. Ben più alto di me e con due occhi chiari in cui perdersi.

Era di Roma ed i suoi genitori avevano comprato un appartamento a Riccione non lontano da quello da noi affittato.

Per come vestiva e per quel che raccontava della sua scuola e di quello che faceva a Roma faceva pensare fosse di una famiglia benestante.

Mi piaceva molto, e mi sarebbe piaciuto molto stargli sempre vicino, ma il fatto che lui fosse più grande di me e la mia timidezza me lo impedivano. E poi non dimenticavo quello che diceva mamma: le vacanze sono vacanze, ricorda Elena.

Inoltre pareva che lui non mi considerasse proprio, indi ..

Anche quell’estate fini e, con un po’ di rimpianto di tutti, tornammo alla nostra usuale vita e così il successivo anno.

Due anni dopo, ad inizio anno,appena diciottenne, conobbi Giulio. Due anni più di me. Già diplomato lavorava in un ufficio nella stessa fabbrica dove lavorava papà. Non lo avevo mai notato in paese perché vi si era trasferito da poco; finalmente uno che veniva e non andava.

Non so se fu amore a prima vista; non penso. Certamente mi piaceva e ci sapeva fare. Era la prima volta che avevo un ragazzo più grande di me ed aveva anche l’auto: una Fiat Cinquecento rossa. Poca cosa forse oggi, ma allora erano pochi i giovani che avevano un’auto.

Che fosse più grande di me e che avesse più esperienza di me lo capii presto.

La prima volta che con la sua Cinquecento uscimmo da soli si fermò in un luogo appartato e mi ritrovai la sua lingua in bocca a scavarmi come non mi era mai successo. Le sue mani, che non riuscivo a fermare, vagavano sul mio corpo cercando di toccare punti che nessuno aveva mai provato a toccare.

La mia resistenza lo fece desistere, ma fu solo un rimando.

I giorni ed i mesi passavano e noi eravamo una coppia fissa conosciuta da tutto il piccolo paese e soprattutto dai nostri genitori.

Eravamo agli occhi di tutto ormai fidanzati ed allora, specialmente nei paesi di campagna, ci si sposava presto.

Lui aveva una voglia sfrenata di fare sesso. Spesso mi chiedeva quando avremmo fatto l’amore per intero. Diceva proprio così. Io rimandavo quel momento al matrimonio; un po’ per mentalità, un po’ poiché ci credevo davvero.

La prima notte, il sogno di ogni ragazza (forse d’allora).

Non che escludessimo tutto. Il cammino era segnato e con molta pazienza mi convinse nel buio dell’auto prima a masturbarlo da sopra i pantaloni e poi a prenderlo in mano per delle “seghe” che si concludevano velocemente con il suo piacere.

Aveva un pene lungo e magro, pareva una banana. Provò una volta ad invogliarmi che lo prendessi in bocca. Non ne ero convinta. mi sembrava una cosa sporca. Ci faceva pipì e voleva che lo prendessi in bocca?

Ma per farlo contento, era il mio fidanzato e futuro sposo, già si parlava di sposarsi dopo la successiva estate, ci provai.

Avevo ragione io. Dopo i primi bacetti sulla sommità volli che lo prendessi in bocca. Mi parve di sentire l’odore di pipì ed ebbi un conato di vomito.

Mi ritrassi schifata e da quel giorno, nonostante ci riprovasse, non volli più toccarlo con la bocca. Si rassegnò.

In compenso perfezionai sempre più l’arte della masturbazione facendolo felice con poco e rimandando il resto a dopo il matrimonio.

Dopo un paio di mesi ero diventata una esperta nel  ”segarlo” Sapevo come tenerglielo in mano e manovrarlo, ed ero in grado di farlo venire a mio piacimento in pochi minuti.

Spesso notavo il suo voler “resistere alle mie mani sul pene” per prolungare il tempo che l’avrebbe portato al piacere, ma ero troppo brava.

Gli piacevano molto le mie seghette e consolidando il nostro intimo rapporto, eravamo insieme da più mesi, a volte giocavamo su questa mia capacità di portarlo al piacere quando volessi. A volte mi sfidava: questa volta resisto almeno cinque minuti.

