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L’abbraccio di Giulia

By 10 Dicembre 2012Dicembre 16th, 2019No Comments

Mi chiamo Daniele e ho 22 anni. La storia che mi accingo a raccontare riguarda la mia prima occasione. Spesso sento dire che la prima volta arriva quando meno te lo aspetti. Quanto c’è di vero in una frase del genere? Io ho sempre pensato che fosse una di quelle tante frasi spicciole partorite da una mente romantica e nostalgica.
Però.
Nel mio caso fu proprio così. Perché posso garantirvi che quando mi svegliai quella mattina, col mio caffè veloce, correndo per raggiungere i banchi di scuola, non sospettavo minimamente che a distanza di poche ore avrei, per così dire, assaggiato il frutto proibito.
Io non sono mai stato un ragazzo particolarmente bello, e all’epoca questo fattore era motivo di forte insicurezza e scarsa autostima. Ero timido, introverso, e non avevo molto tempo libero da passare fuori dai libri di scuola.
Eppure non ero disinteressato, affatto. Mi masturbavo spesso sulle amiche, sulle compagne di classe, su persone che mai e poi mai avrebbero pensato che potessi fare qualcosa di simile. E invece io le guardavo da dietro le lenti dei miei occhiali e mi chiedevo, come tutti, se, sotto quel paio di jeans o quella minigonna, si nascondesse del pelo o una rasatura completa. Mi chiedevo se nel loro intimo si masturbassero anche loro, se usassero giocattoli, in che modo si eccitavano, come volevano essere prese. Le professoresse non erano escluse dal raggio d’azione del mio sguardo, infatti loro me le immaginavo sempre con calze autoreggenti e del sano perlo maturo. Donne di esperienza, maestre di vita e di sesso. Be’, sì, ero molto ingenuo. Ma ero solo curioso. Ero attratto dalla Femmina con la F maiuscola. Questa creatura per me irraggiungibile, splendente nella freschezza della giovinezza o nelle rughe dell’esperienza.

La mia prima volta non era una professoressa, né una donna matura. Neanche una ragazza della mia classe.
Giulia. Adorabile ragazza dalla pelle scura. Persona delziosa, intelligente e con un buon senso dell’umorismo. Ci conoscevamo grazie agli incontri di teoria della motorizzazione.
Nemmeno lei, esattamente come le altre, era esente dal mio sguardo indagatore. Lei era una ragazza molto bella. Ci teneva ad esserlo. Veniva sempre alle lezioni serali con chili di trucco sul volto e io, notando tutta questa cura e questa attenzione nell’apparire, mi chiedevo se fosse una falsa bella o semplicemente in cerca di qualche maschio che la cogliesse al volo. Non so perché, ma per questo motivo avevo la certezza matematica che avesse un pube perfettamente rasato e curato, pronto per qualsiasi occasione. Guardavo spesso le sue foto pubblicate sul suo blog personale. Mi piacevano quelle che aveva scattato per halloween, dove interpretava Jessica Rabbit con tanto di calza
autoreggente. Era consapevole di essere bella e ci giocava. Da parte mia, lo ammetto. Mi ci masturbavo, e non poco.
Non capivo bene perché, di tutti quei ragazzi ben più attraenti di me, lei avesse deciso di prendere il posto vicino al mio e di socializzare. Era sorridente, divertente. Non seguiva quasi mai le lezioni e mi mormorava cose a bassa voce. A volte mi sussurrava cose come “Che noia…”, oppure lanciava frecciatine ironiche su qualche compagno di corso. Una volta, me lo ricordo molto bene, mi prese la mano e mi disse: “Tua hai delle mani molto belle”. Io non le vedevo così belle, ma fui lusingato e anche un po’ eccitato, perché volevo svelarle in quale modo desideravo usare quelle mani su di lei.
Un giorno mi rivelò di avere seri problemi in matematica. L’anno scolastico stava arrivando alla fine e lei non poteva permettersi un voto basso, visto che stavamo entrambi per andare incontro all’esame di maturità. Mi chiese se io ci chiappavo e modestamente a scuola avevo una media molto buona. Così accettai l’invito a casa sua per darle ripetizioni.
Mi presentai da lei come peggio non si poteva: una bruttisima t-shirt e pantaloni di jeans corti. Sinceramente non speravo, anche se mi fossi vestito più elegantemente, di poter concludere qualcosa. Lei invece mi aprì la porta con pantaloncini bianchi e un top nero aderente. Avvertii subito il buon odore del suo profumo, molto più buono rispetto all’ondata di smog che avevo raccolto dall’autobus che mi aveva portato sino a lì.
Eravamo soli.
Ci salutammo con un bacetto sulla guancia. Prese il mio zaino e fece per portarlo in camera sua. Fu lì che, voltandosi, notai che indossava delle mutandine nere che risaltavano tantissimo ai miei occhi.