Poveretto; sapevo tutto di lui e del suo pene e di dove e come toccarlo e quando e con quale intensità. Tre, quattro minuti al massimo e il suo sperma sgorgava impregnandomi la mano o le mani. Dipendeva da quale tecnica avevo usato per masturbarlo. Non si arrabbiava per ciò, anzi diceva che aveva le mani d’oro e così soddisfatto lo tenevo buono e mi evitavo sue pericolose avances.

Per quanto mi riguardava gli permettevo di giocare con le mie nude tette e di infilare la mano sotto il vestito, ma sempre facendo restare la mano e le dita appoggiate da sopra le mutandine. Poteva toccare e spingere attraverso il tessuto, ma non poteva entrare in vivo contatto con la mia passerina.

Ciò mi dava molto calore ed un piacere che veniva completato da me a casa quando, nel mio lettino, mi facevo dei furiosi, goduriosi, ditalini.

La Cinquecento, non potendoci permettere altro, era la nostra casa; il luogo dove ci chiudevamo per parlare delle nostre cose, del futuro, per baciarci abbracciarci e sentire i nostri corpi vicini.

Non era comoda, ma reclinando i sedili, sempre vestiti, potevamo stare quasi distesi vicini come a stare nel letto di una stanza con ampie vetrate che ti permettono di vedere cosa accade intorno.

La mia vita sociale era anche cambiata. Frequentavamo anche altre coppie, alcune più grandi di noi, andando a mangiare e a ballare insieme. Ero considerata come un’adulta e facevo parte del gruppo delle fidanzate/ ammogliate.

Ad agosto, anche se maggiorenne, non mi venne concesso di andare in vacanza con il mio fidanzato ed andai in vacanza a Riccione con i miei genitori e la mia sorellina per quella che sarebbe stata l’ultima vacanza con loro. L’ultimo anno mi aveva trasformato definitivamente, ero ormai una donna. La mia altezza si era stabilizzata, avevo una seconda abbondante di seno ed il mio sedere era tondo e sporgente. Notavo che spesso ero oggetto di sguardi furtivi di ragazzi grandi e di uomini.

Curavo la mia persona ed il mio abbigliamento e, non che fossi la sola, anche le mie amiche erano cresciute in tutti i sensi come me Ciò piaceva a noi e di sicuro anche ai ragazzi che ragazzi non erano più

Ritrovai le vecchie amiche e i vecchi amici. Anche per molti loro, quelli della mia età, sarebbe stato l’ultimo anno a Riccione. Alcuni già fantasticavano su cosa avrebbero fatto l’anno prossimo con gli amici/amiche o con le rispettive/i fidanzati/e.

Giulio ed io avevamo deciso che saremmo andati in Jugoslavia in quella zona che oggi si chiama Croazia.

I primi giorni con le mie ritrovate amiche furono dedicati, tra un bagno e crogiolate al sole, a raccontarci di cosa avevamo fatto quell’anno ed in particolare dei nostri fidanzati.

Intanto man mano arrivarono a Riccione quasi tutti quelli della compagnia; ormai avevamo superato i diciotto anni, che erano la frontiera superata della nostra adolescenza, ed avevamo finalmente un po’ di libertà in più.

Nei successivi giorni mi accorsi che ad ogni nuovo grido di giubilo, per un nuovo arrivo, sollevavo il capo nella speranza fosse Antonio.

Quasi una settimana era trascorsa dal mio arrivo e di Antonio nessuna traccia. Celando indifferenza riuscii a chiedere ad un ragazzo, che lo frequentava spesso, che fine avesse fatto. Mi disse che era lì in vacanza, ma che frequentava un altro gruppo dall’altra parte della città. Pensai dispiaciuta: peccato.

Comunque erano pensieri che in una fidanzata e prossima sposa non dovevano esserci

Quale sorpresa quando la mattina dopo me lo ritrovai in spiaggia. Forse il suo amico…Non lo seppi mai.

Era cresciuto anche lui. Oltre che alto adesso aveva anche un bel fisico., Sempre simpatico, attento e gentile. E sempre quegli occhi. Quegli occhi in cui avrei potuto annegare.

Ma forse non ero così male neanch’io perché me lo ritrovai spesso vicino a giocare e a chiacchierare con me.

Non era mai successo.

Forse per lui non ero più una ragazzina.

Quella sera al riparo delle mie lenzuola pensai a lui e mi preoccupai e nel contempo gioii di quel pensiero.

Il giorno dopo scoprii che Antonio ed il mio fidanzato avevano qualcosa in comune. Tutte e due avevano la Cinquecento e tutti e due l’avevano scelta rossa.

Durante quella giornata mi ritrovai a parlare a lungo con lui ed a fare i bagni insieme. Approfittavamo di tutte le situazioni per restare insieme.

Ci trovammo a fare, prima brevi e poi lunghe, passeggiate sulla spiaggia.

Ci raccontavamo della nostra vita, dei desideri e del futuro. Dei reciproci fidanzati di ciò che ciò che ci piaceva ed altro ancora.

Con il senno del poi a vista degli altri sembravamo una coppia. Ciò me lo disse un giorno una delle mie amiche di mare

Le giornate al mare si replicavano quasi sempre nello stesso modo.

Mattina in spiaggia con gli amici. Pranzo a casa. Pomeriggio in spiaggia. Cena a casa. La sera con gli amici.

Di sera si andava in giro per Riccione facendo chiacchiere, a volte si andava al luna park, a volte in discoteca (i soldi a nostra disposizione non erano molti e l’ingresso in discoteca costava) e a volte in spiaggia per allegre chiacchierate di gruppo.

Orario del rientro alla sera? Al massimo alle dodici e trenta. In quei tempi si cenava presto ed alle venti e trenta si era già in giro e poco dopo la mezzanotte  si tornava a casa ,anche le discoteche a mezzanotte si svuotavano

Non mi stupii quando un pomeriggio, durante quella che era diventata la nostra consueta passeggiata, Antonio mi propose di uscire da soli quella sera che sarebbe passato a prendermi in auto dove avrei voluto io.

Ci riflettei solo un attimo e dissi di si. Forse aspettavo già da giorni quella proposta.

Mi piaceva trascorrere il tempo con lui. Solo per un attimo pensai a Giulio, ma…

Agli amici dissi che quella sera avevamo degli amici di famiglia a casa e che i miei genitori avevano piacere che anch’io stessi con loro.

Antonio non giustificò nulla. Eravamo abituati alle sue assenze serali.

Quella sera mi preparai come al solito. Una ulteriore bella doccia per rinfrescarmi dalla calura estiva e con la spazzola “tirai” i miei lunghi capelli bagnati. Niente trucco, faceva caldo e comunque ero già leggermente abbronzata, ed infine indossai l’intimo, una leggera gonnellina, una camicetta bianca e ballerine colorate ai piedi.

Nessun ornamento particolare. Un braccialetto di pelle, come usava allora, che non toglievo mai; il piccolo anello che similare a quello di un futuro fidanzamento ufficiale mi aveva regalato Giulio. Niente altro.

Era una calda estate; di giorno si boccheggiava, alla sera la temperatura diventava sopportabile, ma meno cose indossavi meglio stavi.

Avevamo appuntamento ad un isolato da casa mia dove sapevamo non ci sarebbe stato alcun nostro conoscente. In quel breve percorso mi sentii ansiosa e titubante. Era corretto quello che stavo facendo? In giro da sola di sera con un altro ragazzo?

Vidi la sua Cinquecento rossa posteggiata più avanti tra altre auto e per un attimo mi sembrò di raggiungere come al solito il mio ragazzo.

Ma vidi lui, anzi lui mi vide per primo. Mi fece un cenno di saluto e di segnalazione, era di fianco all’auto dalla parte del passeggero e salutandomi con un ciao galantemente mi aprì la portiera strappandomi un sorriso di piacere

Salii velocemente come se avessi avuto paura che qualcuno ci vedesse.