Prima di cominciare le chiesi se potessi andare in bagno, così ne approfittai per darmi una sciacquata e provare ad assopire quel durone che mi era venuto in mezzo alle gambe.
Tornai da lei e ci sedemmo alla sua scrivania. Questa era abbastanza piccola, perciò eravamo molto vicini. Le sue gambe sfioravano le mie, ma questo non sembrava preoccuparla.
Cominciai ad illustrarle un esercizio sui limiti che lei non era riuscita a svolgere, e mentre io parlavo lei mi fissava, e mi fissava, e mi fissava e sorrideva. Cominciai a balbettare nervosamente, sentivo il cuore che batteva forte.
“Tu sei un ragazzo per bene” mi disse poi. Non sapevo come rispondere. “Sei quasi stupido” rise.
Non sapevo assolutamente come prendere quelle affermazioni così contrastanti. La guardavo. Volevo dire qualcosa. Ma il mio cervello si era cappottato (ciao ciao cervello).
Ma non ci fu bisogno di dire niente. Si avvicinò a me e mi diede un bacio a stampo sulle lebbra.
“Hai capito?” Mi chiese.
Rimasi fulminato.
E’ superfluo dire che il mio pene scattò in aria. Subito mi sentii nervoso, e non sapevo cosa rispondere. Non ero neanche sicuro di aver vissuto davvero quel momento. Perciò volevo rispondere un “penso di sì”, ma non riuscii a spiccicare una parola intera (per fortuna, direi, perché sarebbe stata una risposta molto stupida). Lei mi sorrise ancora: “Tu non hai mai fatto niente con una ragazza, vero?” Scossi la testa. Allora mi disse: “Tranquillo”:
Mi sbottonò i pantaloni e io non opposi alcuna resistenza. Ne uscì scattante il mio pene, possente in tutta la sua erezione e forse anche di più. Lo potevo avvertire che pulsava, era quasi come se avesse una vita propria. Giulia lo afferrò, lo strinse. Diede una leccata sulla cappella e poi lo prese in bocca, masturbandolo con le labbra. Credo che passarono 10 secondi ad essere ottimisti, ma forse molti di meno.
Le dissi: “Giulia, sto per venire” e lei non reagì. Mi puntellò il membrò con la lingua e si fece inondare da un getto caldo e possente. Respiravo affannosamente. Lei si alzò, prese un fazzoletto e lo usò per pulirsi.
“Scusami” le dissi.
“Ti ho detto di stare tranquillo” mi rispose.
Quando ebbe finito, si spostò su letto e mi guardò con gli occhi di una sirena. Ammaliante, provocatrice, irresistibile.
Si tolse il top e ne fece uscire due splendidi seni dall’areola scura. Ma non era finita. Molto lentamente, con mia estrema sofferenza, portò le mani alla cerniera dei suoi pantaloncini e se li calò. Vedevo le sue mutande. Vedevo le sue gambe. E presto… Mancava poco.
Mi voltò le spalle e lasciò cadere quel paio di mutande a terra. Adesso vedevo il suo sedere, i suoi glutei scolpiti e all’apparenza morbidi. Mi portai d’impulso la mano al membro nel mentre che lei mi chiedeva “Vedi niente che ti piace?” col suo solito sorriso un po’ canzonatorio. Si voltò e adesso la vedevo bene. Rasata sì, ma non tanto come credevo. Curata, certamente.Curata e decorata con una sottile striscia di pelo poco sopra la gobba.
Si sedette sul letto e mi invitò a raggiungerla. Mi fece infilare un preservativo ed ero già pronto per montarla, ma mi disse di non avere fretta. Mi disse: “Toccala pure”. Allungai la mano e la avvertii. Calda e già umida. La accarezzavo, ma non con molto trasporto così lei mi prese la mano e mi invitò implicitamente a toccarla meglio. Mi ritrovai con le dita all’interno del suo corpo e quasi stavo per venire di nuovo dentro il cappuccio. Poi mi disse: “Adesso assaggiala”. Si distese sul letto e spalancò le gambe.
Cominciai subito a lappare. Lei ebbe un sussulto e mi disse: “Non così. Più piano, dolcemente”. Sentii la sua mano allora accarezzarmi la testa, che mi guidava sulle sue cosce, sull’inguine, e poi ancora sulle labbra del suo tempio proibito. Mi invitò a guardarla e mi fece di sì con la testa. Si mordeva il labbro.
Continuai a leccarle la fica. Lei alzò le gambe e mi abbracciò la testa con la cosce. A quel punto sapevo che non potevo più resisterle.
Glielo feci intendere con uno sguardo disperato e lei con un sorriso mi fece segno di sì. Spalancò le gambe. Avvicinai il mio glande al calore delle sue labbra, e sfregando contro di esse, finalmente, la penetrai. Sentivo il suo corpo caldo avvinghiato al mio membro che si muoveva dentro di lei, ancora un po’ goffo. Fui su di lei, col mio petto sul suo seno, mentre tentavo di arrivare con la lingua al suo capezzolo.
Stava arrivando di nuovo. Non seppi resistere e venni.
Probabilmente non rimase soddisfatta dalla mia prestazione, ma del resto sapeva che ero inesperto perciò credo che lo avesse messo in conto.
Una volta finito, rimanemmo abbracciati per un po’. Le chiesi scusa, e lei mi ripeté ancora una volta di non preoccuparmi. Tremavo ancora. Avrei voluto avere un’altra chance, ma ero così nervoso che non ebbi il coraggio di chiederla.
Per fortuna ci fu qualche altra occasione. Ebbi modo di rimediare ai miei errori e di imparare qualcosa. Inutile dire che lei non imparò mai niente sui limiti.
Oggi io e Giulia ci siamo persi di vista. Ma la ricordo ancora con tanta nostalgia.

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