Mise in moto e ci allontanammo da lì. Le prime sue parole furono come stai? Tutto bene? Sei propria carina vestita così. Il suo apprezzamento mi fece gioire e cercai di essere disinvolta nel rispondergli, ma avevo l’ansia in gola. Dopo i primi approcci mi disse: ti faccio conoscere un posto molto bello, di quelli che ti rimangono nella mente.

Mi incuriosì. Prese l’ampia strada che si arrampicava per San Marino.

Era una strada panoramica molto bella, illuminata dalle luci della luna e delle stelle, circondata da campi coltivati, che saliva sulle colline dietro Riccione. Chiacchieravamo, mentre guidava lentamente, ed avevamo la possibilità di guardarci ben intorno.

L’aria entrava dai finestrini aperti e giocava con la mia camicetta dandomi una piacevole sensazione di freschezza. Poi l’auto rallentò e prese per una stradina sterrata, che mal si vedeva dalla strada principale, di fianco.

Girò senza tentennamenti anche se con attenzione. La stradina non era ben tenuta ed era al buio. Antonio doveva conoscere però molto bene quel posto perché si inoltrò convinto in quel percorso. Facemmo pochi metri; fermò l’auto in un piccolo spiazzo erboso circondato da alberi. Fece girare l’auto. Il davanti dell’auto era orientato verso il mare e si vedeva un bellissimo panorama.

La vicinanza degli alberi ci nascondeva alla vista di altre auto di passaggio ed oscurava sia le luci delle auto che della notte e, essendo in penombra, ci dava la possibilità di vedere verso l’alto migliaia di stelle brillare.

Ero colpita dalla bellezza di quella “posizione” e non ricordo come avvenne il seguito. So che dopo poco che fossimo lì ci baciammo. Fu l’inizio della nostra relazione marina. Quel tipo di relazione che avevo sempre aborrito e negato.

Seppe, a differenza di Giulio, penetrare nelle mie intimità.

Antonio era ipnotico e affabulatore e mi conquistava con le sue parole minuto per minuto. Sapeva come distrarmi, allietarmi e rendermi partecipe dei suoi pensieri. Oppure lo volevo io?

Un po’ di esperienza di sesso adesso la possedevo, ma lui ne aveva molto più di me e di sicuro del mio ragazzo.

Dopo tanti anni seppur sforzando la mente davanti a questo schermo acceso in cui rivedo il mio passato, non riesco a ricordare come seppe superare il bordo delle mie mutandine e ad impossessarsi con le dita della mia intimità.

Quello che facevo di nascosto nel mio lettino me lo fece lui nella sua Cinquecento. Le sue dita mi martoriarono la vagina e mi diedero piacere mentre la sua lingua frullava nella mia bocca.

Furono le sue dita a provocarmi il primo orgasmo da parte di un uomo. ( La mia prima volta)

Quel che ricordo di quel momento e che ripresa la lucidità mi ritrovai il suo viso sul mio che mi guardava come a cogliere la mia reazione.

Sentivo la bocca socchiusa e la gola arsa e come risvegliandomi mossi lo sguardo intorno. Ero nella Cinquecento, appoggiata al sedile, con lui che mi osservava con i suoi grandi occhi chiari che sembrava volessero entrare nei miei.

Era strano; mi resi conto che il mio viso era rivolto al tetto dell’auto e non come al solito verso lui.
il mio sguardo si volse in basso: tutto il mio corpo era rivolto al tetto e non di fianco come di consueto.

Avevo le gambe retratte a rana e la mia gonnellina era sollevata sulla pancia, ma la cosa che più mi colpi fu vedere che le mie mutandine non coprivano il pube, ma erano calate più giù.

Il pube era coperto da una sua mano, immobile, e sentivo distintamente la presenza di almeno un dito entro me.

Un languore e un senso di sereno piacere mi permeava quando mi chiese: piaciuto?

Impedì la risposta sovrapponendo le sue labbra alle mie mentre la sua lingua entrava dolcemente in me. Mi trovai a corrispondere al suo bacio dimenticandomi di quella mano che aveva preso possesso della mia vagina.

Dalla sua parte di sedile, allungandosi, continuava a baciarmi ed anch’io lo baciavo. Sentivo la sua mano muoversi su me giocando con la fitta peluria che ricopriva la mia intimità. Non mi sentivo di fermarla, un continuo languore era presente in me.

Sentii un dito penetrare più a fondo e a fermarsi come nel sentire un ostacolo. Trattenni il respiro non sapendo come agire.

Staccai le labbra dalle sue: no sono vergine gli dissi.

Il dito si ritrasse e con le altre prese a muoversi vicino la clitoride mentre le sue labbra ripresero le mie.

Come era bello. Ero persa, ma tranquilla, nei suoi voleri.

D’un tratto stacco il volto dal mio portandosi verso il basso. Non capivo cosa volesse fare, ma compresi a breve quando, dopo una strana contorsione del suo corpo, la sua bocca e la sua lingua si posarono sulla mia vagina.

Ero sconvolta, non avevo mai immaginato una simile cosa.

Aiutato dalle dita allargò le mie intime labbra. Tuffatosi in mezzo alle mie gambe leccava, toccava e succhiava. Si fermò qualche attimo, forse perché scomodo, infilandomi le mani sotto il sedere. Me lo fece alzare facendo poi scivolare le mutandine ai piedi per poi toglierle definitivamente.

Adesso avevo le gambe libere, le apri con le mani per mettere comodamente la testa tra le cosce.

Non posso raccontare cosa poi fece; posso solo riportare le sensazioni che provai: stupende. Ebbi un nuovo orgasmo mentre le mie mani irrazionalmente spingevano la sua testa tra le mie cosce come per farla entrare in me.

Sicuramente sentì il mio orgasmo perché poco dopo si sollevò e pose il viso impiastricciato dei miei umori sul mio viso riprendendo a baciarmi, come se nulla fosse avvenuto, facendomi sentire il sapore del mio orgasmo.

Fu la sera che il Rubicone fu attraversato.

Mentre mi godevo il seguito del mio piacere una sua mano portò la mia verso il basso. La portò sul suo nudo pene che doveva aver estratto dai pantaloni e dallo slip senza che me ne accorgessi. Accompagnando la mia mano con la sua mi portò ad impugnarlo ed a masturbarlo. Lo vedevo dall’alto ed era buio e non riuscivo a cogliere la sua forma. Non coglievo come potesse essere; di sicuro stringendolo tra le dita percepivo che era più grosso di quello che sin ora avevo toccato.

Sentivo di dover ricambiare il piacere che mi aveva donato e continuando a baciarlo, Giulio mi diceva che il movimento della mia lingua nella sua bocca mentre lo masturbavo lo faceva impazzire, muovevo la mia mano sul suo pene. Pensavo andasse con lui come con il mio ragazzo.

Ma dopo una decina di minuti di “sega” la mia mano, in una posizione non agevole, era stanca di quel movimento che non dava i risultati che speravo.

Sentivo l’uccello duro tra le mie dita e nessun segno di una prossima sborrata. Di seghe al mio fidanzato ne avevo fatte moltissime, a volte anche due per serata per tenerlo buono, e sapevo e coglievo quando era prossimo a venire allora incrementavo la velocità della sega e in breve eiaculava. Stavolta con Antonio nessun segno faceva pensare… Mi feci ardita. Interruppi il bacio, staccai il viso dal suo e mi spostai in basso verso il suo sedile. Con Giulio, quando avevo fretta di concludere, facevo così.

Vidi il pene da vicino, effettivamente non pareva più lungo dell’altro, ma più largo si. Era fuori dai pantaloni nella parte finale ed i testicoli erano ancora all’ interno degli slip e dei pantaloni. Infilai la mano negli slip, presi i testicoli e li portai fuori. Ripresi a segarlo ma lo spazio angusto mi ostacolava il movimento della mano. Con Giulio durava il tutto cinque minuti, adesso ero arrivata ad un tempo molto più lungo e la mia mano ed il braccio soffrivano 

Antonio comprese la mia difficoltà, mi disse: aspetta ti aiuto.  Sollevò il bacino ed io, questo l’avevo già fatto, lo aiutai a fargli scivolare pantaloni e slip prima in basso e poi, riflettendo velocemente, feci come aveva fatto lui con le mie mutandine, calai il tutto fino a farli uscire dai piedi. Adesso sarebbe andata meglio pensai.

Allargò le gambe sapendo…         

Dovevo per forza stare piegata vicino al pene per fare quello che volevo. Con la destra da sotto gli presi i testicoli e presi a massaggiarli, con la sinistra glielo tenevo ben stretto segandolo dal basso verso l’alto e viceversa.

Continuai per un po’ così, mi sembrava di essere entrata in competizione con quel pene che non voleva cedere alle mie lusinghe. Avevo dimenticato dove fossi, con chi fossi, volevo farlo venire.

Nella mia mente facevo il confronto con l’altro pene. Se riuscivo con quello perché con questo no?

Era duro. Era caldo.

Nonostante il massaggio ai testicoli che sentivo gonfi nella mano e la sega, a tratti veloci, non voleva venire. Mi ero impuntata, era come se quel pene mi volesse sfidare. Non pensavo ad altro che a farlo venire.

Sollevai il viso a guardare Antonio . Aveva il volto tirato come quello di Giulio quando era prossimo a godere, ma nei fatti ciò non avveniva. Mi venne il dubbio di qualche problema.

Rivedo mentalmente parola per parole quel che avvenne

Gli chiesi: tutto bene? Rispose con un sorriso: benissimo.

Ed io: ma non vieni mai? E lui: faccio sempre fatica quando sono molto eccitato.

Cosa posso fare?

Non so. E poi, disse, quasi con timidezza: se provassi con la bocca.

La cosa mi spiazzò. Avevo il suo pene a non più di venti centimetri dal viso, ma non avevo mai pensato di prenderlo in bocca.

Pensai, posso provare? Ma già sentivo il disgusto dell’unica volta che avevo provato con Giulio.

Lo guardai. Era rossiccio nella parte finale, finiva come un fungo e luccicava. Provai ad appoggiargli la lingua, non sentii gusti particolari e allora poggia le labbra. Diedi una specie di bacio e poi aprii le labbra facendolo entrare un po’ per un veloce assaggio. Mi mossi lentamente nella paura di sentire quel disgustoso sapore già provato, ma non sentii nulla; solo una sensazione di calore e di un morbido/duro tra le labbra.Allargai di più le labbra e gli andai incontro prendendone di più ,ancora nessuna sensazione di disgusto. Mi rinfrancai ed iniziai a muovere su e giù la testa facendolo scivolare su e giù tra le labbra. Non ero una esperta, non avevo esperienza in merito, ma mi fu naturale.

Dopo qualche scivolamento in bocca sentito che non mi procurava conati o fastidio mi rilassai e tenendo sempre una mano sotto i testicoli mentre con l’altra lo tenevo iniziai il mio primo pompino. Mi accorsi che mi piaceva quello che facevo, era una nuova sensazione. (La mia prima volta)

Andavo da un po’ su e giù e mi aiutavo con la mano, ma nulla di nuovo. Guardai Antonio.

Realizzai che gli piaceva la mia bocca, ma il suo pene non dava i segnali che mi aspettavo.

Non so se i miei occhi chiesero aiuto, Antonio disse: Elena, succhialo.

Fino a quel momento lo avevo fatto scivolare dentro e fuori tra le mie labbra e non pensavo si potesse succhiare.

Ripeté: succhialo ,non aver paura.

Succhiai, prima con timidezza, poi colsi un mutamento, una vibrazione nel corpo di Antonio, ed allora la mia timidezza scomparve. Capii che dovevo osare. La mia bocca divenne vorace. Giù e su e mentre risalivo stringevo le labbra. Sentii finalmente il noto effetto anche sul pene di Antonio.

Lui aveva abbandonato il suo stato di quiete.

Lo sentivo ripetere con voce affannata: si si, continua.

Percepivo, sentivo e vedevo il suo piacere montare.

Normal
0

14

false
false
false

IT
X-NONE
X-NONE

Leave a Reply